Opere di

Mariella Soldo

Con questo racconto è risultata 8^ classificata – Sezione narrativa alla XIX Edizione del Concorso Marguerite Yourcenar 2011


Questa la motivazione della Giuria: «Una giovane libraia, nel quartiere di Chinatown, accende le pulsioni di un uomo. La misteriosa presenza pervade, con il suo profumo, l’intero racconto e diventa “certezza quotidiana” anche se l’uomo non conoscerà mai il suo nome. Estrema efficacia narrativa nel rendere l’atmosfera soffusa, enigmatica ed evanescente».

Massimo Barile


La libraia di Chinatown

Ogni mattina, per recarmi al lavoro, dovevo attraversare Chinatown. Passavo sempre da una strada lunghissima, che quasi si perdeva all’orizzonte, tra il cemento e qualche albero spoglio. C’erano insegne ovunque, lampeggianti di scritte in caratteri cinesi, di parole inglesi o italiane. I negozi si susseguivano disordinatamente, senza una logica precisa: ristoranti, abbigliamento, prodotti informatici, oggettistica, videoteche, tutto rigorosamente cinese. Di tanto in tanto scorgevi un volto occidentale, che ti passava accanto furtivo, schivo, e guizzava quasi come un’anguilla in acque non familiari. A volte provavo anch’io un certo imbarazzo, ma i cinesi neanche si curavano del mio passaggio, erano sempre intenti nel loro lavoro o in conversazioni di difficile comprensione. Quei suoni alti e bassi, soprattutto se pronunciati da donne, infondevano in me un tale mistero, che per l’intera giornata li riascoltavo nella mia mente, come un canto venuto dal lontano e mistico Oriente. Forse un giorno, a furia di passare da Chinatown, avrei imparato il cinese e avrei riconosciuto quei simboli profani, avrei salutato il solito signore che incontravo all’angolo e lui, attonito, molto probabilmente non mi avrebbe risposto.
La particolarità di quella via era una libreria, gestita da occidentali, che aveva l’aspetto di una libreria inglese degli anni settanta, decadente, polverosa, ma ricca di titoli che facevano gola al più nobile dei letterati. Non ci ero mai entrato e mai mi ero soffermato davanti alla vetrina. Un senso di inquietudine prendeva il sopravvento non appena notavo l’insegna di ferro e la porta blu pastello. Attraverso i vetri opachi, che non permettevano di vedere con chiarezza all’interno, scorgevo una figura femminile, sottile e diafana, sempre intenta a leggere chissà quale misterioso volume. Non era italiana. Dalle movenze, dalla forma degli occhi, dal colore dei capelli, scuri e setosi, da quell’aspetto silenzioso, spesso immobile, non avevo dubbi che si trattasse di una fanciulla orientale. Cosa ci faceva nell’unica libreria italiana a Chinatown?
Ormai erano anni che camminavo sempre da quel lato del marciapiede per osservarla e conservare, la sera, quando le ombre calano spietate sul nostro corpo, quella tenera immagine indistinta.
Non conoscevo con precisione il suo volto, non avevo mai sentito il suo odore, o visto le sue mani. Non sapevo a quali libri si dedicasse, se leggesse in italiano, eppure, pensavo a lei ogni istante. Perché non avevo mai avuto il coraggio di entrare in quella libreria? Cosa me lo impediva?
Quella fanciulla divenne così la mia certezza quotidiana. A volte mi svegliavo la notte con la paura che magari il giorno dopo non potesse esserci più e ritrovarmi, solo, in una città avvolta da una nebbia pallida, da milioni di uomini senza nome, immersa nella laidezza del volgare. Avrei perso quell’unica forma di bellezza che mi era stata concessa, anche se solo da lontano. L’idea che un vetro ci separasse rendeva i miei sogni poco fluidi, confusi, privi di senso. Forse stava diventando la mia ossessione. Sì. Man mano ne presi coscienza. Svolgevo un lavoro monotono, una vita solitaria e, in queste condizioni, cadere nella trappola della bellezza irraggiungibile è molto più semplice che accettare la propria triste sorte, perché quel bello ricevuto a tratti mi donava la sensualità ebbra che il quotidiano non poteva mai offrirmi. Desideravo soltanto sfiorarla… Temevo la bellezza così come temevo me stesso.
Come si chiamava? Quanti anni aveva? Era innamorata?
Una mattina mi svegliai con l’intento di entrare nella libreria. Mi alzai prima del previsto, preparai il necessario per il lavoro, e con l’ansia disegnata sul viso, mi incamminai per Chinatown.
Lei era lì, come sempre. Il capo chino. Le labbra socchiuse. Un filo di capelli le scendeva sulla fronte. La bellezza che emanava era pari al tremolio delle stelle.
Deciso, pieno di me, almeno apparentemente, spinsi quella porta ed entrai. Dissi buongiorno e con un sorriso dolce, ma allo stesso tempo velato da una graziosa malinconia, la fanciulla mi rispose allo stesso modo, ma con un’intonazione diversa.
Mi avvicinai allo scaffale che aveva accanto. Un profumo sconosciuto, intenso, percorse il mio corpo e attraversò l’anima. Chiusi gli occhi e mi immaginai di essere nudo con lei in un fiume cinese, avvolto da un’intensa vegetazione, lontano dalla mano umana e dal pensiero occidentale.
Girai di poco lo sguardo. I miei occhi si incantarono su un ciondolo d’argento a forma di luna che le cadeva tra i seni, visibili grazie a una profonda scollatura. Due seni perfetti, come due boccioli di rose. Immaginai di prendere quel ciondolo tra le mani e di sentirne il profumo. Sarebbe stato come annusare la pelle dei suoi seni e il loro odore più intimo.
La fanciulla si accorse che la stavo osservando. Leggermente imbarazzata, mi chiese se avessi bisogno di aiuto. Risposi di no, mentre guardavo il chiarore lunare che emanava il suo collo scoperto.
Chinò nuovamente il capo sul libro, ma dopo qualche secondo lo richiuse. Si trattava di un libro di Zhang Ailing, avevo riconosciuto la foto dell’affascinante scrittrice sulla copertina, ma non riuscii a capire il titolo a causa dei segni cinesi.
Notai con un leggero senso di sofferenza che portava al dito una fede nuziale. Potevano reggere quelle mani così delicate il peso di un giogo d’oro?
Scelsi un libro qualunque, un’antologia di poeti cinesi, e lo comprai. Lei sfiorò il volume con le dita sottili e lunghe, prima di infilarlo in una busta anonima, per lasciarvi, in maniera inconscia (o consapevole?) il suo intenso profumo di donna solitaria. Abbassò nuovamente gli occhi, ma in quell’istante fugace scorsi quasi un sorriso che volle tenere segreto. Uscii dalla libreria conservando con gelosia quella grazia, quel candore, quel fascino che abitarono i sogni della mia lunga e inspiegabile notte.
Il giorno seguente ero nuovamente a Chinatown, quartiere ormai immenso, diretto sempre verso quella strada, che adesso mi appariva diversa, e verso la libreria. Ma questa volta la fanciulla cinese non c’era. Seduto, al suo posto, un ragazzo occidentale, con la barba, che mangiava volgarmente un panino, facendo cadere briciole e pezzi di formaggio sul quotidiano aperto. Non pensai nulla, poiché infiniti pensieri si contrastavano l’un altro. Domande, paure, ansie, tremori. Forse la fanciulla aveva avuto un improvviso malore.
Dopo un anno circa, la fanciulla non era ancora comparsa. E chissà se un giorno sarebbe ritornata a rendere splendenti i miei giorni. A volte, con un sorriso, penso sia stato soltanto un sogno o un delirio lucido. Dal momento che non ho mai saputo il suo nome, nella mia intimità più profonda la chiamavo Yue1, pensando a una luna maestosa, alta in cielo come il velo argenteo di una dea, sulle ombre impenetrabili di Shangai.

Mariella Soldo

1 Yue in cinese vuol dire “luna”.



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