Opere di

Marino Muratore

Con questo racconto ha vinto il quarto premio all’edizione 2007 del Premio Marguerite Yourcenar sezione narrativa.


LO SCRITTORE MEDIOEVALE SPAGNOLO

Il giovane scrittore ispanico era nato a El Raal, vicino a Murcia, in un’epoca di dominazione cattolica di quelle terre.
Raul, così si chiamava, ancora ragazzo scelse un bastone nodoso ed un gran fazzoletto colorato e s’incamminò per la Francia, dove restò sei mesi a pascolare ovini nel rigido inverno del Larzac, povero d’alberi e d’acqua. Nell’estate raccolse uva nel Roussillon, per pochi soldi ed il vitto. Dedicò i primi sette giorni di riposo, dopo mesi di lavoro chi gli avevano indolenzito la schiena, ai banchi rigidi della Cattedrale di Lodève, prima ancora che la chiesa divenisse gotica. Il giovane pronunciò tutti i nomi dei santi che conosceva, incessantemente le sue labbra pregarono in latino e castigliano. Desiderava una sola grazia.
Una mattina rugiadosa, con le stelle della Cintura d’Orione più allineate che negli altri giorni dell’anno, salì su un carro. La paglia impediva alle botti ed ai metalli di scontrarsi, la meta era Marsiglia.
Il giovane aveva il viso scuro tipico delle terre che precedevano di qualche ora l’Andalusia, i capelli ispidi e scuri dei personaggi che sanno sputare lontano dopo aver giocato con il coltello ricurvo. Raul provò meraviglia nel vedere il sole brillare nelle paludi azzurre di Sète e, dal comodo carro, gli parve persino vedere le trote saltare e le anguille serpeggiare tra le folte canne.
Marsiglia una città tortuosa, con monasteri e chiese che la vigilavano dall’alto, mentre i vicoli vicino al porto inducevano al peccato.
Tra le molte persone in attesa, marinai tatuati che non resistevano all’ennesimo richiamo del mare, mercanti che giungevano solo al limite della terraferma per imbarcare la merce, giovani ragionieri delegati dai padroni di seguire in viaggio le fortune appena spedite, nostromi dal braccio forte e dalle idee chiare sull’ordine delle gomene e delle stelle, cuochi che già sapevano che al trentesimo giorno di navigazione avrebbero reso insoddisfatta la ciurma, il giovane Raul seguì suo destino.
La nuova meta erano le coste arabe, l’altra riva del lago.
Sulla nave il giovane servì i marinai, aiutò nel piegare e cucire le vele, lavò il ponte: quello era il prezzo del passaggio. Una volta a Tunisi, Raul cominciò un ricco viaggio d’avventure che lo portò una mattina calda di fronte alle Piramidi. Cheope e Micerino non lo commossero più di tanto: il giovane aveva un obiettivo da raggiungere. Continuò così il viaggio sulla groppa di un cammello. La Somalia lo aspettava e lui la raggiunse. Il giovane si dedicò alle abluzioni nel fiume limaccioso vicino a Mogadiscio e si divertì nel far volare gli ibis guardiabuoi. Poi, pulito nello spirito, ingerì cibi sconosciuti e speziati. Nella strada domandò ai mercanti d’incenso notizie su un nome. Non conosceva la lingua e gli altri, come in uno specchio, non conoscevano la sua. Il nome del quale però chiedeva non aveva bisogno d’interpretazioni per le persone dal viso ancor più scuro di quello ispanico di Raul.
Due giorni dopo era al cospetto di Abulcasim El Hadramì, anch’egli ospite per un lungo periodo in quella città polverosa, dalla quale si vedevano le onde del mare. – Cosa ti ha spinto a venire da me? – chiese subito il saggio poeta, incanutito e dagli occhi penetranti e stanchi. – Voglio imparare a scrivere. – Perché questo semplice desiderio ti ha portato così lontano? – Da anni studio retorica, il significato che si nasconde dietro ad ogni aggettivo, i segreti dei tempi e dei modi del verbo, ho lavorato intere notti per imparare a tradurre i versi in quattro lingue diverse senza perdere ritmi e sensi, ma nonostante abbia imparato a memoria Anassimene e Platone, Seneca e Sant’Agostino, non sono capace di scrivere. Per quanto il mio verso risulti perfetto, ricco di litoti ed anadiplosi, non è mai vivo, l’equilibrio dei miei poemi non sembra mai riuscito – continuò il giovane parlando tutto d’un fiato… L’aspirante scrittore, poi, sollevò gli occhi da terra e diede uno sguardo fugace all’arabo, la cui fama si era propagata per terre e laghi. Riprese, con voce più sicura, un discorso che si era ripetuto all’ossessione per tutto il viaggio – Nel sonno mi viene spesso in mente il viso di una donna che, per quanto abbia occhi accesi e limpidi, un mento dolce e delicato, un naso appena pronunciato e veritiero, orecchie che ispirano ad essere accarezzate, capelli biondi come l’oro che riflette uno spiraglio di luce nel buio profondo, ebbene quel viso nell’insieme è insopportabile a vedersi. I meravigliosi particolari della mia poesia compiono lo stesso effetto che crea quella donna indesiderata. – Qual‘è il problema? Se conosci le parole ed il suo significato, puoi essere almeno bravo oratore, ma ancor di più fabbro o mercante. E saresti più utile di uno scrittore – rispose con semplicità il maestro. – Insegnami a comporre versi eterni – implorò il giovane inginocchiandosi e sfiorando con le labbra la lunga tunica di Abulcasim El Hadramì. – Ti sarò riconoscente.
Il vecchio saggio sorrise per quell’ostinazione, erano anni che non incontrava tanta ingenuità. – Seguimi, allora.- ordinò, prima di aprire una piccola porta che era nascosta a lato di una credenza.
Iniziò così una discesa lungo una ripida scala scavata tra pareti di roccia. Una porta in cedro massiccio, che aveva un meraviglioso chiavistello con incastonato una statua d’un cavaliere, fu aperta con forza dall’anziano poeta.
La stanza era spoglia con solo un gran bacile pieno d’acqua al centro. In un lato della camera era stata scavata una fossa. – Aspettami qui – disse il saggio arabo, prima di richiudere la porta con diversi giri di chiave.
Raul rimase una settimana in solitudine, abbeverandosi dal bacile d’argento e facendo i parchi bisogni corporali nella fossa. Aveva fame ma rimase in paziente attesa.

L’ottavo giorno il saggio arabo comparve con una gran pentola di montone caldo che consegnò al ragazzo. – Sei sempre sicuro di voler divenire uno scrittore? – - Si, maestro – rispose il giovane in latino. – Anche se scrivere e leggere sono illusione ed una pallida riproduzione della vita? – E’ quello che voglio maestro. – Vuoi scrivere anche se non ti darà mai l’eternità. I libri della biblioteca d’Alessandria sono bruciati e nessuno li ricorda più da secoli. Seguimi ancora.- L’arabo aveva in mano una torcia con la quale illuminò il pavimento in marmo. Vicino alla parete sinistra della camera, per terra era conficcato un piccolo anello. Il vecchio infilò nel cerchio una corda di midollo di bue e cominciò a tirare, aiutato dal giovane. Si sollevò una botola ed i due discesero altri gradini, sempre più stretti. Il cammino in discesa era faticoso, anche perché il soffitto era basso. Comparve una nuova porta, la stanza successiva era, a differenza della precedente, molto luminosa e per terra erano sistemati tappeti e cuscini ricamati. Da un bacile fumoso fuoriusciva un riflesso che si propagava per tutta la stanza. Raul scrutò incuriosito. Sul tavolo, sulle pareti e negli angoli della stanza erano posizionati infiniti simboli della religione di Maometto: medaglioni con scritto in oro versetti sacri, copie del Corano e libri dei sofisti tunisini, scimitarre con incastonati nell’impugnatura rubini e diamanti, mentre lungo la lama erano incise frasi che esortavano a punire l’infedele cristiano: scritte che qualsiasi giovane cattolico sapeva riconoscere. – Questa volta non ti mancherà il cibo che ti verrà consegnato dall’apertura circolare nel soffitto. Trascorrerai molti giorni con i segni e simboli sacri della mia religione. Quando leggerai, ricordati che il Corano non è solo una delle creazioni di Dio, ma anche uno dei Suoi Attributi, come la Sua Onnipresenza e la Sua Misericordia. Infine, mentre starai dormendo, ti sarà aperta l’altra porta, quella sulla sinistra. Contigua a questa c‘è un’altra stanza, simile ma diversa. Essa contiene invece il candelabro, il Talmud giudaico ed il Sefer Yezirah che regala trentadue vie di saggezza, dieci numeri e ventidue lettere.-
-Perché questo, maestro? – domandò in forma di preghiera il giovane. – Inoltrarsi nel cuore della poesia significa spesso abbandonare le proprie convinzioni, talvolta anche la propria fede. Sei proprio disposto a continuare?
Lo sguardo giovane si perse nel vuoto. Poi, con fatica, l’aspirante scrittore assentì. – In un angolo troverai mie traduzioni dei testi arabi in latino, ti fungeranno da codice. La lingua di Abramo, invece, già la conosci – concluse il saggio chiudendo la porta.

Tre settimane dopo il maestro si presentò nuovamente, le due stanze erano ancora ordinate. Un solo sguardo fece intuire al saggio che Raul aveva compreso segni e simboli delle due differenti religioni. Il giovane ispanico aveva aperto la mente, conoscendo ora i tre principali culti dell’occidente. – Non è finito ancora il tuo percorso, ancora mi devi seguire – affermò con voce soddisfatta il maestro.
Le scale, che s’inoltravano nelle viscere della terra, erano ancora più ripide. L’umidità, che impregnava le pareti, era insopportabile, mille spigoli si conficcavano, ad ogni curva e angolo, nei fianchi offesi del giovane.
Il ragazzo scivolò più volte ed il sangue cominciò a rapprendersi in molte parti del corpo. Il vecchio, intanto, aveva già aperto una porta in argento.
Al centro della camera era posizionato un grande letto occidentale, comodo ed invitante. Il giovane si sdraiò e si addormentò immediatamente.
Al mattino vide che la stanza confinava, sulla sinistra, con una grata. Dalla parte opposta, invece, iniziava uno stretto corridoio che conduceva ad una grande stanza ricoperta di specchi.
Il primo giorno in quella prigione trascorse tranquillo, le sorprese si presentarono solo il successivo. Oltre la grata camminavano uomini e donne nudi, silenziosi ed in apparenza affaccendati che poi scomparivano in corridoio bui ed inaccessibili.
Nei minuti successivi il giovane cominciò ad udire lontani sospiri e mugolii, voci concitate d’uomini e donne che litigavano.
Altri corpi nudi si erano succeduti oltre la grata, nuovi ansimi prodotti dal piacere e successivi alterchi si stavano preparando in lontananza.
Il giovane di Murcia alternò il tempo sedendosi talvolta di fronte alle sbarre, in altri momenti nella camera dai tanti riflessi. Lo stesso accadeva nella notte, qualche ora si assopiva nel letto, le rimanenti le trascorreva vicino ai corpi nudi degli sconosciuti. Ugualmente si comportava con il cibo che, ogni volta che chiudeva gli occhi stremati, compariva in abbondanza e si centuplicava di fronte agli specchi.
Il tempo divenne insopportabilmente infinito, idee di pazzia cominciarono a percorrere la mente del giovane che iniziò ad imprecare ed insultare quei corpi giovani e nudi di donna, che si rifiutavano di parlargli e di accarezzarlo.
Con il vasellame d’argento provò a frantumare gli innumerevoli specchi, ma inutilmente, perché erano stati forgiati con una sostanza indistruttibile.
La vita si era ormai trasformata in un incubo quando il vecchio arabo si ripresentò. Con uno sguardo profondo placò la violenza che il giovane era pronto a rivolgere contro il maestro. – Questa volta hai superato la più dura prova. Fare poesia vuol dire raccontare la vita degli altri, senza poterla nemmeno toccare. Scrivere significa spesso rappresentare la propria esistenza, duplicarla in mille immagini come uno specchio. Ed è la tua stessa persona che guarda la tua anima da fuori. Proprio come quando sei di fronte al tuo riflesso – Raul comprese. – Seguimi per l’ultima volta. Sarà un’esperienza più piacevole. Forse ora mi perdonerai – Scesero grandi scale diritte, illuminate da molte torce incastonate alle pareti. Ai bordi dei gradini si succedevano anfore, vasi ricchi d’ibisco e fior di loto.
L’ultima porta era d’oro, dall’altra parte una donna bellissima, di carnagione chiara e dai seni piccoli, era in attesa del giovane, che presto rimase solo con la ragazza. La donna giocava spesso con le sue trecce e la folta barba del giovane uomo. Poi usciva e ritornava con tulipani rossi, bibite dolci dal sapore del limone di Murcia, minestre ricche di carni gustose.
L’anziano poeta arabo, prima di scomparire, aveva regalato tre oggetti a Raul: una striscia stretta di pergamena, una piuma d’oca ed un barattolo con inchiostro di porpora.
Il giovane scrisse su un lato di pergamena una frase che corresse più volte, tanto che il foglio, ricco di simboli, risultò incomprensibile. L’iberico richiese altra carta, ma era quella l’unica cosa che la giovane non gli portava. Raul comprese che la donna esaudiva un volere del maestro.

Dieci giorni dopo Abulcasim El Hadramì si fece consegnare la pergamena. La parte anteriore era occupata da infinite lettere sovrapposte. Il lato posteriore del foglio, invece, conteneva una semplice frase, di sette parole.
Il saggio poeta sorrise. – Ora puoi risalire – concluse l’uomo che consegnò al giovane scrittore abiti bianchi e profumati. I due percorsero lunghi cunicoli che sbucarono nel deserto. Poi, sopra ad un cammello, raggiunsero un’oasi ed un lago, dormirono due giorni ed, infine, a cavallo attraversarono l’altipiano. Una notte stellata con la Cintura d’Orione più luminosa che mai, il giovane s’imbarcò nel mitico porto di Zeila, su un piccolo sumbuco che trasportava incenso e mirra ed i prodotti dei nuovi commerci degli Zelawi: pesci secchi e carni…

- Ora sai cosa devi fare – con queste parole il saggio poeta salutò il giovane ispanico mentre saliva a bordo.
Il ragazzo sorrise all’amico.
Con un’altra nave, mesi dopo l’attraversamento del Sinai su un cammello, Raul avrebbe raggiunto il porto di Marsiglia e da lì Murcia.
Ogni anno, nei luoghi impensati dove Abulcasim El Hadramì trovava rifugio, arrivava dalla Spagna, nell’anniversario del loro incontro, l’ultimo manoscritto dell’ormai famoso poeta spagnolo. I libri contenevano errori, ingenuità ed alcune frasi mal costruite. Il saggio arabo ogni volta sorrideva: quei libri erano vivi.


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