Opere di

Marina Bellanti

Con questo racconto è risultata 10^ classificata – Sezione narrativa alla XIII Edizione del Premio Letterario Internazionale Il Club dei Poeti 2009


Questa la motivazione della Giuria: «Il racconto di Marina Bellanti è umanamente intenso e pervaso da profondi significati: il senso della vita, l’amore per la terra, la fedeltà a se stessi, la passione per ciò che si fa. Un meraviglioso vigneto sarà il simbolo dell’amore per la terra che non deve disperdersi in mani sbagliate. Non a caso, sarà lasciato in eredità al primo nipote: l’unico che potrà amare il vigneto come un figlio». Massimo Barile


L’alleanza

L’uomo che lo vide entrare rimase perplesso ma non disse nulla 
 e proseguì sulla propria strada.
Lui stringeva due bicchieri nelle mani, tenendoci fisso lo sguardo, per non far cadere neppure una goccia di quel denso e profumato mosto.
Passo dopo passo il suono della ghiaia sotto le suole infangate faceva da eco al suo sorriso rumoroso e fuori posto.
Quando Gianmaria lo sentì arrivare, capì immediatamente.
«Abbiamo anticipato la raccolta, nonno, un’estate davvero troppo torrida, sono sicuro che sarà un ottimo rosso, di quelli da riserva».

Il giorno della raccolta era per Gianmaria il giorno della famiglia, più che il natale, la pasqua o il ferragosto. Era la Vendemmia la vera festa.
Quel vigneto era la sua creazione, come un altro figlio. Conosceva ogni nodo, ogni curva di quella pianta che amava contorcersi tra le file e nascondere il suo frutto tra le foglie.
Figli e nipoti, moglie e nuore, amici e garzoni, tutti al servizio di Gianmaria, come fosse maestro d’orchestra, dirigeva la sua musica di forbici e grappoli, di cesti e tini.
Avrebbe voluto passare la sua stessa passione ad uno almeno dei suoi tre figli ma questo il cielo o chi per esso non glielo aveva concesso.
Aveva contribuito a mettere al mondo un letterato, un orafo e un ingegnere. Tutti e tre a loro modo artisti ma senza la terra nel cuore. Non la comprendevano. Non la sentivano.
Certo erano capaci lo stesso di assaporarne il gusto e la prelibatezza ma ciò che li emozionava davvero era la potenza umana, il potere della mente, la forza dell’uomo sulla natura e non il contrario.
Eseguivano gli ordini del capo, passavano tra una fila e l’altra, tra il sangiovese ed il trebbiano, asciugando il sudore di tanto in tanto ma senza passione. E di questo sembrava dispiacersene perfino Donna Matilde, che di mestiere contraddiceva Gianmaria.

In cima alla collina, tra il lago e il mare, dove la Terra da un tempo senza inizio aveva apprestato il suolo alla vite; lì nel modesto fazzoletto di file, tra i giganti del vino, Gianmaria aveva seguito il profumo del sudore misto al riso. Si era sfidato. Ogni anno, quando nuovi rosai venivano piantati, lui si preparava a raccogliere e a spremere e ad aver fiducia.
Fu il primo nipote a farlo sperare di nuovo. Quel suo desiderio di contribuire, di conoscere, di imparare l’arte del buon vino. Seguiva le fasi della vite e del vino, preparava le botti, imparava a distinguere il buon legno da quello cattivo. Aspettava la vendemmia con ansia e la sera precedente restava sveglio fino a tardi per la troppa emozione. Non era tanto per la licenza di bigiare la scuola, era piuttosto per l’opportunità di essere al fianco di Gianmaria, di avere accesso alla cantina, luogo proibito ai più, ed a tutti quei posti dove il capo entra per primo.
Ma sopra di ogni cosa il primo nipote aspettava il brindisi al mosto, unica garanzia che il vino sarebbe stato dell’ottimo vino.
«Vedi caro nipote, il vigneto ha bisogno di poche cose, di terra per tenersi dritto, di acqua e sole per crescere e poi una volta spremuti i suoi frutti ha bisogno di aria per ossigenarli. Tutto qui. La mano dell’uomo interviene solo per rinforzarlo, tagliando i suoi rami al punto giusto, per far cadere ciò che sarebbe d’intralcio.
Questo vigneto ha bisogno, però, anche del brindisi al mosto, per ringraziare la vite, per ripagarla. È un usanza antica quanto il mondo e mai fino ad ora ho permesso che qualcuno vi partecipasse. Credo che tu sia abbastanza grande. È un segreto che conosciamo solo io e te e nessun altro».
Fu così che Gianmaria strinse alleanza con il primo nipote.

«Sai nonno, ho sempre sognato di vivere qui in questa casa. Da piccolo odiavo la domenica perché era il giorno della partenza… ricordi quante volte ti ho fatto arrabbiare e quanti guai ho combinato?! Volevo solo essere come te. Oggi so fare tante cose e ho un buon lavoro ma neppure uno dei mie colleghi cervelloni sa fare il vino, lo capisci? Nessuno sa fare il vino! Credono che cresca già nelle bottiglie come la Coca Cola! E vogliono tutti partecipare alla vendemmia perché li renderebbe un po’ meno artificiali. Io rispondo “Sì, come no, il prossimo autunno sarai invitato” ma poi faccio finta di dimenticarmene perché la vendemmia non è mica una gita al Luna Park, è una cosa seria!».
«Tuo padre qualcosa di buono alla fine è riuscito a farlo…».
«A che brindiamo quest’anno?».
«Quest’anno scegli tu!».
«Quale onore, nonno caro… ma non saprei a cosa…».
«Forse potresti ispirarti a quella brunetta formosa che non hai dimenticato affatto di invitare…».
«Forse…» rispose a Gianmaria, rosso in viso come quel mosto.

Quando il notaio entrò in casa, Gianmaria non aveva più la forza per alzarsi, ma salutò con il rispetto dovuto.
«Voglio donare il Vigneto al mio primo nipote» disse.
Matilde protestò perché non lo riteneva giusto, lei che tutta la vita aveva dosato l’amore, distribuendone in egual misura, diligentemente. Non era bello agli occhi degli altri nipoti e cosa avrebbero pensato gli altri figli?
«È proprio il fatto che non capiranno a farmi essere sicuro della mia scelta. Non hanno bisogno di soldi né di proprietà, hanno tutto il mio amore e lo hanno sempre avuto. Ma il vigneto è la mia eredità al mondo e ciò che lascio alla terra. E come dire grazie e chiedere scusa insieme. È il mio pegno per aver contribuito a consumare la vita. Solo lui può occuparsene».
Donna Matilde rimase in silenzio, era il suo modo per dargli ragione.

«Un attimo solo» disse Marco, il primo nipote, al custode.
Alzo il calice al cielo e sospirò:
«Brindo a questo figlio, che nasca forte e sano e che somigli a te!».
Poi versò il resto del mosto sulla terra arida, tra le margherite assetate.
Baciò la foto ridente al centro della lapide e si incammino con lo stesso sorriso verso l’uscita.


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