Opere di

Maria Manganaro


Da cristalline memorie

Affiorano pensieri rilucenti
luminose barriere che assiepano i sentieri del tramonto
Ma tu, o mio illustre antenato, Tu Poeta
Tu Cantore di Silvia, di Nerina o d’altra donna
che giammai ti appartenne per volere del “fato”
che il dolore inventasti dalla culla,
dai miei sogni di carta
spazza falsi banchetti al lume di candela
inutili e grotteschi riverberi d’infantili trastulli
cancella dalla strada scoscesa
e tra ricami di sperdute galassie
la mia vita ritempra con amica impronta
del tuo immenso “infinito”...

Riportai dal passato lo spirito infecondo
tra criniere di vento
nel cadenzato sgranarsi dei “rintocchi”
l’ora si culla al timido ricordo
delle trepide attese mentre la notte
la ricuce al profumo selvaggio
del Tuo “borgo natio” per inventare
mille albe di mestizia uguale,
dove la coppa di un’amara sconfitta
Ti suggellò la via, o sconsolato esule d’amore!

Questa poesia è stata estrapolata dal volumetto “Io e le mie chiese (1998)


Dimmelo

Non ho invertito l’arco del tuo silenzio
perché non mi occorreva spazio…
avevo desiderio di te – solo di te
mio dolce gabbiano d’inverno,
delle tue grandi ali bianche
che – distese – vedo cullarsi nell’azzurro.

Lassù,
fra gli spigoli del monte più alto,
frastagliato di pace e di mestizia
lassù, nella fragile neve bianca del mondo
un pensiero vive, prigioniero del tempo.
O montagna d’amore, una scala costruisci
di facili appigli – attraversa il mio sangue
e un contatto
con la vita futura tu sciogli:
mi avrà il tempo a venire
o il mio passo cadrà prima dell’alba?

Tu sei sola a saperlo, mia fata del sole!
Dimmelo / e asciugherò quella lacrima antica
che bagna un sorriso sconosciuto.
Dimmelo / o in quell’isola rovente e incantata
richiamerò l’uragano
che farà rinascere il caos primigenio.
Dimmelo / prima che il sole bruci il mio sguardo
che le stelle sorprende rotolarsi
sulla trapunta del cielo.
Dimmelo ora, prima che il mare
un altro oceano inventi
per travolgere il mondo.
Dimmelo sì, sussurrami adesso
che morirò domani,
e ti ringrazio per averlo fatto!


E lasciare il silenzio

Come se fosse il tempo
a distruggere i miei passi
sul torrente arenando gli sforzi
– impietosa clessidra –
come se potesse ingannarmi e volgersi
all’indietro

rivangare il passato

dare un coperchio ai sogni,
avvelenare i fiori
sul prato angusto della verità
ove più non si affacciando certezze e desideri;
no… non dirmelo anche tu
che attendo invano di risentire
nel tuo passo il mio cuore che ripete
speranze che han solo voglia
di riesumare il sangue
nelle notti di pietra,
ché lo spirito tace e non riaffiora
sopra la pelle il brivido
che costruisce paura, così forse
converrebbe staccarlo, sì il tempo,
e lasciare il silenzio

come fosse un miscuglio

di mute risonanze…

Questa poesia è stata estrapolata dal volumetto “Un petalo di rosa” (1987)


Briciole

Non ho che briciole
per il Tuo banchetto, o Signore
non ho che briciole
per la fame della mia anima.

Ma Tu conservami solo un pane,
un altro pane ancora.
Verrò a prenderlo domani…

Dimmi: dove lo conserverai?
Lascialo appeso alla collana
della mia vita;
lo sfilerò domani.

Lo ridurrò in altre briciole,
ma stavolta saranno
briciole di amore per Te!

Questa poesia è stata estrapolata dal volumetto “Un petalo di rosa” (1987)


E questa è una realtà

Non basterebbero
tutti i fiori della terra
per adornare il tuo ricordo, mamma,
e le tue parole mi ritornano al cuore
come musica al mio orecchio,
come note che rimbalzano trepide
sul pentagramma dell’amore,
sono carezzevoli mani che si posano
dolci e morbide sull’affanno del mio silenzio
atrofizzato dal tuo distacco…
Ma la tua lontananza è grande, è immensa
come è vicino il tuo pensiero,
come è vicino il ricordo del tuo viso
che s’infrange
sulla mia povera realtà.
Vorrei che come allora
mi dia la vita un tuo palpito,
una seconda vita / quella che strapperei
dal chiuso vano dei sogni immersi
e travolti da un vento di bufera…
sogni vaghi d’azzurro,
con i quali riscopro ogni notte
e dai quali con dolore mi distacco
ad ogni alba che mi sorprende
ad ogni risveglio della mente assopita,
mentre con essi mi scruta il ricamo
di un incanto poi perduto nel fitto
di una notte ricucita dal buio /
e intanto, allo svanire dei sogni
mi ritrovo con vaga e rapita speranza
ad invocarti perché sei sola /
l’unica / la mia mamma di sempre,
ma non ti scorgo trepida
sul cuscino a vegliare il mio sonno.
E questa è una realtà…

Questa poesia è stata estrapolata dal volumetto “Un petalo di rosa” (1987)


Un mondo diverso

Mi ritraggo dal tuo rude pensiero
perché voglio distendere i miei sogni
sopra un tappeto di ricordi –
svincolarmi a un’invasione
di bellicose atmosfere per immergermi
nel riverbero di un tramonto mai vissuto,
scivolare da assurde invenzioni
di impietose esperienze e rituffarmi
nell’involucro amorfo ove un ovattato
silenzio mi avvolse prima della vita…
ma la realtà
mi percuote con accesi colpi il cervello
stanco di suoni sempre uguali.
Voglio fuggire – fuggire
ove le campane rintoccano musica di miele
e i prati germogliano strane primavere
ove la vita
non si rifiuta di inventare allegria – perché
ho bisogno di frantumare, mescolare la mia tristezza
con gocce di amore / ho desiderio che
il mio spirito possa approdare a lidi sconfinati
e senza frontiere, popolati da gabbiani
apolidi e fuggitivi:
un mondo nuovo
ove un’alba sempre rosa partorirà le mie giornate
e poesia di dorati crepuscoli filtrerà
dalle nuvole di fuoco, perché voglio
graffiare quelle nuvole con gli artigli
della mia impazienza / Un mondo diverso, sì –
ove la parola guerra è assente dal vocabolario
dell’amore – là mi fermerò e fisserò la mia vita
come salda bandiera, per sempre.

Questa poesia è stata estrapolata dal volumetto “Un petalo di rosa” (1987)


Dimmi, mio Dio…

Un ramoscello smilzo coi suoi fiori nascenti
il lume su un comò un’onda in mezzo al mare
il pane nella cesta
un limpido cielo in fiamme nel tramonto imminente
la luce di un cerino acceso nella notte
il volto di una madre
un prato traforato da mille fiori rossi
il tetto di una casa la scala un grattacielo
il vento il temporale il tuono acerbo e truce
di un meriggio d’estate mutatosi in tempesta
la tromba acuta e forte di un vecchio trombettiere
una bambola azzurra nel suo vestito a festa
un libro e le sue pagine fitte e morbide insieme
piene di dolci inviti di parole che suscitano
anche pensieri tristi di vite agonizzanti
reminiscenze brevi
di attimi perduti nel vento e in delusioni
d’aspre sconfitte atroci, la pioggia intermittente
che insiste e che percuote le persiane già vecchie
del mio piccolo nido… Tutto questo che esiste
fa che invano non sia!

Dimmi, mio Dio, che questo cose insieme
sono opera Tua – dimmi che hai acceso l’alba
di mille fuochi rosa
e vivido alabastro ne riflette la luce
dimmi che hai spento il giorno col tramonto dorato
che hai inventato la pioggia benefica e tranquilla
torcendo tante nubi con le angeliche mani
che hai richiamato il mare da un alto nascondiglio
per collocarlo qui fra i massi della terra,
dimmi che i Tuoi giorni li hai spesi
divini e onnipotenti
per creare quaggiù ciò che nel cielo esiste

Dimmi

che unanime volere degli angeli e dei santi
coronare il mondo dovrebbe di giustizia e di amore
dimmi che è giusto e santo che ogni umana creatura
non percuota il suo simile o peggio non lo uccida
dimmi che è onesto e probo che ogni cosa da Te
nata, viva con Te e dolcemente muoia
con unico percorso itinerario limpido
come un treno speciale il treno della vita!

Questa poesia è stata estrapolata dal volumetto “Io e le mie Chiese (1998).



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