Monologo - Frammenti di pensieri

di

Maria Giovanna Casu


Maria Giovanna Casu - Monologo - Frammenti di pensieri
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 196 - Euro 13,50
ISBN 978-88-6587-8538

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In copertina e all’interno fotografie dell’autrice


Il pensiero solca le acque placide del fiume, ne segue i meandri, si adagia sull’alveo, si dirama in rivoli, si unisce alle cascate e corre veloce verso l’infinito azzurro del mare, sorbendone il salmastro.

M.G. Casu


PREMESSA
(a cura dell’Autrice)

Dalla solitudine nascono molti stati d’animo: la mente, libera da ogni altra incombenza giornaliera, non più legata alle tristi catene della routine quotidiana, nel silenzio di una esigua stanzetta si nutre, finalmente, delle sue immagini più care. Su queste ultime edifica i suoi sogni, li riempie di contenuto, celebra la loro essenza e lascia correre il pensiero verso mete sconosciute. L’interrogativo incalzante, ad un tratto, lo ferma e lo riporta verso le acque quiete della meditazione, dove inizia la fase della profonda riflessione. Si avvia un monologo serrato che non avendo interlocutori segue strade nuove e contorte per spiegare un mistero, un avvenimento, un nodo presente nella società e nella vita di ciascun individuo.
I ricordi vengono inseriti in un contesto particolare dal quale affiorano non solo sentimenti ed emozioni, ma capacità di adattarli alla realtà presente e di rivestirli di un significato diverso, lontano da quegli sdolcinati atteggiamenti che, di solito, governano le giornate degli anziani. Emergono problemi esistenziali dai quali scaturisce il desiderio di passare all’analisi dettagliata degli avvenimenti, di scandagliare la realtà in ogni suo più remoto angolo. Il lavoro cerebrale diventa faticoso, arduo, spesso, accompagnato da affermazioni e poi da negazioni, in un continuo perenne fluire di contraddizioni che sono quelle che distruggono la vita dell’uomo e che ne esauriscono la forza intellettiva. In questo lungo lavoro convergono riflessioni e stati d’animo divergenti, perché l’esistenza è comunque composta da strati disomogenei di pensiero, il quale trova nelle esperienze vissute un enorme campo di battaglia sul quale si alternano quelle vicende che compongono l’apparato vitale dell’uomo.
Il vivere intensamente, vuol dire anche rendersi partecipi di una dinamica che non solo trasforma le cose, ma le modifica, le distrugge, le esalta, le rende duttili e aderenti alle necessità umane. Non possiamo diventare solo ospiti della terra e percorrere il breve cammino come viandanti spauriti e confusi. Il prendere coscienza dei nostri passi, confrontandoli con quelli passati, con quelli del vicino di casa, con quelli che vivono oltralpe o in capo al mondo è un modo di dare pienezza alla vita e di concluderla consapevolmente, magari lasciando una sottilissima scia di messaggi utili per coloro che ancora vivono nella certezza di esistere solo per i propri bisogni, chiudendosi in un individualismo che fungerà da gabbia dorata per i loro inutili sogni.
L’opera è divisa in argomenti: non esiste una priorità assoluta. Ognuno affronta una problematica: il triste nodo della vecchiaia, la capacità di inserimento dei giovani nella vita quotidiana, il senso della morte, il potere politico, economico, finanziario, il nuovo credo religioso, il valore delle tradizioni, la società multietnica, il fenomeno dell’immigrazione, la collocazione del popolo in un contesto più moderno, la condizione della donna e della madre, le rivoluzioni, le violenze, le realtà effimere della vita che subisce queste forti pressioni dall’esterno, ma che reagisce, cercando di superare momenti di grave depressione. Tutto ciò alla luce di una visione ampia della vita, nella quale si muovono storie vissute, testimonianze che danno validità alle opinioni, che confermano la verità dei fatti, (sempre che questa esista realmente). Non sono trascurati i valori morali ed etici e neppure quell’enorme ricchezza che scaturisce dal mondo sentimentale, dalla sfera creativa, dalla cerchia degli affetti e dal contenuto delle sensazioni profonde. L’amore è visto come un’entità valida se collocato in un contesto generale, universale e così l’odio come facente parte di un concetto astratto, diametralmente opposto al primo, ma presente in ogni azione dell’uomo: il positivo e il suo contrario, in continua lotta per comprenderne il senso, la validità.
Il lungo soggiorno in questa landa sconosciuta in gran parte dalla gente, vissuto con intensità in tutte le sue fasi di crescita, mi ha aiutato a comporre una storia che ha portato il pensiero oltre il confine del quotidiano, oltre la mia stessa immaginazione e ha placato la mia ansia di vivere.
Termino con questi versi, anch’essi amici fin dall’infanzia, compagni fedeli delle mie notti insonni, insostituibili strumenti per rinvigorire l’animo:

NON ERA

Dai monti gelidi venti sibillini,
a denudare rocce,
a seppellire armenti
nel brivido delle stagioni.
Dai colli pianti di sirene
e la vita spezzata da tempeste,
sospesa nelle illusioni.
Non era questo che sognavo.
Le immagini cupe
di una realtà ingrata,
le ambizioni deluse,
le lotte vane,
il baratro della morte,
la solitudine del nulla…
Anche questo non era nei miei sogni.
Raccolgo la voce malinconica
del vento,
le ultime foglie ingiallite
e li serbo nel cassetto dei pensieri,
per mantenerne fresco l’aroma,
per non disperderne l’essenza.

(dal libro “Sabrina” di M.G. Casu)


Monologo - Frammenti di pensieri


Prologo

Mi sveglio all’alba col grigiore apparente di una giornata serena. In effetti la nebbia non sovrasta la natura, né nasconde i suoi contorni così nitidi nelle rare giornate di tramontana. Eppure… non percepisco chiarori di prima mattina, né tramestii di persone intente a seguire l’inesorabile destino del tempo, dello spazio, della vita stessa. A che vale non sentire dentro di sé quel tumulto di sentimenti, di ansie, di energie che ti facevano volare negli infiniti sentieri del pensiero, concretizzando sogni, visioni, aspettative, desideri? Era un’altra età: la forza di una gioventù sfumata nell’abisso di giorni che di concreto avevano le ali per sparire in altri mondi, forse più sereni. Tuttavia, perché quelle immagini ritornano giornalmente per incupire la mia mente, mentre essa ama riposarsi dietro la lettura di un libro, la visione di un azzurro intenso, la percezione di una musica lontana? L’uomo, a volte, segue strani sentieri. Tutti dicono che i ricordi sono fatali per i vecchi, i quali si nutrono di essi anche se sanno che la loro è soltanto una forza corrosiva, mortifera. Ma non riescono a trovare nutrimento in altre cose, forse un po’ meno nocive per il cervello. Quando mi reco nella casa di riposo che ospita, nei periodi estivi, una mia zia, quasi centenaria, mi attrae il contesto di quel paese lontano, addormentano ai piedi di un monte. Il forte odore di muschi, di mirti, e di eriche scoparie, annebbia la visione di un palazzo anonimo, grigio, corroso dalle intemperie. Intorno giardinetti variopinti, palme centenarie, sedute sopra le fronde annerite, sopra un tronco possente, ma stanco. Vicino all’ingresso si notano numerose poltroncine di plastica bianche, solitarie come quegli anziani che le snobbano per cercare immaginari divani, letti ricoperti di bianche lenzuola, stanze lontane da tutto, anche da se stessi. Varcata la soglia dell’ingresso è Maria che mi apre con un sorriso. È sempre lì, con gli occhi vuoti ad aspettare nessuno, a parlare con se stessa, come ora faccio io. Gli anni le si contano sul viso, sulla persona curva, nello sguardo opaco, sfuggente, incapace di soffermarsi sulla realtà, perché questa non esiste, se non nel suo immaginario. Quando le parlo i nostri discorsi vanno in due direzioni diverse: lei sfoglia il triste diario del suo passato, sottolineando gli episodi più salienti di una gioventù ormai sfiorita, ripetendo più parole, entrando nei mantra sconsolati della sua esistenza; io continuo un monologo segnato da date, da interrogativi, da un attento approccio verso quel mondo controverso. Arriverò io a contrastare la vecchiaia, mantenendo la luce accesa della mia mente, proiettandomi in avanti come un valoroso guerriero? O sarò anch’io vittima di quel passato che tramonta come il sole, ma che non sorge più all’alba, per dare luce e calore alla gente? Sarò in grado di tacere, quando un bimbo nel fare le domande, mi riporterà ai tempi che furono? Non voglio continuare ad osservare l’anziano che muto si unisce al silenzio e alla solitudine degli altri che, come lui, vivono in simbiosi con quegli atti sterili ed uguali che li rendono automi, mentre sono ancora uomini, vegetali senza anima o con un cuore incapace di ribellarsi all’appiattimento di un’esistenza priva della ricchezza del pensiero.
“Si prospetta un futuro positivo per gli anziani… ma intanto da noi l’unica soluzione che si offre a chi è vecchio e solo sono e restano gli ospizi pubblici. Una emarginazione dal tessuto sociale, carica di tossine morali, un avvilimento che finisce per sostituirsi alla vita come gusto di esserci, la castrazione di ogni slancio o invenzione individuale, fino alla resa avvilita. Non individui capaci di trasmettere valori, ma esseri vegetanti in attesa della fine” (Art. di Francesco Alberoni sul “Giornale”).
Maria, nel salutarmi mi dice: Ti voglio bene figliola. I sentimenti ancora affiorano, allora non esiste la morte prematura di tutto! Esiste ancora nello scrigno dei suoi pensieri quel calore che le notti gelide non riusciranno mai a spegnere. Che effetto può fare un mio abbraccio su quel corpo inerme e sofferente? E sul mio corpo, ancora ricco di energie, ancora capace di trasmettere valori e insegnamenti? Del resto un abbraccio è un modo per avvicinare due corpi, per ridare la vita a colui che di amplessi ne ha avuti pochi e non sempre spontanei. Anch’io, però, non sono insensibile all’approccio umano, quando le tempeste della vita te ne hanno privato. Da piccola, venti di guerra, catastrofi naturali, beghe familiari, ardui sentieri di un’esistenza per modi diversi simili a quella di tutti gli umani, spesso, mi hanno privato di quel tepore che concilia il sonno, dopo una giornata di ansie, né potevo chiedere ad una madre, sempre affannata, di distribuire più a lungo le sue carezze, divise peraltro con quelle dei fratelli, a loro volta bisognosi delle stesse cure. Un fanciullo non può, non riesce a dividere qualcosa con qualcuno e anche se non parla, la sua voce urla dentro le pareti del suo profondo, rimanendo inascoltate. Avrei voluto una madre tutta per me, ma erano le cose inanimate che sostituivano quel calore, dentro le quali la fantasia creava fantasmi, attutiva dolori. Bastava un cuscino sulla testa, un pupazzo di stracci stretto vicino al cuore per sostituire un’immagine e il sonno arrivava e ingigantiva i sogni.
I sogni! Nell’infanzia hanno tutti gli stessi connotati: tutto ciò che riesci a captare dalla tua giornata e che ti colpisce nel profondo, riemerge ingigantito e sotto immagini diverse, nitide o confuse nelle lunghe notti, spesso trasformandosi in fantasmi o in incubi devastanti. Mio fratello maggiore, sensibile ed introverso oltre misura, si metteva a letto sereno apparentemente. Quando nella casa cadeva il solito silenzio appesantito dall’aria acre della sera, si svegliava urlando con un rigurgito gutturale profondo e terrificante, gli occhi sbarrati, le labbra contratte. Quell’urlo faceva pensare ad un’imminente catastrofe, ad un cataclisma senza fine e anche il mio animo sobbalzava, seguendo l’eco profondo di quella voce che non pareva provenire dal petto di un essere umano. Perché dentro di noi esistono dei vulcani attivi che, nei momenti meno opportuni, eruttano materiale impalpabile, invisibile, ma dalle note acute tali da catapultarci in un altro emisfero? L’incubo umano affonda nell’era arcaica dei nostri avi, quando le ombre sovrastavano le luci, ma ci segue nel mezzo di un mondo dinamico, fatto d’immagini stereotipate, di mezzi di comunicazione che volano nell’etere, che trasformano l’uomo fino a renderlo simile alle macchine. Allora non è vero che la fragilità umana si estingue col progresso, con l’anticipo di ere rivoluzionarie che hanno promesso paradisi sentimentali e sogni metafisici. Un domani saremo in pochi, sopra un colle, ad ammirare paesaggi mozzafiato, a commuoverci davanti ad un tramonto dai toni accesi, o davanti ad una luna crescente che riscopre la nostra voglia di sognare. In pochi ad amare. L’amore!


L’AMORE NON È MAI STATICO

Ora mi sento vecchia, perché ho bisogno di ritornare con la memoria ai miei ricordi passati, sempre presenti tuttavia e a decodificare questa nobile parola. Esiste veramente l’amore? Forse sì nelle sue infinite sfaccettature. Se penso come un adolescente, l’immagine mi appare nitida di un sentimento particolare ed esclusivo che faceva danzare il cuore, lo faceva sobbalzare ad ogni sguardo e non esisteva solo un fremito vertiginoso del corpo, dell’animo, della mente: c’era una frenesia fisica indescrivibile, dove la passione si univa all’irrazionalità, al tumulto dei pensieri, a forme embrionali di un sentimento ibrido che a volte si avvicinava, in maniera narcisistica, all’io del tuo inconscio, a volte esternava la gioia per il solo fatto di essere ammirato, seguito, osannato. Un fatto fisico e basta, oltre la confusione dei pensieri. Non era mai sufficiente quell’amore nato dal niente. Quotidianamente si saziava del tutto e sdoppiandosi e triplicandosi creava nuove situazioni umane, nuove conquiste, alla guisa di un pozzo che svuotandosi attende la nuova risalita delle acque che nel sotterraneo ribollono in maniera costante. L’amore! Eppure esso segue sempre una linea retta, conducendo per mano l’uomo pellegrino verso diversi percorsi esistenziali, dove egli ritroverà qualcosa che assomiglierà a quel primitivo sentimento, ma che sarà diverso nella sua varietà e profondità. Se due persone si uniscono spinte dal primitivo impulso rischiano di separarsi velocemente. Se si soffermano ad analizzare solo il primo strato di quell’impulso che li ha uniti, cadono nell’errore di sottovalutare quegli strati successivi che racchiudono il nucleo stesso dei valori esistenziali. Se questi non esistono l’individuo cade nell’apatia, nell’indifferenza, spesso nella sofferenza fisica e psichica. Poiché la vita sentimentale è un fluido vitale di forte intensità, non può venire a mancare in un approccio amoroso, dove l’amore si stratifica, staccandosi dalla cellula madre e trasformandosi in desiderio di vivere come materia incandescente, sempre pronta a trasformare la realtà. Un amore non è mai statico e, anche quando è maturo, mantiene la sua dinamicità, distribuendo ovunque particelle indelebili della sua natura metafisica. Si sente dire: – Io non riesco ad amare in maniera universale; esistono contrasti tra me e il mondo intero. – Invece l’amore non è indivisibile: ami te stesso, come ami tutte le creature del mondo, in maniera diversa, ma elastica, priva di preconcetti, di remore. L’universalità fa parte di una filosofia di vita che conduce molto lontano, scandagliando le teorie più controverse e riportando l’uomo verso quei valori assoluti che lo completano, lo arricchiscono, lo collocano al di sopra delle umane miserie. L’amore plasma l’individuo, lo rende partecipe di quel processo umano che l’avvicina all’eterno, ne completa la formazione fisica e psichica. Gli amori devono sempre raggiungere un livello alto per poter comprendere l’universo. Nascono amori diversi, ma per sostanza uguali quando il fine è quello di sublimare le azioni umane. Diversamente si parla di amori falsi, a volte malati, a volte e, più spesso, criminali. Quando Lucia, una mia carissima amica, scoprì di amare un suo coetaneo (allora aveva sedici anni appena) le sembrò di toccare il cielo con un dito. Occhi trasognati, immagini perse in un idillio angelico, membra protese verso un sogno senza fine, giorni trascorsi nell’ansia di ritrovare quel momento fatale, nel quale si perde il contatto con la realtà. Tutti gli adolescenti provano quel senso di smarrimento di fronte alla loro prima esperienza sentimentale e il ricordo di quegli attimi seguiti dal battere convulso del cuore e dal susseguirsi di pensieri che vanno oltre le umane limitazioni, rimarrà in eterno nel ricordo. Si sposò presto, presa dalla smania del suo desiderio di rendere più concreto il suo sentimento. Quel matrimonio, insieme ai veli candidi che coprivano i volti e le cose, alle note solenni che vibravano nei luoghi sacri, facendo impallidire volti e animi, fu presto un terreno disseminato di rovi. Lui divenne sempre più cupo, più silenzioso, maturò una gelosia malata, irrazionale che ne minò l’animo e il fisico. Vedeva la sua compagna dappertutto, in atteggiamenti discutibili, capace di offenderne la dignità, di rompere, per sempre, quell’equilibrio che si era creato prima della loro unione ufficiale. Cominciarono i sospetti, le inquisizioni, le interrogazioni, gli atti di violenza. Alla fine Lucia, che in un primo momento si sentiva lusingata da tante attenzioni, da un amore esclusivo, venne rinchiusa in casa e le vennero tolti il televisore, il telefono e qualsiasi mezzo di comunicazione. Anche il citofono venne disattivato e il postino, non riuscendo a recapitare la posta, lasciava sotto la porta le missive. Venne sparsa sul pianerottolo una polverina bianca: chiunque fosse entrato in casa lasciava le sue impronte in maniera inequivocabile. Un vero atto terroristico che non conduce alle verdi valli di un amore sincero, dove il nulla si fonde col tutto. Un giorno Lucia, quando sentì arrivare il postino e bussare alla porta, fece scivolare un foglietto sul quale era stato inciso con lettere cubitali il suo stato di prigioniera, vessata ed umiliata da un marito infame. Quel messaggio non passò inosservato: il postino lo raccolse con trepidazione e si recò presso la caserma dei carabinieri. Fu la fine di un amore, se di amore si può parlare, visto che è difficile pensare come possa una persona comprare la proprietà di un’altra e servirsene in modo esclusivo. Eppure milioni di individui nel mondo diventano schiavi di altri e, soprattutto nelle famiglie si consumano misfatti senza fine. Perché la schiavitù? L’uomo è nato libero, non esistono catene per il pensiero, per le azioni comuni di ogni individuo. Ci si assoggetta. Ecco una parola pericolosa, che non si dovrebbe mai pronunciare: assoggettarsi vuol dire cedere al potere di qualcuno, annullarsi psicologicamente e fisicamente, diventare succubi delle idee, delle azioni, della vita altrui.


[continua]


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