Il senso del moto

di

Mario De Rosa


Mario De Rosa - Il senso del moto
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
12x17 - pp. 82 - Euro 8,00
ISBN 978-88-6587-5643

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In copertina: fotografia di Giusi Manuela De Rosa


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è segnalato nel concorso letterario «J. Prévert» 2013


Prefazione

La prima impressione che si ricava dalla lettura de “Il senso del moto”, opera cruciale, per maturità stilistica e dovizia di suggestioni liriche, nel percorso poetico di Mario De Rosa, è quella di un vaso colmo di versi leggeri “mi piace fabbricare ver­si/leggeri d’ossatura come uccelli” (Desideri) eppure densi, equilibrati, innervati da una ricerca che non avviene a detrimento dell’ispirazione, non cela il magmatico materiale interiore che fluisce copioso, talvolta finanche deborda, da ogni singolo componimento, impregnando ogni pagina della silloge. Le parole che danno corpo e luce ai versi sono calde come un tizzone che brucia e limpide come una sorgente d’acqua, arcaiche e moderne, delicate e penetranti, malinconiche e pugnaci. Sempre, comunque, adatte, nette e precise, nel descrivere gli alti e bassi del quotidiano e la tensione verso un assoluto che solo il poeta, e solo attraverso la poesia, si può attingere. Sono quattro i pilastri fondamentali del tempio poetico costituito dalle liriche della silloge: l’ambiente naturale, il senso del tempo, la memoria del cuore, la centralità della poesia, come forza vitale, mezzo di comprensione del mondo e di tensione ideale verso ciò che va oltre l’esperienza contingente della realtà. Ogni poesia è carica di rimandi agli elementi di una natura al suo apogeo: ad acque impetuose “acque di rapide / dal panico rapite / schiumose e bianche / rotolano veloci” / (Tra le rapide) o placide “quasi acque dipinte / “solcano immote anatre” (Sera D’acque) che diventano simboli, declinano verità, assurgono a metafore dell’esistenza “l’acqua d’un fiume mi spiega il destino” (Risveglio); alla dicotomica lotta tra luce e tenebre nel contendersi il proscenio del mondo: “giornate immense di luce” (Confini) incalzate dall’“ordito veloce delle tenebre / che agguati tendono all’ultima luce” (Girasoli). E ancora una congerie di alberi (“fieri cipressi”) di fiori (ginestre, girasoli, rose, oleandri) i cui effluvi sono “linimento alla terra / ferita di continuo / dal cerchio di stagioni” (I solchi del tempo) e di uccelli (falchi, corvi, rondini, passeri, pettirossi) “beoni arsi di quel cielo azzurro” (Desideri) o attraversato da “vagabonde nuvole”, sferzato da folate di vento; vento che diviene metafora del dolore e del vuoto che non trovano barriere “col suo carico di dolore e vuoto / è libero d’entrare tutto il vento / come un cinghiale che devasta un campo” / (Anche se…). Su tutto, anche sugli elementi naturali, si staglia la forza misteriosa del Tempo “roditore implacabile” e “impostore”, parsimonioso nel concedersi persino ai poeti che ne percepiscono l’ineluttabile sua natura transeunte “avaro persino coi poeti/ a cui solo concedi / l’illusione dell’attimo” / (Tempo). Ad addolcire l’amara consapevolezza della precarietà delle cose, nel tempo che scorre, provvede la memoria del cuore, “il cantuccio caldo dei ricordi”, la ricerca delle profonde radici, degli affetti più veri, dei sentimenti più nobili che danno senso al moto, all’andare. E dunque, ai “crocevia di memoria” al “liminare tra le ombre e il vero” ecco comparire gli oggetti, i luoghi, le persone care d’un tempo defunto ma vivo, caldo, pulsante nell’antro interiore, illuminato dalla luce e dalla purezza del “sentire”. Sentire che si accentua nell’animo del poeta e nelle sue mani si fa creta che egli plasma, modella, irrigidisce nella potenza e nella inossidabile bellezza dei versi. Ecco, dunque la centralità della poesia, che costituisce l’ultimo pilastro della silloge, la sua vis vitalis, che permette di cogliere “le vette e i precipizi” (Per te); che fomenta lo scavo interiore “come le sabbie mobili / ti risucchia nel vortice / per trascinarti al fondo / della tua vera essenza” (La mia poesia); che può scaldare il cuore e fare del poeta un Re Mida che rende preziosa ogni parola, sebbene la via “degli ori del sentire” sia una via accidentata e solitaria per il poeta non allineato a conventicole letterarie autoreferenziali, arroccate nella torre eburnea dei loro canoni stilistici e delle loro certezze granitiche. Poesia che si fa canto alato nei versi dedicati a John Keats “oggi io ti canto eterno aedo / scroscio di fiume della primavera / demiurgo dal sentire alto e sublime / respiro stesso della poesia”; che si fa melodia colloquiale nei versi dedicati ad Alda Merini “d’amore i tuoi versi e di frontiera” (Confini); e si veste di musicale armonia e di profonda magia nella poesia dedicata a Mario Luzi “cucito hanno i tuoi versi mille strappi / dello spirito cruente ferite”. Poeti questi, a cui Mario De Rosa tributa un meritato omaggio, che hanno dato, sebbene con stile e motivi differenti, sostanza, tono, spessore, bellezza alla Poesia. La Poesia con l’iniziale maiuscola che può, a buon diritto, accogliere l’ultima preziosa silloge di Mario De Rosa.

Lorenzo Curti


Da ingegnere ho sempre considerato il moto nella sua dimensione scientifica, fisica, meccanica, energetica. Punto di incontro tra un produrre energia e un consumare energia, il moto presuppone un dare per ricevere, trasformando, per assicurare la continuità di un processo, di un flusso di energia… tutto è un divenire secondo la legge Lavoisieriana. Ma, dal punto di vista scientifico, una volta capito questo, il suo significato si esaurisce nella sua funzione.
La dimensione umanistica, nella fattispecie poetica, impone un salto di qualità, un gradino più alto da salire nella scala infinita del sapere che porta alla verità delle cose, e cioè riconsiderare il moto attraverso il suo senso, e la cosa non è facile…
Madri, padri, figli e figli dei figli; nei geni che riceviamo e rigeneriamo viaggiano in modo ciclico, impassibile ed ineluttabile, gioie, ansie, preoccupazioni, piaceri, dolori, sempre uguali, un cerchio perfetto che si chiude per ricominciare a richiudersi senza mai finirsi… per questo, quando ho riconsiderato il moto nella sua dimensione umanistica, l’ho immaginato così, circolare. Il tutto sotto gli occhi imperterriti ed ipnotici del tempo… “sei roditore implacabile / e di continuo sgrani / i tuoi rosari, / lenta nenia o salmodia, / costante nel rimuovere / detriti e accumuli di foglie”.

Bisogna cercare il senso di questo moto, perché il pensare lo esige e Mario De Rosa lo sa bene, non può sottrarsi a questo percorso, da uomo, da poeta, da pensatore o semplicemente da colui che avverte un ordine superiore, che sta lì da qualche parte, a muovere i fili d’ogni cosa… “soffiano venti, polveri e detriti, / sembra ignorino il senso che li muove”.
È un percorso, questo, pieno di insidie, battuto da secoli, ché a farlo ci si imbatte in ossa e teschi di infausti predecessori, dentro strade mai definite di immense praterie e deserti senza punto di riferimento alcuno… “anche se dentro ho strade dissestate, conservo intatti sentieri di neve”.
E allora qual è questo senso del moto? Il lettore è avvertito, non si faccia facili illusioni di trovarlo dentro questo libro, ché piuttosto è un viaggio nel suo bel mezzo, in cui il viaggiatore forse è riuscito solo a scorgerlo, a tratti, forse una conferma, forse un’allucinazione.
Voglio chiudere questa mia riflessione con una citazione di un artista a me caro, Van Gogh, il quale, nel 1882 scrivendo una delle tante e bellissime lettere al fratello Theo, si interrogava sul significato della parola artista affermando… “Il significato di questa parola è: sempre alla ricerca, senza mai trovare. È precisamente il contrario del dire: sì, ho trovato! Per quanto mi riguarda, il termine significa sto cercando, sto lottando, ci sono dentro con tutte le mie forze”.

Trento Vacca


La poesia del mio amico Mario De Rosa è una poesia raffinata.
Che molte volte sconfina in delicate emozioni!
Poesia sublime che riscalda i cuori!
Il suo poetare, affascinante, è un incedere maestoso verso lidi dalle sfumature inebrianti.
In modo garbato, discreto i suoi versi non fuggono il tempo!

Salvatore Di Luca


Il senso del moto


Planando

Sospensioni
irrigidite della mente
rischiano il crac
tra sentieri
e buche controverse.
Adesso ho voglia
di lasciarmi andare
sullo scivolo
infinito del pensiero.


Il non posto

Monotone d’acqua
infinite le distese
specchiano bianche
vagabonde nuvole.
La barca solitaria
sulle acque perdute
sgomenta vaga
o forse solo sogna
colpita da bonaccia.

Quieta attende le onde
oppure le correnti
per forzare il destino.
Fra cielo e mare scricchiola
su linea d’orizzonte
forse anima incerta
nell’ultimo passaggio.


Villaggio umano

Al gelo delle tenebre
prostrati
siamo un campo di brina
che l’alba attende
per una carezza di sole.


I solchi del tempo

Un abbaglio di luce
dei tuoi fiori gli effluvi
linimento alla terra
ferita di continuo
dal cerchio di stagioni.

Val la pena invecchiare
se riesci a stupirti
per la gioia dei figli
o struggenti albe nuove.


L’apatia di un giorno

Cenci raccoglie e le sue poche cose
con passo stanco giunge fino a sera
verso il nulla più profondo s’avvia
questo giorno senza un condimento.

Non lo trattiene a lungo
l’unica irreplicabile sua scia
che dissolve improvvisa
per voracità di tenebre.


Un ricordo

Quando anch’io diventerò un ricordo
vorrei essere un ricordo buono
come quell’albero là lungo il pendio
da dove si contempla la campagna.

Come l’incavo nella grande roccia
dove ti trova il sole e non la bora
per riscaldarti e farti compagnia
nei giorni gelidi senza sorriso.

O la capanna fragile di frasche
da mani rudi fatta d’illusioni
dove asciugare bene le ferite
senza la compassione di nessuno.

Soltanto essere per te l’immagine
che ti dà cuore quando sei sfinita
il nido con amore preparato
il filo che anche al buio ti guida.


2 Novembre

Orsù 
andiamo in visita
di chi in noi vive
in quel cantuccio
caldo dei ricordi.


L’aquila bianca

La bianca adunca aquila
per paura non abbattere
quando t’affianca in volo
con lo sguardo selvaggio
del suo giallastro occhio.

Sia forte il tuo cuore
la protervia sostienine
mentre lungo la schiena
rapido corre un brivido.
Lo spirito imperioso
che aleggia su distese
le nostre vite al sole
trafitte dal sublime.


Tra le rapide

Acque di rapide
dal panico rapite
schiumose e bianche
rotolano veloci.
Sottofondo assordante
di natura sgomenta
appigli ti presenta
inafferrabili.
Sguardi di disperati
urlano forte, afasici,
ancore verso un cielo,
bello, ma senz’agganci.


Sono

Sono il poeta del canto
o dell’onda che stanca
lieve il suo bacio posa
sulla battigia amica.

Verso che ti descrive
la vita che al mattino
leggera ancor di trucco
spoglia è dei suoi colori.

Sono il verso del povero
che mena il suo destino
in un mondo egoista
falso dietro il cerone.


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