My bus - occasioni per prenderlo

di

Massimo Ceresani


Massimo Ceresani - My bus - occasioni per prenderlo
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
15x21 - pp. 152 - Euro 11,00
ISBN 978-88-6037-6992

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Il disegno di copertina è di Mauro Chiappa


Prefazione

Massimo Ceresani parte dal pretesto della sperimentazione da parte di alcune aziende municipalizzate con la formula “my bus”, cioè mezzi pubblici su prenotazione, per giungere all’analisi delle scelte di vita che le occasioni quotidiane ci obbligano a fare: dalle osservazioni d’ogni giorno, dagli episodi, dalle esperienze personali, nonché aneddoti di vario genere, nasce questo vademecum che offre alcuni suggerimenti comportamentali che rappresentano un valido aiuto per salire sull’ipotetico “my bus” utile per la destinazione desiderata.
Massimo Ceresani mette sul piatto della bilancia, in modo sovente provocatorio, acute osservazioni e attente considerazioni sul modus vivendi odierno e utilizza tali riflessioni come stimolo per un cambiamento verso una nuova visione. Il taglio critico, che non pretende di essere scientificamente inappuntabile, tende a far emergere che è necessario mettere in dubbio alcune presunte verità e convinzioni per intaccare quel comportamento fallace che vede come inattaccabili alcune questioni ancora aperte dell’attuale società dei consumi.
Le sicurezze cadono e il sistema dominante disorienta; ecco perché Massimo Ceresani cerca di riportare in primo piano una visione libera, cerca di stimolare la capacità di filtrare criticamente le convinzioni, rivedere i propri pensieri, le consuetudini d’uno stile di vita, la necessità di rendersi disponibili a leggere e comprendere la sfera comportamentale. L’impulso è di distaccarsi dalla massificazione e abbandonare le “varie mode” che si susseguono riscoprendo la ricerca di sé perché l’intervento fondamentale è mettere mano al nostro comportamento, individuare le cause, leggere il contesto, alimentare i rapporti sociali, superare i compromessi ed eliminare i disagi.
In sintesi, l’intenzione di Massimo Ceresani è ricavare il meglio dal proprio sé ed essere pienamente consapevoli per tendere al miglioramento, per andare oltre i limiti imposti. La rilettura della realtà è sempre accompagnata dalla “libertà dalla miopia”: mettersi in discussione davanti alle illusioni di alcune verità perché il tempo sovente dimostra la loro erroneità.
Massimo Ceresani riporta, pagina dopo pagina, una visione critica del comportamento umano nella sua globalità, dai rapporti causali a quelli interpersonali e sociali, dall’evoluzione della società alla necessità della presa di coscienza individuale e, da questo punto di partenza, si dirama un attento e complesso esame della sfera psico-comportamentale che inizia con la concezione comune della “generosità”, la sua funzione benefica che riconduce all’idea del “dare spontaneo”, e ancora, del “dare senza chiedere niente in cambio”, alla sensazione appagante di aver fatto tutto il possibile mai dimenticando che la generosità deve iniziare con “noi stessi”.
Lo sguardo critico si sofferma poi sull’evidenza che, per imparare a donare, “occorre passare attraverso il filtro” dell’umiltà: la coscienza dei propri limiti, l’apertura umile alla conoscenza che offre la capacità di giudizio, e poi, l’importanza di essere disposti ad ascoltare fino a ricordare le parole del poeta Kahlil Gibran “non conoscendo verità assolute, sono umile di fronte alla mia ignoranza; in ciò è il mio onore e la mia ricompensa”.
La complessa indagine di Massimo Ceresani prende in considerazione anche l’odierna società che riconduce al “tempo del disagio”, fortemente sentito e scandagliato, a partire dalla qualità della vita che deve essere preservata dalle contaminazioni, per passare poi ad acute riflessioni sull’individualismo imperante, sull’egoismo, sulla solitudine, sulla spersonalizzazione dei rapporti sociali, sulle condizioni esistenziali sempre più alienanti, sulla mercificazione e il dominio dell’Avere sull’Essere.
In fin dei conti, l’improrogabile necessità della ricerca di un’armonia interiore, la consapevolezza di sé, la capacità di aprirsi ad una nuova mentalità per fare in modo che l’ipotetico “my bus”, che deve passare davanti a noi, permetta di prendere al volo le occasioni e le opportunità senza mai dimenticare che la scelta giusta è “approfondire i rapporti” con le persone che sono vicine a noi.
Ecco allora che diventa fondamentale migliorare i rapporti dell’Uomo con se stesso e con il prossimo, unirsi in una partecipazione attiva, conservare la convinzione nelle proprie idee eppure donare una parte di sé all’altro, alimentare la capacità critica e, allo stesso tempo, essere disposti a saper ascoltare.
Nella seconda parte del testo, Massimo Ceresani prende in esame la sfera fisica e la necessità di indirizzarsi verso la via del benessere, allontanandosi dalle false convinzioni, reiterando l’importanza dell’esercizio fisico e dell’impegno quotidiano nel salvaguardare la propria salute, rifuggendo le “sostanze funeste” come alcool, droga, fumo e stili di vita negativi perché, come scrive l’Autore, “siamo e saremo come avremo scelto di essere”: anche il “my bus” della buona salute ci aspetta per essere preso al momento giusto senza far passare troppo tempo in modo che non sia inficiata la condizione psichica-mentale.
Con questo volume, Massimo Ceresani offre numerosi spunti di riflessione e costituisce, senza dubbio, una intelligente disamina che ha come obbiettivo la necessità di giungere ad un esame di coscienza davanti al comportamento dell’Uomo nella società odierna.
Le utili considerazioni presenti in “My bus” possono essere uno stimolo, sicuramente efficace, contro le contraddizioni, i paradossi, gli errori comportamentali, l’autolesionismo nel campo della salute e la mancanza di attenzione nei confronti di uno stile di vita errato che può condurre a drastici ripensamenti.
Le parole di George Carlin, comico americano degli anni ‘80, riportate nelle ultime pagine di questo libro, sono quasi il sigillo finale che Massimo Ceresani pone come monito per i lettori: “La vita non si misura da quanti respiri facciamo, ma dai momenti che ci tolgono il respiro”.
Da condividere pienamente.

Massimo Barile


My bus - occasioni per prenderlo


A tutti quelli capaci di qualche insight


Premessa

Ogni tanto c’è qualcuno che scimmiotta una salita sul monte Sinai e ne ridiscende con tavole piene di giusti principi e consigli. Chi porta quelle tavole ne faccia propri i contenuti per almeno …un trentennio, prima di dispensarli.
Perciò, caro lettore, non farti abbindolare. Questa lettura non dovrà pretendere di darti direttive comportamentali pronte all’uso e garantite; nemmeno dovrà farti credere di non darti suggerimenti prima, mentre poi subdolamente potrebbe prenderti per mano e darti ricette giuste che puntualmente e singolarmente poi giuste non sono… Una cosa devi, sì, aspettarti: lo stimolo a ragionare su esempi, considerazioni,…fors’anche massime ultratrentennali che potresti arrivare a condividere e apprezzare non supinamente oppure a controbattere ed osteggiare fino all’arrabbiatura.
La lettura di quest’opera, tra aneddoti, episodi, osservazioni, premesse da verificare, potrebbe farti intravvedere una parvenza di massime – termine che pretende di stabilire aprioristicamente “principi generali che l’esperienza ha provato come veri e riferibili come norme pratiche” o “precetti e sentenze” indicati poco umilmente da un qualsiasi ipse dixit –, ma anche per questo tu, lettore, non farti fregare; filtrale senza adagiarti acriticamente su certe espressioni e su certi contenuti dell’autore che, per quanto gradevoli o suadenti o provocatori, non dovranno mai avere la pretesa di sembrarti o essere verità assolute o relative; casomai una prova di tinteggiatura da usare sulla cute e solo successivamente – quando subentri l’eventuale tua convinzione – da far permeare fino all’intimo. Chi sarà mai quell’autore che ti rivela i suoi punti di vista, i suoi contenuti, il suo vissuto, le sue… massime? Questo Massimo che ti imbandisce le sue… massime, sappi che è uno come te, uno che magari ha fatto qualche esperienza, che ha preso qualche appunto o che s’è preso la briga di qualche ricerca, ma che è molto simile, se non peggiore di te; uno che presume di aver stuzzicato una certa propria sensibilità latente, uno che in fondo potrebbe, sì, stimolarti revisioni di convinzioni, nuove idee, nuove rotte, ma anche attivare la tua sensibilità già profonda ed i tuoi pensieri forse più intensi, più originali e più credibili dei suoi.
Questa è una lettura di pensieri-episodi che potrà forse fornirti anche spunti di qualche utilità. Se ti sarai armato di giusta corazza o filtro mentale, di adeguato, prevenuto ed asettico distacco, allora essa potrebbe esserti di qualche aiuto: potrà permetterti di scartare e cestinare quelle che avrai ritenuto cazzate, così come di assimilare e tenerti per valide certe considerazioni-riflessioni o di trovare con tuoi personali insights alcune utili originalità.
Indispensabile sarà comunque la tua disponibilità all’ascolto: di voci esterne prima e della tua interiore poi. Per questo ascolto non sarà necessario che tu ti sieda in cerchio all’interno di un tepee indiano oppure davanti al focolare di una grande famiglia patriarcale dove si perpetuavano situazioni con grandi e meno grandi supinati ai pareri, ai consigli e all’esperienza degli anziani, senza filtri mentali e con devota accettazione. Così come sarà necessario che tu con la tua disponibilità all’ascolto ti renda capace di salire su quel My Bus utile per destinazioni volute, fruttifere o semplicemente dialettiche. Tutti ci ritroviamo spesso attraccati a qualche fermata di autolinee; ci sfrecciano vicini tanti anonimi bus mentre siamo continuamente distratti o indaffarati. E quasi sempre restiamo lì, con l’illusione di essere andati o arrivati chissà dove. Ogni tanto a quella fermata per te, per me, per noi arriva e sosta un attraente my bus: sembra fatto su misura, con un autista sorridente, con posti liberi e comodi, con percorso e destinazione personalizzati. Risolverebbe i nostri ricorrenti problemi, ma quasi sempre a quella fermata ed in quell’orario siamo presi e distratti da altro e nel nostro piccolo restiamo…piccoli, a metà strada, continuamente lontani da quelle mete e soluzioni che pur sempre ci ripromettiamo di raggiungere.
Arriverà quell’auspicato insight, quella scossa o cortocircuito capace di spingerci finalmente nell’azzeccato my bus? Quel my bus che può aver sembianza di dialogo, di consiglio, di esempio, di storiella, di racconto, di massima, di previsione, di insegnamento da tragedia, di ciambella comportamentale, di voglia di sterzare e di terrazzo sul proprio intimo. Con una capacità di ascolto finalmente anche critico tu, lettore, avrai potuto usufruire di una palestra in cui avrai scartato certi attrezzi e prediletto altri; probabilmente avrai avuto occasione di eliminare scorie ingombranti e improduttive e di allenare alcune tue facoltà come: la critica (comunque apprezzabile in una società sempre più adagiata sull’omogeneità, sulla consuetudine e sulle mode), l’impegno in senso lato, la partecipazione, l’umiltà, la generosità, la socialità, la ricerca dell’autostima, la ripartenza verso una ricerca del .


Partenza

Come partire e che fare per renderci il mondo, la società in cui viviamo meno inospitali, meno avversi, meno nemici? Per rendere anche noi stessi meno prevenuti?
Potremmo, sì, chiuderci in casa, innalzare muri attorno al giardino o vivere da automi nel mondo del lavoro, oppure crearci paraocchi e barriere psicologiche che proteggano i nostri egoismi e la nostra privacy, oppure stabilirci in paesini ideali o comprarci un isolotto o girare il mondo in solitario; potremmo guardare certa tv o leggere certe notizie facendo finta di niente ed ovattandoci, oppure rifiutare drasticamente la moderna proposta di canali televisivi e di notizie stampate; da fatalisti e da passivi spettatori potremmo aspettare e sognare che qualche politico attui finalmente utopiche attese e speranze; potremmo anche bearci dei nostri comportamenti passivi o egoisticamente mirati, fregandocene di tutto.
Potremmo, potremmo…, anzi dovremmo! Dovremmo metter mano a tante cose prima di cercare di aggiustare il mondo. Innanzitutto dovremmo cominciare a guardare molto vicino, così vicino da essere… dentro (di noi: evviva l’introspezione!); cominciare con un’adeguata verifica della quadratura del nostro Io, del nostro comportamento che vada dai pensieri alla traduzione pratica delle nostre singole azioni; che parta da un ascolto vero, del prossimo e della coscienza. Poi in quel gioco di quadratura verificare che queste azioni possano incastonarsi in maniera armonica e il più possibile complementare con quelle del nostro prossimo, della nostra società. È qui spontaneo pensare a doveri civili, familiari e professionali, a leggi, a tasse e così via. Solo più in là, in seguito e quando sia veramente il caso, dovremmo poi incazzarci! Ancora poi – sbollita l’incazzatura e ristabilite giusta calma e capacità di giudizio – cominciare a dipanare prima ed a focalizzare poi: le cause, i contesti, le situazioni, i rapporti intersociali, i difetti, gli intrichi, gli attriti, i compromessi, le occasioni di disagio, le antipatie, le idiosincrasie.
Arriveranno allora correttivi e limature? Forse arriveranno per quelli tra noi in fondo meno bisognosi, per quelli che leggono, che si informano, che sono interessati a diventar migliori. Purtroppo la maggioranza degli uomini resta un problema, per sé e per la società, con tutte le sue pulsioni ataviche tese al soddisfacimento individuale. Quando certi esseri umani si porranno il problema della convivenza civile, dell’economicità e della maggior sicurezza di una vita comunitaria, barattandole con certe rinunce al soddisfacimento di egoismi individuali, allora si noteranno sostanziali passi verso l’incivilimento.


Sfera psico-comportamentale


Mi sembra bello ed opportuno iniziare con l’analisi di una delle migliori potenzialità umane:

La generosità

“Sii generoso!”; quante volte te lo sarai sentito dire! Fino magari a crearti la spontanea reazione in autarchici egoismi di comodo. Ma la generosità (dana buddista) varrebbe la pena di scandagliarla. Allo scopo tornerebbe utile, senza rendercelo noioso, il contenuto essenziale di un discorso tenuto da Ajahn Vajiro a Chithurst nel 1988.
Poiché gli uomini condividono un costante ed atavico senso di separazione… “forse la reazione più primitiva a tale senso consiste nel ‘prendere’. Prendiamo dall’ambiente che ci circonda, assorbendolo dentro di noi. Prendiamo il nutrimento e prendiamo il potere. Questo prendere è uno dei modi per cercare di affrontare il senso di separazione. Un altro modo un po’ più raffinato di far fronte a questa esperienza è quello di fare un patto reciprico, una sorta di accordo. Diamo qualcosa per ricevere qualcosa in cambio: ‘Se do tanto, mi aspetto di ricevere in cambio altrettanto.’
C’è poi la condivisione. Si tratta di qualcosa di un po’ più aperto. C’è il riconoscimento della separazione di un essere dall’altro e la volontà di condividere. In questo modo, entrambe le parti beneficiano dell’accordo. È affine al contratto, ma è un po’ più spazioso: entrambi le parti si aspettano di ricavarne un qualche godimento, una qualche gratificazione.
Ma col prendere, col patteggiare e perfino col condividere c’è ancora il senso di un essere separato da un altro. Non si riesce veramente a trascendere o andare al di là della nostra separatezza. È qui che dana (il vero dare, la vera generosità) esplica la sua funzione benefica. Con dana non ci si aspetta di ricevere niente in cambio. Non è un patto, non è nemmeno una condivisione. Non si tratta di condividere con un altro qualcosa e di tenere per noi qualcos’altro. Diamo totalmente, senza aspettarci niente in cambio.
Molto del nostro dare non è un dare totale. È imperfetto. Ma è qualcosa su cui possiamo lavorare per perfezionare la nostra capacità di dare. Questa è la prima delle dieci Paramita – tappe/virtù della perfezione buddista tibetana che sono: generosità, disciplina morale, rinuncia, saggezza, energia, onestà, deterrninazione, pazienza, gentilezza amorevole ed equanimità –, ma se perfezioniamo completamente una delle Paramita, abbiamo perfezionato anche tutte le altre. Questa precisazione è molto utile nel prendere in considerazione dana. Possiamo verificare che se pratichiamo il dare senza aspettarci niente in cambio, in quel momento tutte le Paramita vengono realizzate. Dobbiamo anche usare la saggezza per sapere per esempio il momento, il luogo e le cose giuste da dare. E per dare con onestà dobbiamo osservare con chiarezza la nostra intenzione. E dobbiamo essere pazienti con i nostri limiti nell’imparare a dare. C’è anche la rinuncia: diamo qualcosa che percepiamo come nostro. Col dare dobbiamo investire energia e risolutezza, fino ad arrivare a condividere il merito dell’atto di generosità, dedicandolo.
Ma ‘non imparerai mai veramente a dare finché non impari a ricevere, e non imparerai mai a ricevere finché non impari a dare’. In effetti ci sono due facce del dare: c’è anche il ricevere. La gratitudine, l’apprezzamento dello spirito del dare. Questo non significa necessariamente che ci piaccia quello che ci viene offerto, ma significa apprezzare la bellezza dell’atto di generosità, dell’atto di dare senza aspettarsi niente in cambio. L’umiltà che si accompagna a questa gratitudine è molto utile per trascendere il senso di separazione. Aiuta ad andare al di là dell’egoismo, della sensazione di separatezza.
Certo, possiamo dare in molti modi: in senso materiale, cibo, riparo, medicine, vestiti, soldi, impegno… Possiamo dare tempo, incoraggiamento, gentilezza, amore… E tutte queste cose possono essere oggetto di contratto, prese, condivise, oppure date. Quel che conta non è la quantità o la cosa in sé. È l’atteggiamento di non aspettarsi niente in cambio o di non farne oggetto di accordo. Quando diamo in questo modo, scopriamo che non c’è possibilità di delusione e nemmeno paura. Non c’è presunzione né arroganza. C’è solo dare.
Cercando di essere sempre consapevoli, dare attenzione possiamo farlo sempre. Dare attenzione al respiro, dare attenzione alla postura, ai movimenti del corpo. Dare attenzione durante tutta la nostra vita è un modo di praticare la generosità, senza aspettarsi niente in cambio, senza patteggiare, né prendere, e nemmeno condividere, solo dare. Questo dare non è compiacente e non reprime. Non va in cerca di niente, né respinge niente. Con tale generosità, con dana, possiamo scorgere la possibilità di un perfezionamento dell’umanità.
Per me, dare è l’inizio e la fine della vita religiosa”.

Questo tocco di saggezza buddista proprio non guasta se vogliamo abbordare una minima nostra generosità; questa occorre però non teorizzarla, ma metterla in pratica, sperimentarla disinteressatamente, farne uno stile comportamentale, non per lucrarne vantaggi più o meno immediati, ma per fare sicuri investimenti futuri; non solo nella considerazione degli altri, ma soprattutto per un proprio ripagamento interiore, per un sano concetto di sé, per un prospettico sviluppo di autostima. Se è vero – come da dizionari – che la generosità è una peculiarità tipica di animi nobili, pronti a munificare, a perdonare, a soccorrere, a sacrificarsi, perché non iniziare ad esercitarla soprattutto con se stessi? Attuando magari fino al limite le proprie capacità e competenze, mettendo impegno fin dove possibile, pretendendo un po’ di più dal proprio Sé, senza rinvii, senza deleghe, senza scuse, senza contrarietà, comunque a prescindere. Esercitando abitudinariamente la generosità con se stessi, sarà inerziale attuarla poi verso gli altri in un mondo sociale sempre più portato all’egoismo, al profitto, al disimpegno, all’isolamento, all’avversione.
Saranno migliaia le occasioni nella vita per donare agli altri: tempo, attenzione, opere, ascolto, mezzi, denaro; quanto meno di superfluo doneremo, più ne avremo merito. Un merito la cui sensazione lieviterà dentro di noi, ci renderà contenti, ci farà sentire migliori, ci renderà un solo corpo col prossimo. Resta il consiglio di usare e sperimentare la generosità verso noi stessi prima ancora che verso il prossimo.
Non è vero che spesso rinviamo al dopo o non ci spingiamo più in là o non applichiamo appieno le nostre potenzialià? Che insomma non esplichiamo nei momenti giusti tutte le nostre capacità e peculiarità? Fatto è che quasi sempre quella nostra generosità la releghiamo là, nell’archivio-cantina, dove non ci scoccia, non ci impegna, non ci attiva. Spesso a vantaggio della comodità, dell’egoismo, del disimpegno. Perché pensiamo che le comodità inerziali del momento siano più appaganti di certi investimenti e rientri futuri; perché la comodità e l’utilitarismo del carpe diem esercitano sempre un’attrazione magnetica, pur creandoci un senso di separazione1.
Invece, applicata fin dall’età precoce, una buona dose di generosità avrebbe effetti meno miopi e più prospettici; ad onda lunga nel prosieguo della vita.
Ma cos’è quella generosità verso il sé che intendo? Può essere, per esempio:

  • la capacità di pilotare il Sé all’estrinsecazione del proprio meglio e del possibile,
  • il rendere secondo capacità,
  • il non rimanere col rimpianto di qualcosa non fatto,
  • il sentirsi naturalmente attivi e interessati,
  • l’essere presenti e consapevoli di sé,
  • il saper combattere quotidianamente l’allettante richiamo della ritrosìa, dell’omissione, della supinazione,
  • la sperimentazione e l’applicazione delle proprie positività,
  • la sensazione e l’appagante certezza di aver quasi sempre fatto il possibile,
  • la coltivazione di interessi variegati,
  • una sana ostentazione di sé agli occhi della propria coscienza,
  • la tendenza ai propri miglioramenti, attraverso il continuo superamento degli inevitabili limiti; in definitiva…
  • il raggiungimento graduale di quel gusto personale di ricerca del… “no limits”.

1 Ajahn Vajiro.


“No limits”

Era il titolo di un mensile (sarà ancora reperibile in edicola?). Trattava – o tratta – di imprese e di fatti normalmente ritenuti dai più al di sopra delle comuni capacità umane. L’errore sta purtroppo in questa generalizzata accezione sul concetto delle capacità umane ritenute sempre più limitate, scarse, deboli e relegabili sotto i tacchi, ma in effetti sempre solo poco esercitate ed inespresse. In realtà certe esperienze possono essere del tutto normali ed alla portata di chiunque.
Sono ritenute “super” o “off limits” per il fatto che molti le sognano e le prefigurano, ma pochissimi le preparano, le coltivano e le tentano. Credetemi, è così: in ogni campo con un adeguato allenamento potreste anche voi dimostrarvi di essere all’altezza di situazioni ritenute prima proibitive. Non vi ritenete portati? Siete fisicamente mollicci? Credete: siete così perché non avete dato importanza ad alcuni aspetti di voi o dell’ambiente, cercando interessi ed approfondimenti altrove, pur auspicabilmente meritori ed appaganti. Sicuramente non siete inadatti o flosci per scarogna, per destino o per costituzione. Lo siete per scelta; una scelta legittima di interessi diversi.
Qui però non deve partire una critica; deve semplicemente risuonare forte l’invito ad impostarsi no limits, a spingere il proprio comportamento ed il proprio rendimento un po’ più in là; se sarà poi possibile, fino al massimo del livello individuale abbordabile con la certezza di attuare quanti più propositi ed intendimenti raggiungibili in questa vita e non in una probabile altra.
Come? Cercando ed usando una leva che tutti abbiamo normalmente a disposizione: quella della generosità. Per tale generosità, l’invito è: provare per credere! Provare ad attuare un minimo della propria generosità potrebbe anche combattere certi atteggiamenti – tipici della nuova generazione – che si sintetizzano nel “chi me lo fa fare?” o nel “chi se ne frega!”. No?
Potremmo anche accorgerci allora che, agganciato a questa generosità verso il sé, si predispone l’altro aspetto della generosità: quello della donazione. Sperimentata prima su se stessi, la generosità può essere pronta per riverberare effetti sociali ed altruistici verso il nostro prossimo.
Potrebbe diventare in tal modo – la generosità spontanea ed altruistica – un discreto antidoto se introdotta in una società votata sempre più alla conflittualità ed all’etero/autodistruzione.

In tema di generosità mi piace introdurre una storia che mi sta a cuore; riguarda mio padre che partiva da una generosità verso la propria persona per arrivare facilmente a doti da riverberare nella socialità. Tratta di semplici, titaniche imprese di un facchino, eppur prove di inevitabili ricadute di stima, come quella di un anziano sconosciuto che – in occasione del funerale – mi venne a sussurrare: “Suo padre era una persona in gamba!”.

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