Opere di

Maria Rita Sirri


Con questo racconto è risultata classificata ex aequo – Sezione narrativa alla XIX Edizione del Concorso Marguerite Yourcenar 2011


Questa la motivazione della Giuria: «La storia di Bortolo e Rosa che, dopo la guerra, sono rimasti ancorati al luogo dove sono nati. Emerge il forte legame alle radici della propria terra e la necessità di rimanere in contatto con la sostanza stessa del proprio modo di vivere. La tragicità di un evento non intaccherà la loro unione, non scalfirà il loro amore che oltrepassa il tempo. Racconto pervaso da profonda umanità e dal profumo del tempo che avvolge in un abbraccio spirituale».

Massimo Barile


Antenati

Questi giorni di pioggia sono stati lunghi, lunghi silenzi fra Bortolo e Rosa, seguiti da notti difficili che non finiscono mai. Bortolo si rigira nel letto e non riesce più a dormire. L’acqua picchietta contro le vecchie persiane. Le assi del solaio scricchiolano. I muri incrostati si sfaldano, cedono all’umidità e all’incuria. Nella tristezza della casa, solo il rintocco del pendolo, che marca il passare delle ore, sembra interessato a resistere.
«L’unica fortuna a diventar vecchi,» riflette guardando l’immagine sfocata allo specchio «è che nessuno si aspetta che tu faccia qualcosa. Ogni domanda si ferma davanti a questa faccia rugosa dalla pelle sempre più spessa, davanti a questi occhi logorati dal tempo e dai troppi pensieri.»
Contro il declino, invece, loro hanno lottato e non si sono rassegnati. Rimanere ancorati al passato, da più consistenza di una realtà a cui non sanno adeguarsi.
Bortolo sospira.

In pochi giorni il suo passo sembra diventato insicuro, le spalle appaiono incurvate. Egli sente il peso di quella decisione, così difficile, che non è riuscito a prendere. Come avrebbero potuto seguire il figlio, quando la nuova casa fu acquistata, nella città dove Umberto lavorava, da anni, ormai?
Finalmente la famiglia si sarebbe riunita. Vacilla al pensiero.
Occorreva lasciare il paese, la vecchia dimora dove era nato, che lo aveva visto bambino in un’epoca austera, nutrirsi a polenta e calci nel sedere, e dove era stato artefice e protagonista della sua vita. Neanche oggi il cuore riesce ad uscire da quelle stanze.
Ode ancora le donne di un tempo parlare fitto, che il Duce aveva ordinato, che c’era da andare lontano a bonificare paludi, e a rendere fertili e coltivabili terre arse dal sole. «I nostri uomini son forti – sussurravano piano – abituati alla fatica, abituati al sacrificio, abituati ad abbassare la testa e obbedire.»
Alla fine della guerra, molti casolari erano stati distrutti, i raccolti bruciati, e non c’erano speranze per tutti, in paese. Alcune famiglie erano partite per l’Argentina, per il Belgio, per la Svizzera. Per anni avevano scritto ai parenti, rivelando la vita delle miniere, dove non si respirava che zolfo, o carbone, sputando sangue e sudore della fronte.
Bortolo e Rosa erano rimasti.
Armati delle certezze che davano loro la giovane età. Forti di quel legame alla terra e alle tradizioni che mai avrebbero dimenticato, e che li rendevano sazi del loro piccolo mondo. Giravano le campagne già prima dell’alba, per comprare dai contadini i prodotti da vendere di mercato in mercato. S’inventarono così un piccolo commercio, cresciuto poco alla volta, tanto da riuscire ad aprire il grande negozio di frutta e verdura, che si affacciava sulla via principale, esteso su tutto il piano terra della casa. Fino all’altro ieri…

Una grande amarezza riempie le giornate, la consapevolezza che le cose non sono andate come avrebbero dovuto. Si trascina fra le stanze vuote, cimeli di una vita che non può più tornare, ma che ancora contengono tutto ciò che resta del mondo suo e di Rosa.
Non si sarebbe potuto salvare l’attività, dopo cinquant’anni di commercio. Già attempati, non si riusciva più ad andare avanti da soli, e non era stato possibile convincere quel figlio, per il quale erano stati fatti tanti sacrifici. A lui non interessava tornare in paese e dare una mano agli anziani genitori. Si dovette serrare bottega. Fosse successa questa cosa quando Bortolo sentiva ancora ribollire forte il sangue nelle vene, se allora avesse sentito riecheggiare tutti i no del figlio: che non si sentiva portato, che maneggiare frutta e verdura non gli era mai piaciuto, che occorreva alzarsi all’alba ed essere pronti alle necessità del mercato, che la moglie e i bambini non riuscivano ad ambientarsi in paese, che avevano sempre vissuto in città; beh allora, sarebbe stato diverso.
Bortolo rimugina fra sé, ormai lui e Rosa sono rimasti soli, due poveri vecchi di ottanta anni suonati.

Piove.
L’acqua scende a catinelle.
In paese un vociare sommesso corre, amplificandosi di bocca in bocca. Antiche e recenti preoccupazioni emergono, fino a minare le giornate.
I due anziani si animano, quasi avessero bisogno di un motivo per sentirsi ancora vivi. Rosa ha passato tutta la giornata in cortile a spazzare i rigagnoli di acqua, mentre la pioggia scendeva sempre più forte. Aveva indossato l’impermeabile, il cappello e gli stivali, e spingeva l’acqua verso il fosso. Quando si è resa conto che cominciava a tracimare, è tornata in casa, e si è seduta davanti alla finestra. Non c’era più niente che lei potesse fare. Allora è uscito Bortolo, con gli stivaloni da pesca e il badile. Ha innalzato i margini del fossato, e ha riempito nuovi sacchetti di sabbia. Il cielo sembrava ancora più cupo, alle quattro del pomeriggio cominciava a far sera. Occorreva informarsi di quanto era salito il livello del fiume e avere qualche notizia, soprattutto, sapere se l’allarme sarebbe potuto rientrare. Sull’argine un gruppo di persone guardava inorridito l’acqua turbinare minacciosa, e i Carabinieri, con l’elicottero, sorvegliavano il territorio. Quando è giunta la notizia che la campagna, fuori del paese, era tutta sotto l’acqua, e che dall’alto non si vedeva che acqua, Bortolo è rientrato.
«Il Signore» ha sentenziato Rosa «aveva avvisato Noè del diluvio, in modo che lui si potesse preparare, infatti, Noè costruì la grande arca per salvare sé e suoi animali. Noi non ci siamo attrezzati, perciò periremo.»
Bortolo scuote la testa, e si fa il segno della croce.

Stanotte, hanno avuto l’impressione di aver vissuto, entrambi, lo stesso incubo. Un’acqua densa, di pantano, era stata risucchiata in casa e sommergeva ogni cosa. In negozio tutto era rovina. Scardinati gli scaffali, sudicia la mercanzia, le mele e le arance galleggiavano nel torbido. Nel delirio, la loro abitazione, e tutto il paese, parevano trovarsi a Venezia, fra i canali. I gondolieri, vestiti di giallo, procedevano remando piano, al buio. Armati di torce, sostavano sotto i balconi. In silenzio le persone salivano sulle imbarcazioni e poi scomparivano nella notte.

Al mattino, quando sono arrivati i soccorsi, hanno trovato Bortolo e Rosa ancora a letto, ordinati. Appoggiati su un fianco, l’uno di fronte all’altra, parevano addormentati. Per sempre.

**Maria Rita Sirri*+



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