Le rose di Pandora

di

Luisa Foddai


Luisa Foddai - Le rose di Pandora
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 112 - Euro 12,00
ISBN 9791259511775

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In copertina “Redenzione” fotografia di Mattia Murgia

Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori per il conseguimento del 1° posto nel concorso letterario Città di Monza 2018


Prefazione

Luisa Foddai è una poetessa che vive la poesia in modo assoluto e, come “danzatrice tra parole nuove”, crea e plasma, in una continua tensione, il suo universo lirico, attingendo dal personale giacimento emozionale che custodisce nel profondo del cuore.
Nella silloge si avverte la costante ricerca d’una simbolica “sorgente” della poesia che offra nuove visioni, impensabili prospettive ed inaspettate metamorfosi capaci d’illuminare il percorso esistenziale.
Ecco allora che emergono flussi d’immagini e pensieri che nascono dall’universo emozionale ed “alfabeti misteriosi” che si incidono sulla pelle della poetessa: il vago recupero dei sentimenti; la “muta malinconia” che sovente ammanta la sua percezione lirica; le “carezze silenziose” che si depositano sulla “polvere” dei giorni vissuti e, poi, la solitudine della notte che si accompagna con i “lunari incanti”; la visione/percezione della “sera che muore” ed il rimpianto dei giorni passati.
Durante il processo lirico domina la coscienza della poetessa che confessa, sincera e candida, di sentirsi un “universo sconosciuto”, eppure, come a voler afferrare il bagliore d’una visione esistenziale, scrive: “tra le rughe della mia anima” i pensieri “s’incendiano”, ed ecco che cerca di “reinventare equilibri”; di ricongiungere frammenti esistenziali; ricomporre i “pensieri sfilacciati”, in attesa d’una simbolica rinascita.
Nella raccolta poetica si avverte chiaramente come la concezione del “sogno” sia intrisa di poesia, visione onirica che contempla le suggestioni e le impressioni del mondo naturale, osservato e scrutato nel profondo, così come il costante sguardo alla realtà e alle molteplici manifestazioni del vivere con le relative contraddizioni e anche le tragedie che occupano le cronache dei tempi attuali: solo per citarne alcune, le atrocità ed il dolore generati dalla guerra e la tragedia del crollo del ponte di Genova nel 2018.
La visione di Luisa Foddai è cosparsa di gemme liriche che illuminano la galleria d’emozioni, d’immagini e delle simboliche figure della sua poetica: le fragilità del vivere; i reiterati “pensieri sfilacciati” che sono in attesa d’una ricomposizione; le continue reinvenzioni; il senso di solitudine che pervade alcuni passaggi lirici ed il sottile velo di malinconia che pervade l’intera silloge.
L’afflato lirico penetra in ogni “verso” e si assiste ad un continuo alternarsi di stati d’animo, di sussurri e tumulti dell’animo, in una tessitura d’emozioni e trame di pensieri, tra faticose attese ed inevitabili inganni, tra memorie ed incanti.
La sua Parola è intensa, incisiva e penetrante, custodita dietro la sua “muta devozione” che conduce alla “fame di versi”, e capace di offrire una costante reinvenzione delle evidenze liriche, seppur nella mutevolezza d’una percezione che è sempre protesa a scrutare le zone più profonde e celate, ciò che rimane nascosto agli occhi, ciò che si è sedimentato in fondo al simbolico “vaso di Pandora”.

Massimo Barile


Le rose di Pandora


La poesia è sangue diventato fiore.

(Alain Bosquet)


Ai medici e infermieri mancati sul lavoro e
a quelli sopravvissuti nella carne
e nello spirito
alla tragedia sanitaria del nostro tempo.

E a chiunque nel tempo del dubbio,
ha saputo volgere lo sguardo al “noi”
prima che all’“io”.


“È ora di andare!
La sera ha licenziato il giorno.
Usurpatrice di speranza!
Il mio piede è nudo come le mie ossa
macchiate di sillabe taciute.
Anche le mie mani sono giunte.
Obolo alla sera. Iniziano le litanie.
Divine parole come echi lontani
tra muri di pietra”.

Così, come il profondo celato
al cieco degli occhi,
del vaso di Pandora
che trova redenzione,
gemmando dalle miserie innestate
sui rami del mondo,
rose bianche di poesia.


Come foglie vive

Come angeli caduti
senza colpa
da cieli agonizzanti.
Come frutti traditi
al festoso preludio
di primavera,
da rami avvelenati.
Come fragili funamboli
senza rete,
scelti a caso dal destino,
dalla mano scellerata
di chi gioca
con folle supponenza,
al baratto con la vita.
Come foglie vive
in cieli morti
senza autunno,
a tessere tappeti
di innocenze per altari
di asfalti neri
e ponti di dolore.
Come angeli caduti,
come frutti traditi,
come fragili funamboli,
come foglie vive…
e come il cielo ferito
sopra Genova
che spegne il Sole
a Ferragosto.

(Genova, 14 Agosto 2018)

Premio Internazionale di Poesia “Città di Monza 2018”, XX Edizione, Opera 1° Classificata.


Noi

Non ho parole nuove
da pronunciare
sul tuo labbro.
Alfabeti misteriosi da
incidere sulla pelle.
La vedi quella sorgente?
La sua grazia sgorga
sempre uguale
da millenni.
E oggi come allora
sotto il cangiare
di mille lune
sempre nuove,
disseta l’arsura
di chi fedele
le si accosta.
Così io
e la banalità
delle mie sillabe
sempre uguali,
giurate sull’altare
di questo amore
così vecchio
e così vivo.
Benedetta
la mia lingua
che non osa
parole nuove!

Opera selezionata per pubblicazione su Antologia del Premio “Verrà il mattino e avrà un tuo verso – Poesie d’Amore”, XIX Edizione, Aletti Editore, con introduzione critica di Franco Arminio e Giuseppe e Caterina Aletti.


Sono

Sono universo
sconosciuto,
figlia del ventre
di una terra
ancora da scoprire.
Danzo tra parole
nuove ancora
da inventare.
I miei pensieri
come flutti
di oceani ancor
da navigare.
La mia pelle
lembo di luna
sottratta al mistero
del cielo
e i miei occhi
scintille di sole
ad incendiarmi
la vita d’amore.


Gli occhi stanchi della sera

Ha gli occhi stanchi
oggi la sera.
Profondi come
il nichilismo
di un pozzo
dove annaspano
i pensieri.
Ma uno specchio
grasso di pietà
riflettendoli alla notte,
stringe a se
il gonfio di pupille.
Ha lo sguardo perso
oggi la sera,
come una carovana
di anime in pena,
invisibili tra loro.
Come tanti Nessuno
in cerca di salvezza,
ognuno con lo stralcio
della propria Odissea
stretta tra i denti.
Ma là,
alla fine della strada
vi è un redento Polifemo,
che ormai ebbro di beltà,
ingoiato l’ingarbuglio
di dubbi e di paure,
trafigge gli occhi
grandi della sera
incendiandoli di luce.


Sere

Scende sulle spalle
stanche della sera,
la polvere pesante
del grigio avido
del giorno.
La muta malinconia
ripiega mesta
il capo sotto
il peso ormai
sbiadito della
promessa
menzoniera.
Non resta,
nell’attesa
del perdono
dolce delle ore,
che raccoglierne
l’infranto,
caduto a terra
come un
fiore di cristallo.
Scende la sera
sulle mie
spalle stanche,
gravide come
una nuvola
di un cielo
di novembre,
che la notte
dopo averle piante,
risorgerà domani.

Opera pubblicata sull’Antologia del Premio “CET Scuola Autori di Mogol”, VIII Edizione, Aletti Editore.


Il cielo

Io lo so che la notte
il cielo non riposa.
Geme per le piaghe
della miseria
che ci vive e
insegna all’uomo
ciò che non sa
più fare.
Feconda della luce
delle stelle
nuvole innamorate
di piogge di speranza.
Delle paure ne fa
carezze silenziose,
dell’odio prova
a farne amore.
Delle sguaiate
supponenze che gli
offendono gli orecchi,
ne fa lunghe
ninna nanna.
E alla sera,
mentre il Sole
sconfitto va
a dormire,
come un padre
laborioso con le
mani sempre sporche
di amore e pane caldo,
raccoglie lento
ai nostri piedi
i fili ingarbugliati
delle vite dei suoi figli,
per farne nidi caldi.


lo lo so che la notte
il cielo non riposa
e piange come un
amante solitario
sulle rime dei nostri
occhi addormentati,
tutto il rosso del
suo amore disperato.


Supplica

O vita, sconvolgi
il pallore instupidito
dei nostri cuori
intorpiditi.
Scuotili dal torpore
soffocante che
rinsecchisce le vene.
Soffia novelli afflati
amorosi sui nostri
polmoni asfaltati
di sterili respiri.
Spezza le catene
alla cancrena che
vive dentro ai nostri
corpi morti
che danzano
tra cerchi chiusi
di mondi di velluti.
Affama i nostri ventri,
mordi senza pena
le fibre spente
delle comode
coscienze,
prima che le lancette
del nostro tempo
ci decretino l’omega
senza appello.
Affonda i tuoi artigli
o vita sulle nostre
carni vuote,
o riempiremo
fuori tempo
quelle voragini
di fango
del nostro inutile
pianto!


Pensieri

Mi incendiano
i pensieri
ma il piede mio
perso tra quei flutti
voluttuosi che
lo schiumano d’amore,
oltraggia ormai
la mente
e libero
come il testardo
di quell’onda
che ancora anela
al bacio caldo
della sabbia,
già naviga lontano.
E come una Penelope
mai stanca
senza Ulisse e
senza attese,
cavalca senza gloria
con l’infinito
di una tela
ingarbugliata tra le dita,
il lontano
sogno bianco
macchiatosi da tempo
di poesia.


[continua]

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