Racconto di Mario Vierucci


SIRAJ IBRAHIM RACCONTO

Introduzione

Siraj Ibrahim nacque a Vienna il 5 Settembre 1868.
Aveva appena quattro anni quando suo padre, Ambasciatore di Turchia in Austria, si suicidò sparandosi alle tempie nella sua carrozza, e poco tempo dopo, sua madre lo seguì nella tomba per il gran dolore.
Fu poeta, scrittore e saggista. Suscitò molto interesse intorno a sé per un suo libro dal titolo “L’eterno linguaggio delle mani”, e per i suoi racconti, dove sigillò in rosari di parole delle straordinarie commedie umane.
Alcuni critici però scrissero che nessun afflato sublime pervadeva le sue opere.
Assai deluso, cominciò allora a frequentare l’atélier del pittore ed amico Jurgen Stolber e ben presto scoprì che la pittura era l’arte in cui avrebbe potuto esprimere tutto se stesso.
Raggiunse quindi il successo per i suoi quadri intrisi di affascinanti ibridi e di un raffinato estetismo erotico.
Fu un uomo molto sensibile, ma severo con se stesso e con gli altri. Aveva un carattere chiuso e riservato. Si legge, in una sua biografia, che nel breve arco della sua vita, si comportò come se dentro di sé conservasse gelosamente un segreto.
Siraj Ibrahim amò la bellezza in ogni sua manifestazione, una bellezza che a piene mani trasfuse in gran parte delle sue opere.


Prima Parte

Sondalo (Alta Valtellina) – Inverno 1916

Questo inverno sarà ricordato come uno dei più freddi degli ultimi anni, specialmente quassù, a Sondalo. Eppure, dalle nove alle undici del mattino, noi malati dobbiamo stare sdraiati su un lettino della terrazza all’aperto, affinché i nostri polmoni possano trarre beneficio dall’esposizione ai raggi del sole. Devo dire però che a me non dispiace affatto stare un po’quassù ogni giorno, così posso illudermi che oltre questi ghiacciai immensi, ci sia la mia città, la dolce e cara Vienna.

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Sono passati cinque mesi da quando mi sono ricoverato qui, al Sanatorio “Vallesana”, ma ancora non ho sentito alcun miglioramento.“E’ presto” – mi dicono i dottori – “deve avere pazienza, Signor Ibrahim !
Durante le visite, i dottori mi guardano seri e dopo confabulano tra di loro.
C‘è pure un medico molto giovane, con una natta bene in vista sulla fronte, che non di rado si avvicina al mio letto e mi dice che sto migliorando, ma poi, quando esce dalla mia camera, scuote sempre la testa.

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Nella sala da pranzo osservo gli altri malati con i loro visi un po’pallidi e gli occhi lucidi per la febbre ed io, a volte, mi specchio in loro.
Di notte sento un fruscio di passi nei corridoi, e poi segue un rumore di qualcuno che cerca di non far rumore. Certo, so bene che queste cose sono il frutto delle mie fantasie notturne, ma non vedo l’ora che arrivino le prime luci del l’alba.

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L’infermiera è una moretta assai carina, molto brava ed attenta anche per le minime cose.
“Sono nata a Salisburgo da genitori parigini” – mi ha detto ieri con la “r” francese. Ha conseguito anche un diploma per fare i massaggi sui pazienti secondo alcune teorie orientali, ma a volte, con le sue mani bianche e delicate, arriva là dove forse sarebbe meglio che non arrivasse ..
Un giorno che ero in vena di scherzare, le dissi serio : “Sembra, mia cara Ivette, che questo mio corpo sia sottoposto ad un processo degenerativo generale. Non le pare ?”
“Comunque, Le assicuro che Lei è ancora un gran bell’uomo, Signor Ibrahim” – mi rispose lei
sorridendo – “Era questo che voleva sentirsi dire da me ?”

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Sono trascorsi cinque anni da quando Ulrike ha avuto il nostro figlio George. E’ un bambino bellissimo con la carnagione olivastra come la mia e due occhi scuri e profondi.
Per il timore di un contagio, ben raramente viene a trovarmi con la mamma, e quando entra nella mia camera, si fa serio per il mio aspetto sofferente ed anche per un po’di soggezione che ha sempre avuto nei miei confronti.
Nei rari giorni che non ho la febbre e la tosse mi da un po’di tregua, lo tengo un poco sulle ginocchia e gli accarezzo i lunghi capelli neri. Poi lo faccio sedere accanto a me, così posso guardare l’album dei suoi disegni. A dire il vero però, più che disegni, sono agglomerati di forme geometriche un po’ tondeggianti. Eppure, in questi piccoli esperimenti, ci vedo già dei simboli o qualcosa del genere.
“Se da grande sarai un pittore” – gli dissi un giorno – “amerai il simbolismo come me”. Lì per lì, sembrò che m’avesse ascoltato con interesse, invece mi disse: “si vedrà papà, si vedrà..”

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Fin dai primi giorni che mi sono ricoverato qui, al Sanatorio, ho fatto amicizia con un giovane di appena vent’anni . Si chiama Franz Keeperman e per come parla, si capisce che è una persona molto sensibile. Col suo viso aperto ed intelligente, riesce ad incantare tutte le infermiere. Inoltre, ha una cultura fuori dal comune per la sua età. Lo ascolto sempre volentieri e gli sono grato perché in breve tempo mi ha insegnato a comprendere ed a parlare correttamente la lingua italiana. E poi, il trascorrere delle giornate insieme a lui così giovane, mi fa sentire meglio, non tanto nel corpo quanto nello spirito.
A volte, in attesa del pranzo, stiamo fuori all’aperto ed osserviamo le due file di abeti tutti uguali che fanno da quinte alla facciata del Sanatorio. E’ proprio da questo punto che nel pomeriggio si sente l’Adda scorrere più rumorosamente che mai ai piedi della montagna. Quando poi c‘è il sole e l’aria è tersa, si vede l’acqua danzante sotto un torrente di luce.
Il parco che si estende dietro il Sanatorio è bello ma molto triste. Chissà, forse sarà per la sua vegetazione così fitta che sembra voler nascondere chissà quali segreti. Quindi passeggiamo lungo il viale degli abeti che sprigionano un buon profumo e si stagliano chiari sulla montagna come una lente sotto un cielo blu pavone.
Quando tira il vento, gli abeti ondeggiano paurosamente. Se c‘è calma, invece, piegano solo un poco le cime, in un modo che sembrano provare un po’di tristezza per noi.
A volte osserviamo gli altri malati che camminano penosamente silenziosi, sembianti ad ombre sbiadite che s’ incontrano con altre ombre.
Da pochi giorni, c‘è anche una ragazza malata, esile ma molto bella, che passeggia nel viale con un giovane dottore, appoggiando il capo biondo sulla sua spalla, come in un tenero abbandono. Si vede che ne è molto innamorata. Spesso li vediamo camminare fianco a fianco e lui le tiene il braccio intorno alla vita per sorreggerla.

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Durante le passeggiate, parliamo di musica, di cui Franz è un vero appassionato, e se gli argomenti del giorno sono J. S. Bach o Franz Schubert (1), non facciamo altro che parlare di loro fino all’ora del pranzo.

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Tre mesi or sono, Ulrike venne a trovarmi all’improvviso e si sedette sul mio letto accanto a me. La baciai sulle labbra, come sempre, e poi osservai l’azzurro infantile dei suoi occhi, ogni suo gesto ed ogni espressione del suo volto.
Il giorno precedente avevo letto per la seconda volta le sue lettere e m’era parso chiaro il bisogno di lei di avere accanto un uomo.
“Mi manchi, Siraj” – mi disse ora ad un tratto. Poi volse il viso dall’altra parte ed uscì dalla mia camera col pretesto di andare a vedere dove era andato il piccolo George.
Dalla finestra vidi allora Ulrike ancora piena di vita, mentre cercava il nostro bambino che in quel momento si lasciava rotolare su di un prato in pendio. Ebbene, quella notte, pensando a lei, non dormii mai.

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Ogni volta che Ulrike sta per arrivare quassù al Sanatorio, il mio cuore batte come quello di un giovane innamorato. Così, nel pensiero la seguo in ogni paese che incontra venendo quassù : Bormio, Tirano, Bolladore, Grosio, Sondalo e sto in ansia fino a quando non la vedo apparire all’inizio del viale, alla guida della Isotta Fraschini che le regalai il giorno del nostro matrimonio.
Poco dopo la osservo davanti all’ingresso, mentre si toglie il lungo impermeabile, la cuffia di pelle e gli occhiali aderenti al volto.

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A volte accade che nel togliersi la cuffia, le si sciolgono i capelli sulle spalle e se passa lì vicino un dottore, la osserva per semplice curiosità o forse perché è una donna ancora molto bella.

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Prima di sposarci, l’avevo soprannominata “pagoda nera”, perché portava i capelli ricciuti, cortissimi, a forma di pagoda. E’ così che la ricordo ancora in quel giorno che l’ho conosciuta: era alta, aveva un’aria sofisticata e con uno stile veramente unico, indossava un abito di seta color pervinca, disegnato da Kolo Moser. In seguito però, si fece crescere i capelli ed ora li porta raccolti in un modo che le danno l’aspetto di una signora molto raffinata. <>
Quando piove o fa freddo, passo il tempo leggendo le riviste d’arte che parlano delle mie opere che in questo periodo stanno incontrando un certo interesse fra gli amanti della pittura.
E’ per questo che ogni giorno che passa, ho il desiderio di essere a Vienna, per respirare l’aria della mia città e per sentirmi più protagonista nel campo dell’arte.

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Il mese scorso venne a trovarmi il mio amico Jurgen Stolber, meno giovane di me di soli due mesi, essendo nato il 4 Luglio 1868.
Jurgen, che da tempo è un pittore famoso, (di lui si parla come “Il Decoratore d’Austria”), mi guardò con affetto, come sempre.
Erano molti anni che non ci vedevamo e – non ricordo bene il perché – lo guardai come si guarda un ritratto nostalgico della fase cruciale della nostra giovinezza.
Così cenammo insieme, parlando dell’arte che ci accomuna e dei suoi successi.
Ad un tratto mi domandò se mi ricordavo il giuramento che ci eravamo fatti da ragazzi nel faggeto. Come avrei potuto non ricordare?
Era Giugno, il tempo della mietitura. Le ore passavano roventi sugli immensi campi di grano e la foresta oltre il frutteto era immobile.
Da due anni erano morti i miei genitori, perciò vivevo a Baumgarten, un sobborgo di Vienna con la mia nonna materna di religione cattolica, come lo erano da secoli tutti gli Bajacharya.
La casa di Jurgen, quella con le guglie ed il tetto d’ardesia, era molto vicina alla mia e spesso anche lui era solo, poiché suo padre era sempre all’estero per affari, e sua madre, per buona parte dell’anno, dava i concerti al pianoforte nelle più grandi capitali Europee.

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Quel giorno appunto, eravamo seduti sotto un albero di faggio osservando lo scorrere lento del fiume, quando lui mi propose di giurarci a vicenda che saremmo stati amici per sempre. Tutti e due allora, giurammo con la mano destra alzata e poi, di corsa attraversammo nudi il faggeto e ci tuffammo nel fiume.
Quando io uscii fuori dall’acqua, Jurgen s’era disteso sul greto del fiume dove ora stava dormendo, o almeno così sembrava .
Dopo appena due secondi infatti, mi disse scherzando, che se avesse avuto un corpo come il mio, avrebbe voluto tutte le ragazze di Baumgarten ai suoi piedi. Ecco, Jurgen era così in quegli anni: era un giovane che al contrario di me, si divertiva un mondo a dire cose del genere fra gli amici.

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Passati poi nel soggiorno, mi domandò serio se avevo notato un miglioramento della mia salute. Ed io, non sapendo cosa dirgli in quel momento, tracciai un segno nell’aria che voleva dire tutto e niente.
Per vedermi sorridere un poco, mi ricordò allora quel giorno che si era fatta la fama di grande conquistatore di ragazze a Baumgarten.
Avevamo vent’anni o giù di lì. Quel pomeriggio eravamo tutti nel suo casolare, luogo deputato agli incontri amorosi.
Ad un tratto Giuditta si era denudata i seni e si era avvicinata a Jurgen con la bocca aperta. E lui l’aveva stretta fra le sue braccia, baciandole la gola mentre lei scostava la testa. Era proprio bella in quel momento: aveva due occhi che traboccavano di eccitazione e dicevano quanto era capace di dare piaceri intensi e violenti.
D’altronde era “una ragazza piena d’ardore vitale”, e per questo era stata “molto intima” con tanti giovani del sobborgo.
Si fece buio senza che noi ce ne accorgessimo e ci salutammo.
Ed ora, nel vederlo andar via con Judi, ripensai a quei giorni trascorsi insieme a Vienna, in particolare a quella sera che parlammo di molte cose, come la guerra, il libero arbitrio, l’interesse dei viennesi per l’arte e la musica, ed anche della nostra amicizia. Jurgen, allora, disse che questa era così profonda, non tanto perché eravamo cresciuti insieme, quanto per l’intesa perfetta che c’era sempre stata fra noi, che si riconduceva a quelle che W. Goethe aveva chiamato “affinità elettive”.
In quel momento mi ricordai che fra le altre cose, tutti e due provavamo un irresistibile fascino per l’eterno femminino, ovvero per l’ eterna ed immutabile essenza femminile di cui eravamo circondati nei nostri atélier ed altro
Avevamo in comune anche un grande amore per la musica : fra i tanti autori, io amavo Franz Schubert e lui Beethoven, la cui nona sinfonia l’aveva tanto inspirato per il “Fregio di Beethoven”, la sua grande e famosissima opera.
E’ pur vero che dopo i primi vent’anni passati insieme a Baumgarten, ciascuno di noi aveva avuto un modo suo personalissimo di pensare e d’ interpretare l’arte della pittura. Col tempo quindi, avevamo percorso strade assai diverse e le uniche occasioni che ci consentivano di stare un po’ insieme, erano le inaugurazioni delle mostre nelle Gallerie a Vienna. E poi, al contrario di me, che avevo sposato Ulrike, l’unica donna della mia vita, lui non aveva fatto altro che fuggire da una donna per irrompere in un’altra.

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Una sera d’estate che eravamo seduti sotto una pergola, dopo aver conversato per un poco, era caduto il silenzio fra noi, come quando restavamo soli a dipingere senza dire mai una parola e dopo ci accorgevamo che i nostri pensieri avevano seguito lo stesso corso. Più tardi l’avevo osservato meglio e mi ero accorto di come era cambiato da quando ci eravamo iscritti alla Scuola delle Arti e Mestieri a Vienna. Era molto ingrossato da allora ed aveva perso molti capelli. Però gli era rimasto un ricciolo alla sommità del capo, del quale sembrava avere ancora una certa cura.

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Quando mi coricai, mi venne in mente quella sera che aveva dato una grande festa, poiché giorni prima aveva ricevuto la sua prima onorificenza dall’Imperatore in persona.
Jurgen aveva invitato modelli giovanissimi, conosciuti per i loro vizi uguali, in tutto e per tutto, a quelli innominabili dei Greci, nonché belle ragazze, “teneri virgulti del libero amore”, così le chiamava lui scherzando.
Entrando nella sala, vidi alcuni che sorseggiavano l’assenzio, il cognac o lo champagne. Altri sniffavano tranquillamente la “kokain“ pura, di cui faceva largo uso anche Freud.
In un angolo, un po’ nascosti, c’erano i rampolli dell’alta borghesia viennese che si facevano servire “sostanze ricreative” in tazzine di finissima porcellana.
Dei giovinastri si ubriacavano e si denudavano. Delle coppie, invece, erano impegnate in inenarrabili pratiche amorose. Fu allora che sentii l’aria satura di fumo, di sudore e di sesso. Ad un tratto sembrò proprio che fra quei corpi nudi, fosse sceso Eros avvolto in un manto di porpora…
Più tardi fece il suo ingresso Danae, col viso nascosto da una nuvola di capelli rossi. Mi fissò all’istante con la lama dei suoi occhi, e poi, avvicinandosi a Jurgen, gli disse che smaniava di far l’amore con due insieme. Per fortuna io mi addormentai ubriaco d’assenzio, mentre lei, assalita da fremiti trasgressivi, era lì, pronta ad offrirci l’incanto della sua carne.
Ma poi mi svegliai dal torpore e capii subito che avrei dovuto partecipare ad “un rapporto sessuale a tre “, cioè ad un rapporto contrario ad ogni mio principio morale. Allora mi alzai di scatto e tra due ali di ammicchi, risatine e colpetti di tosse, attraversai la sala infestata dagli odori più nauseanti e raggiunsi velocemente il cancello della villa.
Sentivo la nausea ed un dolore alla bocca dello stomaco e feci appena in tempo ad uscir fuori per strada che vomitai anche l’anima.
Ero sudato e completamente nudo, perciò mi misi a correre sotto la pioggia battente per ripararmi sotto l’unico albero della Erdbestrasse.

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Il giorno dopo Jurgen venne a trovarmi all’atélier, mentre stavo dipingendo un nudo femminile. “E’ bello questo quadro .. forse mi stai già superando!” – mi disse ridendo – “Se sei d’accordo, potremmo allestire una mostra con le nostre ultime opere. Certamente, ne parlerebbero anche i giornali .. e credimi, sarebbe un evento a Vienna!”
Era la prima volta che mi faceva questa proposta. Così fui subito d’accordo di allestire insieme la mostra un mese prima di Natale.
Poco dopo lui, guardandomi serio, disse che era stata una cattiva idea la sua l’avere invitato Danae alla festa e che era molto dispiaciuto per quello che era accaduto. “Lei è fatta così” aggiunse – “e poi, io ero più ubriaco di te, perciò non ho potuto evitare che la cosa prendesse quella piega ..”
“Ma ora ascoltami” – disse ancora – “è da molto tempo che sei piuttosto serio. A volte te ne stai lì, solo, senza parlare .. In alcuni momenti sembra che tu voglia dirmi qualcosa e poi, invece, ti allontani . Allora dimmi, Siraj : stai per caso fuggendo da qualcuno o da qualcosa?”
“Un giorno ti dirò tutto, Jurgen, ma non ora” – gli risposi piano.
“Va bene, quando vorrai, un giorno ne parleremo, e quel giorno dovrai aprirti con me, perché io sono il tuo amico, ricordatelo sempre !”
Passarono molti anni da quel giorno, ma non gli detti mai la risposta, e solo Iddio sa quanto, nel tempo il mio silenzio si sarebbe rivelato il più grande errore della mia vita.

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Siamo già in Aprile, ma quando tira il vento del Nord, mi trattengo nella sala di lettura sfogliando le riviste che spaziano anche nel campo culturale.
In questi giorni vi sono pagine e pagine dedicate a Johannes Brhams, di cui ricorre il ventesimo anniversario della morte. In un articolo si è ritornati a parlare del fascino che ha sempre subito del rifiuto. In una sua biografia si legge che durante la sua vita, bruciò una buona parte delle sue opere perché non le riteneva buone.
Ma ciò che mi ha più incuriosito, è stato un articolo di un altro giornalista che qui riporto fedelmente: “Nel triangolo Johannes Brhams, Robert Schuman e sua moglie Clara, il rapporto più intenso non è stato tra Johannes e Clara, come alcuni critici hanno scritto più volte, bensì fra l’avvenente e biondo Johannes dagli occhi azzurri e l’amico Robert. I due si comprendevano come altri musicisti amici , nel passato, non si erano mai compresi, nemmeno nella pur straordinaria ed intensissima relazione tra Haydn e Mozart”

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M’ interessano anche le notizie provenienti dall’Italia, specialmente da quando è scoppiata la guerra mondiale. Perciò Ulrike riserva sempre una pagina della sua rivista che riporta alcune notizie provenienti da questa nazione a me tanto cara per la sua arte. Come queste, ad esempio: “Già da tempo, Giuseppe Verdi non vede di buon occhio il flusso della musica tedesca in Italia, da lui definita “la calata dei Germani”; “In alcuni ambienti musicali, la musica da camera tedesca viene anche chiamata : “la tortura del quartetto”; “Da un anno o forse più, gli italiani hanno soprannominato l’Imperatore Francesco Giuseppe “Cecco Beppe”. Ed è stato dopo aver letto questo articolo, che un uomo anziano, forse un generale in pensione, si è rivolto verso di me col viso paonazzo, dicendomi a voce alta: “Wenn ich junger waere, dann wuerde ich diese schweine italiener mit meinen eigenen haenden umbringen!”, che presso a poco voleva dire: “Se io fossi più giovane, ora ammazzerei questi porci italiani con le stesse mie mani!”

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Stamattina ho ricevuto una lettera del vecchio Hermann Zuendji, un vero intenditore ed esperto commerciante di quadri. Mi ha informato che il mese scorso ha organizzato una mostra delle mie opere che sta ottenendo un grande successo. Nel frattempo, ho terminato finalmente il quadro “Tramonto ad Istanbul” e, come accade spesso, mi sono imbrattato le mani di vernice d’oro che in alcuni quadri la uso con pennellate colorate, stese a piccoli tocchi che suggeriscono l’impressione del mosaico. Ho già delle idee nuove e fra pochi giorni, forse, porterò a termine altri due quadri: “Le due verità” e “Notturno”.

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Sono passati altri otto mesi e sembra ancora lontano il giorno che sarò dimesso dal Sanatorio. In certi giorni vedo svanire nel nulla tutte le mie speranze e le mie illusioni d’artista. Ma poi rifletto su quante storie tristi e su quanti veri drammi si consumano tra le pareti del Sanatorio .. Ne ho conosciuti già molti di questi malati, e ringraziando il Signore, c‘è qualcuno che è ancora sorretto dalla speranza. E’ la prima volta che provo tanta pena per le persone sofferenti, e forse è per questo che ogni giorno mi sto riavvicinando sempre di più alla poesia.

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Ieri pomeriggio è venuto a farmi visita un mercante di quadri, un certo Rudolph Stein o Stain che mi ha incuriosito per la sua fronte candida e larga come una nuvola.
Dopo i soliti convenevoli, mi ha chiesto di poter vedere i miei recenti lavori, ma io gli ho detto che al momento non potevo fargli vedere niente. E lui, fumando sempre come un turco, come era venuto, così se ne è andato via. Allora il mio pessimismo, che si è accentuato molto negli ultimi tempi, mi ha fatto pensare che forse l’interesse del mercante non sia stato per vedere i miei recenti lavori, ma per constatare di persona quanto tempo mi restava ancora da vivere ..

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Domenica scorsa sono andato a Messa nella Cappella del Sanatorio e mentre il Sacerdote recitava il Credo, mi sono ricordato quel giorno che assistetti ad una prova del Requiem di Mozart. Mi trovavo nella Cattedrale di Colonia, e quando, col suono dei violini, iniziò il “Lacrimosa”, provai dentro di me un senso di pietà e di pace infinita. E proprio stamattina, pensando a questo capolavoro della musica sacra, ho sentito il desiderio di dipingere un pannello con un soggetto religioso di grande impatto, e subito ho pensato alla “Crocifissione di Gesù”

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Alle dieci di stamattina ho provato fatica a respirare, ma nel pomeriggio, quando è arrivata Ulrike, mi sono sentito subito meglio. Così, tutto d’un fiato, le ho descritto come vedo il dramma della Crocifissione e come lo porterò sul pannello. “A Gesù darò il volto di mio fratello Ernst” – le ho detto – “e lo ritrarrò nel momento in cui, rivolgendosi a Dio come uomo, Gli domanda, alzando gli occhi al cielo: “Padre, perché mi hai abbandonato”? Alla Madonna darò il tuo volto, e sotto la croce, dipingerò l’apostolo Giovanni col volto di mio fratello George” Poi l’ho guardata negli occhi e l’ho pregata di starmi vicino mentre avrei dipinto il pannello. Ulrike, allora, mi ha preso la testa fra le sue mani e me l’ha stretta al petto.


La crisi

Ma ad un tratto m’assillano i ricordi che divorano la mia coscienza e davanti agli occhi vedo scorrere tutta la mia vita ed i fantasmi del mio passato: mediatori, galleristi, critici, tutti personaggi con i quali sono sceso a compromessi. In quei momenti però, c’erano sempre delle persone con pochi scrupoli, che mi dicevano: “Ora non ci pensare più Siraj. Vedi, a volte la vita onesta è un deserto di noia!”

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Sono passasti quattro giorni come ombre, con la febbre che mi prendeva le forze minuto dopo minuto, ora dopo ora .. Provavo fatica a respirare .. La mente si smarriva in una vertigine di luci ed ombre .. I pensieri si rincorrevano, andavano e venivano.

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Ho avuto un colpo di tosse ed ho visto del sangue, ma non voglio farlo sapere a Ulrike .. Ed ora m’avvicino al suo petto e le raccomando il nostro bambino.“Cosa ne pensi – le domando – “George diventerà un pittore anche lui ?” – “Penso proprio di sì, ma ora non devi parlare! Il medico mi ha detto di non farti parlare assolutamente.” Inseguo allora la mia mente che sforna ricordi ed obnubilate visioni di godimenti vagheggiati in sogno .. Ora invece, sono immerso in un vuoto .. in un silenzio assoluto .. ma poi sento strane presenze, sospiri vani ed anche qualcosa che forse c‘è, ma che io non riesco a vedere .. M’assale allora il sospetto che io sia soltanto una visione incorporea, e magari sto già navigando nei sogni dell’ultimo sonno .. Finalmente mi scuoto e mi chiedo se un giorno, al mio orizzonte più lontano, ci sarà un’altra vita che io possa vedere almeno in trasparenza .. O forse la mia vita, come la vita di ogni uomo, è una, una sola, ed è solo un attimo di questo dramma cosmico ! .. <> Sto vaneggiando e spesso dico cose senza senso ..lo so bene .. . Poi esprimo ad alta voce i miei pensieri in forma poetica .. Sarà forse l’effetto dei medicinali che mi stanno somministrando .. Ora però, vorrei tanto parlare con una persona gentile .. Ma a che varrebbe questo se alcun suono esce più dalle mie labbra ?. .

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Ed ora m’appaiono fantasmi a forma di fiori di colore incerto .. Poi m’accorgo che sono fiori appassiti che danzano davanti a me, sui rami senza vita del mio tempo .. Ora scompaiono – almeno così sembra – ma poi riappaiono ..e li vedo bene, come se avessi gli occhi sulle punte delle mie dita..

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Perché – ora mi domando – vedo il Cristo, col volto olivastro come il mio che fugge da un’icona ? E cos‘è mai quest’ aria sopra di me, senza suono, forata da un cono di ghiaccio ? Ah! Potessi vivere almeno un giorno ancora .. Allora scriverei versi e preghiere da fenderete le nubi, per svegliarmi da questo incubo e lenire l’intimo desiderio della mia anima ! ..

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Ora chiudo gli occhi .. poi cerco di riaprirli ma non ci riesco .. Con la mano però, posso abbracciare Ulrike alla vita, Sì, proprio lei, Ulrike, il cancello del mio corpo e della mia anima ! Quante volte ho desiderato di tornare a stare meglio, come prima, e sciamare per un giorno nel sole della mia giovinezza, per stringerla forte a me, fino a farle male e baciare i suoi piccoli seni!

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Ed ora ascolto me stesso che piango: è un pianto silenzioso che si sta consumando solo dentro di me, perché Ulrike non lo deve assolutamente sentire .. Vorrei tossire, ma non posso ..però sento un buon profumo: sarà il fazzoletto col quale lei mi asciuga le gocce di sangue all’angolo della bocca. “Sento il tuo profumo” – le dico affannando – “allora le cose non vanno molto male, vero mia cara?”

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Il respiro è più debole, ma la mente è ancora lucida.. Ritorna allora il ricordo di come ho vissuto la mia vita .. Da quanto tempo la mia fede è ondeggiante con alterne speranze di diventare un giorno migliore! .. E da quanti anni avrei dovuto scavare in me stesso, per conoscere meglio il mio lato oscuro, l’altra parte di me, quella che non ha mai trascurato di calcolare l’effetto scandaloso che avrebbero avuto i miei quadri, anche se qualcosa, dentro di me, diceva già che la mia anima era più sporca del corpo.! ..

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Ma ora spero che davanti a Lui contino almeno i buoni sentimenti e le poche cose buone che ho fatto. E penso che mi ricorderà ciò che mi disse un prete: “Ogni peccato porta in sé la Grazia”. Quindi gli verrà in mente quando da bambino io ero un chierichetto, traboccante d’amore per Lui e speravo che un giorno Gli avrei consegnato l’intima visione della mia anima .. E poi si ricorderà dell’attimo in cui ricevetti per la prima volta il Sacramento della Comunione, quando mi sembrò di morire per una luce troppo forte dei miei occhi! .. Ma ora vorrei confidarmi con un prete, perché il prete è un medico dell’anima – così mi hanno detto – e potrebbe anche operare per la sua salvezza .. Così ne parlo a Ulrike .. Ma passa il tempo ed ora mi dicono all’orecchio che il prete è andato in un paese qui vicino per assistere un morente .. Quindi dovrò stare qui, solo, in attesa che Dio mi venga a prendere, sperando che non mi faccia attendere troppo !

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Ad un tratto, qualcosa, al di fuori di me, mi trascina giù, sempre più giù .. O forse è la mia anima che sta precipitando dal proprio sostegno !? .

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E pensare che in un’estasi del pensiero, avrei voluto passare una notte memorabile sfaccettando in versi i miei pensieri ed i miei ricordi .. Invece, non faccio altro che affrettarmi in un’oscurità incerta, sotto un cielo velato con poche stelle, e con i miei pensieri che corrono tutti all’indietro .. come se io dovessi risalire all’inarticolato momento del principio della mia esistenza ! ..

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Poco fa ero scosso da lunghi brividi di freddo, ed ora ho la fronte, il viso ed il corpo immersi in un bagno di sudore. Il respiro è più affannoso, eppure apro gli occhi .. ed ecco un fascio di luce bianca: è un campo luminoso, dove s’irradia una luce strana, fatta di neve appena caduta. Ma poi cammino leggero in un luogo-non luogo che non oso definire .. sarà forse un tunnel oppure il limbo ..

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Ora sento l’infermiera che mi fa un’altra iniezione .. Così cado ancora nel sonno. Ed in sogno vedo me stesso quando ero un bambino di quattro anni .. Sì, ricordo bene .. ero in Collegio e facevo sempre sogni terribili per le mani dei compagni di camera, che di notte si allungavano sul mio corpo .. E c’era anche un prete che stava lì, a guardarmi oltre la porta, nel buio.. Dio mio !.. Dio mio!.

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Ora mi vedo camminare accanto a Jurgen,
lungo un bel sentiero silenzioso di muschio ed erba ..
e poi, in un altro ancora,
su foglie di quercia sbiadite sotto strati di foglie scure,
mentre arriva il suono di una campana, colma di tristezza,
che al soffio del vento mormora in un campanile assai lontano.

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Ad un tratto, sento delle voci confuse .. forse mi sto svegliando da questo incubo .. Il respiro è più calmo, più regolare e non brucio più per la febbre . . Non riesco a crederci .. Ma poi sento la voce di un dottore che dice all’infermiera: “Credo che il nostro Siraj abbia superato la crisi !” Poco dopo mi guarda e mi fa con voce allegra: “Benvenuto di nuovo fra noi, Signor Ibrahim”! Apro gli occhi e vedo il volto di mia madre, con una massa di capelli tutti bianchi. E’ vicinissima al mio letto ed ora mi accarezza il viso con le sue mani recitando il Rosario.. poi mette le mie mani nelle sue ed allora sento un buon calore che mi pervade tutto ..

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“Dove eri andato, Siraj ? – mi chiede ora Ulrike – “ C‘è stato un attimo in cui mi è sembrato che tu fossi in un altro mondo .. sono stata molto in pensiero ..! “ “E’ stato un incubo mortale, forse ..” – le rispondo – “O magari la febbre alta .. e poi ho sognato tanto.. Ma dimmi, Ulrike, ho detto delle cose strane mentre sognavo ?” “Sì . Ho sentito che dicevi : “E Tu che stai sempre lassù, seduto o in piedi, ricordati che anch’io ..” E poi altre parole incomprensibili. Ma ora riposati, amore mio, non ci pensare più, Siraj, devi stare calmo!

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“Va meglio ora ?” – mi chiede George, mio fratello minore. Mi fa riposare e quindi parla del Sanatorio di Davos, in Svizzera, dove per i casi come il mio, stanno ottenendo davvero buoni risultati. “Ora però sono stanco” – dico a George – “non riesco più ad ascoltarti, ho bisogno di dormire ancora. Spero di stare meglio domani .. così incomincerò a sperare di nuovo ..”

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Ma ad un tratto, spunta nella mia mente l’idea di come porterò a termine la “Crocifissione”: il cielo sarà grigio con nuvole nere e minacciose, squarci di luce all’orizzonte e qualche fulmine sopra il Golgota, dove dipingerò tre croci nere, enormi ..

“Cosa vuol dire tutto questo, Ulrike ? E’ un buon segno, vero ?”
“Ti amo tanto !” – mi dice invece di rispondermi – “Ma ora ti prego Siraj, non allontanarti mai più da me!”


Seconda Parte

Nel Sanatorio di Davos, in Svizzera, Siraj migliorò molto della sua malattia e quando fu dimesso, fu in grado di dedicarsi di nuovo alla pittura.
Un giorno alcuni amici gli dissero che Jurgen era morto per una crisi cardiaca durante il viaggio di ritorno dalla Romania. Siraj li ascoltò senza dire una parola e poi rimase lì, inebetito, fissando il cielo blu smagliante ed impietoso ..
Nessuno seppe mai per quanto tempo rimase lì, immobile, come se qualcosa gli avesse impedito di credere e di agire ..

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Fu in un pomeriggio di Domenica che egli si recò al Cimitero di Vienna e trovò la tomba di Jurgen, vicina a quelle di Beethoven e di Schubert.
Aveva pensato di trovare il corpo dell’amico sepolto sotto una statua di marmo bianco, con le ali dorate ed immense. Davanti a sé, invece, vide una lastra di marmo grigia e senza alcun ornamento.
Appoggiò quindi la fronte sul ritratto dell’amico: era un ritratto sbiadito, con un volto che non sembrava suo .. Vi si riconoscevano appena gli occhi .. E solo in quell’attimo, si rese conto che Jurgen aveva lasciato questa terra per una vita migliore nell’aldilà .. così dicevano .. Ma ora sentì un vuoto dentro di sé .. E ci fu un attimo in cui gli sembrò di non credere più a niente ..
Poco dopo guardò su nel cielo e vide una macchia nera contro la luce del sole. Allora chiuse gli occhi e pianse in silenzio.
Qualcosa richiamò ora la sua attenzione: era una brezza soffiata da un cielo vuoto, plumbeo, ma incominciò lo stesso a girovagare nel Cimitero. Poi s’accorse che era troppo tardi ed allungò il passo. Fu allora che poco lontano, vide una figura sepolcrale di un uomo di grossa corporatura .. Era lì, comodamente seduto su una tomba, ed i suoi occhi mandavano bagliori nel crepuscolo .. Sembravano gli occhi di Jurgen .. Allora si diresse verso la figura marmorea, ma più s’avvicinava alla massa biancastra, più quella si deformava piegandosi su stessa. Poi incominciò a ridursi ed a ridursi ancora, sempre di più, fino a quando non scomparve del tutto ..

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Il 14 Aprile, gli fu recapitata una lettera di un Notaio, con la quale veniva invitato a presentarsi due giorni dopo al suo studio, al n. 98 di Leberstrasse. Quel giorno quindi, si recò presso lo Studio Notarile. Entrato nella Biblioteca, sprofondò nella poltrona che era davanti alla scrivania ed il Notaio gli consegnò una delle due buste che teneva in mano. “Esco un momento” – poi disse – “Così potrà leggere in tutta libertà. Era una lettera,scritta di pugno da Jurgen :

“Siraj, mio amico carissimo,
proprio ieri sera, nella Stazione di Bucarest, un dottore ed un infermiere mi hanno sistemato in una cuccetta di questo treno che io spero mi porti ancora vivo a Vienna ..
“Non è da escludere” – mi aveva detto un dottore il giorno prima – “che quello che Le è accaduto ieri alla Mostra Nazionale, sia stato un infarto, non di forma grave .. certo. Da ora in avanti però, Lei dovrà restare più fermo possibile e prendere sempre i medicinali secondo gli orari stabiliti. Io penso che da domani si sentirà già meglio .. lo spero tanto per Lei.
Stanotte invece, c‘è stato un attimo che ho creduto quasi di morire .. Allora, alle prime luci dell’alba, ho sentito l’urgenza di scriverti .
Devi sapere che nel testamento ho espresso la volontà di lasciare a te il faggeto di Baumgarten, la villa di Vienna e l’atélier dove hai incominciato a dipingere insieme a me ..ti ricordi ?
Ma ciò che mi stava più a cuore, era che tu fossi qui, ora, davanti a me, per quelle cose che tua nonna mi raccontò un giorno che la incontrai a Baumgarten .. Piangendo, mi disse di quando da piccolo, eri in quel Collegio e dei compagni che .. Io però, non riuscivo ad ascoltarla ..mi faceva male .. Sentii soltanto le sue ultime parole : “ Siraj era troppo bello da piccolo .. lo dicevano tutti .. E’ per questo che prego sempre la Vergine Santissima affinché non gli accada mai niente di brutto nella vita..” Poi non disse altro. Mi salutò e si diresse verso casa.
E solo allora capii da cosa stavi fuggendo ed il motivo per cui non hai mai voluto svelarmi il tuo segreto.
Non me la perdonerò mai di non essere venuto a trovarti in Svizzera, al Sanatorio di Davos . Sono sicuro che mi avresti confidato ogni cosa .. e così ti saresti liberato di questo peso .. E poi ci saremmo ricordati di quando eravamo solo dei bambini e giocavamo sempre con i soldatini di piombo che mio padre mi portava da Norimberga.
Sai, da tre giorni sono più emotivo, forse per il mio stato di estrema debolezza .. ed ora, a malapena trattengo le lacrime al ricordo di quanto io ero felice allora ..
Ricordo spesso quel giorno che con la voce da contralto, cantasti il lied “Gretchen am Spinnrade” (“Margherita all’arcolaio”) di Schubert, accompagnato al piano da mia madre , che mentre suonava, ti ascoltava commossa ..
Forse furono quelli gli anni che noi due cominciammo a provare dell’affetto l’uno per l’altro, un affetto fraterno, puro, da non dover nascondere a nessuno .. ..
Ora sento che sto perdendo le forze ..il respiro è più debole, e solo attraverso un velo riesco a vedere le nuvole, gli alberi ed i prati che solo ieri vedevo correre chiaramente davanti ai miei occhi dal finestrino del treno. Allora mi chiedo se non fosse stata anche la mia vita che vedevo correre via da me ..
Sai, aveva ragione quello scrittore inglese che in punto di morte disse : “Se questo è morire, devo dire che non è niente di speciale !..” Ora spero che il Signore mi perdoni ..perciò ti chiedo di pregarLo per me ..Lui ti ascolterà certamente, poiché io ricordo solo lunghi e confusi intrecci di parole ..Ora ti prego di dare un bacio per me al piccolo George e di abbracci are Ulr..”“

Ma proprio in quell’attimo, Jurgen aveva esalato l’ultimo respiro ..
Allora Siraj chiuse gli occhi e rimase lì, immobile. Poi entrò il Notaio .. o guardò a lungo e vide che dalla seconda busta estraeva il testamento di cui già conosceva il contenuto. Avrebbe voluto trattenersi per ascoltarne la lettura, ma gli sembrava di soffocare in quella stanza ..Perciò salutò i presenti con un inchino e corse fuori per strada.
Era una giornata grigia .. Alzò gli occhi e per la prima volta, vide dei lieviti di nebbia che caracollavano fra le nuvole ..
All’improvviso s’alzò un vento gelido che gli entrò fin dentro le ossa .. Poi ebbe un capogiro e sentì un sudore freddo alla fronte .. Si guardò intorno, ma non passava nessuno in quel momento .. Allora s’appoggiò al muro di una casa e si lasciò cadere in ginocchio, sul marciapiede ..

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Da quel giorno Siraj non fu più lo stesso .. Sentiva un vuoto dentro di sé e la mente oppressa da troppi ricordi che mai, forse, avrebbe potuto cancellare.
Passò il tempo ed un giorno Ulrike riferì ai suoi amici che dopo una notte insonne, la mattina si era alzato ed aveva deciso di fare un lungo viaggio.
La cara Ulrike gli era stata molto vicina in quei giorni ed ora gli fu molto d’aiuto.
Da sempre aveva saputo che Siraj ed Jurgen erano uniti da un amore fraterno, per altro senza che lo dimostrassero in maniera palese. Soltanto quel giorno che si erano sposati nella Chiesa di San Paolo, a Vienna, Siraj si era voltato più volte durante la cerimonia, cercando fra la folla gli occhi dell’amico, come se avesse voluto dirgli qualcosa d’importante . E più tardi, quando furono tutti sul Sagrato, Jurgen gli aveva infilato un anello persiano nell’anulare della mano destra. “Portalo sempre questo anello !” – gli aveva detto – “ è il mio regalo di nozze “ E poco dopo, a lei, nel cavo della mano, aveva messo una bellissima collana di perle nere ..e le aveva baciato una guancia.


Parte terza

Passarono sei anni dal giorno del loro matrimonio. Una domenica che erano saliti su un battello per fare una gita sul Danubio col piccolo George, Jurgen era salito anche lui a bordo, con loro. Subito dopo, aveva preso in disparte Ulrike e le aveva detto : “Ascoltami, sento che lascerò presto questo mondo .. non chiedermi perché .. E’ da tempo che me lo sento qui dentro” – le aveva detto toccandosi il cuore con le dita della mano – “e penso che non sia lontano il giorno che Siraj avrà più bisogno di
te .. Allora ti prego, Ulrike, continua ad amarlo così!” E guardandola negli occhi, le aveva baciato le mani. Poi, correndo, era sceso a terra, perché a bordo stavano tirando su l’ancora.
Ma quando si era fermato sulla banchina per salutarli, il piccolo George gli aveva urlato a squarciagola: “ Zio Jurgen, ritorna su a bordo, dai ! Perché sei sceso a terra? Ti prego, ritorna su, ci divertiremo, vedrai!”

Ulrike era rimasta sconvolta per ciò che era accaduto prima, ed ancor più nel vedere ora il suo George che piangeva .. Già, perché il bambino gli voleva un bene dell’anima. Fin da piccolo, lo chiamava “Zio Jurgen”. Questi, a sua volta, lo adorava e quando ritornava dai suoi viaggi, per prima cosa, si metteva sempre a giocare con lui.
“Per quale motivo “ – si era chiesta più tardi – “ Jurgen aveva deciso di salire sul battello per dirle questa cosa terribile ?” Poi aveva richiamato alla mente ogni minimo particolare ed aveva capito perché le aveva confidato il dramma che stava vivendo ..
Più tardi aveva pianto in silenzio, perché anche lei gli voleva bene ..Erano cresciuti tutti insieme a Baumgarten, quando nel sobborgo, giovani come loro si contavano ancora sulle punte delle dita.

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Ulrike non aveva mai dimenticato che in quella stessa notte, al ritorno dalla gita sul battello, era accaduto ciò che le aveva scavato per sempre un dolore profondo. Dopo aver dormito un poco infatti, Siraj si era svegliato e l’aveva posseduta più di una volta .. All’inizio, aveva provato piacere e si era sentita avvolgere da un calore che le aveva acceso i sensi come non mai .. Ma dalla finestra era entrato all’improvviso un vento caldo .. sembrava il vento del Bosforo . E Siraj l’aveva penetrata una volta e poi una volta ancora, con impeto sempre maggiore .. Allora aveva provato un dolore fitto, continuo .. E poco dopo, quando aveva capito che si sarebbe insinuato ancora dentro di lei, aveva cacciato un urlo, perché aveva sentito come strapparsi qualcosa lì, nel suo grembo.
Non era passato molto tempo che lui , svegliatosi di soprassalto, si era sentito spolpato dall’attività dei sensi. Ma quasi subito, aveva Ulrike vista disfatta e piegata su se stessa, con gli occhi chiusi per la stanchezza del pianto. Solo allora si era reso conto di ciò aveva fatto su di lei ..Perciò si era disteso al suo fianco, piangendo .. “Perdonami, Ulrike .. è stata colpa di un sogno .. anzi, di un incubo” – le aveva detto – “All’improvviso, nel sogno mi sono trovato nella Chiesa di S. Sofia, ad Instanbul .. E nella buia penombra ho visto Jurgen che ti diceva qualcosa di confidenziale all’orecchio. E poco dopo, ho scorto voi due, ancora giovani e belli .. Lui ti guardava negli occhi e sulle tue labbra ho notato un colpevole sorriso .. Dentro di me allora, ho sentito crescere un odio profondo ed incontrollabile .. Perdonarmi, Ulrike .. non avrei mai voluto farti soffrire ..”
Ci era voluto del tempo prima che Siraj si fosse calmato ed era ancora pallidissimo .. Poi aveva appoggiato il viso sul suo petto, chiedendole perdono . . Ora non si ricordava più quante volte, perché era rimasta sorpresa nell’ascoltare il suo sogno ..
oOo Ora il suo pensiero fisso era il viaggio che lui aveva deciso di intraprendere. Rifletté molto su questo suo desiderio, ma poi si convinse che non era il caso di dissuaderlo. Chissà, forse questo viaggio in Africa gli avrebbe fatto bene davvero .. In quegli anni, fra le persone nobili o benestanti di Vienna, che amavano viaggiare e raggiungere mete lontane, era di moda Timbuctu, (2) per l’Africa ed Istanbul per il Medio Oriente. Quel giorno Siraj s’informò di tutto e preparò ogni cosa per il viaggio da Vienna a Timbuctu.


Nel deserto della Mauritania

Dopo una settimana, Siraj era già a Marsiglia e tre giorni dopo s’imbarcò sulla nave Mariposa che avrebbe impiegato più di un mese per arrivare fino al porto di Nouakchott.
La notte stessa si sentì poco bene, ma ringraziando il buon Dio – così scrisse nel suo diario – il mattino dopo riuscì a far parte di una carovana per raggiungere la Valle del Draa, l’antica via carovaniera che porta a Timbuctu.
Quella mattina quindi, incominciò ad attraversare il Deserto della Mauritania per arrivare vicino al confine con il Mali, camminando sulla sabbia infuocata sotto un sole spietato. Così incontrava spesso i beduini del deserto, isolati insediamenti umani, le dune di sabbia e le verdi oasi,
Poi, al calar della sera, si riposava sdraiandosi sulla sabbia e guardava incantato gli scenari fiabeschi al tramonto. E dopo il crepuscolo, vicino ai compagni di viaggio che lo guardavano incuriositi, stava ancora lì, in attesa di addormentarsi sotto l’immenso tappeto stellato.
Furono quelli i giorni in cui venne a sapere molte cose del deserto e di chi lo abitava. “Giovinezza e vecchiaia passano molto tempo a guardarsi negli occhi”- gli disse un giorno qualcuno – E poi ancora : “Nel deserto viene ripetuta spesso la parola chiave “acqua”, il bene più prezioso”
Talvolta appariva stanco e disarmato dalla lentezza delle ore. Ci fu allora un turista, che un giorno gli disse in tedesco: “Vede Signor Ibrahim, i beduini che trascorrano una vita nel deserto, dicono sempre che “Il tempo lungo nel deserto non viene mai considerato tempo perso ..”
Ogni giorno, ad ore fisse, la carovana faceva sosta vicino alle tende oppure nelle oasi. Siraj allora, guardava su nel cielo le aquile che volavano seguendo la corrente ascensionale, oppure scorgeva da lontano le iene che spiavano fra le dune, aspettando il momento buono per catturare gli animali piccoli ed indifesi. Una volta vide anche dei pesci che dopo la pioggia soffrivano in un mare di fango.
Una sera – era l’ora del tramonto – richiamò alla mente un detto arabo che diceva : “Nel deserto, l’avvenire somiglia al passato più di quanto l’acqua somigli all’acqua” .. quanto era vero !
Ma ancor prima di addormentarsi, si faceva rapire dalla magia della memoria. Così gli apparivano le figure del piccolo George e dell’amata Ulrike. E poi, ad occhi aperti sognava il faggeto di Baumgarten, dove aveva trascorso gli anni più belli della sua gioventù con Jurgen. Ed infine, la campagna intorno al sobborgo nelle notti di luna, in quei momenti che la terra scintillava per la brina appena caduta.

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Il 13 Marzo 1918, Siraj fu colpito dalla malaria in un posto molto isolato. Allora si trovò solo e senza una goccia di chinino.
Una sera però, si trovò davanti ad una capanna, abitata da un vecchio sciamano che dapprima lo guardò con i suoi occhi gialli e poi incominciò a tenergli la mani sul petto e sul capo. Quindi gli sparse le membra di erbe, di unguenti e di miscugli vari, seguendo scrupolosamente il rituale degli antichi sciamani.

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In quei giorni, l’autunno era nell’aria ed il clima era mite. Una mattina che il sole era ancora basso e l’aria era frizzante, lontano da lui, Siraj, vide riemergere dal suolo i rospi giganti della Mauritania mentre si riempivamo d’acqua. Era la prima volta che vedeva quei rospi.

Allora li osservò per un poco ed atteggiò le labbra ad un sorriso. Più tardi, prese le mani dello sciamano, le baciò e se le misi sul petto. Fu allora che fissando i suoi occhi gialli, gli disse con un fil di voce : “Ti prego, infondimi la vita, se puoi !” Ma lo sciamano non riuscì a capirlo .. Eppure, per ore ed ore si prodigò sul suo corpo in fin di vita.
Intanto il cuore di Siraj, ormai debole, batteva, batteva insistente ed a lui reclamava la vita ..
La sera stessa si addormentò e non si risvegliò mai più.
Che Siraj era morto, se ne accorsero soltanto il vecchio sciamano e la luna, non necessaria a nessuno, ridotta ad un disco rosso, immenso, adagiato sull’orizzonte di pietra.
Era esattamente il 28 Aprile 1918.

Fine


EPILOGO

Per una coincidenza storica, Siraj Ibrahim terminò la sua esistenza proprio nello stesso anno in cui crollavano gli imperi centrali sconfitti nella prima guerra mondiale.
Oltre la vita nel deserto, Siraj scrisse nel diario dei versi, dedicandoli a Ulrike ed al piccolo George. Erano dei versi bellissimi che esprimevano il senso della solitudine e della sofferenza, trovandosi in un luogo così lontano da loro.
Ma nell’ultima pagina, fu trovata scritta questa domanda che aveva rivolta a Dio il giorno prima di morire:

“O Signore, perché dovrei cancellare dalla memoria quelle parole sommesse, quei sorrisi ed i nostri occhi che indagavano ?”

Sì legge, in una sua biografia, che ancor prima di ammalarsi di tubercolosi, Siraj era un uomo agitato da un tormento interiore che gli ultimi dipinti, dominati dal binomio vita-morte, nonché gli ultimi tragici racconti testimoniano pienamente.
Insieme ad altri pittori, fra i quali il suo amico Jurgen Stolber, Siraj Ibrahim segnò la fine del “periodo d’oro” in Austria.
I critici di allora furono concordi nel riconoscere in lui, non solo la bravura nel dipingere paesaggi, nature morte e nudi stupendi, ma nell’aver reso palpabile, con sapienti pennellate di colore, il vento, l’aria ed il respiro della natura.


Note dell’autore

(1) Un Editore dell’epoca pubblicò una biografia di Franz Schubert , dalla quale ho tratto alcune sue riflessioni : “Scrivere musica è come ricreare con animo terso un piccolo frammento del mondo che è racchiuso entro il vibrare della forma musicale, cioè la forma fatta di suono, di materia che si fa suono”
E poi scrisse: “la musica è un’arte lenta, che richiede pazienza, assiduità, riflessione” Non a caso, Robert Schuman, parlando con gli amici delle composizioni del grande musicista viennese, le chiamava con ironia “le divine lunghezze”.
Infine vorrei citare le parole con le quali Schubert, (il quarto apostolo della musica), iniziò il suo “Winterreise” : “Come un estraneo sono comparso, come un estraneo me ne vado” Ma poi disse anche. “ L’amore ama girovagare”. Nostalgia, certo, ma anche desiderio. E Speranza.

(2) Timbuctu (o Tombouctou) – Città del Sudan francese, visitata per la prima volta da ibn-Battutah nel 1355, per molti secoli rimase leggendaria e quasi inaccessibile. Occupata nel Gennaio del 1894 dai Francesi, dalla prima metà del secolo dopo, la città divenne un importante aeroporto di scalo per le aviolinee che attraversano l’Africa Occidentale.
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