Anugal - come il glicine nell’acqua

di

Mario Della Loggia


Mario Della Loggia - Anugal - come il glicine nell’acqua
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 344 - Euro 15,00
ISBN 978-88-6587-4608

Libro esaurito

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore


In copertina fotografia di Mario Della Loggia


Prefazione

Con il romanzo “Anugal – Come il glicine nell’acqua”, Mario della Loggia dimostra di possedere sorprendente creatività e dirompente vena fantastica, accompagnate da qualità di scrittura, che può ben definirsi, di straordinario narratore, capace di miscelare le caratteristiche del genere fantasy con il romanzo d’avventura che riconduce ai canoni classici del genere, tra reale ed immaginifico.
Emerge prepotente il piacere della narrazione e la passione nel creare ambientazioni fantastiche, alimentando trame con imprese mirabolanti e, con mano sapiente, forgiare la qualità delle figure dei personaggi che vengono mossi nell’intreccio di vicende che hanno un ritmo sempre incalzante, costellate da colpi di scena e atmosfere magiche, come a seguire l’alternarsi di un continuo gioco narrativo, che esalta la fervida immaginazione dell’Autore, capace di tenere il lettore inchiodato fino all’ultima pagina.
La storia ha inizio con un viaggio intrapreso dal giovane protagonista Aner, attraverso Anugal, la misteriosa laguna di Clugia “l’unico accesso verso il mondo dei soli umani”, la porta verso il “trascorrere logico che univa il passato al futuro” e che rappresentava la linea di confine tra Anugal, il vuoto nel senza tempo, e tutto il resto con il suo “esistere temporale e spaziale ordinato”.
Gli antichi abitanti di Anugal erano una razza di maghi, chiamati Igham, capaci di generare la famosa Energia ed erano gli ancestrali difensori della Porta: l’Atrop era “l’ingresso e l’uscita che non dovevano essere varcati”, apertura spazio temporale che celava un segreto custodito dai maghi per difenderlo dai demoni e dagli ultraumani, nonché da tutti coloro che volevano varcarlo senza il “permesso”.
Il viaggio di Aner, con l’amico Necronio, condurrà oltre le “terre conosciute” e sarà un cammino periglioso, caratterizzato da un costante susseguirsi di eventi che lo metteranno a dura prova ed imprevedibili avversari, tra i quali il “Mietitore”, l’assassino che gli dà la caccia, ma, nel suo cammino, troverà anche insperati alleati, fino a condurlo in una dimensione spazio temporale che rappresenta un immaginifico “oltre”.
Il protagonista Aner dimostrerà di possedere coraggio da vendere, di essere capace di acquisire la forza necessaria nel suo animo e di raggiungere la “giusta consapevolezza” come in un percorso iniziatico, per contrastare i numerosi pericoli che si presenteranno: si inoltrerà nell’isola murata dell’indeterminatezza, chiamata Philistina, la terra del “senza contrasto”; nella galleria scotoleuca e nella terra della speranza e nel bosco del glicine, fino all’avamposto infernale dove troverà il “traghettatore”, l’unico che può trasportarlo alla Fortezza, dove risiede l’Origine, dove era custodita l’energia primordiale della vita stessa. Così narrava la leggenda e lui era la “speranza che il mondo aveva per poter sperare di ricominciare”.
Non a caso, nella narrazione, la sua vita sarà paragonata al glicine “con il suo tronco più vigoroso di qualsiasi albero”: Lui è il predestinato, “l’unico che già prima di nascere avrebbe potuto”.
Come si può ben immaginare si assisterà ad un tuffo nella vertigine dell’immaginifico con la presenza di personaggi del genere fantasy come gli Eferi, della grande famiglia degli Elfi; gli Hinomed, i demoni; i ciclopi chiamati Trisom o gli Icrop, gli orchi divoratori, giusto per citarne alcuni e non togliere la curiosità a coloro che leggeranno “Anugal”.
Sembra che tutto non abbia senso, ma la scena finale spiegherà ogni cosa: “l’inizio, la fine e la morte”.
E, come in un gioco di magia, ecco che la Morte diventerà “la più grande alleata della Luce e della Vita”.
La linea di confine “tra il concepibile e l’incomprensibile”. Come Anugal.

Massimiliano Del Duca


PREMESSA

Cosa vieta a racconti, a storie ed a cronache, tra loro apparentemente slegati, svincolati da ogni nesso comune, di appartenere alla realtà, o meglio, alle realtà di un unico soggetto, di un solo uomo?
Mi riferisco a quei momenti di vita, a quei pezzetti di essenza difficili da collocare in modo logico nello spazio e nel tempo, a volte addirittura impossibili da riconoscere come tali, dei quali in qualche modo rimane una traccia e che, nella loro totalità, raccolti insieme, vanno a costruire un’unica esistenza completa.
L’esistenza compiuta di un solo protagonista, appunto.
Queste vite trovano il modo di essere, non solo nella semplice materialità o concretezza che dir si voglia, ma pure nelle più assurde astrattezze, nella più assoluta indeterminatezza. Si servono anche dell’inconsistenza dei sogni per abitare persino quegli spazi ai margini della consapevolezza oppure si aggrappano alle leggende per rimanere ancorate ai ricordi delle labili menti degli uomini.
Partendo da questo e con un minimo di pazienza e di fiducia come alleate, capirete che la prima parte del libro non è ciò che a prima vista potrebbe sembrare e cioè una semplice raccolta di accadimenti, alcuni dei quali perfino con una struttura leggera tipica delle fiabe più scontate, ma qualcosa di più complesso ed articolato. Immaginate dei frammenti ancora da raccogliere, dei tasselli di un mosaico di un unico destino, tracciato, ma non ancora assembrato.
Accompagnerete un uomo in un viaggio, organizzato dagli architetti della fatalità, attraverso Anugal, la misteriosa laguna di Clugia, che spesso oltrepasserà i confini più accettabili e tollerabili e che lo spingerà lontano, a vagare al di fuori delle solide e solite dimensioni spazio-temporali.
Un uomo forte anche delle sue fragilità che saprà ricostruirsi e fortificarsi attraverso le incredibili avventure e le inammissibili situazioni che gli piomberanno addosso, contro avversari inverosimilmente pericolosi e potenti, spesso nascosti nel suo intimo, che cercheranno non solo la sua fine, ma anche quella di ogni cosa.
Con la consapevolezza, alimentato dalla speranza, diverrà padrone delle sue emozioni e fortificherà la sua tenacia al pari dell’intraprendente glicine, il “non tronco” più vigoroso di qualsiasi vero albero, che per colorare i suoi meravigliosi fiori dovrà raggiungere il cielo intrecciando, contorcendo e fondendo le sue radici.
Troverà alleati del tutto inaspettati, amici insoliti che lo aiuteranno ed un amore che valicherà ogni frontiera di questo mondo e degli altri mondi.
Nulla vi anticipo dell’epilogo se non che ognuno di noi lo dovrà cercare e trovare nel proprio cuore, tralasciando la testa.
A questo punto immagino la vostra delusione.
Ecco il solito libro pretenzioso che dopo essersi spinto oltre ogni buon senso, tra qualche frase ad effetto e concetti strampalati, sicuramente azzardati, conclude nel niente.
È questo che state pensando, oppure mi sbaglio?
Ebbene non è così!
Vi assicuro che una fine c’è!
Una vera fine; una conclusione che, penso, vi soddisferà!
Non dovrete, però, dimenticare, e scusate se insisto, che questa storia, evasa dalla prigione della razionalità, si è nutrita della vera libertà, di una originaria indipendenza e, per tale motivo, la fine non è la conclusione, il compimento di ogni cosa, ma semplicemente una delle tante altre cose di un’esistenza che non ricorda nemmeno un inizio.
Provate a pensare ad una porta, ad una porta che possa aprirsi verso infinite possibilità oppure sempre, inesorabilmente, nella stessa stanza.


Anugal - come il glicine nell’acqua


…a Letizia e Lillino


INTRODUZIONE

“Quando il senso annega nell’inspiegabile gli occhi devono essere accecati e l’abituale via del discernimento abbandonata per non essere sorpresi dall’agguato dell’inganno e finire per sempre rinchiusi nella prigione di illusioni e sogni che mai verranno smascherati”.


Ci sono momenti in cui una circostanza esistenziale ritenuta un’invenzione della fantasia, apparentemente relegata nella confusione dell’astratto e nell’inerzia dell’immateriale, cavalcando il ricordo rimane impigliata nella maglia della coscienza e diviene.
Senza estensione e confini si distende sull’eternità e si ritira nell’invisibile, libera e prigioniera del non scorrere, orfana di un passato che, mai nato, non può morire nel presente ed esente da un futuro che mai arriverà se non nelle parole insidiose ed ingannevoli dei veggenti e dei maghi.
Là, dove i colori che non esistono dipingono la compiutezza dell’oscurità e l’inconsistenza della luce, regnano gli opposti ed i contrasti legittimati da criteri e regole inammissibili che non concedono scelte e bandiscono la certezza. L’assurdo è l’unica possibilità di coerenza, il niente è la materia, l’eternità è l’istante ed il mai è il sempre.
Là, dove la ragione si dissolve già prima di comporsi e la percezione perdendosi nell’impossibile arriva persino a negare se stessa, le abili mani di un progetto inaccettabile impastano ammassi amorfi di non esseri e di niente in attesa della forma e dell’essenza.

Può succedere, a volte, che tale congettura dell’irrazionale, di solito rinchiusa nelle prigioni dell’inconscio, possa evadere e, oltrepassando i confini leciti, affiorare nel concepibile e mostrarsi con i tratti voluti dalla ragionevolezza per quel tanto o quel poco che il nostro scorrere non sa nemmeno se collocare nel prima o nel durante, ma sufficiente per essere colta dai comuni sensi e non essere abbandonata nell’inammissibile.


ANUGAL
(Una possibile realtà)

La nebbia fitta, incollando l’acqua al cielo e nascondendo fino all’approdo i numerosi lembi di terra, fa apparire tutto magicamente sospeso. I primi raggi del sole, indeboliti dalla corsa estenuante in quella densa gruma grigia, arrivano stremati, quasi spenti, sulle dolci ondulazioni di un’acqua senza colore.

L’odore salmastro del primo mattino si conficca ovunque e si posa su ogni cosa prima di essere attenuato da una brezza fredda e rorida che, trapassando molte fragili barriere e ancor più i panni della miseria, pietrifica le ossa e gela persino l’animo.

I numerosi canali che si incrociano a vari livelli formano un intricato graticcio, una rete inesplicabile piena di insidie, permessa a pochi, che alimenta e deruba ritmicamente le panie salate ed imprigiona le incostanti barene schiave dell’umore capriccioso delle onde e le motte, spesso in debito con le maree, foderate di salicornie, tamerici e flessuose canne che cantano al tocco del vento.

E le cose volute dagli umani e non; le fortificazioni, gli avamposti, le prigioni e, nei lidi più estesi, addirittura vere e proprie cittadine spesso cinte da mura, le porte dimensionali e gli accessi translivellari, in una dinamica non propriamente usuale, ma in qualche modo ristabilita, reintegrata in un divenire più ordinato nel quale il presente riesce a fuggire dal passato e a correre verso il futuro.
E poco importa se mai lo raggiungerà!

E con gli uomini finalmente i racconti e i ricordi che allontanandosi sempre più dalla fonte smarriscono ogni identità conservandosi tra leggenda e verità.

Infine i sogni, capaci di ogni cosa.


PARTE PRIMA

LA REALTÀ, A VOLTE, SI LASCIA TRASPORTARE DALLE ONDE DEL VASTO MARE DELLE LEGGENDE


Capitolo 1


LO SCOGLIO DELLA DISOBBEDIENZA

“Un piccolo gesto che l’apparenza giudica banale può essere padre della sconfitta più grande”.

(targa muro nord dell’Ottagono)

Sorgeva dove l’acqua sembrava più calma.
Più che una piccola isola era un grande scoglio, un grosso sasso scuro dalla forma particolare, quasi un blocco, con spigoli ed angoli, che qualcuno aveva scolpito insieme alla natura, ricoperto nelle parti a pelo d’acqua da una spessa coperta ondulante, tessuta da fluttuanti e aggrovigliate fronde di alghe brune che terminavano con grappoli di piccole vescicole carnose più chiare, pronte ad esplodere, sotto la quale un numero inimmaginabile di molluschi e di piccoli crostacei vivevano freneticamente la loro breve esistenza cercando un riparo dagli attacchi improvvisi delle pettegole, delle sterne e dei fraticelli.
Tutt’intorno, schiave delle ciclicità del mare, separate ed unite da un labirinto di sinuosi ghebi e di subdoli, incostanti, passaggi, le barene e le tabule che si espandevano e si restringevano. Un mondo dinamico ed instabile che, protetto proprio da quella continua mutabilità e da quella insidiosa imprevedibilità che non permetteva accessi sicuri e riferimenti costanti, aveva trovato il perfetto equilibrio, il compromesso duraturo tra distruzione e creazione e sul quale poco avevano potuto la corruzione del tempo e, grazie al cielo, la naturale sprovvedutezza degli uomini.
Quel piccolo, apparentemente insignificante pezzetto emerso non era semplicemente un sasso! In realtà, poteva essere considerato il centro dell’Anugal visibile perché emergeva laddove la più grande concentrazione di energia pura si accumulava; dove già dapprima dell’origine che possiamo immaginare, prima di quello che consideriamo l’inizio, forze contrapposte si combattevano nella piena indipendenza, senza l’intermediazione delle motivazioni, libere dal concetto del male e del bene, dall’inquinamento del rimorso e dalla insoddisfazione del rimpianto.
Era la punta, l’estremità di una struttura indefinibile che, per qualche irragionevole motivo, per qualche indecifrabile disegno, si voleva visibile. Il picco di una montagna innaturale che affondava le radici nel centro della terra e che nel suo ventre, alla dura roccia mescolava l’inconsistenza dell’immaterialità degli spazi interdimensionali senza tempo.
Quell’improbabile isolotto, conteso dai contrasti, era l’avamposto visibile, ancora concepibile, di una struttura stratificata a livelli che sprofondando nell’oscurità si allontanava sempre più non tanto dalla luce quanto da una logica sostenibile; un ponte che pareva connettere la dimensione umana e temporale al senza tempo, all’indefinibilità libera dalle catene dello scorrere e non assoggettata ai limiti.
Quell’inospitale accumulo di pietra, quell’umido, salato, dosso roccioso, seppur tanto ristretto, per molti millenni, secondo l’umano avanzare, era stato abitato da un’antichissima razza di maghi, gli Ihgam, i difensori dell’Atrop l’ingresso e l’uscita che non dovevano essere varcati, dalla forma, anch’essa, non casuale, distante dalla semplice fessura che un naturale anfratto pretende, che si apriva senza infissi, apparentemente senza chiare difese, dal lato che guardava a settentrione, il più nascosto ai raggi della luce, ma comunque troppo evidente per passare del tutto inosservato agli occhi meno distratti.
Un accesso che chiaramente tradiva un fine, un’apertura che aveva un segreto che per tanto tempo quei maghi avevano custodito e difeso dai demoni e dagli ultraumani, dagli altri maghi e dalle streghe, dagli incubi, spiriti ambulanti donatori della paura e del vuoto e da tutti coloro e da tutte quelle cose che avevano tentavano il passaggio senza il permesso, senza il Kho.
Avevano scelto sembianze umanoidi e dimensioni molto ridotte, oltre ad un aspetto buffo e assai grottesco per i normali canoni umani ed incanalato la loro intera esistenza all’ombra di ogni forma di protagonismo e lontano dalla curiosità degli altri.
La loro pelle, spessa come la cotica, aveva un colorito che un’indecisione di base, supportata da una scelta mai fatta, aveva collocato nell’indefinibilità, in una sfumatura mai risolta tra il verde marcio e il grigio fango. Una faccia minuta esaltava il già grosso e camuso naso che la occupava quasi interamente, mentre una bizzarra apertura, posta tra labbra sottili, appena accennate, derubava lo spazio tra le mascelle e sovrastava un mento rincagnato e sfuggente.
Ma, strano a dirlo, ciò che rendeva il loro aspetto irresistibilmente amabile e decisamente simpatico erano le orecchie che avevano decisamente esagerato nell’accaparrarsi lo spazio ai lati del cranio ed il rado cespuglietto di peluria albina, alquanto diradato, che ridicolizzava un cuoio capelluto che un minimo di accettabilità avrebbe preferito sicuramente glabro.
Si nutrivano per imitazione, scimmiottando meccanicamente le altre creature visto che il cibo per loro non aveva alcuna necessità di essere e che erano del tutto privi del senso della fame e, quando la situazione lo permetteva, amavano giocare come bambini e lottare con i molluschi e con gli insetti dando uno scopo a muscoli dei quali avrebbero potuto benissimo fare a meno.
Così erano o, almeno, volevano mostrarsi durante l’Anasopir, il Tempo senza Unione. L’aspetto curioso, l’incedere bizzarro, le piccole dimensioni e la gran voglia di giocare erano le caratteristiche del travestimento che quei commedianti nati avevano deciso di adottare nei momenti della calma e della tregua.
Ben diversa era la loro realtà così come era ben lontano da quello che appariva il vero senso del loro esistere. Il compito a cui erano stati chiamati come guardiani del pertugio interdimensionale, attraverso il quale gli ultraumani avrebbero potuto invadere il tempo concepibile ed inquinare definitivamente il naturale divenire, era di importanza estrema.
Grazie alla magia, alla sublime capacità incantevole e alla perfetta organizzazione, che venivano esaltate dall’imminenza del pericolo e dalla vicinanza dell’insidia, quei folletti, quei trascurabili nanetti, compenetrandosi, aggregandosi e unendosi nel Nucleo, al Gran Maestro Oibaf, erano in grado di generare l’Aigam, la barriera energetica, un’unica, enorme, concentrazione di potente forza destabilizzatrice che servendosi di illusioni e miraggi ingannava l’evidenza ed induceva disorientamento e smarrimento nei mostri invasori, nascondendo l’Atrop.
Allontanatosi il pericolo, la grande magia, che per molto non poteva essere sostenuta, si disgregava in milioni di parti uguali, ognuna delle quali ritornava ad essere parte di ogni singolo mago che così rientrava in possesso della propria autonomia e di una sopportabile energia.
Diversamente da tutti gli altri Oifab possedeva quella che veniva definita genericamente la facoltà aggregante, qualcosa di più straordinario della classica capacità magica e più difficilmente inquadrabile, grazie alla quale riusciva ad accumulare l’energia di tutti e ad organizzare una difesa che, da quando l’antica razza dei maghi esisteva, mai era stata superata.
Almeno così era stato da sempre.


[continua]

Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine