Dalla Spagna al Tibet

di

Mario Vierucci


Mario Vierucci - Dalla Spagna al Tibet
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 76 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6587-0884

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore

Foto in copertina: «I due fauni» di Pier Luigi Taddei (olio su tela – cm 70 x Cm 125)

…è inutile sforzarsi di intuire i significati arcani, le sensazioni misteriose, gli eventi solo apparentemente fortuiti che si parano dinanzi al lettore attonito e rapito da una serie di incontri sospesi fra cielo e terra, capaci di avviare un’esistenza verso i campi elisi, come di precipitarla negli inferi. Sogni? Incubi? Chissà, forse gli uni e gli altri.
… pochi sanno trasmettere emozioni violente e commozioni profonde come Mario Vierucci, capace di prendere per mano chi si accosta alla sua opera e condurlo in una sorta di iperuranio, alla ricerca delle ragioni del proprio essere, lungo percorsi impalpabili, fatti di parabole smaterializzate, intrise di verità inafferrabili. … tutto questo e molto di più avviluppa in un coinvolgimento soffocante chi si lascia annegare nella lettura di questo libro. … “Dalla Spagna al Tibet”: due storie originali che trascinano al di là di un’eternità che non farà certo rimpiangere l’immenso manicomio in cui viviamo.

Renato Roffi
del quotidiano “Il Messaggero Marittimo” di Livorno


Prefazione

“Dalla Spagna al Tibet”, nuova opera di Mario Vierucci, comprende due testi differenti, seppur solo in apparenza, che rappresentano comunque la cifra stilistica dell’Autore, capace di miscelare il primo breve romanzo, dal titolo “Spagna – Fatti e misfatti”, tra le cui righe si ritrova un’atmosfera tragicomica e numerose fulminanti invenzioni fantastiche, nonché riferimenti e dissertazioni di varia natura che si ricollegano al secondo racconto in versi, intitolato “Raoul, il monaco buddista”, che scende nel profondo di illuminazioni e riflessioni di carattere filosofico e spirituale.
Ecco allora che, in entrambe le occasioni, si scatena la fertile creatività di Mario Vierucci.
Nel romanzo “Spagna – Fatti e misfatti”, partendo dal pretesto di un’anomala apparizione di una “massa” sicuramente “strana per forma, dimensione e colore”, avvistata nel cielo sullo Stretto di Gibilterra, nel febbraio del 1935, sviluppa una serie indescrivibile di eventi, di dissertazioni sull’entità della “massa” e via dicendo, in un crescendo rossiniano che risulta stupefacente.
I ricordi storici, che condurranno fino allo scoppio della Guerra di Spagna, si miscelano e si alternano a lampi di fantasticherie narrative, a folgoranti rivelazioni, a dirompenti visioni che squarciano il buio della solita banalità: ed è lieta sorpresa poter leggere pagine originali che sono pervase dall’effervescente personalità di Mario Vierucci.
La sua “parola vagante”, sempre suggestiva, spazia in una dimensione ultraterrena, alternando immersioni nelle visioni surreali a parodie delle manifestazioni del vivere.
Come novello Salvador Dalì, il famoso artista spagnolo di Figueras, Mario Vierucci pare prendere lezioni dal fantastico surrealista, accomunando virtuosismi illusionistici a improponibili e sorprendenti relazioni con personaggi, fatti ed immagini che riconducono ad una dimensione visionaria.
La fertilità narrativa di Mario Vierucci si espande soprattutto nel primo romanzo nel quale vengono riportate alcune immaginifiche spiegazioni sulla “strana massa” apparsa sulla penisola iberica: ecco allora che la imprevista “massa”, simbolo e presagio, secondo alcuni astrofisici “non è altro che la Luna, scomparsa da qualche tempo”; secondo il monaco benedettino Fra Craus, teologo e predicatore visionario “con la verità in tasca”, la massa “in parte solida e in parte gassosa, si è staccata incidentalmente da un corpo celeste ed ha vagato per milioni di anni da una galassia all’altra, assorbendo luce e calore solo sfiorando miliardi di stelle”; un marinaio marconista, nonché astrofisico, afferma che la massa “è un agglomerato tecno spaziale che funziona con pile atomiche e nel suo interno sono presenti alieni con intelligenza superiore” e, dulcis in fundo, un ex ufficiale della Marina Militare è convinto che la massa “non è altro che un meteorite di notevoli dimensioni”… tralasciando altre mirabolanti teorie di alcuni scienziati e, ancor più, il terrore che tale “massa” possa rappresentare l’annuncio della fine del mondo.
In questo clima di psicosi, si innesta la storia d’amore tra Ignacio, lanciatore di coltelli in un circo, e Rosaria, cantante lirica siciliana: basta tale breve introduzione per capire ciò che può scaturire dagli eventi che seguiranno fino alla tragica fine di Ignacio che sarà contrassegnata da “anomala apparizione” direi quasi “favolistica resurrezione”.
Mario Vierucci è autore divertente ed irriverente, capace di ironiche divagazioni e di intuizioni narrative come nel racconto in versi che narra del monaco buddista Raoul, che instaurerà profonda amicizia con Papa Gregorio vigesimo primo, presunto Papa nero.
Nella sua narrazione riemergono costantemente la vena ironica e la visione grottesca, sempre accompagnate da divertissement, al quale Mario Vierucci pare abbandonarsi con grande gioia.
Mario Vierucci è autore vulcanico e mirabolante, sempre in equilibrio tra presunta realtà e possibile irrealtà, come se un virus narrativo permettesse di cogliere ciò che può insinuarsi in modo mutante all’interno di un corpus: senza dimenticare che si può giocare con le “cose serie”.

Massimo Barile


Dalla Spagna al Tibet


SPAGNAFATTI E MISFATTI

Romanzetto tragicomico


Parte prima

(Eventi spaziali e terrestri – anni ’30)

Fu nella notte fra il 24 ed il 25 Febbraio del ’35, che mentre ruotavan le stelle di mezzanotte, apparve sullo Stretto di Gibilterra una massa molto strana per colore, forma e dimensioni.
Dopo tanti studi ed angosciosi interrogativi, un giorno apparve sulla scena un Basco un po’ anziano, alto, col volto dai tratti precisi, occhi verdi, insomma, un tipo che se non avesse avuto le orecchie piegate in avanti, poteva essere considerato “una bellezza senza tempo”.
Si trattava dell’astro-fisico Pablo Martin Lopez Corredoira, discendente diretto dell’astro-fisico, ben più noto, Martin Lopez Corredoira.
In un mattino d’inverno, Pablito (un bellimbusto, così dicevan tutti), si presentò al direttore del quotidiano madrileno “El Mundo” e gli chiese di pubblicare un articolo di cui io riporto il testo qui di seguito.
“Prima che lo facciano altri, il sottoscritto Pablo Martin Lopez Corredoira, astro-fisico di prima grandezza, informa tutto il mondo civilizzato (al di qua e all’aldilà dell’oceano), che ha voluto chiamare la massa “HOK1-hok1”, ovvero, con una sua formula il cui significato resterà avvolto nel mistero finché lo deciderà lui stesso, comunque, per almeno tre mesi”.
Ma non passarono nemmeno sette giorni che il suo interesse alla massa subì uno stop, quando s’accorse che per studiarne le origini, la struttura, la composizione interna/esterna e la vetustà, avrebbe dovuto approfondire tutto quanto, dal “brodo primordiale”, nel cui pentolone virtuale è nato l’Universo, e tira giù.

***

Il mattino del secondo giorno, i giornali di tutto il mondo dettero la notizia secondo la quale, moltissimi scienziati non riuscivano a capire ancora di quale materia fosse composta la massa, né da dove venisse, ma nel contempo esclusero, nel modo più assoluto, che fosse la cometa tanto attesa.

***

Dopo ulteriori ed approfondite indagini, senza alcun risultato, tre giovanissimi astro-fisici messicani, i famosi tre gemelli Aguilar: Augustin, Alcides e Anastacio, spedirono a Madrid i loro studi, trascritti da un amanuense bilingue su trenta fogli di pergamena originale di Pergamo.
Ho quasi timore a dirlo, ma secondo i tre giovinastri (dalla pelle d’ambra e gli occhi a mandorla, come quelli di Emiliano Zapata), la massa non era altro che la luna che negli ultimi tempi non s’era fatta più vedere, causando molti disagi sia a Mont Saint-Michel che in altri posti della Terra, dove altissima è la sua influenza sulle maree, sulle coltivazioni e, per i suoi silenzi argentati, anche sui giovani amori.
Si seppe che per la stessa ragione, avessero tremato cristiani, ebrei, islamici e buddisti, che nella prima notte senza la luna, avevano scorto nella sua scomparsa un ammonimento divino.
Dilagò, purtroppo, una forma di psicosi a livello mondiale, durante la quale s’incominciò a dire che ogni avvenimento fosse provocato dalla fuga della luna.
Ad esempio, durante le aurore boreali, ci fu un unico susseguirsi di nuvoloni rossi, anziché l’alternarsi di nuvoloni di vari colori.
Per altro, ci furono anche piogge stranissime con lampi e tuoni che provocarono “onde anomale” negli Oceani Atlantico, Pacifico e Indiano.
Infine, nel triangolo delle Bermude affondò una nave (costruita nel Cantiere Astilleros Cardoma) ed il suo equipaggio non sopravvisse alla furia di una terribile creatura partorita dagli abissi marini.
Ma la cosa più impressionante, fu che in quei giorni terribili ci furono albe istantanee e lacerati crepuscoli, che sembravano voler annunciare la fine del mondo.

***

Sarà stata un’altra coincidenza, ma in quella notte, sotto un cielo colmo di vivide stelle, una trentina dei ponti più grandi del mondo, si spezzarono in due, come fossero stati costruiti con l’argilla, stecchini da denti, carton gesso e calcinacci.
In concomitanza delle sciagure causate dai ponti crollati, i personaggi religiosi più in vista seppero sottrarsi alla tentazione di una fatalistica acquiescenza. Infatti, dopo tre giorni, si chiesero: “perché in quella notte si spezzarono in due quei trenta ponti?”
Si seppe che nel mondo cattolico, in ogni dove furono recitate preghiere e Santi Rosari. Nel contempo, iniziarono studi e ricerche a 360 gradi, di cui nessuno seppe i risultati.
Ci furono anche scrittori, comici ed umoristi, che approfittarono di quelle catastrofi per tessere delle tele, e prolungarne poi i fili all’infinito con una tale comicità ed ironia, che in meno di un mese riuscirono a smorzare i toni di tante tragedie.

***

Per avvalorare il contenuto dei loro studi, i tre gemelli messicani, avevano tirato in ballo quanto aveva scritto Italo Calvino, allora tredicenne, in un suo quadernino:
“Una volta, secondo Sir George H. Darwin, la Luna era molto vicina alla Terra. Furono le maree che poco a poco la spinsero lontano: le maree che Lei Luna provoca nelle acque terrestri e in cui la Terra perde lentamente energia” (n.d.r.).
“Ma che ci azzecca quello che ha scritto Calvino nel suo quadernino con questa maledetta massa?” si chiese quel simpaticone di Sànches Alphonse, scienziato, sismologo e tabagista. “Niente!” ne convennero gli illustri colleghi.
I trenta fogli di pergamena, quindi, furono fatti a pezzetti e gettati dalla finestra nel fiume Manzanarre che scorre accanto a “La Estacion de Atocha”, dove si stava tenendo la prima conferenza, appunto.
Si dette il caso che quel giorno ci fosse un vento che faceva volar via ogni cosa, e poiché una finestra era rimasta aperta, i pezzetti di pergamena furono ricacciati nella sala dove gli scienziati si scompisciavano dalle risate, credendo di essersi liberati un bel peso.
Uno dopo l’altro, si accorsero tutti di quanto era accaduto e rimasero lì, pensierosi, fino a tardo meriggio. Ma sul far della sera, si alzò in piedi l’astro-fisico Basilio Ruiz, un asturiano, ex campione di palla basca e di tiro al piccione, che disse: “A questo punto, che ne direste, cari colleghi, di mandare qualcuno a Valencia per comprare una ventina di porzioni di paella che è la migliore di tutta la Spagna?”
La proposta fu accolta davvero con entusiasmo, e dopo un’ora, affamati com’erano, a quei pezzetti di pergamena non ci pensò più nessuno.

Secondo voci non confermate, pare che fra i fumi dell’alcol siano state raccontate barzellette indecenti sulla vergognosa pederastia del barone tedesco Alexander von Humboldt, famoso biologo, esploratore e botanico.
Ma allo scoccare della mezzanotte, quei cervelloni presero dei fogli di carta pentagrammata, e tutti insieme, scrissero sia le parole che la musica della canzonetta che faceva così: “Valencia, ho una pulce sulla pancia che mi balla lo scimmì, Valencia, ecc., una canzonetta allegra che in quei tempi veniva cantata anche in Italia.

***

Guarda caso, in una notte buia ricomparve la luna, mostrando all’umanità la faccia, mai vista prima, con su dipinti “il mare della tranquillità” e “l’oceano delle tempeste”.
“Chissà – dissero a tale riguardo degli sciocchi – forse sentiva il bisogno di specchiarsi di nuovo nelle acque della Terra”.
Il giorno dopo sembrò che la luna fosse, come dire?… febbricitante, come se avesse voluto insidiare la rotazione della Terra, ma nelle ore successive, non accadde niente di niente.
Fu allora deciso di promuovere incontri ad alto livello, ed una serie di conferenze-stampa alle quali avrebbero dovuto partecipare giornalisti quotati e famosi uomini di scienza, nonché una decina di scienziati russi avversi al regime, ammesso che fossero stati ancora vivi…

***

In un tiepido mattino di marzo ebbe inizio la seconda conferenza nella Sala più bella della “Casa Felix Lope de Vega y Carpio”, dove sembra che Luigi Boccherini abbia composto il minuetto op. 11-G, che da quel giorno in poi fu il minuetto preferito nelle feste di Corte, sia in Spagna che in Italia.
Nessuno aveva ancora preso la parola, quando, all’improvviso comparve sulla porta della sala un monaco benedettino con occhi grandi, chiaroveggenti e capelli lunghi che sembravano un preludio di lunga vita.
Il monaco si presentò come Sigfrid Craus di Lubecca, un teologo ed astro-fisico di un certo valore in Germania.
Quello che colpì di lui fu il mento sfuggente e la distribuzione anomala del grasso corporeo che nemmeno la veste talare nera riusciva a camuffare, nonché lo sguardo che sembrava venire da lontano, uno sguardo dolce che forse voleva invitare gli scienziati a restare sempre tranquilli e sereni anche nel pieno di una tempesta.
Poi si venne a sapere che il monaco era famoso per i suoi frequenti e perturbanti affondi nel soprannaturale, con un occhio rivolto alla fantascienza, senza che mai si dimenticasse la dimensione qualitativa e quantitativa del tempo.

C’era, però, un altro aspetto della sua personalità. Secondo quanto riferito da un uomo illustre lì presente, per giorni e giorni Sigfrid aveva il pensiero sempre rivolto al sole ed alle altre stelle, come in una lunga contemplazione dell’eternità, e poi, a giorni alterni, sentiva il desiderio di fumare l’oppio cinese o d’ingerire le droghe più nocive.
Inoltre saltò fuori che prima di prendere i voti, Sigfrid Craus fosse stato un tipo ossessionante, cinico e mistificatore.
Dopo appena un’ora, degli scienziati un po’ maligni sostennero che passasse il tempo a fermare il vento della giovinezza fuggiasca, prendendo al mattino dieci grammi di rapamacina, che si trova solo nell’Isola di Pasqua, una sostanza che ha davvero il pregio di allungare la vita del 38%, con danni collaterali da non trascurare.

***

Infine, all’ora di pranzo, si alzò un anziano geofisico inglese, un certo Ralph Gynt. In un misto di spagnolo ed inglese, disse di essere a conoscenza che da giovane, Fra Kraus era stato un libertino e che aveva vagato in varie città dell’“Europa dei Lumi”, alla ricerca del piacere sessuale, ovvero, di “molteplici e copiose pratiche amorose”. Si disse che proverbiali fossero state le sue unghiate al moralismo, sostenendo, appunto, che era una fandonia quella dei vizi e delle virtù.
Io, però, devo dire che a tutte queste cose ho creduto solo in minima parte.

***

Poco dopo, Fra Sigfrid si sedette sullo scranno più antico che c’era, s’accarezzò la barba, osservando i presenti con i suoi occhi d’un azzurro evangelico, e poi disse queste bellissime frasi:
“Prima di ogni altra cosa, mi sia concesso di parafrasare il grande poeta Walt Whitman per ricordarVi che Il traboccare dell’universo è in noi”, che Il Fasciame della Creazione è Amore e che l’Universo è una processione dal movimento lento, regolare e perfetto.
“A Volte, – aggiunse – è molto bello anche il profondo respiro del tempo, nonché gli echi d’infinito che sono sparsi un po’ dappertutto, come ben sappiamo. Per non parlare dell’intenso e vivo rapporto con la totalità cosmica. Del resto, chi di voi, almeno una volta, non ha perso un po’ di tempo nella ricerca spasmodica di questo rapporto?
“Comunque – proseguì – la cosa più importante è la Fede, ricordandosi, però, che non c’è Fede senza sangue.”
Dopo un minuto di silenzio, il monaco iniziò a disquisire su HOK1-hok1, dicendo quanto segue:
“Questa massa, in parte solida ed in parte gassosa, dopo il BIG BANG avvenuto 13 o 15 o 20 miliardi di anni fa, si è staccata incidentalmente (o volutamente?) da un corpo celeste. Di lì a poco, ha cominciato a vagare per milioni e milioni di anni da una galassia all’altra, allo scopo di sfiorare, con precisione ed astuzia, miliardi di stelle, assorbendone luce e calore.”

***

Dopo un po’, Fra Craus si alzò in piedi, si aggiustò la veste talare nera col cappuccio, ed incrociò le mani sul petto, come se avesse voluto mettere in evidenza il suo aspetto non privo di una certa dignità ecclesiastica.
Alla fine concluse dicendo: “Che vi piaccia o meno, v’informo che i duecento alieni, fra scienziati, aviatori e tecnici, a bordo del nostro HOK1-hok1, si caleranno sul suolo terrestre, vicino alla Rocca di Gibilterra, all’ombra delle Colonne d’Ercole, ovvero, a cento passi dalla fine della Terra, e lì faranno sosta, perché un po’ di riposo è necessario anche agli alieni, che sono pur sempre creature di Dio. O no?
Ah!, dimenticavo – aggiunse Fra Sigfrid – Dio non voglia che prima o poi si verifichi il passaggio di una cometa nell’orbita terrestre, poiché questo evento minaccerebbe l’equilibrio climatico del nostro pianeta!”
Ebbene, non ci fu uno scienziato che avesse commentato la cosa. Seguì invece un silenzio di tomba. Dopo di che, tutto ciò che aveva detto Fra Sigfrid, venne accolto per il 5% con fischi di moderato scontento, e per il 95%, con urla e gesti d’incredulità e d’inequivocabile disapprovazione. Ma ci fu un vecchietto, (un meschinello, fu definito), affetto da una forma sui generis di strabismo, che se ne venne fuori col dire: “Però, cari colleghi, come è stata bella ed illuminante la continua allusività analogica e simbolizzante del nostro Craus!”
Non finì nemmeno la frase che si buscò uno scappellotto da uno scienziato, un certo Adrien Dubois, con la testa rasata a zero ed un paio di baffoni, arrivato fresco fresco dalla ventosa Normandia, il quale, rivolgendosi ai presenti, disse:
“Pardon Messieurs, non sembra anche a Voi che Fra Sigfrid abbia quell’ansia insaziabile di dimostrare a tutti le sue conoscenze sugli enigmi di questa vita e dell’altra?
E poi, non Vi pare che voglia fare anche il predicatore con la verità in tasca?
N’est pas, Messieurs?”

***

Passò novembre, durante il quale pareva che la pioggia fosse diventata eterna. In Spagna, molti ricordano che un giorno, a Saragoza(2), precipitò una tormenta d’acqua e tuoni che lasciò l’antichissima città in stato di naufragio.
Poi arrivò dicembre con cortissimi e bellissimi meriggi di topazio.

Durante la terza conferenza, tenutasi nel “Convento de Las Trinitarias Descalzas” (dove sembra che Luigi Boccherini abbia composto il famosissimo quintetto per archi), un’altra ipotesi la tirò fuori John Smith, che per il 50% era marinaio-marconista sul transatlantico Queen Mary, e per il 50% un astro-fisico.
Quando John entrò nella sala, suscitò una certa impressione non tanto perché era alto e robusto, quanto per il fatto che aveva il doppio mento, una testa molto piccola ed un naso a punta così lungo che di profilo sembrava un tucano.
Proprio a quell’ora, il transatlantico, vanto della Marina Britannica, avrebbe dovuto oltrepassare lo Stretto di Gibilterra, ma per un guasto nella sala macchine, aveva gettato l’ancora proprio nel punto in cui lo stretto è largo poco più di quattordici chilometri.

***

Ormai, sia l’Ammiraglio che il Comandante ed i membri dell’equipaggio sapevano che nei momenti di calma a bordo, a John Smith piacesse far credere ai marinai che “oltre l’eternità c’è l’abisso”, oppure che “l’eternità è come un deserto di neve di notte”.
“Per quanto mi riguarda – disse serio un giorno – vorrei solo evitare che la mia anima si sminuzzi in miliardi di particelle di atomo. Non chiedo altro al Signore!”
Dopo dieci minuti che parlava, si seppe che quando John beveva due bottiglie insieme di J & B, diceva frasi molto belle, con significati profondi, ma di senso diverso o contrario fra loro.
A seconda del grado di ubriacatura, infatti, John diceva che “nell’aldilà c’è solo il nulla immerso nel niente”. Altre volte, invece, che “l’aldilà è solo un silenzio di morte”, ma in questo caso, dopo il trapasso si può ascoltare l’eco dell’ultimo nostro respiro.
Una volta disse addirittura che “dopo il trapasso, finisce di esistere il corpo fisico ed incomincia il corpo luce per entrare nel mondo fotonico”.

***

Un giorno il suo amico Alfred Clipper disse in un bar:
“Vedete, in certi giorni, il mio amico John è afflitto da lievi disturbi psicotici. In altri, invece, sembra davvero un pazzo, ma in compenso, è un maniaco dell’autocontrollo. A tale riguardo io penso sia giusto ciò che dicono alcuni psicanalisti, e cioè che “nessun pazzo è pazzo se ci si adatta alle sue ragioni”.

***

Comunque sia, quel giorno John Smith si alzò e disse a ruota libera: “Ascoltatemi, signori. Questa massa non è altro che un agglomerato tecno-spaziale, che funziona con migliaia di pile atomiche. So che ha attraversato milioni di spazi siderali, con all’interno 110 alieni, fra tecnici, aviatori e scienziati di un’intelligenza superiore a noi sconosciuta”.
“Siccome io vedo che Voi non mi credete – disse John risentito – niente ora mi vieta di ricordarVi che la logica della cibernetica, applicata alla Storia dell’Universo, è sulla via di dimostrare come nelle Galassie, nel Sistema Solare e sulla Terra, LA VITA CELLULARE NON POTESSE NON NASCERE” (n.d.r).

Quindi, proseguì dicendo: “Da qui arrivare a pensare che esista una forma di vita – e badate bene, non solo animalesca – in qualsiasi parte dell’Universo, il passo è breve. O no?”
Tutti rimasero in silenzio e visibilmente increduli. Allora, disse John Smith: “A questo punto, io Vi consiglierei di leggerVi attentamente «L’equazione» di Drake, così vi convincerete che nel Sistema Solare sono state contate ben cinquemila civiltà aliene.
Che lo crediate o no, l’agglomerato è arrivato qui, alla Rocca di Gibilterra con 110 esseri viventi a bordo, tutti alieni piccoli e inoffensivi.
Ora, chi di Voi – domandò minaccioso John – pensa che le cose che ho detto siano il frutto di una mente malata? Se ha coraggio, faccia un passo in avanti!”.
Ebbene, non rispose e non si mosse nessuno dei presenti, che rimasero lì, di stucco, a scambiarsi solo risatine sciocche. Ma dopo un poco, per il timore di essere malmenati da quella montagna di muscoli, si alzarono e corsero fuori nella notte buia, pur sapendo che sarebbero andati in contro alla pioggia, al vento ed al gelo.

***

Nei giorni successivi si parlò ancora della massa spaziale che cominciava davvero a preoccupare un po’ tutti.
Fu questo il motivo per cui nell’ultima giornata di aprile, mentre in cielo zinzilulavano le rondini, fu indetta una quarta conferenza in una sala del Museo Nacional del Prado, durante la quale si alzò in piedi un ex Ufficiale della Marina Militare Italiana, un certo Gino Colò di Faenza.
Non sfuggì il fatto che il Colò avesse la testa veramente attaccata alle spalle. Ciononostante, si era laureato a diciotto anni, con 30 e lode, in astrofisica, in chimica e matematica.

***

In tarda mattinata si mormorò che nel passato fosse stato un voltagabbana senza scrupoli: prima era stato socialista, poi fascista, e poi ancora comunista.
Tra l’altro, a momenti sembrava “vestito di strati d’indifferenza”, come si usa dire fra persone colte. In altri, invece, era un tipo alla mano, anzi, un po’ sempliciotto e ridanciano.
Una volta, in un ristorante, dandosi un po’ d’importanza, il Colò aveva domandato ai commensali suoi amici: “Lo sapete Voi che in una notte di agosto io ho visto con i miei occhi una spettacolare esplosione della stella SUPERNOVA?
Gli amici si scambiarono solo un’occhiata, senza fare UUUUH!, OOOOH!, come l’amico aveva sperato.
Allora, dopo un po’, l’ex Ufficiale della Marina chiese: “Secondo voi, cosa può venir fuori, dalla combinazione dei fluidi con i solidi?”.
Era seguito un lungo silenzio, dopo il quale Gino aveva continuato, dicendo: “Da un Lui ossigeno e da una Lei idrogeno, ci nasce solo un fuoco devastante! Non so se mi sono spiegato!” fece ridendo sotto i baffi.
Ma i suoi amici, essendo alle prese con delle squisite cosce di pollo, aromatizzate con bacche di ginepro, non avevano prestato molta attenzione né a quell’ossigeno, né a quell’idrogeno, anche perché non erano riusciti a capire se l’amico Gino aveva detto questa cosa per scherzo oppure no.

Dopo un po’ si sparse la voce che il Colò avesse navigato per trent’anni a bordo della Nave Scuola “Amerigo Vespucci”, e un anno dopo l’altro, avesse studiato al telescopio le caratteristiche e gli aspetti più affascinanti delle 88 Costellazioni della Terra, nonché i nostri pianeti gemelli Urano e Nettuno.

***

Ora il Gino si fumò una sigaretta turca e poi, lisciandosi i baffi un po’ arruffati, disse: “Sappiate, Signori, che questa massa non è altro che un meteorite di notevoli dimensioni, in altre parole, ciò che è rimasto di un asteroide”.
Ma gli scienziati, che ne avevano sentite di tutti i colori, cominciarono a ridacchiare, dandosi allegre gomitate. E il Colò reagì dicendo: “Signori miei, siccome io vedo ridacchiare, lo sapete cosa accadde in quello che fu chiamato «L’Evento di Tunguska?» Ve lo dico io: il 30 giugno 1908, nella Siberia Centrale, cadde un enorme meteorite che causò una vera catastrofe. Per dirne una, abbatté oltre sessanta milioni di alberi! So bene – proseguì – che questi sono casi rari, eppure accadono quando meno ce l’aspettiamo, perché i meteoriti ti piombano giù sulla Terra con una velocità di 54.000 chilometri all’ora!
Ora, però, io vorrei dire una cosa sia a voi che a tutti i gatos: aspettate ad avvicinarvi al meteorite, almeno fino a quando non si sia ben raffreddato, altrimenti qualcuno ci lascia la pelle!”

***

Seguirono dei giorni in cui la stampa riportò ancora le più disparate teorie di alcuni scienziati che non approdarono a niente, ma dopo un mese e mezzo circa, accaddero dei fatti molto strani.
La cosa più brutta fu che il HOK1-hok1, come se non fosse stato un meteorite, ma una cometa, non solo non portò niente di buono, ma si tirò dietro venti di guerra che poco dopo avrebbero gettato nel caos tutta l’Europa, ad eccezione della Svizzera, dei Ducati, dei Principati e di tutte le Repubbliche mignon, che fin dal Medioevo si erano mantenute neutrali ed avevano lasciato che le guerre le facessero gli altri.

***

Io penso che non ci sia un madrileno che non si ricordi del giorno in cui HOK1-hok1 si spostò al centro della Penisola Iberica, sopra Madrid. Anche qui fece una sosta di due giorni, e la notte successiva (__la lunga notte di poche larghe stelle__), lanciò dei bagliori accecanti. Chissà, forse per avvisare qualcuno che “avesse avuto occhi ed orecchie per intendere” che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa di tragico, anche una guerra civile…
Ora, mentre in vari locali della Capitale si beveva del cognac Carlos 1°, del brandy Fundador e della Sangria, alcuni madrileni, ancora svegli, constatarono dalle loro finestre che i bagliori lanciati dalla massa si stavano trasformando in fuochi d’artificio(3), paragonabili, per la loro bellezza, a quelli della più fantasiosa arte pirotecnica cinese.

***

I fuochi artificiali durarono tre notti di seguito, dopo di che, HOK1-hok1, con uno violentissimo strattone, si staccò dai tre fumaioli della Queen Mary e schizzò subito in alto, dirigendosi verso il sole del mattino. Poi, con grande stupore dei Madrileni, sparì in tre secondi, lasciando centinaia di migliaia di Spagnoli lì, increduli, col naso all’insù, e con la mente ossessionata da interrogativi senza risposta.
Passò una settimana fra indagini, convegni e conferenze, e dopo altri due mesi senza alcuna novità, sembrò che la cosa fosse caduta nel silenzio. Ma non fu così, purtroppo.

***

FORSE LE COSE SI STANNO METTENDO MALE

In quei giorni, infatti, il Generalissimo Francisco Franco mise in pratica quello che aveva nel buzzo da tanto tempo, ovvero, dichiarò guerra alle forze militari governative.

***

Nella prima metà del 1936, nella Capitale ci furono le prime scaramucce fra i due schieramenti, ma dalla seconda metà di Luglio in poi, ogni giorno, sempre “a la cinco de la tarde”, scoppiarono veri e propri tumulti nelle vie centrali di Madrid, con scontri sanguinosi all’arma bianca, che a loro volta dettero il via ad altri scontri con pistole spagnole, pistole tedesche Mauser C96, fucili italiani Beretta, mitragliette, mitragliatrici, lupare, bombe, lancia-fiamme e bombette a mano.
Sembra che ad uno dei tanti scontri avesse partecipato anche il grande poeta e drammaturgo Federico Garcia Lorca(4) che allora aveva trentasette anni.
La stampa parlava spesso di lui, perché da quando aveva 28 anni, nutriva un sentimento molto profondo per il grande pittore, originalissimo e un po’ matto, Salvador Dalì(5), come si può intuire leggendo questa sua poesia intitolata “Ode a Salvador Dalì”:

“Ma anche la rosa del giardino dove vivi /Sempre la rosa, sempre, nord e sud di noi stessi”
E poi lo invita a non scordare l’importanza del sentimento d’amore e la sua verità umana:
“Non è l’arte la luce che ci acceca gli occhi / Prima è l’amore, l’amicizia o la scherma”

***

Così, picchia e mena, scoppiò la guerra civile, detta anche “la Guerra di Spagna”, durante la quale parteciparono gruppi armati provenienti da varie parti del mondo, come la Francia, il Messico, l’Unione Sovietica, la Germania, il Portogallo e la Polonia.

Non passò molto tempo che il Generalissimo Francisco Franco ritenne molto improbabile vincere la guerra senza l’intervento massiccio di forze militari italiane. Così, mise in moto la diplomazia, ma senza alcun risultato.

***

In quei giorni, infatti, sembrò che Mussolini ritenesse problematico, se non impossibile, inviare in Spagna forze militari italiane già impegnate altrove.
Passato un po’ di tempo, però, vuoi perché si ritenne necessario seguire le mosse militari in Spagna dell’ex imbianchino di Berlino, vuoi perché così volevano ormai i libri di storia, fu inviato in Spagna un primo contingente di trentamila uomini, fra camicie nere e militari appartenenti ad ogni arma, che dall’anno 1936 all’anno 1939, arrivarono ad oltre settantamila.

***

Dice la leggenda che fra i piloti tedeschi che Hitler aveva inviato in Spagna, ci fosse stato un certo Manfred Von Richtofen Junor, presunto figlio del Barone Rosso. Questa notizia, però, mi fu confermata solo al 15%.
Comunque sia, al ventenne Manfred Von Richofen non portò certo fortuna portare questo nome, perché il giorno dopo che era arrivato in Spagna, bello, pimpante e con la divisa nuova fiammante, fu inviato in missione in Marocco, dove il suo aeroplanino verniciato di rosso fu abbattuto in mezzo al deserto e, purtroppo, del suo corpo non si trovò la benché minima traccia, nemmeno fra le immense dune di sabbia.

***

Sta scritto che durante i tre anni di guerra, furono inviati in Spagna decine e decine di aerei militari biposto, migliaia e migliaia di aerei bombardieri, per non parlare di centinaia di carri armati di vario tipo, e, forse forse, camion, camionette, camioncini, moto-Guzzi, motociclette e sidecar.

***

Fin dal giugno del ’36, alcuni appartenenti allo spionaggio (o al controspionaggio, chi poteva dirlo allora?) sparsero la voce che in cambio dell’intervento militare italiano in Spagna, Benito avrebbe chiesto di entrare in possesso dell’Estremadura e della Catalogna, ma in seguito risultò tutta una montatura per screditare l’ex maestro di Predappio.

Fatto singolare di quel periodo, riportato anche nei libri di storia, fu che a migliaia di giovani soldati italiani fu dato l’ordine di rimontare pezzo per pezzo l’incrociatore Canaris, la più grande nave di proprietà dei nazionalisti.

***

Parentesi – per quel luglio del 1936

A volte, mentre io scrivo, ho la sensazione che il lettore non creda che le cose siano andate così, e mi dispiace. Comunque sia, risulterebbe che i primi di luglio del 1936, trentamila camicie nere approdarono alla costa ispanica. Ebbene, non solo indossavano ancora l’equipaggiamento pesante invernale, ma erano armati fino ai denti, e in bocca avevano ancora il sapore degli spaghetti alla pomarola e della pizza margherita.

***

Parentesi storica-introspettiva
per quel dicembre del 1936

Devo confessare che quando io scrivo qualcosa che riguarda l’Italia e gli italiani, la mia mente ritorna molto indietro nel tempo, quando io avevo meno di due anni, e sul mio visino c’erano ancora tracce di crosta lattea o lattime, che dir si voglia. Forse – io penso – che sia questo il motivo per cui, durante la parata del Duce del dicembre del ’36, nella mia città di Livorno, egli accarezzò tantissime bambine infiocchettate, e tanti bambini, ma non accarezzò me.
Se ben ricordo, mi fece addirittura gli occhi truci e mi scansò, premendo la sua manona sul mio braccino sinistro, sotto gli occhi tristissimi di mia madre.

***

Parentesi storica- letteraria

Eravamo nel dicembre del ’36, come si è detto, eppure sembrava che in Italia fosse ancora vivo il ricordo della “pace mutilata”, chiamata così dal poeta Gabriele d’Annunzio, da questo poeta pescarese che fu grande in tutto, anche nello spendere e spandere i soldi di Eleonora Duse (innamorata di lui), fino a ridurla quasi in povertà. Già, perché così è l’amore quando è a senso unico, quando acceca, quando è torbido ed egoista. O no?

[continua]


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine