Opere di

Maria Provini


Gli auguri di Natale

- “Tanti cari auguri di Buon Natale a tutti!”.…sì, sì, è la frase classica, ma va bene…! – Nella testa di Anna torna, come un soffio di vento, il ricordo di quei bigliettini che sceglieva con la mamma. Si affaccia limpida l’immagine della cartoleria, con la stessa signora che disponeva presepi d’autore, paesaggi innevati, o pupazzi di neve davanti ai suoi occhi di bambina.
Anna prende la penna e sfiora lo spazio bianco del biglietto che oggi si trova a scrivere, quando, con la mente si allontana. Torna a casa, con la mano in quella della mamma, e tutti quei disegni colorati che le danzano nell’anima. Rincorre i fiocchi di neve dei biglietti, e fantastica forme che prendono vita. Torna a casa, con l’ansia di scrivere gli auguri, mentre riesce a sentire il calore del presepe. – “Tanti cari auguri di Buon Natale….a tutta la famiglia!”…. Sì…, in questo modo si sente meglio che c’è una famiglia, si sente più calore! – La donna prepara i biglietti per i familiari degli ospiti della casa protetta per cui lavora.
Si infila nel corridoio dell’istituto, dà un’occhiata ai “suoi ragazzi”, e chiama Carlina, l’unica che può ancora usare la penna. Spinge la carrozzella fino al tavolo dell’ufficio.
Carlina appoggia le dita sulla penna; curva sul primo biglietto, con la mano rigida, sembra aggrapparsi tutta alla penna, nello sforzo di scrivere. Le parole d’inchiostro escono e, arrivando al punto esclamativo, ella sorride compiaciuta. In quel momento, ad Anna balena quanto sia illogico che gli ospiti mandino gli auguri ai familiari, invece di essere questi a farlo, e i parenti, al completo, a far loro visita.
La donna sa che alcuni rimangono senza famiglia, il giorno di Natale. Ecco allora, che Carlina le sembra diventata una bimba mentre fa gli auguri divertita, sperando di ricevere in cambio un regalo.
Continua a seguire Carlina nel suo lavoro. Si accorge che ha commesso un piccolo errore di ortografia, ma le dice che è lo stesso, di non preoccuparsi. Quando la donna ha terminato, l’assistente la conduce nel corridoio, in compagnia degli altri. La ringrazia e la osserva, allorché, contenta dell’opera svolta, le pare quasi più tranquilla, più sicura di sé. Le sembra quasi una persona che viva fuori da quel luogo. In un attimo, in quelle gambe bloccate e scarnite, coglie la dignità di un’anziana invalida, che manda gli auguri a persone esattamente uguali a sé.
Un ospite distoglie Anna da tale consapevolezza. Emette un lamento, che richiama una sorta di cantilena. Le colleghe sono convinte che sia ormai un’abitudine, un sistema per attirare l’attenzione, ma forse in quel piagnisteo c’è tutta la vita del paziente.
Anna si affretta, per rispondergli. Lo conosce dal primo giorno in cui è entrata nella struttura.
Anna ha desiderato quel lavoro, spinta dall’ansia di soccorrere chi ha bisogno, un impulso particolare, divenuto incontenibile.
La fine della giornata, ora, le lascia una stanchezza dolce. Ella avverte una sensazione di appagamento, che la fa sentire “a posto”, a posto con se stessa. Ma comprende che c’è qualcosa di egoistico nel suo “dare agli altri”, che ciò che la induce a dedicarsi a loro è la ricerca di una ricompensa a livello interiore, il valere, poiché c’è qualcuno che ringrazia per una causa vitale.
E’ una gratificazione egoistica quella che raggiunge. Qualche volta, il “dare” non è un atto di autentica generosità. E’ anche un modo per placare i sensi di colpa, per compensare un senso materno frustrato. E’ come un regalo di Natale, per un bambino.

L’assistente gira nel corridoio. Entra nella sala da pranzo, dove due anziani giocano a carte battendo le dita e sbraitando, ed un altro guarda il televisore dalla carrozzella, con gli occhi spenti e la bocca storta. Ritira dal tavolo due tazze vuote e una colma di tè, portandole in cucina. Passa nel corridoio, per andare nella camera di un paziente.
Anna vive la sua giornata, muovendosi tra queste pareti bianche, alla ricerca di una gratificazione egoistica. Si preclude di andare oltre quelle stanze chiuse, di far evolvere la sua anima.
Ecco, spinge una paziente sulla carrozzella, dinanzi all’unica vetrata della casa di riposo, per farle ricordare cosa c’è nel mondo, oltre quelle mura.
C’è una montagna spruzzata di neve, che sovrasta la strada. Automobili sfrecciano, scomparendo dietro la tenda della porta.
L’assistente e l’anziana puntano i volti contro il vetro, che brilla di sole. Volano lontano, oltre le cime bianche, dove si può ancora sperare.


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