A tutti coloro che della satira ne gustano
l’arguto effervescente sapore.
All’amico e scrittore Sergio Pizzuti sempre sollecito con generosa dedizione, virtù a lui connaturale, devo riconoscente gratitudine per avere fraternamente collaborato attraverso preziosi consigli alla pubblicazione di questo mio libro.
Con stima, simpatia e affettuosa amicizia.
L’autore
Proemio
Fare un libro è meno che niente
Sagace e sapiente
disse un poeta
assai convincente.
– Il fare un libro
è meno che niente
se il libro fatto
non rifà la gente –.
Nel dire questo,
con mille ragioni,
fece capire
che i libri, non tali,
da mettere in sesto,
sono quintali,
non c’è che dire,
sono milioni.
Sono assai pochi,
quelli immortali,
gli altri sono rochi,
di voci geniali.
Pur questo eloquio,
di mia fattura,
è broscia totale,
è vero sproloquio,
alquanto stantio,
è orrenda bruttura,
ha poco sale,
scarso è il suo brio.
Diciamoci il vero,
ha corto il respiro,
val meno di zero.
Del mondo bislacco,
dei libri fasulli,
è sol presa in giro,
è mite attacco,
ai gasati citrulli,
un loquace staffile,
ma è privo di bile.
Ogni scherzo vale
Prendere per i fondelli,
questi, codesti e quelli,
senza cattiveria,
non è poi tutto male.
Quando la cosa seria,
finisce in carnevale,
allor, per la miseria,
ogni scherzo vale.
La morte della satira
Sol se nella satira,
c’è il paradosso,
si riesce a mordere,
la carne e l’osso.
Se non si abbonda,
di buoni fendenti,
presto si spegne,
stiamoci attenti.
Può presto crepare,
d’apoplessia,
un bel funerale
e un “così sia”.
Capitolo 1
Fratelli d’Italia
Sino dall’antica Roma il politico e storico Cornelio Tacito nella sua “Storie” scrisse “L’Italia e Roma capo del mondo, nomi mai oscuri, benché talvolta s’addombrino”.
Da secoli la nostra bella ma seviziata Italia è nel mirino di personaggi illustri e fra i primi i poeti che ne denunciano le sorti in cui la nostra Patria è destinata a soffrire insieme ai suoi abitanti.
È noto il VI canto dantesco del Purgatorio in cui il sommo poeta dice: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave senza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello”.
Fanno da contro canto al poeta fiorentino in molti altri.
Primo fra tutti Giacomo Leopardi nei “Canti” con la nota poesia “All’Italia” dice: “O patria mia, vedo le mura e gli archi/ e le colonne e i simulacri e l’erme / torri degli avi nostri, / ma la gloria non vedo, / non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi / i nostri padri antichi. Or fatta inerme, / nuda la fronte e nudo il petto mostri. / Oimé quante ferite, /che livor, che sangue! Oh qual ti veggio,/formosissima donna! Io chiedo al cielo / e al mondo: dite, dite; / chi la ridusse a tale? E questo è peggio, / che di catene ha carche ambe le braccia; / sì che sparte le chiome e senza velo / siede in terra negletta e sconsolata, / nascondendo la faccia / tra le ginocchia e piange. / Piangi, che ben hai donde, Italia mia, / le genti a vincer nata / e nella fausta sorte e nella ria”. E prosegue al lungo la sua lamentazione.
Il poeta e commediografo seicentesco Carlo Maggi ci fa sapere. “Italia, Italia mia, questo è il mio duolo; / allor siamo giunti a disperar salute, / quando pensa ciascun di campar solo.”Il poeta risorgimentale Giovanni Berchet, nel suo “Il romito del Cenisio” scrive: “Come il mar su cui si posa, / sono immensi i guai d’Italia, / inesausto il suo dolor”. Il frizzante Giuseppe Giusti in “Lo Stivale” ci fa sapere: “Io non son di solita vacchetta, / né sono uno stival da contadino; / e se paio tagliato con l’accetta, / chi lavorò non era ciabattino: / mi fece a doppia suola e alla scudiera, / per servir da bosco e da riviera.” Il poeta siciliano Mario Rapisardi nel “Frammento” ne carica la dose domandando agli italiani: “Conosci tu il paese dei floridi aranceti / che ha su cento abitanti settanta analfabeti? / Il paese poetico, dall’aure profumate, / che riceve le rondini a fucilate?”
L’inno “Fratelli d’Italia” fu composto nel 1847 dal poeta e patriota Goffredo Mameli su musica del maestro Michele Novaro e solamente nel 1946 divenne “Inno Nazionale”. Lo scrittore e patriota Carlo Cattaneo nel 1850 a Lugano, con una quartina titolata “Controcanzone ai Fratelli d’Italia” parafrasa ironizzando l’inno scrivendo: “Che dite? L’Italia non anco s’è desta. / Convulsa sonnambula / scrollava la testa.”
In questo spirito scherzoso (ma non troppo), ho composto questo nuovo “Italico Inno”, apparentemente mordace ma in fondo speranzoso del meglio che verrà a farci visita. Se verrà!
La situazione socio-politica-partitica-asfittica, in parecchie occasioni, sta raggiungendo vertici inaccettabili. È cosa paradossale ove ogni scherzo vale e valendo assai bisogna tenerne conto per non incorrere in ulteriori guai.
L’Italica “Torre di Babele” minaccia di crollarci addosso con le sue macerie e i suoi polveroni che possono travolgerci e soffocarci. Dizioni e contraddizioni, già al mattino, ci gettano addosso il “caso” giornaliero che poi si fa notturno, gremito di incubi malevoli.
Penso pochi abbiano notato che il sostantivo “caso” è l’anagramma di “caos” che, a sua volta, nel linguaggio moderno, non troppo sopraffino, significa “casino”.
La voglia di approcci intelligenti, sereni, onesti, di coloro che abbiamo votato, sembrano dispersi nei banchi delle nebbie autunnali, banchi peraltro, privi di cattedre di luce illuminante, ove docenti non annebbiati potrebbero insegnare ad acquisire il buon senso comune, oggi diventato senso vietato. E i docenti più qualificati sono gli italiani che “eletti” non sono. Mentre gli “eletti” sono esseri di pregio saliti al potere grazie all’errore di un voto a loro regalato.
Di seguito, eccoti indulgente lettore, per lo spasso tuo e di altri, l’inno “Fratelli d’Italia”, caro a quasi tutti i penisolani, riveduto e adattato alla quasi perenne poco edificante situazione del Paese.
Si tratta di una revisione aggiornata tutt’altro che dissacrante, vista la dissacrazione già in atto compiuta dal malcostume dilagante senza scusante.
Sono abituato a ricorrere alla assonanza delle parole, perché più orecchiabili e istruttive, a oltranza, ove la circostanza duole.
Fratelli d’Italia
Fratelli d’Italia,
l’Italia è in tempesta,
questo è il principio
di un’era funesta.
Penosa la storia,
parte da Roma,
eterna e mai doma
che più non si può.
Stringiamoci forte!
Nefasta è la sorte;
speriamo di no.
Nel nostro Paese
si ruba e si magna,
stroncare bisogna,
la losca cuccagna.
Son troppe, son tante,
tasse e gabelle,
raggiungon le stelle
finire dovrà.
Stringiamoci forte!
Nefasta è la sorte;
speriamo di no.
Noi siamo delusi,
calpesti e ingannati,
perché come popolo
siam stati fregati.
Munti noi siamo,
il fisco ci spreme
mettiamoci insieme,
a dire di no.
Stringiamoci forte!
Nefasta è la sorte;
speriamo di no.
Con mafia e camorra,
da sempre il potere
manovra e complotta
e vuol possedere.
Nella Nazione,
protetti e serviti,
i falsi pentiti
regnano ognor.
Stringiamoci forte!
Nefasta è la sorte;
speriamo di no.
Fra i magistrati – per la miseria -,
vi sono indagati,
è cosa seria.
Mettiamoci uniti,
gli iniqui cacciamo,
sbattiamo in galera
i lesti di mano.
Stringiamoci forte!
Nefasta è la sorte;
speriamo di no.
La Patria s’inquina,
d’Europa il giardino,
sembra infestato
da fosco destino.
L’aria s’infetta,
l’acqua ammalata
e pure la selva
viene bruciata.
Stringiamoci forte!
Nefasta è la sorte;
speriamo di no.
Dall’Alpe a Sicilia,
facciamo barriera,
fermiamo le stragi,
del sabato sera.
Ai giovan d’Italia,
con legge belluina,
la droga assassina,
si vuole donar.
Stringiamoci forte!
Nefasta è la sorte;
speriamo di no.
Poi c’è chi vuole
dividerci in razze,
l’Italia è già in coma,
son cose pazze.
Stivale in frantumi
vuol dire spezzato,
così pugnalato,
risorger non può.
Stringiamoci forte!
Nefasta è la sorte;
speriamo di no.
In questo bordello
la gente è smarrita
l’Italia che affoga,
perde la vita.
L’italica stirpe,
nulla vuol fare,
tira a campare,
così non si può.
Stringiamoci forte!
Nefasta è la sorte;
speriamo di no.
Uniamoci tutti,
l’unione dei cuori
rivelan al popolo
antichi valori.
Facciamo gli onesti,
gli untori cacciamo,
agire dobbiamo,
volendo si può.
Stringiamoci forte!
Nefasta è la sorte;
speriamo di no.
Volendo si riesce
ricucir lo Stivale,
facciamolo tutti,
l’azione assai vale.
L’Italia vogliamo
ricolma d’amore,
fratelli veraci,
nel tricolore.
Stringiamoci forte!
Nefasta è la sorte;
speriamo di no.
.
L’Italica sventura
L’Italia è Stivale
a lunga coscia,
traverso e sbilenco,
in mezzo al mare
può affondare.
Il nord produce
il centro consuma,
il sud si sveglia
con brutti sogni,
è pien di bisogni.
Tomaia lisa,
tacco scollato,
suola bucata,
c’è malandare,
nel nostro calzare.
Mafia e camorra,
gaglioffi e corrotti
fan da padroni,
il Bel Paese
ne fa le spese.
È caos totale,
nefasto alquanto,
ordin ci vuole,
è cosa seria,
per la miseria.
Un calzolaio
assai provetto,
rimetta in sesto,
lesto, perbacco,
tomaia, suola, tacco.
Talvolta giova
visitar la storia,
s’aggiustan le cose,
gli umani torti,
con modi forti.
C’è la galera,
essa risana
la piaga infetta,
della canaglia
che appesta l’Italia.
I nostri padri,
sapienti e saggi,
assassini e ladri
mettevano dentro
per tutta la vita
ed era finita.
Lo Stato umiliato
Scrisse un giornale:
– Purtroppo in Italia
la coscienza statale,
sfugge in totale. –
Per ricercarla
in mezzo alla gente,
ci vuole niente,
è cosa geniale
porre una taglia
sull’intero Stivale.
Quando il progetto
fu attuato,
il premio offerto
giacque negletto,
fu mai ritirato.
Si fece deserto
in tutto lo Stato,
ancor più umiliato.
L’Italia e il tricolore
Su questa amata Italia,
squassata e stanca,
malata di squallore,
sventola bandiera bianca.
Sugli spalti del dolore,
s’ammaina il tricolore.
Epigrafe per l’Italia
Qui giace atrocemente pugnalata
la bella Italia morta dissanguata,
spirò per colpi a Lei vibrati,
da orde di politici e magistrati.
In questo luogo sacro e pio,
sia rivolta una preghiera a Dio,
che l’accolga con affabile sorriso,
fra la schiera dei martiri in Paradiso.
Povera Italia
Povera Italia, sei messa male,
biscazzieri e turpi sensali,
ti han messo le corna e tolte le ali.
Povera Italia, terra ubertosa,
sacral territorio,
ridotto a spettrale mortorio.
Povera Italia, ti hanno tradita,
pure la lingua, tanto amata,
di barbarismi ti hanno inquinata.
Povera Italia, cara sorella,
donna virtuosa, nobil matrona,
ti hanno umiliata a vera battona.
Povera Italia, ci hanno ridotti,
le losche tue bande,
soltanto in mutande.
Povera Italia, in questo bordello,
ti han segregata,
la tua luce è tramontata.
Povera Italia, patria d’ingegni,
ti hanno violata, umiliata, calpesta,
l’italica stirpe più non si desta.