Opere di

Maria Angela Gobbi

Con questo racconto è risultata 3^ classificata – Sezione narrativa alla X edizione del “Premio di Poesia e Narrativa La Montagna Valle Spluga 2009


Un’ascesa

Guardava il paesaggio; guardava la strada asfaltata che poco più avanti diventava un acciottolato, e poi semplicemente una striscia di terra, un sentiero quasi impercettibile, fino al margine del paese.
Le case erano grigie, con grigi tetti di ardesia. Riusciva a scorgere qua e là chiazze bianche di bucati stesi al sole, e chiazze rosee, rosse, arancioni su certi davanzali, forse gerani.
Dietro il paese si estendevano i prati falciati e il sentiero ormai risultava invisibile dalla strada, ma se ne indovinava la traccia seguendo le ondulazioni
della costa.
Camminare sull’asfalto con gli scarponi è scomodo, ma poi sui sassi le spesse
suole danno sicurezza.
La terra smossa sprigiona odore di muschio, di funghi, di sottobosco.
Aveva visto i contadini falciare dove la pendenza non permetteva il lavoro delle macchine, poi le donne avevano rastrellato, e gli uomini si erano seduti con un ginocchio piegato per rialzarsi coi grandi gerli pieni sulle spalle, e l’odore del fieno si era sparso intorno. Poche mucche pascolavano in disparte; risuonavano a tratti i campanacci bronzei.
Adesso bisogna spostarsi un po’ sulla sinistra per aggirare un gruppo di castagni, poi attraversare il torrente. In certe ore scende impetuoso dagli alti nevai che si sciolgono al calore del sole, ma di mattina l’acqua è poca e scorre con fruscio quasi di seta, poco più di un brusio.
Proseguendo si giunge all’orlo della vasta, cupa abetaia.
Rimase per un momento assorto, tentando di immaginare il tracciato più favorevole per attraversarla; alla fine pensò di aver individuato il punto in cui uscendo dalla foresta sarebbe stato possibile ricominciare a salire.
All’ombra degli abeti avrebbe fatto fresco, quasi freddo, sarebbe stato meglio mettersi il maglione. Non ci sarebbe stato più sentiero, ma si sarebbero scorte impronte di passaggi: l’erba appena calpestata, alcuni massi con tracce di vernice bianca e rossa, e l’andamento stesso del terreno avrebbe suggerito il miglior percorso.
Alcuni uccelli di specie sconosciuta, forse nocciolaie, saettano veloci da un albero all’altro. Anni fa, di sfuggita, aveva visto la sagoma a forma di lira della coda di un urogallo. Forse dei caprioli si nascondono nel fondo più riparato della foresta.
Passata l’abetaia si vedeva un costone innalzarsi sulla destra, con pendenza non troppo ardua, si poteva risalire abbastanza agevolmente puntando il bastone nell’erba pallida, tra piccoli ammassi di pietre, dove tenaci fiori riuscivano a sbocciare.
Poi era inevitabile
percorrere un tratto quasi orizzontale di nuovo verso sinistra per evitare un’alta bastionata rocciosa e arrivare nuovamente nei pressi del torrente.
«Un posto piacevole – pensava – per una breve sosta».
Avrebbe mangiato e bevuto qualcosa prima di rimettersi in marcia e affrontare il tratto più impegnativo.
Ora il sole splendeva alto, faceva caldo e cominciò a sudare.
Dopo una traversata diagonale in un valloncello si presentava una stretta cengia superabile con cautela fino a raggiungere un pendio coperto di detriti da risalire con alcune svolte per addolcirne il dislivello.
Più oltre cominciava una scura morena.
Il cielo si sta rannuvolando, non fa più caldo e comincia a soffiare un forte vento frontale. Ogni passo smuove piccole frane di sfasciumi, qualche ruscelletto scorre silenzioso tra le pietre.
Terminata la morena, ecco le rocce finali che anticipano la vetta.
Il bastone sarebbe stato d’impaccio; bisognava legarlo diritto, dietro allo zaino come una piccozza, e cominciare ad arrampicare usando anche le mani.
Il cuore avrebbe pulsato più rapidamente, il respiro si sarebbe affrettato, mentre i movimenti, attenti e guardinghi, si sarebbero fatti più lenti.
Devo prestare molta attenzione e memorizzare i punti che potrebbero rappresentare un pericolo sulla via del ritorno, d’altra parte non posso attardarmi molto; se il tempo si guasta la discesa diventerà ancor più pericolosa.
Guardando l’orologio pensò che per arrivare in vetta avrebbe impiegato almeno un’altra mezz’ora; non tutte le roccette si prestavano infatti ad essere superate verticalmente, ma di tanto intanto era indispensabile fare qualche breve tratto di traverso, per poi riprendere a salire.
Ecco dove mettere le mani, dove poggiare un piede, poi l’altro.
Guardò nuovamente l’orologio.
«Sì – pensò – devo farcela. Ancora un piccolo sforzo poi mi dedicherò alla discesa».
Un rumore improvviso dietro di lui, secco come uno scoppio, lo fece sussultare.
Tese l’orecchio, ma non udendo più nulla si concentrò nuovamente sull’arrampicata.
Mentre superava un’ultima roccia prima del nevaio terminale un nuovo rumore lo riempì d’angoscia.
«Non posso barare! – gridò dentro di sé – devo arrivare in cima a tutti i costi, e non posso volare. Cinque minuti! Cinque minuti per arrivare in vetta, come allora!».
Potrei tornare e giurare di aver raggiunta la cima,potrei ma nello stesso tempo so che non posso. Potrei morire qui, in questa nebbia che sale, tanta è la stanchezza accumulata, ma non mi arrenderò.
Ho sognato questa vetta fin dalla mia gioventù, ho sognato l’impresa solitaria e ora che sto per esaudire il mio desiderio segreto non mi fermerò.
Poi avvenga quel che deve, ma tornerò a raccontare che ho fatto quel che avevo promesso.
Un passo dopo l’altro, adagio, affondando nelle neve molle, puntando la piccozza e arrancando, senza quasi più ossigeno nei polmoni stanchi.
Pianterò una piccola bandiera,tornerò indietro prima che scenda il buio, ma in cima devo arrivare.
Il rumore adesso fu chiaro a forte,il rumore dei passi dietro la sua schiena
«Ma ci sono! Sono in vetta!».
La porta si spalancò ed entrò quasi di corsa un ragazzo.
Rimase sulla soglia per un momento, guardando spaventato la figura sghemba appoggiata di traverso alla finestra, le forti magre mani aggrappate al davanzale.
Si tranquillizzò vedendo che nulla di irreparabile era accaduto.
«Te la apro io – disse – ma quando ne hai bisogno chiamami».
Spalancò la finestra, guardò il paesaggio, la strada, la montagna sulla cui vetta dieci anni prima, – allora era solo un bambino – aveva visto tra le nuvole nere sventolare una minuscola bandiera.
Poi spostò in avanti adagio, con cura, la sedia a rotelle.

Maria Angela Gobbi



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