La crudeltà del caso

di

Massimo G. Bucci


Massimo G. Bucci - La crudeltà del caso
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 276 - 14,50
ISBN 978-88-6037-4868

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Prefazione

Ho già avuto modo di leggere alcuni romanzi di Massimo Bucci e, senza ombra di dubbio, ho sempre constatato che la capacità narrativa e l’efficacia della sua scrittura sono formidabili.
La sua innata predisposizione all’invenzione di personaggi che prendono posto sul palcoscenico delle sue rappresentazioni letterarie va di pari passo con le caratteristiche della sua scrittura: precisa, pungente, netta, puntuale.
La trama viene sapientemente miscelata, i luoghi e le immagini studiate per rendere più reale il mondo in cui si muovono i protagonisti, quasi a collocarli in sequenze filmiche che rendano appieno le intenzioni dell’Autore: la mente crea e la mano dello scrittore segue fedelmente l’intero processo creativo, giocando tra atmosfere noir, riferimenti al romanzo giallo, vicende avvolte dal mistero e indagini investigative che riportano ai modelli classici della vasta letteratura.
Eppure v‘è sempre, come filo conduttore, una forte originalità nel disporre sul campo le fulminazioni narrative, le evidenze da rendere oscure, la realtà da celare e una delle tante verità possibili da ricercare con intelligenza, con arguzia, con criterio analitico.
L’attenta valutazione che si é costretti a fare e la disamina continua delle nuove prospettive che si aprono durante la lettura del romanzo sono accomunate alla volontà dell’Autore di illuminare le scene e di proporle puramente sotto un aspetto di energia narrativa in progressivo divenire fino all’esito finale sempre imprevedibile, stupefacente, inimmaginabile.
Il romanzo è intrigante e, sicuramente, connotato da un complessità che è comunque la nota fedele delle opere di Massimo Bucci: mai banali, mai scontate, mai semplici storie cosparse di qualche vittima sacrificale o da un bagno di sangue senza movente. Anzi v‘è sempre la ricerca da parte di Massimo Bucci di creare e plasmare un’idea che possa reggere su basi solide, su un’attenta costruzione narrativa, su una trama intelligente ed avvincente, magari facendo appello alla figura d’una scrittrice e investigatrice come l’intelligente e scaltra Marlene Kremach, protagonista che sovente ritorna nell’opera dell’autore.
In questo nuovo romanzo di Massimo Bucci, dal titolo “La crudeltà del caso” che è già un’indicazione di quello che potrà essere l’esito finale, l’avvincente trama ha inizio quando la famosa contessa e archeologa Helen De Paolis, studiosa della civiltà etrusca e poi di quella fenicia, pensa di aver scoperto a Tiro, nel sud del Libano, la sepoltura del sacerdote Acherbas, marito di Elissa, futura fondatrice di Cartagine. Con gli scavi emergono reperti interessanti ma ci si trova di fronte, inaspettatamente, a strani fenomeni che provocano la morte di alcuni addetti agli scavi: i tragici eventi non distolgono di certo l’archeologa dal suo intento, dalla sua brama di trovare risposte e forse qualcos’altro e, imperterrita, continua la campagna di scavo. Come a seguire il filo d’un destino già segnato, all’interno della montagna in cui si sta scavando, si scopre un giacimento di uranio e radio che possono essere utilizzati per scopi bellici da alcuni stati confinanti con il sito di scavo. Nel dipanarsi della trama non mancheranno loschi trafficanti di reperti antichi e la presenza di agenti dei servizi segreti con un susseguirsi di intrighi difficili da svelare. Poi, improvvisa, arriva la morte dell’archeologa Helen e i sospetti cadono sulla giovane nipote Santa, unica erede nonché depositaria d’un segreto lasciato da Helen: un misterioso scritto e una chiave d’una cassetta di sicurezza d’una banca a Beirut. La giovane Santa, che ormai si trova al centro d’un pericoloso coinvolgimento, chiede aiuto a Marlene Kremach, la famosa giornalista e scrittrice di romanzi thriller, che scoprirà l’esatta ubicazione del giacimento d’uranio. Nel susseguirsi degli eventi viene inserita anche la relazione tra Gianni, amico della defunta Helen, e Federica, giovane e bella, disinvolta e senza scrupoli. Misteriosamente anche il padre di Federica e il suo amico Fernandez, famoso paleontologo, saranno coinvolti nell’indagine e si scoprirà che erano presenti sul luogo del delitto. Grazie alle investigazioni di Marlene Kremach e ad accurate perizie sull’arma si giungerà alla conclusione che è stato tutto frutto della “crudeltà del caso”.
Da questa rapida sintesi si evince che il romanzo di Massimo Bucci presenta continui colpi di scena e rivelazioni inaspettate che rendono effervescente la narrazione: a tutto questo si aggiunga che l’Autore ha il dono di una scrittura limpida, imprevedibile ed appassionata, senza cadute di ritmo, capace di regalare il “piacere di leggere” una storia ben architettata ed è così che il lettore viene intrappolato dal meccanismo a orologeria di questo romanzo.

Massimo Barile


La crudeltà del caso


I

Gianni Parker non era solito ricordare e tanto meno festeggiare gli anniversari e le tradizionali festività, quelle circostanze cioè, che lui stesso definiva ironicamente come “imposizioni del calendario.” Ed a questo suo atteggiamento dissacratorio non si sottraeva neppure il Natale, il Capodanno, e la Pasqua. Risentiva soprattutto della pragmatica e stoica educazione paterna, perché al contrario, la madre, napoletana purosangue, era solita celebrare ogni anno con qualche nuova creazione culinaria, anche l’anniversario di nozze con il marito, il colonnello Stephen Parker conosciuto durante l’ultimo conflitto mondiale e sposato ancora in giovane età.
Gianni aveva perduto i genitori da alcuni anni e viveva solo, in un piccolo ma accogliente appartamento di un quartiere residenziale della capitale. Aveva da poco superato i trentacinque anni, era celibe ed insegnava storia e filosofia in un liceo statale. Riusciva ad arrotondare il modesto stipendio, con qualche occasionale lezione privata.
Pochi amici e qualche rara frequentazione del Circolo del tennis di cui il padre era stato socio fondatore.
Ogni anno, conoscendo la sua profonda passione per la lettura, Enrico, affezionato amico d’infanzia, era solito ricordare a Gianni l’arrivo del Natale con un libro che solitamente non era un bestseller ma che lui riteneva potesse comunque soddisfare gli esigenti appetiti culturali dell’amico.
Quell’anno la scelta era caduta su un saggio di un autore poco noto: “La forza della parola scritta.”
Il tema, non certo originale, affrontava con spirito esegetico alcuni dei più importanti e rivoluzionari eventi storici dell’umanità, con l’intento di valutare in quale misura tali eventi fossero espressione di quanto era stato preconizzato da filosofi, storici e uomini di pensiero.
L’appartamento in cui viveva Gianni, certo non molto spazioso, aveva le pareti completamente ricoperte di libri. Gli interessi erano vari, dalla saggistica più selettiva, alle opere di autori classici, fino al più recente romanzo di successo. Indubbiamente, la stessa attività professionale aveva giocato un ruolo determinante nella scelta delle sue letture.
Nonostante gli inviti più allettanti da parte di amici e colleghi, Gianni aveva deciso di trascorrere la notte di Capodanno tutto solo, attendendo la mezzanotte in compagnia di un buon libro.
“Quest’anno voglio interrompere la tradizione.” Rispose ad Enrico che lo aveva invitato ad unirsi alla sua famiglia per festeggiare insieme il nuovo anno. “La colpa è anche tua.” Aggiunse Gianni. “Mi hai regalato un libro troppo seducente… trascorrerò la notte in sua compagnia.”
In realtà, la decisione esprimeva molto fedelmente il carattere di Gianni. Temperamento chiuso, riservato, sempre meno incline alla frequentazione di amici e di luoghi che non gli fossero familiari. Un tipo eccentrico che viveva un’intensa vita interiore e che detestava qualsiasi evento o persona che lo distraesse da questo suo stato di intima concentrazione.
Terminata la cena nel ristorante che solitamente frequentava e che per l’occasione era ricolmo di addobbi, festoni e luci ad accensione intermittente, non potè evitare di trattenersi per qualche minuto con alcuni amici, abituali frequentatori del locale, per brindare, anche se anticipatamente, al nuovo anno.
Orazio, il proprietario del ristorante fu implacabile.
“A mezzanotte brinderete con chi vorrete; adesso dobbiamo augurarci buon anno tutti insieme.”
L’invito, o meglio, l’affettuosa imposizione, rivolta a tutti i presenti, comportò la bevuta di alcune coppe di spumante per cui, quando Gianni uscì dal locale, si sentì insolitamente euforico. Raggiunta con passo un po’ incerto la propria abitazione, contrariamente a quanto era solito fare, pensò di servirsi dell’ascensore per raggiungere il proprio appartamento al secondo piano dell’edificio. In genere superava a piedi e con incedere sportivo, le poche rampe di scale: un modesto tentativo per compensare uno stile di vita troppo sedentario.
Chiusa la porta dell’ascensore, mentre stava armeggiando con il mazzo di chiavi per identificare quella giusta da introdurre nella toppa, un’improvvisa esclamazione alle sue spalle, lo fece trasalire.
“Ah, professore, è lei!” Sbottò un’anziana signora che sporgeva con mezzo busto dalla porta semiaperta del proprio appartamento con ingresso nello stesso pianerottolo.
Era Helen Remy, dirimpettaia di Gianni Parker. Ormai vicina agli ottant’anni, viveva sola in un appartamento di gran lunga più spazioso di quello di Parker, ma non meno ricolmo di libri, cimeli, foto ricordo e dipinti acquistati nel corso dei suoi innumerevoli viaggi per il mondo.
Archeologa di riconosciuta competenza ed autorevolezza, nonostante le più lusinghiere proposte avanzate da prestigiose università ed istituti di ricerca, non aveva mai accettato incarichi ufficiali di insegnamento od impegni accademici che in qualche misura potessero condizionare la sua più completa libertà d’azione. Organizzatrice instancabile di spedizioni per ricerche archeologiche in ogni continente, aveva col tempo rivolto quasi esclusivamente i suoi interessi alle civiltà che si erano avvicendate nel bacino del Mediterraneo.
Da alcuni anni vedova del conte De Paolis, facoltoso proprietario terriero e pure lui archeologo, ma solo per solidarietà con la moglie, non aveva figli e forse anche per questo, d’accordo col marito, aveva speso ingenti somme di denaro per realizzare programmi di ricerca estremamente affascinanti ed ambiziosi, ma anche altrettanto dispendiosi.
“Buon anno, contessa!” Soggiunse Gianni con un sorriso.
“Altrettanto a lei, professore… pensavo fosse arrivata mia nipote Santa. Aveva promesso di venirmi a fare gli auguri prima del cenone con gli amici… io debbo accontentarmi del solito brodino che come sempre mi prepara Maria. Le ho lasciato la serata libera. Mi ha chiesto di poterla trascorrere con la sua famiglia… è innamorata di Mariolina, la nipotina.”
“Buona serata e ancora auguri.” Si affrettò a concludere Gianni per non essere coinvolto nelle ben note conversazioni senza fine, con l’amica contessa.
Entrato nel suo studio che aveva l’aspetto di una vera biblioteca, accese il televisore, riducendo al minimo il volume dell’audio. Una compagnia tranquilla, discreta e non impegnativa. Si sedette sopra una comoda poltrona ed iniziò la lettura del libro donatogli da Enrico.
Già alle prime pagine, l’argomento si mostrò quanto mai avvincente. Il tema di base era la Bibbia, il testo sacro della religione ebraica e cristiana, oggetto nel corso dei secoli, di innumerevoli interpretazioni, commenti, discussioni e contestazioni, pur rimanendo sempre la pietra miliare di entrambe le religioni monoteiste.
Nonostante il profondo interesse per l’argomento, sopraffatto dalla stanchezza e dall’insolito abuso di spumante, inavvertitamente Gianni si addormentò tenendo ben saldo il volume fra le mani, ma appoggiandolo lentamente sulle ginocchia.
Contrariamente a quanto era solito accadere, il sonno, profondo e non del tutto tranquillo, forse anche a causa della cena non molto frugale, si accompagnò ad un avvicendarsi di sogni insoliti e piuttosto irrazionali: alcuni volumi della fornitissima biblioteca, quasi fossero protagonisti di un dramma, cominciarono ad interloquire fra loro, rievocando fatti e personaggi di cui le loro pagine narravano le gesta ed intervenendo anche polemicamente sul contenuto di altri volumi che non sembravano interessati a quell’animata discussione. Sogno surreale che evocava dall’inconscio quanto, nel corso degli studi, Gianni aveva letto ed approfondito.
Questo incalzante ed animato susseguirsi di dialoghi e di eventi, improvvisamente si interruppe. Un assordante frastuono, con scoppio di petardi, fuochi d’artificio ed urla chiassose provenienti dall’esterno ed in parte anche dal televisore ancora acceso, lo richiamarono violentemente alla realtà: era scoccata la mezzanotte.
Ancora preso da quanto aveva sognato, dall’assurdo e fantasioso dialogo fra i volumi della sua biblioteca cui aveva assistito nel sonno e dallo stupore per l’improvviso risveglio, rivolse spontaneamente lo sguardo verso gli scaffali della libreria come per sincerarsi che quanto aveva sognato non corrispondesse al vero. Qualche istante di smarrimento. A richiamarlo più drasticamente alla realtà fu un improvviso squillo del telefono.
“Auguri, vecchio pelandrone, buon anno da parte mia e di tutta la mia famiglia!”
Gianni riconobbe subito la voce di Enrico e dopo essersi schiarito la voce con un colpo di tosse, riuscì, ancora assonnato, a pronunciare qualche parola.
“Grazie, auguri affettuosi a voi tutti!”
“Beh, com‘è andata col libro che ti ho regalato? Ti ha fatto compagnia o hai preferito qualche bionda? Vorrei essere con te, per controllare se veramente hai brindato al nuovo anno con i libri o con qualche bella figliola…”
Enrico stava parlando dei libri come fossero persone con le quali si potesse festeggiare un avvenimento. Il sogno sembrava non avere soluzione di continuità con la realtà. Avvertì come un senso di disagio. Afferrò una coppa, la riempì di spumante e quasi inavvertitamente l’alzò in direzione dei numerosi volumi che, tutti ordinati nella biblioteca, sembrava l’osservassero sorpresi: “Auguri anche a voi,” bisbigliò fra sé, “buon anno… buon anno!”

Alle otto e qualche minuto, due squilli secchi del campanello d’ingresso, lo fecero sobbalzare dal letto. Osservò l’orologio, indossò la vestaglia e si diresse verso il corridoio che conduceva all’entrata dell’appartamento. ‘Chi può essere che rompe le scatole anche a Capodanno?’ Pensò fra sé. Si aggiustò con le mani i capelli scomposti e con accento contrariato: “Chi è?”
“Polizia, può aprire?”
Sorpresa, timore, misto a disappunto.
“Scusate l’abbigliamento…” farfugliò mentre apriva la porta d’ingresso.
“Ci scusi lei. Ci rendiamo conto che non è il modo migliore per iniziare il nuovo anno…” osservò l’agente con un mezzo sorriso.
“Accomodatevi… ma cosa è successo?”
“Stiamo conducendo alcune indagini. La notte scorsa, ha avvertito qualcosa di insolito qui nel palazzo… per le scale… sul pianerottolo dell’ingresso…?”
“Non direi, a parte il frastuono dei petardi e dei fuochi d’artificio, a mezzanotte.”
Con dovizia di dettagli, e con un po’ di apprensione, Gianni raccontò all’agente come aveva trascorso la serata, dalla cena al ristorante sotto casa, alla telefonata di Enrico.
“Ha avuto occasione di incontrarsi recentemente con la contessa De Paolis?”
“Sì, certo, dimenticavo di dirle che al mio ritorno dal ristorante ho incontrato la contessa sul pianerottolo. Pensava che ad usare l’ascensore fosse stata sua nipote… una certa Santa che aveva promesso di venirle a fare gli auguri.”
“Ma poi venne, questa nipote?”
“Non glielo so dire… mi sono addormentato fino al risveglio per i petardi.”
“Lei conosce la nipote della contessa?”
“Mai vista. La contessa non me ne aveva mai parlato.”
“Si è incontrato spesso con la contessa?”
“No, solo qualche saluto… un paio di volte mi offrì pure un tè. Capii che si sentiva molto sola e che voleva anche mostrarmi i cimeli e le onorificenze che aveva ricevuto nel corso della sua lunga esistenza. Nonostante l’età è ancora molto attiva ed innamorata del suo lavoro.”
“Quale lavoro?”
“È archeologa come anche il povero marito. Hanno girato mezzo mondo a fare scavi, ricerche e ad organizzare spedizioni. Ha la casa piena di ricordi che mostra con molto orgoglio. Ma, mi perdoni, cos‘è successo?”
L’agente fu molto sbrigativo.
Maria, la domestica della contessa, entrata nell’appartamento attorno alle sette, come era sua consuetudine, aveva trovato disteso sul pavimento dello studio il corpo senza vita della contessa, colpita al collo da un proiettile. Nessun segno di scasso alla porta d’ingresso e apparentemente nessun furto. Tutto in ordine come al solito. Le luci del lampadario dello studio, erano ancora accese.
“Non è possibile… ma voi cosa pensate?” Accennò confuso Gianni.
“Per ora proprio niente. Il caso non si presenta certo molto facile. A proposito, lei sa se la contessa avesse fratelli, sorelle… parenti?”
“Non glielo so proprio dire…”
“Dovremo rintracciare la nipote… come si chiamava?”
“Santa, mi pare. Così l’ha chiamata la contessa.”
“Lei ha in programma di assentarsi in questi giorni?”
“No, nessun programma.”
“Non si allarmi. Può darsi che si debba ricorrere ancora al suo aiuto per qualche informazione…”
“A disposizione. Mi trovate quasi sempre in casa. Comunque posso darvi il numero del mio cellulare.”
“Non serve, stia tranquillo. In caso di necessità sappiamo come rintracciarla.”
Quando gli agenti se ne furono andati, Gianni si sentì profondamente turbato. Oltre al dispiacere per quanto era accaduto alla povera contessa, lo angosciava il fatto di trovarsi, anche se indirettamente, coinvolto in una faccenda molto misteriosa ed inquietante. Sentì il bisogno di parlarne con qualcuno. Telefonò ad Enrico.
“Ti aspettiamo per il pranzo.” Rispose Enrico. “Dovrai accontentarti dei rimasugli del cenone… però sarà bene parlarne con calma. È una vicenda molto strana, oltre che dolorosa. Penso che non sarà facile per la polizia, capirci qualcosa.”
L’avvocato Enrico Satti abitava nello stesso quartiere, poco distante da Gianni. Sposato da alcuni anni, aveva un figlio di cui Gianni era stato il padrino di battesimo. Amicizia nata negli anni di liceo e rinsaldata da un’assidua frequentazione.
“Beh, a quanto pare, sei stato l’ultima persona a vederla viva, la povera contessa…” osservò Enrico mentre aiutava Gianni a togliersi il cappotto.
“Pare di sì, a meno che la nipote non si sia fatta viva più tardi come pare avesse promesso.”
“Per questo, ci penserà la polizia ad accertarsene.”
“Dovranno rintracciare questa nipote. Non sarà facile.”
“Tu pensi che sia difficile rintracciare la nipote che forse è stata veramente l’ultima e vedere viva la vittima? Ma allora non conosci bene come si muove la polizia. A quest’ora sapranno tutto, dico tutto, di te, della nipote e di quanti le stanno attorno. A proposito, è sposata? Ha famiglia?”
“Che ne so!” Ribattè Gianni. “Ho sentito parlare di lei per la prima volta, l’altra sera.”
“Se la polizia dovesse farsi viva, fammelo sapere.”
“Ma perché, pensi che abbiano qualche sospetto su di me?”
“Assolutamente no, ma a volte, parlando a ruota libera puoi dire qualche parola fuori posto, che ti si può ritorcere contro… non hai molta esperienza con questo genere di cose…”
Il pranzo, che doveva essere quanto mai frugale, si prolungò fino al tardo pomeriggio. Dolcetti, liquori ed altre leccornie che tradizionalmente fanno la loro comparsa con l’arrivo delle feste natalizie.
Prima di rientrare a casa, Gianni si concesse una generosa passeggiata, anche per smaltire l’insolito sovraccarico di calorie. Superò agilmente le quattro rampe di scale, e si trovò sul pianerottolo di casa.
Di fronte alla porta di ingresso dell’appartamento della contessa, due signore stavano parlottando molto sommessamente.
Gianni non resistette alla tentazione e si avvicinò loro.
“Mi chiamo Gianni Parker ed abito qui nell’appartamento di fronte…”
“Santa Costa.” Soggiunse con voce decisa la signora più giovane, porgendo la mano a Gianni. “Sono la nipote della contessa De Paolis che lei avrà certamente conosciuto.”
“Certo… ancora non riesco a credere a quanto è successo.”
“Hanno portato la zia all’Istituto di medicina legale. Con Maria volevamo sistemare alcune cose, ma, come vede, l’appartamento è sotto sequestro per cui non ci è più possibile entrare.”
Santa non mostrava più di venticinque anni. Di altezza media e di carnagione piuttosto scura, portava un’acconciatura sportiva con capelli corti di colore castano. Indossava un paio di jeans ed un giubbotto di pelle nera imbottito, con colletto di pelliccia. Nel complesso, una giovane attraente. Maria, l’anziana domestica della contessa se ne stava raccolta in disparte con un’espressione mesta e nel più assoluto silenzio.
“È veramente una tragedia. La zia era il mio punto di riferimento. E questo lo sapeva anche mia madre che però non era affatto gelosa della sorella. E poi, una morte così misteriosa… mi sento sola, come privata di qualcosa di vitale… Non riesco ancora a capire, a farmene una ragione…”
Col sopraggiungere della sera, la temperatura si stava facendo molto rigida.
“Se volete accomodarvi, posso offrirvi un tè.” Soggiunse Gianni accompagnando le parole con un gesto di invito.
“Grazie! Qualche sorso caldo giunge proprio opportuno.”
“Signora Santa,” intervenne Maria “io dovrei tornare a casa. Mio genero Abel ancora non sta bene. Appena sarà possibile entrare nell’appartamento, mi telefoni. Ancora tante condoglianze…”
Gianni si avvicinò alla porta del suo appartamento ed entrò.
“Si accomodi. Troverà un po’ di disordine…”
“La bisboccia di capodanno?”
“Nessuna bisboccia. Mi vergogno ad ammetterlo, ma dopo la cena al ristorante, mi sono addormentato come un orso in letargo.”
“Beh, la notte di capodanno… addormentarsi… è imperdonabile…”
“Mi hanno destato i petardi, i fuochi d’artificio, gli spari, ma la mezzanotte era già scoccata.”
“Quindi, un capodanno da eremita…”
“Quasi… allora va bene un tè caldo?”
“Benissimo.Vuole un aiuto?”
“No, la ringrazio. Il tè riesco ancora a farmelo decentemente.”
Mentre Gianni armeggiava in cucina con teiera, posate e zuccheriera, Santa curiosava con lo sguardo, interessandosi soprattutto dei numerosi libri ordinatamente riposti in biblioteca. Fu particolarmente attratta da un corposo volume di El Mallakh e Brackman, ‘L’oro di Tutankhamen’. Afferrò il volume e cominciò a sfogliarlo.
“Latte o limone?” Intervenne Gianni mentre entrava nello studio reggendo un vassoio. “Vedo che si interessa di Egittologia.”
“Sì e no. Sono laureata in lettere, ma da tempo ormai mi sono lasciata coinvolgere dalla passione per l’archeologia. La povera zia me l’ha trasmessa da quando ero ancora adolescente. Da alcuni anni lavoravamo insieme. L’entusiasmo della zia era travolgente. Era riuscita ad appassionare anche lo zio che, forse per farle piacere, si avventurava in esplorazioni molto rischiose. Un paio di volte li ho pure accompagnati in spedizioni in Medio Oriente.”
“In Egitto?” Osservò Gianni mentre sorseggiava delicatamente il tè bollente.
“Non proprio. Da anni ormai la zia si interessava della civiltà fenicia. Le sue ricerche si erano concentrate soprattutto in Libano. Inizialmente aveva organizzato indagini nella città di Biblo, nei pressi dell’odierna Jbeil, una quarantina di chilometri a nord di Beirut. Alcune volte, l’accompagnai anch’io. Un’esperienza indimenticabile.”
“Non le nascondo che questo interesse per il popolo dei Fenici, mi incuriosisce.”
“La capisco. La civiltà fenicia, al contrario di quella egiziana, ad esempio, non ha mai suscitato molto interesse da parte degli archeologi, se si eccettuano i suoi insediamenti occidentali, Cartagine, la penisola iberica e le isole mediterranee.”
“Ma le ragioni di queste ricerche da parte di sua zia?”
“Un po’, posso dire di conoscerle, ma in gran parte, no. Era molto riservata e quasi gelosa del suo lavoro e delle sue intuizioni. D’altra parte, parlare genericamente di interesse per un popolo e per una cultura, non ha alcun senso. Occorre limitare i propri studi, concentrandoli su un particolare aspetto di una civiltà, altrimenti, diceva la povera zia, non si concluderà mai niente. In fondo, l’archeologia è anche competizione, per cui le forze non vanno disperse.”
“La contessa si era quindi dedicata alla soluzione di problemi ben definiti.”
“Certo, la zia era considerata una paleontologa linguista. Stava approfondendo le origini di alcune lingue mediorientali e la loro interpretazione. L’interesse per i Fenici si è notevolmente riacceso in questi ultimi anni. Gran parte degli studiosi ormai concorda che a questo popolo spetti il merito dell’introduzione dell’alfabeto, anche se non mancano le contestazioni più o meno motivate.”
“Quello che mi dice, mi sorprende. È una scoperta che avrei attribuito agli egiziani.”
“E in parte avrebbe ragione. I segni che caratterizzano il nuovo tipo di scrittura introdotto dai Fenici ed in particolare nella città di Biblo, in cui vennero alla luce iscrizioni su pietra e bronzo, sembrano derivati in parte dai geroglifici egiziani, tanto che questo tipo di scrittura viene definito anche ‘pseudo-geroglifico’ di Biblo.”
Gianni partecipava con interesse alla conversazione con Santa, sorpreso per la sua cultura e per la preparazione in una così affascinante disciplina. L’aspetto un po’ sbarazzino della giovane poteva trarre in inganno. Apparentemente le si addicevano interessi d’altra natura, meno coinvolgenti ed impegnativi.
“Quindi era una ricerca soprattutto linguistica…” riprese.
“Si, ma non fine a se stessa. Esistono varie elaborazioni del primo alfabeto. Potremmo dire, forme quasi dialettali. E di queste elaborazioni ne sono state decifrate pochissime. Pare poi che quelle sconosciute siano le più importanti…”
“In che senso?”
“Attraverso la decifrazione di uno scritto, si ottengono nuove informazioni che possono condurre a luoghi ancora inesplorati, a loro volta fonte di ulteriori conoscenze sia linguistiche che archeologiche. È un po’ tutto collegato. Certo, chi per primo riesce a decifrare uno scritto si trova in condizioni privilegiate anche da un punto di vista strettamente archeologico. E questo la zia l’aveva capito da tempo.”
“Un impegno non certo indifferente, anche perché riuscire a decifrare lingue così misteriose…”
“Devo ammettere che occorre anche essere fortunati. Tempo fa, durante l’ultima sua spedizione a sud di Sidone, nelle vicinanze di Tiro, grazie alle indicazioni della zia, fu portato alla luce un cippo marmoreo che conteneva iscrizioni in due lingue, in fenicio ed in una lingua poco conosciuta, la così detta scrittura pseudo-geroglifica di Biblo di cui le ho detto. È una lingua di cui esistono numerose varianti ancora non decifrate, e che col tempo si trasformò nel fenicio. Per la zia fu un colpo estremamente fortunato, soprattutto perché poteva accedere ad un mondo molto misterioso di cui si conosce ancora molto poco.”
“Ma questi eventi, ebbero un seguito?” Osservò Gianni sempre più coinvolto.
“La zia fotografò accuratamente le iscrizioni e quindi dispose di seppellire nuovamente il cippo nello stesso posto in cui era stato scoperto, ma molto più profondamente, come volesse nasconderlo e preservarlo da eventuali furti o vandalismi. Non fece alcuna comunicazione ufficiale. Ho tentato più volte di affrontare l’argomento che riguardava l’interpretazione dello scritto, ma la zia non si è mai lasciata sfuggire nulla. So che lavorava intensamente su questa sua scoperta, attraversando periodi di grande euforia. Ma delle foto e dei risultati dei suoi studi nessuno sa niente. Almeno credo.”


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