Cosa farò da grande - L’astrologia applicata all’orientamento e alla selezione del personale

di

Marina Regno


Marina Regno - Cosa farò da grande - L’astrologia applicata all’orientamento e alla selezione del personale
Collana "Koiné" - I libri di Religione, Filosofia, Sociologia, Psicologia, Esoterismo
15x21 - pp. 204 - Euro 15,50
ISBN 978-88-6037-9603

Libro esaurito

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In copertina: zodiacal magic © Photosani – Fotolia.com
pag. 37: the wheel of zodiac © Vlad – Fotolia.com
pagg. 90, 112, 119, 138, 147, 150,152: grafici dell’autrice


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QUALCHE INFORMAZIONE SUL TESTO…

Questo saggio non ha alcuna pretesa di completezza in quanto la possibilità che l’astrologia possa applicarsi al lavoro è un argomento dal percorso infinito. Tengo a sottolineare che non ho voluto scrivere qualcosa di “dinamitardo”, anche se spesso ci vorrebbe, forse per rompere i soliti pregiudizi che circondano la scienza degli astri. Con questo testo (che non ha alcuna pretesa di essere un manuale “scolastico” che insegna perché la mia idea è che ognuno impara da sé anche se legge cose altrui), ho semplicemente desiderato “lanciare” un sasso, parlare delle mie esperienze, forse suggerire che l’astrologia può applicarsi, con la stessa dignità riservata ad altre discipline (psicologia, grafologia ecc.) all’orientamento e alla selezione del personale. Diverse persone, in alcune conferenze nelle quali presentavo stralci della ricerca, hanno dimostrato molte perplessità. Per esse il carattere del libro era pregiudiziale. Qualcuno si alzava dopo aver sentito qualche frase, qualcun altro aggrediva… Io credo di averlo scritto in buona fede, senza volere nuocere ad alcuno, ma piuttosto con l’intento di portare un piccolo, modesto contributo a due settori del lavoro, come l’orientamento e la selezione, attraverso l’astrologia. D’altronde, quando si tratta di dover scegliere (o tentare di scegliere) l’uomo giusto al posto giusto, la selezione, sia che la effettui uno psicologo, un grafologo, un medico o… un astrologo è sempre e comunque pregiudiziale. Come qualsiasi cosa. Personalmente, sono dell’idea che le discipline utilizzate decadono se anche l’operatore è “decaduto”, vale a dire se svolge le cose con approssimazione e superficialità. Beninteso, tutti noi che ci accingiamo a utilizzare l’astrologia per questo scopo siamo soggetti, come gli altri operatori, a prenderci le nostre brave “cantonate”. La professione di orientare e selezionare non è semplice. Decisamente non lo è mai stata, ha sempre creato, almeno nei soggetti più sensibili, qualche mal di pancia legato alla responsabilità che comporta. Non dimentichiamo che soprattutto oggigiorno, con un mercato del lavoro vario, mutevole e sottolineato dal precariato, la situazione si è notevolmente complicata. Occorrerebbero risorse umane che abbiano sia una buona competenza tecnica/specifica rispetto al mondo delle professioni, notevolmente aumentate negli ultimi anni, una conoscenza almeno basica della legislazione sia essere dotati di disponibilità e sensibilità. Rispetto a queste competenze pratiche, etiche e interiori anche noi operatori dovremmo essere selezionati, ma sarebbe un’operazione infinita, un cane che si morsica la coda. Una consolazione potrebbe provenire dal fatto che l’astrologia è una materia a sé stante e quindi non occorre essere necessariamente avvocati, psicologi o allevatori di pesci tropicali. L’astrologia applicata alla selezione e all’orientamento, lo ripeto a scanso di equivoci, serve soprattutto a individuare le potenzialità di un soggetto che possono essere “una, centomila, ma anche… nessuna…!?”.
Aggiungiamo che, sebbene possa risultare paradossale, il selezionatore avrebbe il compito non di selezionare, ma di sforzarsi di far riuscire tutti. Rispetto a questo tutti, è giusto che l’operatore dichiari la sua incompetenza di fronte a individui con patologie fisiche e neuropsichiche (cfr. il “codice etico” del C.I.D.A. ovvero il Centro Italiano di Discipline Astrologiche, ente che si occupa di fare astrologia seriamente e con onestà”), eccezion fatta per chi svolge la professione di astrologo e contemporaneamente sia un medico, uno psichiatra, uno psicologo…
Una precisazione: nel testo non sono contemplati il procedimento per costruire il tema natale e la sua interpretazione. Questo avrebbe implicato un tomo di troppe pagine, molte inutili per chi già conosce l’astrologia. In commercio esistono, per chi vuole iniziare a occuparsi di astrologia, ottimi libri e software. Questo manuale è quindi destinato principalmente a quelle persone che già possiedono una buona base astrologica, non escludendo i neofiti che, sebbene alle prime armi, hanno già avuto modo di avvicinarsi alla materia. Ma per tagliare la “testa al toro” ho desiderato inserire, proprio per avvantaggiare chi non è ancora un astrologo di annosa esperienza, ma neppure digiuno della simbologia della materia, una sorta di legenda sui simboli (segni, case, pianeti ecc.) per facilitare il percorso. Per chi, invece, non conosce l’astrologia, suggerirei (scontatamente direte voi e avete ragione) prima di studiarla e… se si appassiona così tanto… di andare avanti e, perché no? Di iniziare, se lo desidera, ad applicare gli astri al lavoro tenendosi sempre con i piedi ben piantati per terra (lo ripeto spesso anche a me). Con l’astrologia, senza scendere in affermazioni che “puzzano” di didascalico, non bisogna mai peccare di presunzione. Tenetevi nel cuore questa bella frase di un grande astrologo francese, André Barbault: “Prendete dall’astrologia solamente quello che può darvi”.
Personalmente spero di aver fatto del mio meglio, essendo comunque cosciente che il testo, sebbene l’abbia visto e rivisto, pullula sicuramente di errori, di sbadataggini ecc. Di là di tutto, spero, parodiando il Manzoni, che almeno venticinque “masochisti” leggano questo libro. Scherzi a parte e arrivati fino a qui, non so che altro dire se non di aver scritto qualcosa che già era tracciato nelle mie stelle…


Cosa farò da grande - L’astrologia applicata all’orientamento e alla selezione del personale


A Roberto


PREMESSA

“Cosa farò da grande” è un problema che riguarda la maggioranza delle persone, non solo chi è alle prime armi e vuole “conoscersi meglio, in controluce”. Riguarda anche coloro che convinti di essere stati assunti in un contesto lavorativo “per sempre”, si ritrovano a essere presi per la manica della giacca e accompagnati al portone di ingresso. Individui di 45/50 anni che si chiedono: adesso cosa farò di me? È chiaro che questo modo di procedere polverizza, con il tratteggio di un lampo, certezze e tranquillità, magari non esenti da una certa monotonia, ma diciamocelo pure: la quotidianità, la cosiddetta routine fa comodo e infonde tranquillità, almeno per la maggior parte di noi. A questa veloce panoramica appena descritta, molto comune al giorno d’oggi, dove predominano il precariato e la disoccupazione, si uniscono “grame” considerazioni che investono il campo previdenziale ed economico. Per esempio: chi inizia a lavorare molto tardi riuscirà ad andare in pensione? Stesso discorso per chi lavora da troppo tempo, magari alle prese con professioni cosiddette usuranti. Con le riforme previdenziali che si stanno profilando legate anche all’aumento della vita media, la pensione potrebbe diventare un pallido ricordo di tempi felici, trasformandoci in esseri perseguitati dallo spauracchio di lavorare fino alla tomba! Si potrebbe pensare che la piega attualmente presa dagli eventi riguardi una modifica più radicale, rispetto al passato, della struttura sociale.
In altre parole questo denso e problematico cambiamento potrebbe rivelare situazioni molto più profonde se non ci si limita a considerare le situazioni dal solo punto di vista apparente. Ossia, per riguadagnare un percorso, forse troppo a lungo galvanizzato e strutturato dal cosiddetto lavoro fisso, possono essersi instaurati alcuni meccanismi, a livello profondo, riguardanti l’esigenza di cavarsela da sé, mettendosi in gioco in prima persona e “rispolverando”, così, il famoso mito del self made man, “l’uomo che si è fatto da solo”. In questa sede viene inteso come colui che privilegia la libera professione al lavoro dipendente. Tralasciamo l’attribuzione molto americana della frase di cui sopra, anche perché il “sogno americano” appartiene a un’altra epoca, ad altre generazioni che intersecavano le loro vite con i flussi migratori, un po’ come sta accadendo nel nostro secolo, ma con modalità molto differenti e sicuramente con altra predisposizione d’animo. Allora la grande crisi sembrava finita, si andava verso l’espansione, l’ottimismo, oggi stiamo subendo una recessione globale che si spera possa ridimensionarsi…
Di là di tutto, prendiamo la frase self made man alla lettera. Riferendoci esclusivamente a questo concetto, esso si associa invariabilmente a un obiettivo al quale si affiancano doti di flessibilità, dinamismo, ricchezza di motivazioni e capacità di riuscire ad arrivare con le proprie forze (fisiche, morali, economiche ecc.) a un risultato ottimale e soddisfacente per il soggetto che “vibra” sulla lunghezza d’onda dell’autonomia professionale e che mette in moto l’interezza della sua essenza. Sappiamo tutti, però, che a un recto corrisponde un verso. Rispetto a individui che non hanno alcun problema a mettersi in proprio, a rischiare in prima persona o addirittura capaci di inventarsi un lavoro, corrispondono, viceversa, persone che per natura hanno bisogno di sicurezza, che auspicano che i nuovi contratti di lavoro regolarizzino la massa dei precari oppure che si trovano in difficoltà quando devono trovare un lavoro gradito (nonostante gli attuali chiari di luna suggeriscano di affidarsi all’onda prendendo ciò che dà il convento. Questa costrizione può però portare a problematiche che analizzeremo successivamente).
Vediamo bene (e siamo solo all’introduzione che è pur sempre teorica) come sia complesso il fattore lavoro. Riagganciandoci a quanto detto sopra, l’attuale struttura sociale si sta trasformando a velocità fino a qualche anno fa inconcepibili e gli eventi prodotti sono oramai sotto gli occhi di tutti. Non conviene fare i profeti, quando la profezia si sta già avverando portandoci in dote assemblaggio di iper termini che oscillano da specializzazione a tecnocrazia. È naturale che la specializzazione portata a livelli di “fanatismo” finirà alla lunga con il privilegiare il forte sul debole, l’iper adattamento sistematico e graduale di alcuni individui su altri. Non è forse una personalità più sensibile o complessa ad avere minori possibilità di accettare in toto tutto quanto venga proposto dal sociale? Questo cambiamento generale, legato a ritmi invadenti, elettrici e così ben rappresentati dal pianeta Urano, la cui scoperta, nel XVIII secolo, ha coinciso con la rivoluzione industriale con tutti gli annessi e connessi, sta proiettando gli esseri umani verso un’epoca che – se ci sarà concesso di vivere abbastanza da vederne almeno la punta dell’iceberg – apparirà ai nostri occhi come qualcosa di irriconoscibile. Non dimentichiamo, tra l’altro, che Plutone, il pianeta che astrologicamente rappresenta il potere e i suoi vari volti, è entrato in Capricorno il 27 gennaio 2008. Successivamente alla retrogradazione in Sagittario nel giugno dello stesso anno, è entrato definitivamente in Capricorno il 28 novembre 2008 e soggiornerà nel segno fino al 19 novembre 2024. Proseguendo: Urano, attualmente nei Pesci, il 29 maggio 2010 si trasferirà in Ariete. Si sposterà definitivamente in tale segno il 13 marzo 2011 rimanendoci fino al 6 marzo 2019. Aggiungiamo Saturno che dal 22 luglio 2010 entrerà definitivamente in Bilancia per “accamparsi” fino al 5 ottobre 2012. Un triangolo di ferro con 3 segni cardinali, Capricorno, Ariete e Bilancia già, dal punto di vista zodiacale, “nemici”… Cosa potremmo aspettarci in questi anni fatidici? Un nuovo imperialismo? Un nuovo colonialismo? La fine di un’era e l’avvento di un altro sole? Oppure, viceversa, chi ora è vessato inizierà a ribellarsi nonostante gli anni che impiegherà? Probabilmente gli organigrammi tenderanno a cambiare (forse ad essere meno “piramidali”) e le persone si sentiranno maggiormente autonome, prediligendo un lavoro magari meno remunerativo, ma più soddisfacente, come un risarcimento dal precariato e dalle difficoltà attuali. Questo mi rincuora in quanto, a mio parere, l’aumento dell’autonomia e dell’individualismo in senso positivo può contrastare tentativi di controllo da parte di enti che potrebbero anche somigliare al “Grande Fratello” di Orwell. Di là di tutto ci vorrebbe un solo testo per analizzare questa “trappola cosmica” che prelude, come già ho scritto, a una nuova era nella quale tutti i campi saranno (iniziano a esserlo già) coinvolti. Forse in un altro saggio ne parlerò… perché continuando di questo passo si rischia di scivolare sulle troppe complessità della trama del reale mentre, nel contesto di questa ricerca, occorre lasciarsele alle spalle. Non è, infatti, possibile analizzare in un solo testo, seppure con una sensazione di perdita, ogni cambiamento celeste che si proietterà sulla terra e tutte le procedure socio-economico/politiche che subiranno, a loro volta, i relativi sconvolgimenti. Si può laconicamente aggiungere che questo vento di riforme (progressive? regressive? Solo il tempo lo stabilirà) presuppone, volente o nolente, un sacrificio di adeguamento legato ai continui cambiamenti ai quali saremo sottoposti. Accontentiamoci di parlare, in maniera oggettiva, del lavoro applicato all’astrologia, perché l’unica cosa, per il momento indubbia, è che, nel mezzo di questo bailamme, finché il Sole ci consentirà di rimanere in vita, si continua a lavorare. E nel lavoro rientrano l’orientamento e la selezione.
L’astrologia attuale, prediligendo il percorso caratteriale a quello predittivo può, attraverso l’analisi del tema natale, divenire un buon strumento di valutazione, sebbene, per certi versi, i dati non sono confortanti. Però ci sono delle sorprese… ad esempio, navigando in Internet ho scoperto che vi sono diversi siti che si stanno occupando di questo argomento. Ad esempio il C.I.D.A. ha organizzato un convegno sul lavoro. Di là di tutto, sebbene qualcosa si stia muovendo e il panorama lentamente vada cambiando, sia la complessità dell’orientamento e della selezione, sia i naturali pregiudizi, non permettono che il decollo avvenga senza scossoni. Ad esempio, qualche anno fa, un testo edito da “Il Sole 24 Ore” “Società di ricerca e selezione del personale” 2a ed., riportava per l’appunto un elenco di queste ditte elencando anche i diversi metodi di selezione utilizzati. I più usati erano l’intervista, l’assessment center e i test psicoattitudinali, questi ultimi considerati dalla maggioranza degli operatori uno strumento meramente ausiliario. In aggiunta si dimostravano perplessità anche nei confronti dei test proiettivi della personalità (es. le macchie di Rorschach) soprattutto nella selezione dei manager. La tendenza, infatti, era unanime nel rilevare l’inadeguatezza dei test. I selezionatori ritenevano che: “Se un candidato può bluffare in un test, gli sarà molto più difficile prendere in scacco un buon intervistatore”. La grafologia era, forse, l’unico metodo che “scappava” dalla rete, sebbene fosse richiesta, nella maggioranza dei casi, da ditte francesi. Per finire furono esaminati gli ultimi due metodi (non senza molte perplessità) che qualche società, forse gestita da persone più illuminate o semplicemente meno ipocrite, utilizzava: l’astrologia e l’iridologia. Il termometro tendeva alle basse temperature per la scienza degli astri. Questo non significa che ci siano astrologhi che già lavorano per le società di selezione, ma tolto il fatto che può fare solo piacere, ciò non risolve il problema. E il problema, secondo il mio modesto parere, sta nel fatto che, nonostante, nel tempo, si stia cercando di dare alla disciplina un assetto “formale” (una scuola, per intenderci, come quella creata e gestita dal C.I.D.A.) che possa aiutarla a inserirsi nel contesto sociale con più forza, rimarrà probabilmente un disadattamento dell’astrologia rispetto alla realtà. In altre parole, l’incontro tra astrologia e luce solare non sarà impossibile (di questo sono sicura), ma ci vorranno ancora parecchi anni, complici le caratteristiche di segretezza e, a torto, di “magia” che pervadono questa scienza. Se il destino attuale dell’astrologia è di fare parte del mondo notturno dell’esistenza umana credo sia corretto, nei suoi confronti, far sì che questo mondo sia conosciuto e capito attraverso un metodo “ottimale” che già si è “messo in cammino” e nel quale gli apporti di ognuno sono gli apporti di tutti. Solo così sarà possibile costruire i ponteggi della sua affermazione, sia che venga applicata al lavoro, alla vita affettiva, o a qualsivoglia settore. Questa ricerca desidera essere semplicemente un’aggiunta alla possibilità che il metodo astrologico possa essere utilizzato, proprio come altri, nell’orientamento e nella selezione.


PRIMA PARTE

CAPITOLO PRIMO

L’ORIENTAMENTO

Ognuno può leggere i testi che vuole, unendoli ovviamente all’esperienza personale. In commercio, almeno in Italia, vi è un solo libro che tratta di astrologia e di orientamento scritto dal francese Barbault, che posseggo da anni e che mi è stato di notevole aiuto quando ho iniziato questo percorso. Spulciando nella biblioteca della mia città ho trovato dei testi che parlano dell’argomento riscontrandoli molto farraginosi e scritti per addetti ai lavori (psicologi ecc., ma non ovviamente per astrologhi…), dotati di schede ed esempi particolarmente complessi. Paradossalmente, tra quella copiosa messe, mi è capitato tra le mani: “Valutazione e orientamento” di Francesco De Bartolomeis, Ed. Loescher, del 1974 (dunque un testo datato, ma i più vecchi risultano spesso i migliori in quanto contengono argomenti che anticipano di gran lunga i tempi). Questo libro fa parte di una collana dedicata alla pedagogia, quindi all’orientamento scolastico, ma è interessante per alcune affermazioni estremamente coerenti con la realtà di oggi. Sebbene, ripeto, questo testo non interessi in maniera specifica in quanto parla esclusivamente della valutazione scolastica con qualche excursus sulle eventuali problematiche lavorative, è giusto che si conosca non solo l’orientamento “adulto”, ma anche quello adolescenziale. Da un operatore astrologo che si occupa di questo settore potrebbe anche capitare un ragazzo che, sebbene abbia già una qualche idea “captata” durante l’iter scolastico, potrebbe, in realtà, risultare confuso nelle scelte professionali, a prescindere dagli studi fatti e che potrebbero essere stati, per svariati motivi, scelti non direttamente dal soggetto ma imposti o auto-imposti per una primaria confusione iniziale.
Ripeto, è un testo molto attuale, soprattutto rispetto alla scuola odierna. Se uno legge capisce che l’istituzione scolastica non è molto cambiata nel corso del tempo… Tra l’altro, come dicevo, alcuni passaggi l’autore li ha dedicati al mondo del lavoro considerato che orientamento scolastico e lavorativo sono, in linea di massima, correlati e quindi anche noi dovremmo tenere in considerazione le diverse sfaccettature del sociale (anagrafiche, ambientali ecc.)
Nel capitolo “Orientare: Verso che cosa? Per quali fini?”, l’autore definisce l’orientamento “parte di quell’insieme di interventi mediante cui un operatore aiuta gli individui a fare il miglior uso dei poteri mentali e dei bisogni sociali, li stimola a intraprendere attività e a sviluppare capacità di valutazione. Questo per quanto riguarda il ruolo della scuola: ad esso dovrebbe corrispondere una coerente domanda di professionalità da parte della società…”.
È molto interessante quello che si trova scritto più avanti e che riassume, a grandi linee, ciò che si era scritto, in questo testo, nel capitolo precedente, a proposito dei cambiamenti sociali. “A livello di orientamento sia scolastico, sia professionale si devono porre i grandi temi della trasformazione sociale e dell’organizzazione del lavoro, temi mai sufficientemente approfonditi…”. Sono andata anche a cercarmi la definizione di orientamento su di un dizionario che recita: “orientamento: insieme delle prove atte a mettere in evidenza le particolari attitudini di un individuo ai fini di una scelta scolastica o lavorativa”. Io dilaterei il concetto all’uomo stesso perché penso che l’orientamento ha, da sempre, caratterizzato l’esistenza dell’essere umano in quanto costantemente bisognoso di una centratura, di un’equazione di stabilità. E questa necessità si concretizzò nell’assioma greco: “Conosci te stesso”. Cosa può suggerire tale enunciazione? L’idea di non commettere errori, di arrivare a una perfezione “psicologica”, ovviamente impossibile, tale che niente e nessuno possa scalfirla? Oppure l’accettazione della propria natura e l’idea conseguente di essere imperfetti, dunque di non poter mai arrivare a una conoscenza perfetta di noi stessi? Il problema che scatena questa frase non è certamente da poco. Se l’applichiamo al contesto lavorativo, potrebbe essere: l’uomo giusto al posto giusto, ma è chiaro che inserirla in un progetto importante come quello di scegliersi un lavoro “perfetto” è altrettanto utopico. Cito ancora De Bartolomeis: “Si sostiene che l’orientamento è cosa seria e delicata (contribuisce a decidere il destino degli individui) e poi lo si lascia in mani incompetenti che dovrebbero sbrigare la faccenda con un po’ di test, con qualche questionario convenzionale e con maldestre procedure di esplorazione del profondo a cui si dà il nome improprio di colloquio…”. E nel capitolo “Ampliamenti fittizi” scrive: “So bene a quali concetti viene affidato il compito di dimostrare che il problema dell’orientamento, anche a livello ufficiale, ha fatto enormi progressi (cito i punti più interessanti):
– coincidenza dell’attività orientativa e dell’attività educativa…
– informazione sul mondo del lavoro e sul mercato del lavoro che tiene conto sia dell’evoluzione tecnologica sia dei cosiddetti fattori umani
Sebbene il suo testo appaia parecchio “politicizzato”, un’altra definizione è di indubbio interesse: “Società capitalistica ed educazione permanente non possono coesistere… negli opuscoli del Ministero o di altri enti etc. nessun accenno – è ovvio – alle classi, alla divisione del lavoro, ai modi di distribuzione del potere. Tutto continua a convergere monotonamente verso la triade: attitudini, interessi, tratti personali di cui occorre avere una concezione non statica… E ancora: “L’orientamento è cosa troppo seria perché possa essere lasciato interamente nelle mani di professionisti. Su di esso devono acquisire un controllo sempre maggiore le forze sociali…” Sì, ma che tipo di forze? È chiaro che l’autore ha “paura” delle discriminazioni, in primis scolastiche e successivamente lavorative legate non sempre a parametri oggettivi e veritieri, ma a valutazioni fittizie, a preconcetti ecc. In altre parole rigetta ciò che le classi “alte” e quindi con maggiori privilegi possano fare a danno delle classi “basse”, con spreco di talenti che intanto andrebbero a ramengo per una sorta di orientamento/selezione irrispettosa che non tiene conto del reale valore degli individui.
Rispetto a quanto citato molte situazioni sono cambiate, ma le discriminazioni esistono ancora. Conosco una manager, il cui tema sarà analizzato in un altro capitolo, convintissima nel ripetere che l’università è l’unico ente che può garantire intelligenza e cultura…
Mentre l’intelligenza scappa come il mercurio e quindi non è definibile (diciamo che ci sono molti tipi di intelligenza, come dire che un genio musicale può essere poco predisposto a scrivere o a leggere ecc.), la cultura può crescere con il metodo autodidattico. Però la scuola sta lentamente cambiando, le attuali riforme universitarie che cercano di debellare i “baroni” lasciano trasparire il concetto, per alcuni versi, di “ritorno convenzionale allo studio con i vari allegati: va avanti chi dimostra bravura, predisposizione, ecc…”. Questo non dovrebbe creare discriminazione, ma semmai un miglioramento su tutta la linea. Ci sono persone che frequentano le accademie, ma non amano lo studio scelto, fanno fatica… Allora perché non un orientamento diverso, più pratico dove vengono messi in prima linea lavori manuali che potrebbero soddisfare maggiormente rispetto al continuo “pigiare” il naso dove non si vorrebbe? Pare che una svolta in questo senso sia già comunque in atto. Si tengano comunque sempre presenti i cambiamenti a raffica e di tendenza di cui già ho scritto, la consapevolezza che il lavoro fisso non è più visto come l’esclusività di una vita contribuendo alla consapevolezza, per molti, che la flessibilità e il precariato sono diventate quasi una parola d’ordine…
Insomma, riassumendo, l’orientamento è un “campionario di dritte” destinate sia ai ragazzi che devono scegliere il percorso scolastico o che si stanno avvicinando per la prima volta al mondo del lavoro, sia agli adulti che cambiano volente o nolente attività per indirizzarli verso qualcosa di più consono al loro modo di essere.
Qualcuno potrà obiettare che è difficile trovare un lavoro “su misura”. È vero. Sono pochi i privilegiati che possono fare quello che desiderano, ciò per cui sono veramente “tagliati”. Ma (e continuerò a ribadirlo) questa è semplicemente una ricerca, un’ipotesi di lavoro che chiunque può modificare. Lo scopo dell’orientamento è di chiarire le mete lavorative in relazione ai bisogni più profondi, ma sempre tenendo presente che vi sono dei condizionamenti provenienti da un contesto tutto umano che soggiace, quindi, a condizioni di estrema variabilità e spesso di incoerenza. L’orientamento, per utilizzare una terminologia più tecnica, non ha altra finalità che quella di “definire un progetto formativo e/o lavorativo da consigliare all’utente”. Ma come definire questo progetto formativo, su quali basi? Sul grado di professionalità o sull’analisi caratteriale?
Torniamo ancora al De Bartolomeis che nell’introduzione scrive: “In realtà l’insegnante non ha scampo: egli non può riporre, con senso di colpa o d’inferiorità, criteri che giudica inadeguati e farsi consegnare dagli esperti strumenti obiettivi che gli diano sicurezza; deve assumere la valutazione come problema inquietante, come strumento che è impreciso non per ragioni tecniche, ma a causa dei complessi condizionamenti sociali del valutabile…”.
Parafrasando, se aggiungiamo insegnante a selezionatore, allievo a utente ed esperto ad astrologo è chiaro che l’esperto (cioè noi) non siamo “gli individui che sanno quello che un altro selezionatore o un allievo/lavoratore non sa”. Dobbiamo prenderci il nostro carico di responsabilità tenendo conto che per arrivare a una valutazione e a un conseguente orientamento/selezione accettabile occorre un lavoro di équipe nel quale ognuno ha la sua parte di responsabilità e di doveri. Non solo. Questa parte di responsabilità e doveri è anche quella dell’allievo o del lavoratore che devono anche tentare di “auto valutarsi” (in altre parole a conoscere in maniera abbastanza sufficiente l’obiettivo che intendono raggiungere per aiutare l’operatore) e non affidare in toto la loro vita a scelte o suggerimenti assoluti. La collaborazione deve essere strettamente necessaria, la valutazione la più possibile accurata e assente da tendenziosità. Aggiungo che l’autovalutazione ha necessariamente dei limiti in quanto è difficile auto-analizzarsi. L’utilità delle schede di autovalutazione risiede nel fatto che il soggetto costituisce una variabile nel processo di orientamento perché in una stessa scheda può inserire più variabili di quanto si pensi. In altre parole l’autovalutazione è un elemento che segnala delle problematiche di cui l’operatore prende coscienza e prova a viverne le conseguenze pratiche in termini di mutamento.
Ma tornando alla domanda di prima: “Come si può definire questo progetto formativo?” A questo punto entra in gioco la dicotomia tra tendenza e vocazione.

[continua]

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