Poesia Terapia - L’amore non è pace è pazzia divina

di

Massimo De Santis


Massimo De Santis -  Poesia Terapia - L’amore non è pace è pazzia divina
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
15x21 - pp. 140 - Euro 20,00
ISBN 9791259511157

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In copertina: «Tre sguardi verso il cielo» opera di Mario De Luca


Introduzione

Poesie varie, senza apparentemente un filo logico, una connessione, un complotto. Varie come gli stati d’animo di un uomo: ora felice, ora arrabbiato, ora indifferente, ora triste, ora appagato, ora inappagato, ora vivo, ora morto. Il dualismo dell’anima che si ripropone in ogni istante della vita, che infierisce, che ci rende succubi delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti, delle nostre volizioni, delle nostre innaturalità. E sì, perché quando attraversiamo una giornata con il nostro corpo, ne usciamo sempre insoddisfatti e distrutti e incompresi e inappagati e stanchi, difficilmente felici. (La felicità è un attimo che svanisce nella prospettiva di nuovi sogni.) Per fortuna che c’è il domani, al quale deleghiamo i compiti che oggi non abbiamo potuto portare a termine, al quale affidiamo le nostre pur brevi speranze. “Domani sarà diverso” ci sentiamo ripetere dal nostro dentro che non sappiamo bene se sia la nostra anima o la nostra coscienza o chi per esse, ma ci consola e ci consoliamo ed andiamo a letto fiduciosi. Si dorme? Non si dorme? Lo scopriremo ben presto alle tre di notte quando ci ritroviamo con la penna in mano a scrivere poesie o leggere qualche libro che ci annoi, con la speranza di riprendere sonno. Dunque c’è una doppia vita. Scoperta dei poeti o anche dei pittori, o anche degli scultori o anche degli scrittori? E chi non è tutto questo conta le pecore? Poesia terapia, per stare bene. È perché proprio quando nel nostro corpo ci sono delle tensioni che non riusciamo ad individuare, attraverso la poesia le esorcizziamo e le rendiamo innocue. Spesso queste tensioni sono causate dal contatto del nostro corpo e della nostra mente con l’esterno. Provate ad imbracciare la penna quando siete arrabbiati e cercate di fare una linea diritta su un foglio bianco. Poi un’altra, poi un’altra ancora, poi ancora… concentratevi sulla linea con tutta la rabbia che avete in corpo. Quando vi sarete calmati, date un’occhiata al foglio sul quale avete tratteggiato tutte quelle linee e scorretene l’andamento. Di sicuro le linee non saranno diritte! Adesso provate allo stesso modo con le parole. Scrivete con tutta la rabbia che avete in corpo tutte le parole che vi vengono a mente, senza ragionare. Fatto? Ottimo! Adesso andate a leggere quello che avete scritto sul foglio e vedrete in versi quale è il problema che vi assilla e come vorreste risolverlo o se avete una via d’uscita o se c’è una premessa a qualcosa o una soluzione. In ogni caso dentro a quello scritto ci siete voi di sana pianta, e spesso in un modo a voi persino sconosciuto! Ma non bisogna scrivere solo quando si è arrabbiati, ma anche quando si è immensamente felici, o sentimentalmente impegnati (non è importante se corrisposti oppure no, tantissimi poeti hanno scritto libri sull’amore platonico e sono diventate delle vere opere d’arte), oppure quando si è in uno stato d’indifferenza assoluta oppure di solitudine immensa (vorrei precisare che in effetti noi non siamo mai soli in quanto figli di Dio. Abbiamo un padre che ci ha messo al mondo e che ci adora, proprio così come siamo. Stupendo). Poesia terapia perché una volta che abbiamo scaricato le nostre tensioni su quel foglio di carta, ci sentiamo più tranquilli, più rilassati, più consapevoli e quindi più preparati a continuare la lotta per l’esistenza. L’esistenzialismo, eccolo il nocciolo duro della realtà che più ci preoccupa e che più ci crea ansia e tensioni. Il voler essere uguali agli altri, il desiderare le cose che desiderano gli altri, il perdere di vista l’obiettivo della propria esistenza, lasciandosi attrarre dalle chimere. Occorre accedere ad un livello superiore che non è precluso a tutti, anzi, è lì che attende che tutti ci arrivino prima o poi. È la spiritualità! È semplice: basta lasciarsi coinvolgere dalle Sacre Scritture e tutto cambierà. Ma proprio tutto, soprattutto quello che mai avremmo pensato che potesse cambiare. C’è bisogno di Dio nella nostra vita! “Vivere quaggiù guardando in su” sembra una frase fatta, che nella nostra vita chissà quanti milioni di volte l’abbiamo ascoltata. Ebbene, io dico: distrattamente, superficialmente, inconsapevolmente, arbitrariamente, colpevolmente, aprioristicamente, indifferentemente e casualmente. Allora, volutamente ho letto e riletto e continuo a leggere la Sacra Scrittura, inizialmente anche con l’ausilio di un assistente spirituale perché avevo paura di non comprendere, come si diceva e come sento dire ancora. Ma non è vero! Chiunque può, anzi deve avvicinarsi alla verità così come per diventare ingegneri o dottori o maestri o artigiani c’è bisogno di imparare le regole per svolgere quella attività. Non si possono costruire grattacieli se non si hanno i principi base dell’ingegneria, non puoi insegnare ad un altro le cose che non sai! E la vita, la tua vita, come l’affronti? Con quali basi? Escono queste cose dalla tua poesia. I bisogni dell’anima! Escono dalla tua poesia. È la tua anima che parla, il tuo cuore, la tua mente, il tuo corpo. In ogni poesia ci sei tu: chi sei, chi vorresti essere, le tue aspirazioni, i tuoi tormenti, i tuoi amori, il tuo Amore, i tuoi sensi. Poesia terapia. Sarebbe bello scrivere un libro di poesie su un solo argomento, magari a scelta, o a richiesta, o peggio, a pagamento. Ma è impossibile! Mancherebbe in ogni caso l’Anima dello scrittore. Ecco perché è importante il “getto”. Scrivere di getto. Significa mettere giù le parole senza riflettere, così come vengono, apparentemente alla rinfusa, ma che hanno un’Anima. Si possono scrivere anche poesie pensate ed arricchite con parole sublimi, ma sono mancanti di Anima. Certamente ad una poesia scritta di getto si può mettere mano, con l’ausilio di adeguata documentazione, al fine di abbellirla nella forma, ma non si può mettere l’Anima ad una poesia scritta senz’Anima! E si vede. E si sente. E si percepisce. E si tocca. Ecco la poesia! Ecco la libertà, un tema molto caro ai poeti, spiriti liberi, incontaminati, incorruttibili. Dentro. Dove ci sono soltanto loro, nel vero senso della libertà. Quella libertà che fa paura ai pragmatici, ai potenti, agli occultatori di verità, ai tiranni. Quanti poeti sono stati esiliati o uccisi per motivi politici? Poeti che nel cuore avevano la libertà. E questo desiderio di libertà del loro popolo loro la descrivevano con il sangue delle loro penne su fogli di carta bruciata come le loro vite, per difendere i diritti dei più miserabili, dei più poveri, dei più derelitti, della gente comune. La storia si ripete: da sempre un piccolo gregge di uomini spera di dominare sulle masse schiavizzandoli, rendendoli succubi delle loro leggi ingiuste, delle loro atrocità, delle loro meschinità, delle loro inutili guerre, della loro ossessione di essere Dio. Vergogna. Vergognatevi! La bellezza vi sopprimerà! Ma non la bellezza dei vostri edifici, dei vostri ponti, delle vostre cementificazioni, dei vostri aeroplani, dei vostri missili, dei vostri treni superveloci, dei vostri asfalti. Sarete sommersi dalla Bellezza dell’Anima. Che non si può comperare nemmeno con tutto l’oro di questo mondo, dico, non si può comprare nemmeno con tutto l’oro di questo mondo! Non c’è oro che possa acquistare un’Anima. Solo l’Amore!

Massimo De Santis


Massimo De Santis e il ritorno all’«uomo interiore»
Saggio introduttivo a Poesia Terapia
di Cinzia Baldazzi

Se volessimo risalire al messaggio veritiero di quale siano gli elementi fondamentali della vita, sarebbe dapprima necessario chiarire il significato della parola “fondamentale”, analizzando in principio – com’è proposto in Poesia Terapia – la natura delle «emozioni, dei nostri sentimenti, delle nostre volizioni, delle nostre innaturalità» nell’anima. In un corso universitario a metà degli anni ’50, Martin Heidegger spiegava: «In primo luogo, la parola “fondamento” (Grund) indica la profondità, per esempio il fondo del mare, il fondovalle, la distesa di prati (Wiesengrund), una depressione del terreno, una terra o un suolo che si trovano più in basso; in senso lato fondamento si riferisce alla terra, al suolo terrestre. In un senso ancora più originario, a tutt’oggi, nell’area linguistica svevo-alemanna la parola tedesca Grund [fondo, fondamento] equivale a humus. La humus è il fondo naturale, il suolo terreste greve e fecondo».
La preoccupazione del filosofo tedesco, di riunire l’aspetto naturale con la realtà umana nel suo aspetto prettamente speculativo, con il dire e il pensare, si ritrova in alcuni versi di Massimo De Santis, il quale, dopo aver finalmente realizzato il desiderio di udire «il respiro della terra», scrive:

Sono come il mare
che guarda il fiume.
Raccolgo dalla tua bocca
ogni tuo dire,
dalla tua mente
ogni pensiero.
Non giudico mai le tue acque pure
o le tue parole ardenti,
semplicemente ricevo
– come fa il mare –
ogni tuo detrito, ogni tuo tronco.
Ma ti tramuto in sale!

Eri acqua dolce, ora sei mia

[da Sono come il mare]

Ma nelle sue lezioni Heidegger legava il concetto di fondamento a quello privilegiato di tempo, spiegando come «il linguaggio del pensiero parla di fondamento dell’essere, di fondamento del divenire», chiedendosi: «Che luogo è questo? È quel luogo verso il quale ancora ci troviamo in cammino». Anche il flusso della temporalità che interessa il nostro poeta è essenzialmente quello prossimo venturo, rappresentando una realtà a latere di stampo onirico idonea a cementare passato e futuro in un continuo e sfuggente cammino:

Scorre senza senso
questo tempo fra me e te
solo la luna è la stessa
nel quadrante delle ore
tutto è ciclo in quest’ipotesi
di vita ma il tempo non ha
fretta.

[da Scorre]

Per affrontarlo, nonché conoscerlo meglio, occorre «imbracciare la penna», scrutare e descrivere:

La chiazza sgualcita
su cuori intonacati che inermi
stanno ad aspettare
che passi il tempo
che scolora tutto
irrimediabilmente.

[da La chiazza]

Assume allora dimensione centrale la riflessione dell’autore sul “fare poetico”, rintracciabile in alcuni brani di particolare importanza cui è affidata l’articolazione di un singolare “discorso sulla poesia”: «Puoi amarlo o non / amarlo, il poeta, ma egli scrive per te!» [E se ti dicessi], «Questa lacerazione verbale / che avviene mano a mano / e ti apre nuove prospettive» [Questa], «Mai vinto strappo fogli su fogli per dirti / per cercare di dirti» [Mi lascio accadere], «virgole punti apostrofi maiuscole / invadono scottano bruciano divampano / parole avverbi congiunzioni iperboli» [Fuoriesce lava dal cranio], «andrei a piedi nudi su per i monti / e con gli scarponi in mezzo al mare / così, solo per scrivere una poesia» [Se io fossi poeta].
La ricerca continua, a volte il tormento, della creazione poetica, conducono De Santis a ripiegare lo sguardo all’interno, quasi a voler seguire quanto consigliava Sant’Agostino: «Riconosci, quindi, in cosa consista la suprema armonia: non uscire fuori di te, ritorna in te stesso; la verità abita nell’uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso». Un gruppo importante di componimenti collocato verso la fine del libro – inaugurato da Mi sento e concluso da Mi sono rintanato – seguono tracce simili (sebbene di stampo non confessionale) evocando liberamente immagini, persone, oggetti, luoghi, moti dell’animo, in un procedere ininterrotto, non scandito dalla punteggiatura, quasi a portare alla luce del linguaggio il risultato di uno scavo psichico di cui resta esempio, fra i tanti, la parte centrale di Esserci domani:

un iceberg che non doveva
esserci e quello invece c’era oggi e non
poteva essere oggi domani perché la rotta
che doveva esserci domani poteva non esserci
io mi consumo in questo bacio odierno
senza aspettare le cose che scorrono se
scorrono non me lo chiedo se qualcosa scorre
o non scorre perché intanto scorre questo
mio bacio che sta scorrendo sulle tue labbra
di oggi.

È vero, la poësis vive di libertà, spiega Massimo De Santis:

Un tema molto caro ai poeti, spiriti liberi, incontaminati, incorruttibili. Dentro. Dove ci sono soltanto loro, nel vero senso della libertà. Quella libertà che fa paura ai pragmatici, ai potenti, agli occultatori di verità, ai tiranni!

E prosegue:

Escono queste cose dalla tua poesia. I bisogni dell’anima! Escono dalla tua poesia.

De Santis è però cosciente di come una estrema libertà, se non ispirata dal raziocinio, rischi di portare alla disarticolazione del codice. L’evenienza di un simile fallimento comunicativo nella comunicazione è ben descritta nelle scritture automatiche di go na fa da re s e, allineamento di stringhe dove il linguaggio umano rinuncia alla comprensibilità e si arrende all’enigma:

mi si fa la di da da sa la
gogog nene me me me me
oe ke foe fakam go go go mi mi

Qual è, allora, la via d’uscita dalla disarticolazione del linguaggio? Nel suo eccezionale interesse all’espressione umana (anticipatore di secoli della moderna linguistica), Agostino metteva in guardia rispetto all’invito (da lui stesso formulato) a trascendere se stessi e a tornare nell’“uomo interiore”: «Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che trascendi l’anima razionale: tendi, pertanto, là dove si accende il lume stesso della ragione». La ragione di cui discute il grande pensatore fa pervenire l’uomo alla verità, è una disposizione il cui obiettivo è il piacere supremo dello spirito. Così, in De Santis, l’alternativa al caos della scrittura prende una forma analoga:

Occorre accedere ad un livello superiore che non è precluso a tutti, anzi, è lì che attende che tutti ci arrivino prima o poi. È la spiritualità!

La Parola rivelata («ho letto e riletto e continuo a leggere la Sacra Scrittura») diventa il fulcro generatore della coscienza, dell’esistere, della poesia consapevole e terapeutica nei confronti dei dolori del mondo, della lirica e dell’anima, della vita e dello spirito che vanno di pari passo all’ingegneria e alla medicina, all’economia e alla legge, come ricordava il personaggio del professor John Keating, parafrasando Walt Whitman, nel film L’attimo fuggente (1989) di Peter Weir. Nell’arte poetica, in particolare, De Santis precisa:

È la tua anima che parla, il tuo cuore, la tua mente, il tuo corpo. In ogni poesia ci sei tu: chi sei, chi vorresti essere, le tue aspirazioni, i tuoi tormenti, i tuoi amori, il tuo Amore, i tuoi sensi. Poesia terapia.

Ed eccolo, finalmente, l’Amore:

Cammini davanti al deserto
e ti chiedi se è logico o illogico
avere una ragione.
Ho udito una parola intrisa d’amore,
forse era diretta in ogni dove
o forse era diretta al mio cuore.

[da Cammini davanti al deserto]

La tematica amorosa, tanto cara al nostro autore (che le ha riservato la precedente silloge Donne di cristallo), procede ricca e imperativa tra i versi fino a sfiorare il cuore delle cose, a scoprire il proprio essere allargandosi a numerosi campi semantici. In effetti, gli antichi Greci con il termine ἔρως (èros) intendevano il desiderio erotico e insieme romantico, distinguendolo dall’amore spirituale (ἀγάπη, agàpe) e dal sentimento parentale-famigliare (στοργή-storghè, φιλία-filìa) nonché in opposizione all’inimicizia, al distacco, all’ostilità. Scrive De Santis:

Non conosco dell’odio
la natura.
Amore è il mio nome.
A te frettolosa amante
non oso fingere indifferenza
seppur so che non ti rivedrò.

[da Non conosco]

Sulla traccia di evocazioni provenienti da Donne di cristallo, l’indistinzione della figura femminile con il mondo della Natura – in particolare con il regno minerale – procede superba e abbagliante in Poesia Terapia tra la roccia e la sabbia, il mare e la polvere, il diamante e l’alabastro, l’argilla e la terracotta, l’incenso e il topazio:

Ed il seno si riempì d’argilla
e le labbra cromate aspettavano
baci di terracotta

[da Anulika]

Eri prima di te
del tuo essere scolpita
ne ho raccolto i resti
di pietra dura e li ho conservati
polvere di te come polvere di cometa

[da Eri prima di te]

Sei deserto che s’invola, sabbia che ricopre,
duna che scompare.

[da Fiala di stibio]

Per quanto il modo di sentire dell’amore non sia uno dei più presenti nelle indagini filosofiche, esso gestisce un’importanza rilevante nella storia. E prima di arrivare al Simposio di Platone, forse il più bel testo di filosofia mai scritto sull’eros, il primo pensatore a porre esplicitamente la questione con il relativo piano referenziale è stato Empedocle. Il siceliota del V secolo a.C. alludeva a un divenire determinato dalla dialettica di odi et amo applicata a una coppia di fattori cosmologici basilari, due forze opposte dell’Essere con l’idea di unità e fusione compresi nell’aura complessa dell’ἔρως (èros).
In un simile ambito Massimo De Santis affronta spesso il confronto-scontro di elementi oppositivi, in un contesto poetico dove l’aggregazione-disgregazione delle radici primigenie è tale da suggerire la ciclicità ininterrotta dell’avventura amorosa e il perenne alternarsi di vittorie dell’animo e sconfitte del cuore. La lirica Tanto allinea così essere-apparire, esserci-non esserci, sapere-non sapere, libero arbitrio-fato, Io-Altro, ricordare-dimenticare; nei versi di Scrosci di stupore il poeta confessa l’insostenibilità nel tentare di definire «l’incompiuto e l’indicibile / il senso e il non senso il vero ed il falso»; infine, Come vorrei esprime l’anelito esistenziale di essere una cosa e il suo contrario:

luce accecante e onda
sintesi e analisi
sussurro di vento
e brezza mattutina
icona di libertà e
luce trasparente
desiderio e desiderare
laccio e preda
ipotesi e certezza
teorema e verità.

Sempre nell’antichità, Platone aveva trasferito il concetto dell’ἔρως dalla cosmologia alla metafisica, in quanto tensione verso il divino Bene (una sorta di sfumatura paragonabile alla «spiritualità» positiva di De Santis) da cui scaturiscono le Idee come suoi attributi. L’insieme coincide, pertanto, con l’area cognitiva delle anime individuali a proposito delle quali, in un volo immateriale di migliaia di anni, nell’introduzione di Poesia Terapia leggiamo:

Poesie varie, senza apparentemente un filo logico, una connessione, un complotto. Varie come gli stati d’animo di una persona.

È una pura verità filosofica quella contenuta nelle parole del nostro autore: affinché il ragionamento sia a tutti gli effetti necessario ed efficace, ha bisogno del giudizio finale dell’anima, seppure a costo di smarrire la infallibilità e cadere nella varietà del molteplice. Così, nelle pagine di De Santis, il λόγος (lógos) appare in veste quasi “ausiliare” dell’amore, sotto forma di suo «preambolo» epifanico:

quale bagliore nella notte
accende le menti
quale scalfire del logo
con le lance aguzze della lingua

[da Un bagliore]

Nella filosofia moderna, Friedrich Hegel riteneva l’amore superasse il diritto nell’offrire qualcosa capace di oltrepassare il contesto, rendendo così auspicabile uno Stato, una società, una famiglia incentrate sul sentimento erotico piuttosto che su schiette regole normative. L’eros non sarebbe delimitato, dunque, dagli stessi confini del diritto, rappresentando l’antitesi a ogni contrasto, il bilanciamento tra poteri, la supremazia sul raziocinio. In un mondo così descritto si muovono i versi di De Santis:

E dovremmo in quest’interiore riserbo
essere illuminati dal cuore
anziché dalla ragione e sottomettere
quest’ultima all’Amore.

[da E dovremmo]

noi dovremmo essere solo
Bellezza e Amore amare ed
essere amati respiro unico
e regalità desiderio e poesia

agire con l’anima è il nostro
imperativo essenze di spirito
che si ritrovano in un rincorrersi
di sensibilità

[da Sotto questa pioggia]

L’avventura erotica conduce lo sguardo dell’autore in una dimensione ulteriore:

Quest’amore infinito
come la morte
dove inizia dove finisce?

[da Quest’amore infinito]

Sembra così riproporsi liberamente l’incipit delle celebri Confessioni agostiniane, dove il filosofo vescovo d’Ippona testimonia come l’apertura del cuore sia tale da giungere alla consapevolezza della misura in cui il desiderio di amare, decifrare e non temere la morte appartenga all’indole originale dell’uomo, aiutato dalla parola evangelica e dalla fede in Dio: «Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te». L’irrequietezza diviene voce autentica dell’anima, all’interno di una sfida nella quale siamo consci di quanto, senza ridestare l’amore a sé, ineffabili risultino la felicità e qualsiasi forma di svelamento o attesa in essa implicita.
I componimenti di Massimo De Santis sono colmi di turbamento, espresso il più delle volte sotto forma di interrogativi rivolti a se stesso e al lettore: da Quando tornerai a Appassiti istinti, da Perché si frantuma a Nasceranno dei fiori, da Il mondo a Potrebbe bastare questo essere carne, per ritrovarsi integri e compatti nella loro solennità tra le righe inquiete di Volano pensieri, quasi una summa dell’opera poetica dello scrittore:

Questo rinascere infinito
quest’eterno ricominciamento
giova a chi?
Forse a misurare il tempo
o al tempo stesso?
Forse ad un vivere interessante
forse ad uno spazio innocuo
forse ad un vento imprescindibile?
E chi rimane muore?
E chi non parte o non è mai partito
affretterà i suoi passi?
Verso dove?

Grazie a un enorme sforzo di autocoscienza, dovremmo essere in grado di allontanarci dal «soffio di morte» che passa «sulle nostre rumorose vite» [Passa un soffio]. Eppure De Santis invita noi lettori a essere guardinghi anche verso l’impeto delle passioni, quasi a rammentare le parole sottolineate con enfasi nel XVII secolo dal raffinato e dubbioso Baruch Spinoza: «Possiamo liberarci dall’amore in due modi: o per mezzo della conoscenza di una cosa migliore o per mezzo dell’esperienza che l’oggetto amato, da noi preso per qualcosa di grande e di magnifico, apporta con sé molto dolore e danno». Ma il ragionamento del filosofo prosegue così: «È necessario non liberarci completamente dall’amore, perché, a causa della debolezza della nostra natura, non potremmo esistere senza il godimento di qualche bene al quale siamo uniti e dal quale siamo fortificati».
La scrittura di Massimo De Santis è basata sul sentimento e, poiché la qualità dell’ambito affettivo coincide con l’essere liberi, spontanei, ne consegue che la ποιητική τέχνη si sviluppa all’interno di piani semantici vissuti nel loro succedersi, momento per momento, con un indice estetico capace di proporre, nelle strofe, qualcosa di non conosciuto, né preannunciato.
Poesia Terapia è la testimonianza di quanto, al cospetto di un elaborato poetico, il critico e l’autore non potrebbero (forse non intendono) apporre il sigillo su una sorte interpretativa irrevocabile, perché, in analogia a ogni inquieto e appassionato amante, è sempre in atto, tra le righe, una lotta finalizzata all’affermarsi dell’elemento più ricco, se non coinvolgente, tramutato da desiderio in piacere, da idee o sentimento in forma simbolica.
Sono d’accordo con il nostro De Santis: nell’esistenza, nella sua problematica, unendo il corpo, lo spirito, la vita, è possibile accendere un ottimismo di alto profilo operativo dove, pur in piena epoca consumistica, «non c’è oro che possa acquistare un’Anima. Solo l’Amore!». Non resta, quindi, che appellarsi a tali aspettative e onorarle con ogni mezzo possibile.


Cinzia Baldazzi (1955) è nata e risiede a Roma.
Laureata in Lettere Moderne alla “Sapienza” in Storia della Critica Letteraria, da pubblicista ha praticato negli anni ’70 e ’80 l’attività di cronista teatrale su quotidiani e periodici. Ha proseguito poi su testate online: dapprima su “Scenario” (di cui è stata vice-direttore), ora in “News Arte Cultura”. Si occupa di critica letteraria sui blog “On Literature” e “Alla volta di Leucade”, collabora alla rivista digitale “Euterpe”.
In qualità di critico letterario ha pubblicato, tra l’altro, Passi nel tempo (Pagnini, 2011), EraTre (Montegrappa, 2016), Duecento anni d’infinito (Intermedia, 2019), Tra le crepe della vita (Bertoni, 2020). Svolge da tempo un’intensa e riconosciuta opera di diffusione della letteratura attraverso divulgazione di nuovi autori, presentazione di libri, organizzazione di incontri tra poeti, coordinamento di reading, interventi critici, partecipazione come presidente di giuria in concorsi letterari. Ha ricevuto numerosi Premi alla Carriera, tra cui il “Labore Civitatis” nel 2018. Il suo blog “La memoria di Adriano” è dedicato a letteratura, arte e musica (http://lamemoriadiadriano.blogspot.com/).


Mario De Luca nasce a S. Elia Fiumerapido (FR) e risiede ad Atina. Nel 1998 è vincitore del Premio Cala–bria Cultura e Turismo, giuria presieduta dal prof. Angelo Calabrese e Vittorio Sgarbi. Dal 2010 al 2015 quattordici sculture vengono installate presso la galleria Museo Beeldentuin di Maastricht. Nel 2011 espone a Londra presso l’Istituto Culturale Italiano.
Sempre nel 2011 viene selezionato dal prof. Sgarbi per esporre alla 54esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. Nell’agosto del 2015 è presente con 20 opere alla Triennale di Milano. Dal 18 al 21 novembre 2021 le sue opere sono esposte a Roma nella manifestazione “Arte in Nuvola”, presso la Nuvola di Fuksas (Eur) dove si svolge la grande Fiera di Arte Moderna e Contemporanea. Per vedere le sue opere e leggere la sua biografia completa andare sul sito AIPLC.IT.


Poesia Terapia - L’amore non è pace è pazzia divina


Non smetterò mai d’emozionarmi
fino all’ultimo dei miei giorni.
La mia emozione più grande sarà la morte.


Disperdevi i tuoi occhi inquieti

Disperdevi i tuoi occhi inquieti
in mille domande
fuoriuscivano, ora, dalle tue orbite
lacrime di consolazione.
Sulle vicissitudini avevi messo
uno scialle rosso dimenticanza.
Eri come il vento breve.
I tuoi zigomi arrossati
ti rendevano gracile.
Era l’amore il motivo
della tua inquietezza
l’inedia di cotanto ardore
era per te insopportabile.
Chiamasti a voce alta un nome
gridasti a squarciagola a un Dio
implorasti laddove
non c’era alcuno ad ascoltarti.
Ti udì l’Amore e venne.
Venne l’Amore e ti riempì di gioia.
Venne e stette con te,
nella tua mente, nel tuo corpo
nella tua aura.
E più non fosti sola
e sole diventasti
e cometa e stella
e la parusia si compì.


Ho sognato

Ho sognato pari pari l’azzurro
dei tuoi occhi.
Non v’erano acrocori ad impreziosirne
i contorni
ma le rare lacrime di una felicità
– mai vinta –
come gocce di rugiada nella sabbia sahariana
li rendevano simili ad una follia di primavera.


Florence

Florence era il nome del suo profumo
e lo ricordavo persino nei miei sogni.
La nudità dei tuoi occhi di camelia
impazziva i miei di profonda meraviglia
e si frangevano le aure in un amplesso
cognitivo come d’angeli estasiati.
Rincorrevo i tuoi occhi nella mia
temerarietà.
Slegavano i lacci del mio cuore
le tue conturbanti occhiate.
Il prezioso gioco della passione
– come fiume sotto la tempesta –
invadeva le notti devastando le ore
del riposo.
Eri ossessione o Amore?


Eri prima di te

Eri prima di te
del tuo essere scolpita
ne ho raccolto i resti
di pietra dura e li ho conservati
polvere di te come polvere di cometa
sul mio corpo sei (in mille tue sfaccettature)
ed un sentimento si forma tra le mie
braccia avide che ti stringono
nelle tue cose da cui tu vieni
e forse non godo della tua
perfezione, ma godo, oh se godo,
delle tue mancanze. E sei mia come
io volevo e sei mia perché ti sento
e sei mia, anch’io polvere di una
cometa passata troppo in fretta,
nell’eternità dei sensi.


Sintomi di te

Sintomi di te
di un amore regresso
di un canto di viole
di un’orda di ciclamini
di parole mai dette ma comprese
oh se comprese! Di occhiate
– fuoco del deserto – virulente
di sensazioni inappagate
ruoli non conformi o non detti
precise metafore di amori
incisi sul bronzo della pelle
scolpiti sintomi di te
appagano la mia dolente
illusione di mari incompresi
dalle onde fluttuanti in un
andirivieni in un andirivieni
scandito dal rumore della sabbia
così inconsueta sei in me.


E corre corre

E corre corre senza nell’aria
rarefatta
un inverno legato ai sospiri
mentre sogna incolumi rii
che portano l’estate e tesori
sono le occhiate desiderose
e pullulano di baci le tue ardenti
gote
come via via via da un canto breve
non si può sostenere la cotanta
immensa gioia di te
se immerso sono nel mio rincorrerti
di solo amore vestirò di solo
amore
fremerò di gemiti accesi e poi
non c’era un nulla incompreso
se non tu in me quanto, tanto!


Appassiti istinti

Perché di appassiti istinti
io mi vesto
quando tuona in me la lontananza
e delle tue occhiate perdo il sapore,

o forse la loro mancanza, il loro
sapore si perde in me perduto
e senza l’onore di una pugna
sono sconfitto dai sensi miei?

Oh ardor che mi prendesti
tra le sue braccia forti e che
sul grembo suo t’accendesti
torna tosto da me ai miei lidi

e vinci tu laddove io non potei
per tuo mancato amor e
per sopraffatto buio nel cor
cor che mi dispiacque onor.


Quest’uccellare magico

Quest’uccellare magico degli storni
questo fondersi e confondersi
nel cielo accondiscendente.
Oh come vorrei fondermi e confondermi
con i miei simili
in un simposio di pace e di fratellanza
oltre ogni tabù,
oltre ogni ideologia
oltre ogni barriera.


Quest’aria d’alabastro

Quest’aria d’alabastro
che respiro indomito
ha un sapore strano.
L’ho percepita mentre
un’aquila volteggiava
sulla mia testa a
ragguardevole altezza,
eri tu la preda o io?


La chiazza

La chiazza sgualcita
su cuori intonacati che inermi
stanno ad aspettare
che passi il tempo
che scolora tutto
irrimediabilmente.


Sciogliesti i tuoi capelli

Sciogliesti i tuoi esili capelli
a un vento strano.
Le strade erano bianche anche
quella volta che ritornai da
quell’inferno senza pace.
Ti guardai con occhi lenti
come chi pesa il cuore
alla bisogna.
Toccai la tua inquietudine,
i tuoi occhi esiliati mossero
un verso,
annaspai nella tua aura consunta
indugiasti un sorriso strano.
Entrai da quella porta sempre
aperta
da dove non sono uscito mai.

[continua]


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