Bobby di Borgofreddo e altri racconti

di

Marina Casali


Marina Casali - Bobby di Borgofreddo e altri racconti
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
12x17 - pp. 54 - Euro 8,00
ISBN 978-88-6587-7104

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In copertina: «Tavola» di Giorgio Casali


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’opera è finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2016


La vita è capace di sorprendere in mille modi.
Ognuno è un po’ eroe nell’affrontarla.
Quattro storie diverse che finiscono per assomigliarsi.
La vita è sogno, profumi, suoni e luce.
La vita è destino.
La scrittura ha il grande potere di “aggiustarla” a piacimento.
La morale è sempre quella.
Cambiano i tempi?
O resta sempre tutto uguale?


Bobby di Borgofreddo e altri racconti


BOBBY di BORGOFREDDO

– Vi posso offrire un caffè?

Il caffè di Concetta non si poteva rifiutare. Primo perché era il più buono della Terra di Puglia e secondo perché si sarebbe offesa.
A Borgofreddo d’agosto ci si squagliava dal caldo. Ogni sacrosanta estate era consuetudine scendere “a trovare i nonni”, anche dopo anni che quelli non c’erano più.
La calura estiva era assoluta; assordanti, le cicale frinivano dai pini sparuti, dagli ulivi secolari, dai cespugli fitti delle ginestre.
Le terre dei nonni erano sparse per la vallata e delimitate, come tutto tra la Selva e la pianura, da serpentine di bassi muretti a secco, che mai avrebbero esaurito il pietrame dei campi.
A Borgofreddo sul far del buio, ed esattamente quando il sole iniziava a lambire l’unica altura della zona, si alzava un venticello che, incuneandosi tra le pendici della Selva vicina, accarezzava il letto asciutto del fiume Ruvo, spettinava le chiome degli alti e fragili eucalyptus e rinfrescava tutto il paesino. Era un sollievo che si bramava sin dai primi raggi dell’alba; l’aria si rinfrescava a tal punto che, fatto buio, si doveva indossare sempre un golfino; le contadine invece si avvolgevano negli scialli.
Concetta dava a tutti del “Voi” per quel retaggio di estrema deferenza che i servitori devono ai padroni o comunque a chi è più in alto di loro nella gerarchia sociale. Il Voi era riservato anche a noi, “i signorini” che scendevano dalla capitale. Lei era la discendente della vecchia serva dei bisnonni, giovane domestica dei miei nonni, perla di una saggezza popolare che custodirò dentro per sempre.

Il mio bisnonno perse al gioco la fortuna avita, il castelletto e le terre in Valle d’Itria; mio nonno salvò le terre verso mare, la masseria con i campi, le vigne nane, gli oliveti e qualche trullo sparso. Mia madre se la portò via un villeggiante, un dottore di Roma, dove poi siamo nati noi, tutti e quattro.

Concetta armeggia alla caffettiera, quella napoletana che si deve girare quando bolle l’acqua.
Vado in bagno a lavarmi le mani col piccolo sapone rigato di nero e già si diffonde l’aroma denso del suo buon caffè. Quando afferro la maniglia per rientrare nella sala del camino, quella mi si dissolve tra le dita: è fatta di fumo, ed è impalpabile come il mio sogno…

***

Mi risveglio di soprassalto. La cameretta ha gli scuri accostati, una lama di luce mi accieca di sole: improvvisamente mi invade una sudarella diaccia, ricordo che sono appena arrivata e che la mia tata di un tempo è di là che sta morendo.

Concetta è nel suo letto. È tornata dall’ospedale per morire a casa sua, anzi la nostra. Alla morte dei nonni mia madre, Concetta e suo fratello ereditarono la masseria. Lei è sopravvissuta ad entrambi; Giuseppe è morto ucciso da un fulmine, mia madre, figlia unica, qualche mese prima di mio padre. Non ci restava che Concetta.
I miei fratelli hanno spostato il letto vicino alla portafinestra che affaccia su un balcone. Lì Concetta trascorreva i pomeriggi della sua vecchiaia scrutando la campagna; adesso, di sguincio, si può anche spiare la piazza del Borgo che negli anni si è espanso fino a lambire la proprietà. Emanuele, ai piedi del letto, ha il viso rigato di lacrime. Francesca e Giovanni paiono privi di emozioni.
Ogni tanto viene qualcuno in visita e chiede, come va?
Tutto bene, è serena, non soffre.
Concetta si sta spegnendo.

– Ho visto tante di quelle cose… anche se non mi sono mai mossa di qui… – ci rassicurava quando le proponevamo di venire a conoscere la “Capitale”.
Non si era sposata, stava sempre in compagnia dei suoi animali: i cagnolini raccolti per la campagna, tanti gatti, persino una merla che le svolazzava sempre intorno.
– Ho voi – soleva ripetere – i nostri mesi d’estate, i ricordi, il telefono… –
Una comare, che aveva la figlia parrucchiera, le portava i giornali “scaduti”; la televisione le teneva compagnia. Come la svegliava il gallo, Concetta accendeva la radio: molte notizie da Roma, brutte, belle. Pensava sempre a noi, le pareva di rassicurarsi così, che non ci era accaduto nulla di male. E ci ricordava nelle sue preghiere.

Mi avvicino e le sfioro una tempia con un bacio. Le sussurro, ciao! Lei emette un mugugno, come se la voce le fosse sprofondata nel mezzo del ventre.
– Va tutto bene, Concetta, siamo tutti qui… – dico a voce appena più alta tuffandomi nello sguardo dei miei fratelli.
Concetta dischiude per un attimo gli occhi puntando un punto indefinito, li serra nuovamente, accenna un sorriso.
Le dico: – Ti ricordi di Bobby, Conce’?
I miei due fratelli grandi mi fulminano con un’occhiataccia, ma ti pare il momento di fare domande?
Emanuele invece sorride. Tutti i cani Concetta li chiamava così: generazioni di “Bobby”!


BOBBY

– Ma cos’ha Bobby? È da stamattina che smania… –
Eupremio si affaccia alla finestra: il cane è furibondo e punta la macchia mediterranea che abbraccia la collinetta alle spalle della casa.
– Voi restate dentro, io vado a vedere – ordina. Prende dall’attaccapanni il fucile da caccia, se lo mette a tracolla e si chiude la porta alle spalle.
Assuntina resta all’acquaio a spicciare le stoviglie del pranzo, le ragazzine si appiccicano ai vetri a spiare fuori.
Da qualche tempo i paraggi sono in subbuglio: gli Americani stanno cacciando i Tedeschi dall’Italia. Arrivano dalla Sicilia e risalgono verso Nord.
Si sono fermati a Santo Vito, hanno requisito la masseria del Conte Filo e regalano scatolette di carne, farina bianca, cioccolata.

La radio del Padrone funziona ad intermittenza, dopo qualche scappellotto meglio.
Il Padrone è andato col carro alla fiera di Fasano – la moglie s’è impuntata che voleva seguirlo – e s’è portato dietro il figlio grande del mezzadro. Vedranno di fare qualche scambio. Olio e vino contro un bel prosciutto, qualche insaccato, un paio di polli, una capra magari. I tempi sono stati durissimi, ma in campagna è quasi impossibile morir di fame.
Dalla finestra Concetta e Angela commentano ciò che vedono fuori.
Ad Angela piace passare il tempo nella casa dei mezzadri; essendo figlia unica s’è affiliata alla famiglia. Stanotte dormiranno tutti insieme, di là dalla tenda che divide in due l’unico ambiente dell’abitazione: un letto grande e due brande; Giuseppe tornerà solo all’indomani, ma lei dormirà ugualmente stretta-stretta all’amichetta.
Eupremio grida al cane, Bobby qua, Bobby tié, poi si blocca nel vedere cinque uomini armati farglisi contro. Due di loro puntano le armi al cane.
– No! – urla Eupremio sbracciandosi e corre a trattenere il cane per il collare di catena. Bobby a cuccia, Bobby buono, lo implora.
Non si intendono le parole da quella distanza, ma si capisce dai gesti che i soldati chiedono qualcosa mentre Eupremio si caccia via il cappello dalla testa e si asciuga il sudore col dorso della mano.


[continua]




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