In attesa (racconti)

di

Maria Provini


Maria Provini - In attesa (racconti)
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 90 - Euro 7,00
ISBN 978-88-6037-395-3

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Prefazione

In questi quattro brevi racconti di Maria Provini, pervasi da un’intensità narrativa e da una forte sensibilità rivolta al sociale, emerge un disperato e continuo “bisogno d’amore” da parte dell’essere umano che si trova a girovagare in questo mondo, a percorrere il faticoso cammino: la sua condizione non conta poi molto perché ciò che riveste importanza è il modo di vivere, di avvicinarsi alle meraviglie di questa vita, di sopportarne le miserie e di addolcirne i dolori.
E Maria Provini, attraverso una narrazione intensa e appassionata, mette a nudo l’anima dei protagonisti dei suoi racconti: scuote e convince, inanella sensazioni e riflessioni profonde che diventano luci pulsanti d’una energia compositiva.
L’estremo tentativo di scavare tra le pieghe e gli eventi imprevedibili della vita forma un flusso continuo di immagini efficaci, di descrizioni ambientali che riescono a rendere fisicamente presenti sul luogo del racconto: gli stati d’animo dei protagonisti, i resoconti delle loro vicissitudini, la presa d’atto delle loro scelte, le aspettative, i sogni, le speranze e le delusioni esprimono le diverse modalità di esistenze che compongono il genere umano.
Ecco allora che si ergono a simbolo di questa visione, l’incontro tra due innamorati in un giardino ghiacciato, ammantato da un’atmosfera sospesa nel tempo e il loro desiderio di restare in quel giardino, luogo incantato, per sempre. E poi la figura d’una donna, attrice teatrale di successo, che si sente un “fantasma che aspetta di vivere su un palco” e l’uomo che è innamorato di lei vorrebbe dissolvere il dubbio “se lei è attrice anche con lui o parla con la propria anima” e, infine, una ragazza in viaggio turistico che entra in un hotel e instaura con l’albergatore una strana complicità come se le parole “volassero via” dalla sua bocca, gli sguardi scrutassero più del dovuto, il volto ricordasse “qualcuno” già conosciuto: ecco l’amore negato, l’amore introvabile, fuggente, difficile, inascoltato.
Lo sguardo di Maria Provini, in ultima analisi, scruta il mondo come gli occhi di quella donna, protagonista del racconto “In cammino”, che si ritrova a vivere la sua prima notte da clochard: il desiderio di ritornare in possesso della propria esistenza in un luogo sconosciuto, quasi un nuovo mondo estraneo, di riuscire finalmente a guardare gli occhi di una persona e aprirsi con fiducia, e tornare a vivere nel pieno di una “metamorfosi esistenziale” che non ha più problemi da affrontare, davanti all’ultimo pasto prima di diventare una clochard, ormai al di fuori dei meccanismi della società. “Ricominciare nel silenzio di una vita consumata accanto al nulla della solitudine” e, sorprendentemente, “sentire la vita addosso e stringerla con tutti i nervi del corpo”: come a trovarsi davanti ad un atto salvifico, ad una rinascita che permette di non crollare, fino a trovarsi a pensare “con la gioia di una bambina senza passato” e “baciar la luna specchiata in una fontana”.
Ecco l’estrema sensibilità, la profonda umanità, l’amore per la vita, il desiderio narrativo di esprimere emozioni. E tutti sappiamo che non si può penetrare il mistero altrui se il proprio animo è arido. Davanti all’irrazionalità della vita, Maria Provini, riesce a cogliere l’attimo fuggente della felicità, a rendere fertile un deserto.

Massimo Barile


In attesa (racconti)


In un giardino di ghiaccio

Una seggiola è ficcata fra la lettiera e l’armadio, le ante superiori ancora aperte, come avessero appena sbattuto l’una contro l’altra. Una poltroncina rivestita di stoffa rosa è accanto alla porta, con un giaccone bianco gettato sopra un bracciolo, da cui scende un lembo della cintura, a penzoloni.
Lidia si sta massaggiando tutta la pelle del viso, cercando meticolosamente di spalmare il fondotinta su ogni piccolo lato, anche su quei brufoletti che spuntano, guastando l’armonia del suo viso fresco di adolescente.
Si specchia per l’ultima volta, con indosso la giacca e la borsetta a tracolla. Dopo aver respinto un ciuffo di capelli verso sinistra, dietro la scriminatura, sorride con la sua immagine in modi disparati, come in preparazione ad una foto importante.
Adesso è pronta per volare da lui, per arrivare in un baleno dal suo ragazzo, per abbracciare in un secondo la meta della sua vita.
L’appuntamento è davanti alla scuola. Lidia si avvia impaziente, lungo le strade fredde della città.
In alcuni tratti, una crosta di ghiaccio nerastra si è saldata al marciapiede, mentre il gelo mantiene imbiancati i rami più grossi degli alberi dei giardini.
Il motore delle automobili scoppietta, intorbidando l’aria con nuvolette fosche che vanno ad introdursi nel naso, scendendo ad inasprire la gola.
Lidia si affretta, alzando spesso lo sguardo per scrutare laggiù, all’incrocio, provando a indovinare se una di quelle macchie oblunghe e multicolori che vanno da un capo all’altro della strada è per caso già Andrea, che sta arrivando in anticipo. Un semaforo arresta la sua corsa per qualche minuto sulla prima striscia bianca, poi la spinge verso di lui senza nuove interruzioni, senza ostacoli.
Ogni macchia di colore che svetta veloce sul fondale bianco di questa giornata la sorprende assorta in quel pensiero, bianco anch’esso come la neve.
Ecco, è giunta di fronte al cortile della scuola; Andrea non si vede. Ancora una strada la separa dalla panchina dell’appuntamento, la più larga da oltrepassare, finchè si mette a cercarlo, ruotando gli occhi e il corpo in ogni direzione.
Qualche secondo di smarrimento prende Lidia tra i muri bianchi di neve ghiacciata, dove l’attesa crea un silenzio cupo di notte fredda, che par nascosta sotto un falso candore.
Una mano gelida la prende sulla nuca, insinuandosi sotto la lana calda di riccioli.
Lidia sobbalza, girandosi di scatto. – Aaah! – Un gemito le esce finto, poiché ha capito di chi si tratta.
Le manca il tempo di guardare gli occhi che cercava, perchè sulla sua bocca premono già le labbra che con dolcezza la schiudono. – Da dove sei passato? – tenta di chiedere Lidia mentre Andrea non stacca le labbra, – Ho guardato da ogni parte senza… ahi!... – Andrea le mordicchia una guancia. – ... trovarti! – conclude Lidia, col tono di chi vuole punire qualcuno, pizzicando Andrea ad un braccio. – Mi sono materializzato qua, davanti a te. Non sai che sono dotato di poteri paranormali? – dichiara il ragazzo, ergendosi sui due piedi e allargando le braccia, come per presentarsi. – Ma davvero? Allora devi mostrarmi quali sono le tue facoltà! – La sua fidanzatina sta al gioco, puntandogli un dito sul petto. – La mia più grande facoltà è... riuscire a baciare contemporaneamente dieci donne! – prorompe alzando gli occhi al cielo, prevedendo la reazione di Lidia. Prontamente ella comincia a batterlo sul petto, con aria di scherzo.
I due ragazzi si cingono per le spalle ridacchiando, e camminano fino alla prima panchina.
Andrea si siede, appiccicandosi a lei, sbaciucchiandola sul collo, accarezzandole il braccio sepolto nel giaccone. Avrebbe voglia di stringerla incessantemente, di non allontanare mai la pelle dal contatto col suo corpo, di continuare a strofinare le dita sulla stoffa impermeabile di quel giaccone soffice. Avrebbe voglia di isolarsi in un luogo ignoto a chiunque, fino a sera, o per tutta la notte fonda; stretto a lei, chiuso tra le sue braccia, ad assaggiare un silenzio caldo di pace. – Pensavo che mi telefonassi, oggi…, ci siamo visti più tardi… – La voce di Lidia lo riporta a situazioni diverse, più ordinarie. – Lo sai che preferisco vederti, piuttosto che telefonarti…! -, ma adduce una piccola giustificazione: – Sono stato quasi un’ora su un problema, non riuscivo a farlo venire. – - Qual era, per caso il secondo? Anch’io ho avuto difficoltà proprio con lo stesso. Gli altri li ho risolti subito. E tu? – La ragazza lo fissa, nell’atto di condividere le pene scolastiche.
I due ragazzi si scambiano le informazioni della loro vita, con l’occhio alle solite facce che entrano ed escono dal bar-latteria. – C‘è quello di matematica che scende le scale della scuola! – dice Lidia allarmata. – Spero non passi di qua…! – - Non capisco cosa ci faccia. Oggi non c‘è nessun Consiglio, nessuna udienza! – le fa eco il compagno. Egli si volta. – Ha lasciato la macchina di là, siamo a posto! Ma, in fondo… non stavamo combinando nulla… – - Sìììì, è vero…, ma a me sembra che tutti i professori sospettino; se c‘è qualcuno che ha intuito, quello è sicuramente lui… – Lidia si stringe nella giacca, abbassando il mento, come se volesse sparire, o nascondere gli occhi. – Dài…, che siamo una bella coppia! – Andrea alza la voce con allegria, quasi per sfidare il mondo della scuola, platea ignara del loro amore. – Ahia, che botta! – si interrompe, per scansare la gomitata sferratagli dalla sua innamorata, nel tentativo di placare quel tono altisonante che li scopre fidanzatini. Si volge verso di lei, e ad un tratto la vede bimba impaurita; come per burla, le schiocca un bacione sulla guancia morbida. – Senti… facciamo le persone serie! – Lidia estrae dalla borsa un libro spesso, dalla copertina verde, sgualcita sugli spigoli. – Non riesco a farmi entrare in testa i concetti che ha spiegato oggi; non posso studiarli a memoria, non avrebbe alcun senso. Tu sei riuscito a capire qualcosa? – Andrea afferra il libro che la ragazza ha aperto verso la metà, aiutandola a sfogliare le pagine dell’ultima lezione di filosofia. – Ma non hai preso appunti? Io ho compreso i concetti nell’istante in cui li annotavo sul quaderno! Quando ho riletto, ogni parola mi è sembrata chiara e me la sono impressa subito nella mente. – sostiene trionfante. – Conosco il segreto degli appunti, lo sai, ma qualche parola mi scappa…, è talmente veloce la prof…! – Lidia piagnucola, snervata dal tempo perso a riflettere su quella lezione.
Andrea le dà un altro bacino sull’orecchio, poi le elargisce la spiegazione che cerca, gesticolando con la sicurezza ostentata di chi vuol colpire l’ascoltatore. – Ma come sei bravo! – esclama la fidanzatina con aria canzonatoria, pur ammirando la sua intelligenza e pur piacendole quel suo pavoneggiarsi. Adesso è lei a baciarlo, diritta sulla bocca.
Il ragazzo non si lascia sfuggire l’occasione. All’inizio le due bocche si prendono divorandosi l’un l’altra, poi le braccia serrano il collo e la vita come per appiccicarsi, spogliandosi di ogni solitudine. Adagiati sulla panchina, si cullano stretti l’una dentro la giacca dell’altro, sospesi in un mondo in cui nessuno potrebbe accorgersi di loro.
Lidia succhia con bramosa voluttà la bocca del compagno, la pelle del suo viso, il collo piegato su di lei; Andrea rimane appeso alle labbra della sua ragazza, con tutto il corpo, con tutte le forze, con lo stupore dei suoi anni.
Lidia gli pare bella. Le osserva le fossette, segnate lungo le guance pienotte, quando ride, per schermirsi da una timidezza non ancora vinta; le segue una piccola luce nello sguardo, come una dolcezza morbida che lo accarezza ogni volta. – Facciamo un giro intorno alla scuola? – La voce di Andrea disfa il silenzio pastoso di coccole. – Sì, dài! – Lidia gli accarezza i capelli che coprono l’orecchio, con una mano delicata, ancora tiepida di guanto. Si risolleva con una spinta dal fondo della panca bassa, chiudendo il libro.
Con la borsa a tracolla e la mano in quella di Andrea, si avvia tranquilla, fiancheggiando l’edificio scolastico.
In quest’inverno di neve insolita, si scoprono sentieri, scavati tra pareti bianche simili a roccia. I due ragazzi si inoltrano in un giardino privo di rami e foglie, divenuto labirinto di cristallo luminoso, sfiorato dal sole.
Con le mani che premono l’una dentro l’altra, girano attorno alla grande fontana che, strozzata dal ghiaccio, riposa abbandonata. Di tanto in tanto mutano il ritmo dei passi, per sciogliere la stretta, e massaggiarsi il palmo infreddolito.
Essi svoltano sul lato opposto dell’edificio. – Ma… dove siamo? Che parte della scuola è questa? – Andrea si ferma disorientato, guardando di fronte, ai mucchi di neve assiepati a zig-zag, e ancora oltre, ad altri mucchi, disposti secondo un rettilineo.
Lidia si capacita prima di lui del luogo in cui si trova. – Voltati di là – gli dice, indicandogli una porta. – Ah, già...! Ho capito! – esclama il ragazzo battendosi la fronte, riconoscendo per un attimo la sua stupidità. – È che… quando sto con te… tu mi confondi le idee…! -, tenta di nascondere quella che crede una debolezza.
Si sciolgono per un po’, persi con gli occhi su quei muri di neve, che, isolati e distanti, sembrano condurre in una città mai vista.
Andrea osserva Lidia, quasi fusa, con la sua giacca bianca, al candore della galleria che sta attraversando; egli guarda quel visetto allegro che fa capolino tra le ringhiere, alte fino alle sue spalle.
Con un movimento improvviso, spuntano due ragazzi dall’altra ala del giardino, tutti infagottati in cappotti, l’uno rosso e l’altro blu; stanno schiamazzando, deridendo qualche ignaro compagno di scuola. Andrea li vede, mentre i loro colori spengono la neve, la scavalcano velocemente, ne sfaldano l’integrità.
La sua fidanzatina si sta avvicinando; procede cauta, per non scivolare, con la bocca larga di risate argentine. Si arresta ad un tratto, indietreggia lievemente, mettendosi a grattare la crosta di neve per farne una palla. Il ragazzo spia, divertito, questo vano tentativo di fargli uno scherzo imprevisto. Le dita di Lidia solleticano il ghiaccio duro, lasciandolo inalterato; ritrae, scattando, i polpastrelli divenuti lividi, sfregandoli sui pantaloni. – Volevi colpirmi, eeeh? – urla il suo innamorato. – Ben ti sta! -, ride, quando lo prende la voglia di giocare. – Purtroppo non ce l’ho fatta! – Lidia è lì, davanti a lui, con due mani grandi che gli cingono la testa, con le labbra molli appoggiate sulle sue, pesanti e fresche, come neve appena caduta dal cielo, bagnata e frolla. – Brrrr, che mani fredde che hai! – obietta il ragazzo, scostando il viso; gli dispiace, ma non tollera il freddo sulla pelle. – Ma… lascia la bocca! – I due giovani rimangono fermi per un po’, in piedi, l’uno di fronte all’altra; con le mani lungo i fianchi e le bocche appiccicate, come statue di neve sotto un sole che non le scioglie.
Andrea pizzica con la punta delle dita un ricciolino di Lidia, staccandolo dall’occhio per vederne schizzare gioia, per baciarlo, poi, subito. Quasi a un tempo, i due ragazzi si prendono per le spalle, l’uno di fronte all’altra; con gli occhi, stelle di neve, illuminati dalle stelle dell’altro, rossi e freddi.
Il sole scivola sui mucchi di ghiaccio; si specchia e casca nell’aria, divenendo luce bianca; il mondo si dilata nell’animo, traboccando. – Sai che vorrei restare in questo giardino per sempre? – prorompe la giovane, con un tono stupito. – Ma vorrei per sempre un momento come questo, non il momento in cui vado a scuola…! – ella chiarisce. – Io vorrei che fossimo ancora più soli. – dice l’innamorato, con lo sguardo nascosto dentro quello di lei, come volesse rannicchiarsi nella sua giacca, accoccolarsi nel suo grembo.
Troppe facce si allungano dietro ai muri candidi, troppi passi calpestano, attutiti, i sentieri. – Continuiamo il giro a ritroso? – suggerisce Andrea.
Sopraggiunge una coppietta di coetanei. – Non li conosco; non credo di averli neppure mai notati, a scuola. – asserisce la fidanzata, scrutando i volti dei due. – Forse, sono qui per caso, poiché il nostro, adesso, è il giardino più bello di tutte le scuole…! – afferma il ragazzo.
La coppia passa, rasentando Andrea e Lidia; passa, spiando i giovani, con un lampo d’occhi di complicità che parla di un segreto comune, di un qualcosa di meraviglioso che essi sanno di conoscere.
Svoltando a sinistra, i due compagni di classe hanno l’impressione di incamminarsi dritti verso il cancello della villa di fronte. Oggi, c‘è soltanto una striscia sottile di strada che delimita il confine tra i giardini. Con un balzo, si potrebbe continuare a seguire quel sentiero bianco interminabile che sembra accompagnare all’infinito; con un balzo, ci si potrebbe trovare di là, a rotolarsi su un letto immenso, ad alzare le braccia e acchiappare il cielo chiaro.
In questo momento, il piccolo parco balugina deserto; non giungono voci di chiacchiere, né risolini di bimbetti che giocano. Non si vede nessuno tra le pareti del corridoio di ghiaccio; né l’ombra di un uomo che stia per affacciarsi va stendendo pesante la forma sul suolo compatto.
Il silenzio è vasto quanto il parco della villa; sembra allargare le ali su tutta la città, sembra salire dalle scarpe umide, su, fin dentro la testa, dispiegandosi in una solitudine dolce e fredda. – Acceleriamo un po’, sto congelando! – suggerisce Andrea battendo i piedi. – Anch’io, dài! – gli fa eco la ragazza. – Senti, Andrea, come fischia il vento, adesso che camminiamo veloci! – sussurra Lidia, con un filo di fiato. – Ma non c‘è vento, non vedi? – ribatte il giovane.
L’unico suono che arriva alle orecchie è il fischio remoto, quasi impercettibile dell’aria che sembra arrivare con lentezza da un’altra dimensione. Lidia ascolta questa voce incomprensibile che la segue, chiedendosi quale mistero vada celando.
Andrea si ferma, di botto. Si gira verso di lei, cingendole la vita, e la bacia forte sulla bocca. – Ti voglio un bene che non ho mai voluto ad un ragazzo. Ti amo, ti amo, ti amo. – Lidia emerge dall’abbraccio che l’ha investita, levandole il fiato. Ride e non cessa di spandere su di lui tutto quello che le sgorga dentro ed esplode, incontenibile.
Andrea asciuga con le labbra le piccole lacrime di emozione che contornano i suoi occhi, e le stampa un bacetto sulla guancia, poi un altro, poi un altro e un altro ancora. Ha gli occhi timidi, il ragazzo, assorti e quasi socchiusi; si sente piccolo come un bambino di pochi anni che vuole farsi amare e pensa in quel momento di esservi riuscito, ma gli pare troppo bello il poterselo meritare.

I fidanzatini stanno procedendo a ritroso, verso il punto da cui erano partiti. Stanno richiudendo il cerchio, già intravedono l’uscita dal labirinto sepolto.
Non passa proprio nessuno, accanto, né colgono voci lungo i corridoi. Andrea e Lidia rimangono muti, per tutto l’ultimo tratto di giardino che hanno da percorrere; persistono in un silenzio ostinato e timoroso. Camminano lesti, attenti a non emettere il minimo rumore con la bocca; guardano fissamente i piedi che, uno dopo l’altro, si inoltrano lungo la scia tracciata senza deviare, nemmeno con un movimento. Camminano, con il fischio nelle orecchie, le mani in tasca e il giardino alle spalle, ancora bianco, ancora immobile di ghiaccio.
Allacciati nei cappotti, con le pupille ferme negli occhi stretti, se ne stanno chiusi in sé.
Ancora pochi passi, e terminano il sentiero, prendendosi per mano. – Ah, non dirmi che ti devo già salutare? – La ragazza frantuma il silenzio, quasi presso la panchina dell’incontro. – Ti posso accompagnare fino al secondo semaforo. – Prendono la strada che conduce alla casa di Lidia. Lo sguardo insegue le macchie candide stese sulla città che, rapide, sfuggono agli occhi.
L’inverno spegne in fretta questa giornata. Già sulla neve i giovani distinguono le ombre bluastre di un sole che declina.
Il buio si sta insinuando tra i muri del giardino, portandovi la notte solitaria e gelida.
Lidia si volta per attraversare la strada. In un attimo, quei muri le appaiono come fantasmi bianchi assopiti, inanimati; si chiede fino a quando il sole li farà vivere, prima di dissolverli per sempre. – Ancora un bacetto, su! – Andrea sente di nuovo la guancia fredda e vellutata della sua ragazza, e poi la bacia in bocca, rischiarato dal lume fittizio che emerge dal buio.


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