Il segreto di Sylvia

di

Maria Balboni Napolitano


Maria Balboni Napolitano - Il segreto di Sylvia
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 124 - Euro 10,00
ISBN 978-88-6037-9979

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore

In copertina fotografia dell’autrice


Mi auguro che le vicende dei protagonisti di questo racconto, ispirato alla realtà, siano uno sprone per donne e uomini di buona volontà. Uno stimolo alla riflessione consapevole e mirata, per guardare dentro e davanti a sé con onestà e coraggio; e infine, senza indugio, mettersi alla guida del timone della vita per procedere verso la meta oculatamente prescelta.

Maria Balboni Napolitano


Un’adolescente alle soglie della giovinezza, una famiglia patriarcale alle spalle, va alla ricerca dell’amore, spinta da vuoti del cuore che la dilaniano fin dalla più tenera età. Non senza sofferenza Sylvia attraversa amare delusioni, finché un giorno l’amore le viene incontro. Indossa una tonaca nera. Sylvia si apre, si affida, si dona. Inizia così la sua avventura, nella quale si catapulta ad occhi chiusi.
Ostacoli, sacrifici, rinunce, non la fermano. All’amore Sylvia non vuole rinunciare. Si perde nell’eccitazione dei sensi e nell’esaltazione del sentimento che le riempie il cuore, nella cura attenta della famiglia e perde di vista se stessa.
Poi un giorno il mondo ovattato dei suoi sogni le crolla addosso. Il rapporto di coppia lentamente si sgretola. Sylvia si ritrova vuota e sola a occuparsi dei figli con l’impegno e l’amore di sempre.
Ma ecco che qualcosa d’incredibile le accade. Proprio quella solitudine che sentiva come mancanza, le offre l’appiglio che le concede di non smarrirsi del tutto e di risalire gradualmente la china. La solitudine non più temuta, ma desiderata, le schiude la porta della consapevolezza e della maturazione interiore.
Nel silenzio profondo della sua solitudine, Sylvia s’avventura nei bassifondi dell’io per scoprire se stessa e il mondo che la circonda. Inizia cosi un lungo percorso introspettivo travagliato ma fecondo, che darà un senso alla sua vita e l’aprirà all’amore vero , che è rispetto, libertà e condivisione… E coinvolge tutti gli esseri senzienti.
Un racconto intimistico che è un percorso formativo di conoscenza e autoconoscenza. Un lungo e tortuoso viaggio di ricerca interiore nei meandri oscuri della mente umana per scandagliare dissonanze, inquetudini, paure e per portare alla luce verità / valori antichi che ispirano al miglioramento dell’essere umano e quindi di questo mondo disumanizzato.


Il segreto di Sylvia

Sylvia frequentava l’ultimo anno delle magistrali in una scuola a cinquanta chilometri dal luogo di residenza. Non ve n’erano nel suo paese e in quelli vicini ma suo padre desiderava che la figlia diventasse una maestra o una suora.
A quel tempo, in un paese agricolo della provincia meridionale, per una femmina, era il massimo a cui poter aspirare. Al contrario, il liceo classico, a dieci minuti di distanza da casa, era riservato al fratello.
La ragazza, timida ed impaurita, non aveva osato ribellarsi e, a quattordici anni, aveva iniziato la sua vita da pendolare. Prendeva il treno alle undici e quaranta, dopo aver mandato giù un boccone. Nella sua borsa alcuni libri e un panino che la mamma, regolarmente, le preparava, ignorando che sarebbe finito nelle bocche fameliche delle compagne di classe.
Nel percorso dalla stazione alla scuola, Sylvia si fermava a guardare le vetrine dei negozi più per curiosità che per reale interesse.
Davanti all’edificio scolastico, in attesa del suono della campanella, la ragazza si intratteneva a parlare con i compagni che, mano a mano, giungevano al fatidico appuntamento. Le domande erano le solite: “Ciao, avete preparato la lezione di latino? Chi di voi s’immola oggi?”. E, in pochi minuti, i ragazzi si accordavano per evitare interrogazioni indesiderate.
Sylvia non rientrava a casa prima delle diciannove. La situazione disagevole influiva sul comportamento scolastico della ragazza che, pur manifestando buone capacità intellettive, non sempre riusciva ad impegnarsi con serietà nello studio.
Era stanca e svogliata. L’intera giornata fuori casa, i pasti disordinati e scarsi, sia per mancanza di tempo che di appetito e lo stress del pendolarismo, le rendevano faticoso e difficile concentrarsi in modo costante nello studio delle discipline scolastiche che, tra l’altro, non la stimolavano affatto.
Ciò nonostante riusciva regolarmente ad ottenere la promozione con buoni risultati soprattutto nelle materie letterarie.
A dire il vero, Sylvia prediligeva l’italiano ed era particolarmente felice quando il professore assegnava un tema libero. Amava leggere e, soprattutto, scrivere saggi nei quali la sua fervida immaginazione poteva galoppare a briglie sciolte sul cavallo alato della fantasia. Allora si lanciava in voli pindarici che la trasportavano, all’istante, fuori dalle mura grigie ed anguste dell’aula, lontano dai banchi stretti e scomodi che limitavano la sua esigenza di movimento. Per lei, era sufficiente chiudere gli occhi e, come per incanto, si trovava a correre su un’immensa distesa verdeggiante.
Come un passero appena liberato dalla gabbia che lo teneva prigioniero, Sylvia volava felice tra rigogliosi cespugli, respirando l’aria profumata dei fiori di campo che facevano capolino, qua e là, nella sconfinata pianura.
Volava libera e correva incontro alla vita e all’amore.
Libera da ogni timore e da tabù ancestrali, libera di essere se stessa.

Fonte di timori era suo padre. Un uomo generoso ma dalla mentalità paesana, chiuso in una visione arcaica in cui il capofamiglia era “padre-padrone” e la moglie e i figli erano sottoposti alla sua autorità.
Inoltre, il suo carattere riservato ed orgoglioso, rendeva difficili i rapporti con i familiari. Se veniva contraddetto dava in escandescenze, diventando aggressivo e, qualche volta, anche violento.
Sylvia aveva terrore dei suoi improvvisi scatti d’ira, delle sue esplosioni rabbiose e fuggiva a rinchiudersi nella camera che divideva con il fratello Claudio, più giovane di lei di poco più di tre anni.
Sua madre, una donna buona e generosa, dotata di intelligenza pronta e vivace, purtroppo, non supportata da adeguata cultura e condizionata dalla mentalità paesana, era sottomessa e dominata dal comportamento autoritario del marito.
A suo modo, la povera donna difendeva i figli con sotterfugi e bugie innocenti, ma non avrebbe mai affrontato apertamente il marito per evitare il peggio. Non che le mancasse il coraggio, ma desiderava vivere in serenità e saggiamente cercava di non alimentare dissapori in famiglia che avrebbero solo peggiorato la situazione.
Amava teneramente i propri figli ma non sapeva, o non poteva, manifestare alcuna tenerezza nei loro confronti. Anche sua madre era stata parsimoniosa di carezze sia con lei che con i suoi fratelli.
A quel tempo, i genitori ritenevano che i figli dovessero essere baciati e accarezzati solo di notte, mentre dormivano.
Erano tempi in cui l’educazione dei figli era tramandata seguendo le consuetudini della famiglia, di padre in padre. Era una educazione patriarcale assai dura, spesso ingiusta, aggravata dalla mancanza di consapevolezza e di adeguata cultura. Inoltre, a quel tempo, l’istruzione superiore era riservata soprattutto alle persone benestanti.
E gli errori educativi si ripetevano in continuazione.
La povera donna non era consapevole dell’enorme bisogno di carezze e di attenzioni dei figli, soprattutto della fragile ragazza che era Sylvia. Alcune attenzioni in più avrebbero forse addolcito quel suo carattere spigoloso ed ombroso, che l’allontanava dal padre, al quale, peraltro, somigliava così tanto. Quel padre che ripeteva di non averla vista crescere.
L’alibi per emarginarla.
L’orgoglio e la timidezza di Sylvia mascheravano la sconfinata ricchezza di sentimenti nascosti nel suo animo. Le foto che la ritraevano bimba e, poi, adolescente, mostravano sempre un bel visino imbronciato o malinconico, mai aperto al sorriso. Gli occhi erano bellissimi: neri, profondi, leggermente obliqui, e le davano un’aria di superiorità che, a volte, le alienava le simpatie delle altre ragazze ma, a sapervi leggere dentro, esprimevano tanta tristezza e profonda malinconia.
In quel periodo, Sylvia viveva soprattutto di forti emozioni, anche se non sembrava averne piena consapevolezza. Nei momenti di maggiore malinconia, si chiudeva come un riccio nel silenzio della sua camera, senza porsi domande che non avrebbero avuto risposte.
Certamente, la nascita del fratellino, quando lei aveva poco più di tre anni, le aveva tolto le attenzioni di cui aveva goduto, in precedenza, dalla madre e dai parenti paterni. Non da suo padre che, essendo in guerra, non l’aveva vista crescere nei primi anni di vita e, per questo motivo, la sentiva lontana.
Ovviamente, il padre si affezionò subito al maschietto, lasciando in disparte la piccola Sylvia, che doveva sentire, forte e struggente, la gelosia per quel fratellino che le toglieva tutto. Quando la bimba vedeva i familiari intorno al piccolo Claudio, si rintanava in un angolo buio della stanza e vi rimaneva a guardare la scena in silenzio.
Nessuno sembrava accorgersi di lei.

Sylvia crebbe sentendosi negletta ed emarginata, alimentando, in tal modo, il suo senso di inferiorità e l’opprimente sensazione di vuoto.
A diciassette anni cominciò a prestare attenzione agli sguardi insistenti ed interessati dei giovani, alla loro corte, a volte discreta, rispettosa e romantica, altre volte, più aperta e gioiosa, persino sfacciata.
Si lasciò avvicinare da Michele, un ragazzo del suo paese, di sei anni più grande di lei, che dimostrava grande tenerezza ed attenzione nei suoi confronti.
Ben presto, però, la ragazza si rese conto che le sue dimostrazioni d’affetto la lasciavano indifferente, anzi, la infastidivano.
Finì così per allontanarlo, soprattutto a causa del carattere possessivo e fortemente geloso del ragazzo, che comunque era serio, innamorato e pensava già al matrimonio.
Ma Sylvia cercava altro, qualcosa che non riusciva a definire. Forse, nei suoi sogni nascosti, aveva riposto la speranza di un incontro speciale con l’uomo della sua vita, il suo principe azzurro. Forse voleva solamente giocare all’amore, per evitare di riflettere sulla sua lacerazione interiore.

Un giorno, durante uno dei suoi viaggi in treno, conobbe Egidio. Un bel giovane, alto, forte, maturo, forse troppo. Grazie a lui, il noioso viaggio in treno divenne un piacevole momento d’incontro romantico.
Sylvia si sentiva particolarmente attratta da Egidio, dal suo fascino virile, dall’eleganza sobria del suo portamento, dall’eloquio curato e caldo.
Nell’attesa dell’inizio delle lezioni, i due si sedevano sulla panchina del giardinetto antistante l’edificio scolastico. Parlavano e si guardavano negli occhi. Poi, Egidio le posava un braccio sulla spalla e, dolcemente, la tirava a sé, le prendeva il volto tra le mani, la fissava per un attimo, con uno sguardo pervaso di tenerezza e di piacere e, infine, posava delicatamente le sue labbra su quelle rosee di lei.
Come un uccellino smarrito che aveva finalmente trovato il suo nido, Sylvia si lasciava stringere da quelle forti braccia, sentendosi protetta e al sicuro, mentre un brivido di piacere le attraversava il corpo ed il cuore impazzito accelerava i suoi battiti.
Avrebbe potuto amarlo, se lui l’avesse amata.
Non ebbe il tempo di approfondire la sua conoscenza. L’idillio finì tristemente a causa di un malinteso.
Quel giorno Egidio, per farle una sorpresa era andato ad aspettarla all’uscita dalla scuola. Da lontano, aveva scorto Sylvia attorniata dai corteggiatori e, quasi contemporaneamente, aveva visto un giovane che la prendeva per un braccio e cercava, con forza, di tirarla via dalla folla.
Sylvia, con uno strattone, si era liberata dalla presa di Michele, che non aveva accettato la fine della loro relazione. Poi, velocemente, aveva raggiunto Egidio, il quale si stava lentamente allontanando.
La scena alla quale aveva assistito, aveva convinto il giovane che la figliola non fosse ancora pronta per una relazione seria.
Lei, logicamente, cercò di spiegare la situazione e di fargli capire che teneva sinceramente a lui.
Ma Egidio, con tono mesto, le disse: “Sei ancora troppo giovane”.
E così, com’era comparso, sparì dalla sua vita.
Fu la sua prima delusione, il primo vero flirt sentito profondamente. Non l’avrebbe mai dimenticato. Sylvia cercò di superare la delusione lasciandosi corteggiare dai ragazzi senza legarsi a nessuno.
Sperava in un ritorno di Egidio che, però, non avvenne.

Frequentava l’ultimo anno di scuola quando conobbe Romano, stupendo ragazzo della buona borghesia napoletana. Alto, biondo, occhi azzurri, un corpo armonioso, che sprizzava vitalità ed attirava gli sguardi vogliosi delle studentesse, e non solo.
Era un suo compagno di classe, pur essendo maggiore di lei di ben tre anni. Il classico figlio di papà, viziato e con poca voglia di concentrarsi nello studio, impegnato com’era a svagarsi con le ragazze che gli ronzavano intorno.
A lui, Sylvia era piaciuta subito, sin dal primo giorno in cui era entrato in classe. Era stata l’unica a non mostrare interesse per lui.
A Romano piaceva quel suo viso dolce e malinconico, quei profondi occhi neri, che sembravano celare chissà quale mistero e il suo corpo snello, pieno di vita e di morbide curve.
Si sentì profondamente attratto da lei. Eccitava i suoi sensi e il cuore gli batteva come un tamburo, mentre la mente era ossessionata dal desiderio di quella ragazza che aveva “osato” ignorarlo.
Sylvia si accorse dei suoi sguardi caldi e profondi. Uno strano rimescolio dentro di sé la colse di sorpresa e la turbò. Cercò di evitare il suo sguardo. Temeva una nuova delusione.
La sua resistenza fu di breve durata. Lusingata dalla insistente corte del ragazzo e attratta dalla sua virile bellezza, si lasciò avvicinare e, infine, acconsentì che si accompagnasse a lei.
Romano era indubbiamente un bel ragazzo, gentile ed affettuoso, forse, innamorato.
La faceva sentire bella, importante, invidiata dalle compagne, che si fermavano a guardarli mentre uscivano da scuola tenendosi per mano.
Lui l’accompagnava sempre alla stazione e si fermava a coccolarla, in attesa che il treno partisse. Poi, al momento di lasciarla, la stringeva forte a sé e suggellava il suo amore con un lungo bacio, incurante degli sguardi stupiti ed imbarazzati dei passeggeri.
La ragazza non sapeva se l’emozione intensa che le faceva accelerare i battiti del cuore fosse amore, ma non cercò di approfondire.
Le piaceva averlo al suo fianco, le dava gioia e sicurezza. Alla sera, si addormentava felice, pensando che il giorno seguente, e ogni giorno a venire, il “suo” ragazzo sarebbe stato alla stazione ad attenderla, che l’avrebbe stretta tra le braccia e che, insieme, avrebbero percorso la strada fino a scuola.
Ma il destino intervenne di nuovo a mescolare le carte.

Dopo pochi mesi, la storia d’amore tra Sylvia e Romano, seppure nata sotto i migliori auspici, s’interruppe bruscamente.
Lui la pregò, la implorò di non lasciarlo. Lei fu dura, impietosa e non volle sentire ragioni. Romano era stato visto, da alcune compagne di classe, con una donna più matura in atteggiamento affettuoso e Sylvia, punta nel suo orgoglio, aveva posto fine a quello che avrebbe potuto essere l’amore della sua vita.
La sua fu una condanna senza appello. Si era rifiutata di ascoltare le giustificazioni dell’innamorato, sebbene i suoi occhi tristi esprimessero sincero dolore e pentimento.
Il giorno dell’addio, Romano la seguì, in silenzio, fino al treno.
Quando il fischio del capostazione diede il via libera alla partenza del treno, Romano salì sul predellino della vettura e, tenendosi forte alla sbarra dello sportello, le gridò un’ultima volta: “Ti amo, ti amo”.
Poi, saltò giù e, mentre il treno s’allontanava, lei rimase a fissare la sua sagoma, alta ed aitante, che si rimpiccioliva fino a scomparire nel nulla.
Un dolore sordo le opprimeva il petto mentre il suo grido d’amore continuava a risuonarle nelle orecchie.
Il giorno dopo, il ragazzo sarebbe partito per il servizio di leva e non si sarebbero più rivisti. Avrebbe voluto correre da lui, abbracciarlo, chiedergli di amarla. Ma il suo forte orgoglio le impedì di tornare sulla sua decisione.
L’immagine di Romano, aggrappato allo sportello del treno, con i suoi occhi imploranti, il bel volto triste, turbavano spesso le notti insonni di Sylvia. Nostalgia e rimpianto si alternavano dolorosamente nel suo petto.
La sua decisione era stata difficile e penosa. Perché l’aveva fatto? Per orgoglio? Quale orgoglio? Una maschera, semplicemente una maschera, che le serviva a nascondere l’altra sua faccia, quella della timidezza, delle sue paure, dei fantasmi del passato: l’abbandono, la discriminazione, i vuoti d’amore.
La ragazza sembrava provare un piacere masochista ad infliggersi dolore: un dolore che manifestava con il rifiuto costante del cibo. Una sorta di auto punizione inconscia che Sylvia non sapeva o non voleva spiegarsi.
La povera mamma Maria faticò non poco nel tentativo di nutrire quella sua figliola ammalata d’amore.
Se invece di offrirle del cibo, l’avesse stretta tra le sue braccia! La ragazza sarebbe riuscita a versare tutte le lacrime che l’orgoglio le faceva trattenere e, forse, si sarebbe confidata e avrebbe trovato conforto.
Trascorsero alcuni mesi durante i quali Sylvia si sforzò di non pensare all’amore perduto, concentrandosi seriamente nello studio, in vista dell’incombente esame di stato, ed evitando ogni nuovo approccio da parte dei ragazzi.
Sovente, mentre era intenta a studiare, il ricordo improvviso di Romano, come pungente ago di spillo, le si conficcava nella mente, procurandole una dolorosa fitta nostalgica. Allora chiudeva il libro e lasciava libere le lacrime di scivolare sulle guance esangui.

[continua]


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine