Canti del Pollino

di

Mario De Rosa


Mario De Rosa - Canti del Pollino
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
12x17 - pp. 48 - Euro 5,00
ISBN 978-88-6037-6213

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Questa pubblicazione è stata realizzata quale 1° premio del concorso letterario “J. Prévert” 2008 – sez. poesia con la seguente motivazione:


«Il poeta Mario De Rosa affida alla sua poesia messaggi relativi ai disagi cui è sottoposta la sua terra e tutto il nostro Meridione. Sono messaggi di dolore per l’abbandono dei paesi a causa dell’emigrazione di massa dei propri abitanti e di conseguenza lo stato di degrado delle opere d’arte. Lo notano i turisti “pensosi a volte / per tesori / che avvertono perduti” (Case d’un meridione…). La solitudine è vissuta come tedio ed è stigmatizzata dal passaggio di una macchina e da un cane che “l’insegue e abbaia, / ma è solo un attimo, / poi reinvade la noia” (Paese). Il poeta canta la sua terra (Pollino, Morano, Pollinello) e la natura che essa contiene (un richiamo continuo ai pini loricati, alla neve); ma canta anche gli usi e costumi degli abitanti portatori di quella civiltà contadina che è andata perduta e che oggi tutti rimpiangiamo. Un canto che diventa corale. All’assenza dell’uomo, fa da controcanto la natura che viene presentata nella sua ubertosa presenza e si può “quasi sentire / come fanno ad aprire crisalidi e gemme.” Il poeta non esita a ostentare la propria fede religiosa e Natale diventa momento di scelta “se stare con la polvere / o la continua polla d’infinito” (Hic et nunc). Il richiamo alla luce è una costante e l’immanenza di Cristo “è il segreto del tempo”, a proposito del quale il poeta si pone la domanda se è “uguale a quello / uscito dalla mente / come lampo nel buio o come il vento / che improvviso s’impenna” (Segnali di fumo). Una poesia questa di De Rosa che, partendo da osservazioni naturali e ambientali, mano a mano si sposta sul piano spirituale alla ricerca di certezze che possano giustificare l’operato stesso dell’uomo».

Benedetto Di Pietro
Presidente del Premio Jacques Prévert sezione poesia


Canti del Pollino


Primavera

Di Morfeo ascolto il canto
sempre uguale e insistente
sulla sponda d’un rivo
che mi culla i pensieri
mentre intorno natura
spande linfa ed umori
che puoi quasi sentire
come fanno ad aprire
crisalidi e gemme.

E i voli sono follia
intrecciati di strida gioiose
tagliano fette d’azzurro
per scordare l’inverno.
Verdi i prati e un po’ gialli
con le strisce di sangue
dei papaveri ardenti
pettinati dal vento
come d’acqua le onde.


Donna del sud

Richiamano i tuoi occhi
come i capelli scuri,
l’adrenalina di vuoti
e precipizi
a picco su un mare di cobalto
dove precipito in libera caduta.
Così, veleggio ad ogni tuo
sorriso,
come gabbiano
tra le correnti ascensionali
in gioco,
ma è d’ambra la tua pelle
che accarezza i tramonti
con l’ultimo chiarore.
In te abbraccio le cale,
sorgenti e quiete insenature,
poi mi nascondo
sole ingigantito
nel misterioso immenso
del tuo mare.


Nebbia autunnale

Quasi melanconia mi prende
avvolto nella nebbia d’un fine Ottobre,
d’oro per le chiome dei pioppi,
serpi di luce, che rivelano il percorso
del fiume alla campagna.
Qualche raro lampione, spande cauto
l’aureola, ed è quadro irreale
per un paese del sud, nei valloni
di detriti e nei pini un po’ più usato,
dal soffio di venti fieri ad esser flagellato!

Si posa così un sentire quieto
e scambia nascondigli, con l’incerto
dei rami, che a stento affiorano
là, dove la coltre la presa un poco
allenta.
E sono d’Autunno gli umori
e i linimenti che la riarsa terra
spalmano, e già scioglie i capelli
la natura che nuda si adagia su un letto
di foglie e di colori, come ninfa
nella sera, già pronta per l’amore.


Hic et nunc

Se mai non rinasciamo
nello spirito
come possiamo dire
che un bimbo ci è nato,
che è venuto a noi,
quando crediamo Lui
stella polare,
principio e fine, ogni riferimento?
Beviamo acqua di vita
e siamo sempre assetati,
tralci innestati alla sua vite
terrore ad ogni vento;
ma è qui ed ora
di fede pura scelta,
se stare con la polvere
o la continua polla d’infinito.


Quando…

Quando ti cerco,
batto le vie immanenti
e non ti trovo.
Quando ti cerco
sempre consulto
i dati della mente,
e non ti trovo.
Ti scopro poi per caso
un giorno,
sugli eterei percorsi del cuore
fuori da sensi e sentimenti,
oltre i confini miei.
E Sei pozzo di luce,
da caligini o scorie
non offuscato cristallo.
Puro abbaglio d’amore,
come posso spiegare
quel percorso ineffabile
d’orizzonti infiniti,
indefinibili
che m’apre solchi profondi
come prua in acque d’anima.


Paese

Nel paese del Sud al mattino,
piazza e strade sono così vuote
che pare anche Dio le abbia
abbandonate.
Al bar, qualche vecchio o un
invalido,
s’accende in discorsi col viaggiatore
di passaggio
mentre quello pensa a un’occasione
di vendita.
È fiducioso, ma guadagnerà la giornata?
Fuori anche il poeta, estratto da sé stesso,
si vede in prospettiva,
poi si richiude dentro.
Un’auto passa rombando, un cane
l’insegue e abbaia,
ma è solo un attimo,
poi reinvade la noia.


In simbiosi

Sul lago del mio cuore
pioppi autunnali specchiano le chiome
da vento leggero pettinate.
Anatre solcano appena l’acqua piana
che plastica richiude la ferita.
Io resto immoto, ai sensi non connesso
oltre me stesso ed i miei anni
nell’eterno perduti;
mi sento albero irrorato
da commossa linfa, incantato
da questo fluire d’infinito.
Con la natura in simbiosi, come l’erba
fremo al vento della sera,
parte dell’acqua oltre i riflessi chiari.
Da luce e ombra mi lascio trasportare
precisamente al centro d’ogni mio sentire
dove incontro il sublime, il tempo vero.


Messiah

Vola alto il mio cuore
ora che i cieli squarciati hanno
piovuto il giusto. La terra si è aperta
ed ha partorito un germoglio, il
cui labbro effonde come fuoco e grazia.
Egli ama la giustizia, e l’empietà
detesta, i monti a lui s’inchinano e colline,
che splendido di maestà, con olio
di letizia è consacrato, come rugiada
dal seno dell’aurora generato.

Quanta polvere i suoi piedi hanno
reso santa, per la terra che nel mondo
ha camminato, e le tenebre
arretravano accecate, dalla sua luce
di verbo sublimato. Nell’alba livida
la scarna croce e il rumore dei chiodi,
mentre dentro scoppiavano le urla della gente,
assetata di sangue d’innocente.
Davanti a lui coprimmo la faccia,
ma la sua morte fu laccio alla morte:
Egli è risorto!

Dentro di noi è acqua viva
sorgente eterna inestinguibile,
anche se ormai vacilla la fede sulla terra
che la sposa si è prostituita per poco.
Il Signore è il segreto del tempo,
Egli è ieri, l’oggi, il domani che viene,
reca un dono per il genere umano
ed asciuga dagli occhi le pene.


All’unisono

Me ne andrò
alle sorgenti della vita
tra i ghiacciai eterni dell’essere,
dove sgorga nuova acqua di vita.
Qui, scioglierò dei duri freni i lacci,
da sempre tedio al mio tendere libero
la sete arsa nelle solitudini
estinguerò in spazi senza tempo.

Dischiuse poi le finestre del cuore
di fresco vento mi disseterò,
lavando muffe e polvere di tempo
di libertà me stesso placherò.
Sarò brioso come vino novello
che mal sopporta attempato costume,
vestito a nuovo solcherò il mio cielo
da luce attratto come di mille soli.

con la madre dell’anima
ora pulso all’unisono.


Segnali di fumo

Magari un’inflazione di pensieri
pensati e scritti con l’intento,
d’intercettare l’attimo fuggente
come fumo svanito.
Impulsi d’idee, magnetiche tempeste
seguono un bersaglio in perpetuo moto,
ma in quale dimensione si nasconde?
Che il tempo è uno, uguale a quello
uscito dalla mente,
come lampo nel buio o come il vento
che improvviso s’impenna e tosto cheta.

E resto qui con la sconfitta dentro,
cacciatore al laccio della preda
e ancora avverto il senso, la ferita,
d’uomo che indaga
il senso della vita.


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