Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Luigi Ballerini

Con questo racconto ha vinto il secono premio del concorso Parole in Movimento Fonopoli

 
 
L'amico
 
Pioveva troppo per essere le dieci.
L'acquazzone stufo marcio aveva ormai definito pozzanghere così dozzinali che persino le gocce avevano perso tutto l'entusiasmo.
All'inizio le avevo viste giocare tuffandosi a capofitto e rincorrersi gaie fra le pieghe del pavet. Ognuna fiera della propria irripetibile umida singolarità. Erano andate avanti così un'ora almeno. Incessantemente. Poi più. All'improvviso senza passione si era messo a piovere solo per mestiere. Come quando si cammina d'estate strascicando gli zoccoli. Le gocce sbattevano ora a terra coagulate in blocchi informi impastati di grigio. Davano l'impressione di sprofondare e stare lì lì per affogare per poi risalire a galleggiare senza poesia nelle pozze stagnanti violentate da pneumatici irrispettosi. A galleggiare. Strano come allora non ci avessi pensato. Poteva essere l'alba di una nuova scoperta che mai fu. Il principio di Archimede applicato all'acqua stessa. Ogni goccia che cadeva spostava una massa pari al suo peso ricevendone una spinta verso l'alto. Alias galleggiava. Ma allora queste osservazioni non mi venivano così facili. Non credo lo abbia mai considerato nessuno. I bambini giocano con i cerchi d'olio che scivolano sul brodo che non hanno più voglia di bere. Da grandi forse balleranno in crociera su navi lussuose inconsapevolmente sospesi sulla tavola dell'oceano. Insomma si passa la vita dando per scontato che qualcosa galleggi. Eppure nessuno ha mai pensato che una goccia d'acqua una singola goccia d'acqua possa farlo su se stessa. Principio autoreferenziale o forse no. Mi riservo di ripensarci. Magari più tardi.
Vero è che mai le rotaie del tram erano state così lucide come allora. Tirate a specchio da un solerte maggiordomo del destino. Troppo lucide per essere le dieci direi. Mai la ruota della mia bici ci aveva scivolato sopra così leggiadra. Una caduta armonica.
Composta non sgraziata. Di quelle che non fanno fermare nessuno perché tanto di sicuro non ci si è fatto male. Così mi sono ritrovato in mezzo a gocce le cui leggi avevo ignorato da sempre. Ma lì il mio di peso non ha ricevuto nessuna provvidenziale spinta verso l'alto. O forse una spintina c'è stata ma forse così lieve che nemmeno me ne sono accorto. Magari per qualche istante ho galleggiato persino io. Una cosa invece è sicura. Proprio lì sono entrato in coma.
Sono sette mesi che mi girano intorno animandosi in questa notte popolata di voci.
Non li vedo ma a ciascuno ho dato un volto. Ho cercato di ricostruire quelle labbra che sento dire del reale che non calpesto più. E attorno alla parola gli occhi che mi guardano il naso che mi respira il volto che mi attrae. I nomi quelli sì sono i loro. Adesso qui Ornella e io viviamo questo istante irripetibile. Non deve avere più di vent'anni e porta i capelli lunghi. Lo so perché certe volte le cadono fuori dalla cuffia e sento solleticarmi il viso. Così sottili devono essere biondi ma non troppo chiari. Tipo quelli che incoronavano mia sorella. Ornella era in cerca di casa per andare a vivere da sola e quelli dell'agenzia immobiliare la stavano truffando. Se ne è accorta solo ora. Avrei dovuto &endash; avrei voluto &endash; urlarglielo tre settimane fa. Che c'era qualcosa che non convinceva in quella proposta. Quando il prezzo è così basso da qualche parte deve esserci l'inghippo. Infatti. La casa era ipotecata e l'ha scoperto solo ieri. L'avevo capito subito io. E qui nessuno che sia stato in grado di metterla in guardia. O sono davvero ingenui o non le vogliono molto bene. Stupidi. In entrambi i casi.
Mentre mi fa le cure igieniche assieme ad Alessandra che qui chiamano Sandrina la sento lamentarsi dei soldi che ha perso. Tutto l'anticipo versato. Le vacanze di due anni. Avrei io un avvocato da consigliarle.
Non mi dà più fastidio che mi lavino altri. Anzi è un momento che attendo. All'inizio arrossivo specie quando erano delle donne a farlo ma credo non se ne siano mai accorte. Lo fanno gli infermieri del turno del mattino. Alcuni svogliatamente come è normale che sia. Altri con la cura che possono metterci solo i santi. Non ho mai creduto ai santi prima di incontrarli. Mentre si prendono cura di me parlano fra loro. È così che la loro vita incrocia la mia lungo la strada dell'esistenza. Come in un lungo viaggio affrontato da solo con l'autoradio accesa a tenere compagnia in una notte senza stelle.
Poi vanno a bere il caffè. La cucina non deve essere lontana perché da qui lo sento ribollire nella caffettiera fino a riversarsi sfrigolando sulla piastra elettrica arroventata. Il fruscio dell'acqua che ormai satura di sapore reclama borbottando la dovuta attenzione è diventato inconfondibile. Ma loro non lo notano e aspettano di sentire l'odore. Di bruciato. E poi si lamentano con chi l'ha messo su e non ci ha più badato ed è sempre la stessa che fa così. Ecco gli odori non li distinguo più bene. Tranne il caffè e il bergamotto. Lo usano per disinfettare. Lo usavo anch'io e forse per questo lo riconosco. Solo alla memoria i ricordi acquistano significato.
Non faccio niente tutto il giorno. E tutta la notte. Allora vorrai sapere come faccio a sapere quando è giorno e quando è notte. Sono loro che me lo dicono. A essere precisi sono io che lo capisco. Perché loro non mi dicono niente. Come io non dico niente a nessuno. Vedi quando discutono dei turni da inviare all'ufficio del personale puoi star certo che è arrivato il venti del mese. Si riducono sempre all'ultimo giorno per spartirsi i riposi o mettere fuori le ferie. Quando invece non fanno le pulizie al pomeriggio allora vuol dire che è domenica o un giorno di festa. Al cambio del turno sono le otto di sera. Salvo ritardi. Ma quelli vengono sempre rinfacciati.
Ho dovuto organizzarmi. Ricostruire i riferimenti temporali con gli elementi a disposizione. All'inizio temevo di impazzire. Mancante di tutto avevo solo me stesso ed è bastato poco per stufarmene. Così per sopravvivere ho dovuto pensarti. E dico pensarti non crearti. Non sono uno psicotico so bene che non ci sei ma diciamo che vorrei che ci fossi. In un certo senso ti sto tenendo pronto il posto. In questo modo non resto solo neanche un istante. Con te che sei il mio interlocutore. Il mio altro.
Dal punto di vista clinico conosco esattamente quello che mi sta succedendo. Sono un medico e questa sindrome l'avevo studiata anch'io seppur tanti anni or sono. E so io quanti anni fa. Già allora mi aveva fatto impressione e in fondo in fondo pensavo non esistesse poi davvero. "Sindrome del locked-in" recitava il sacro testo mandato quasi a memoria. Niente più che una curiosità. Quelle finezze buone solo per prendere la lode al termine di un esame già eccellente. Ero bravo all'università sai. Tutti trenta.
Sento parole sento carezze sento canzoni sento punture sento medicazioni sento sirene sento camminare sento risate sento visitare sento coprire sento tagliare sento notizie sento correre sento. Non parlo non accarezzo non canto non pungo non medico non urlo non cammino non rido non visito non copro non taglio non informo non corro.
Solo sento. Sento. Solo.
Isolato dal mondo esterno in uscita ma non in entrata. Sigillato in me stesso ricevente di tutto ciò che accade senza esserne il destinatario. Un po' come un guardone di parole. Mio malgrado. Quando il tono diventa troppo personale faccio quello che posso.
Per non stare ad ascoltare.
Così sono qui con te.
Ignoto perché non ti ho ancora conosciuto.
Benefico anche se non ti ho ancora conosciuto.
Irreale ma non irrelato.
Generato e non creato.
Sono arrivati i miei colleghi per fare il giro. A sentirli nutrono ancora qualche speranza di tirarmi fuori. Il mio EEG non è ancora piatto. Certo che non è piatto. Penso. Dei miei pensieri rilevano l'attività elettrica che scarabocchia carta millimetrata che va. È come sapere che da qualche parte c'è una rosa solo perché se ne avverte il profumo.
Sono diventato una specie di palestra per tirocinanti. Su di me imparano a fare i prelievi venosi. Quando sono più bravini passano a quelli arteriosi che non sempre riescono. Ma non ne ho a male. Devono imparare anche loro. E so che su uno incosciente fa meno impressione. Non è mica bello fare del male a qualcuno sai. Neanche se per curarlo.
Ti ho mai raccontato di quella volta che non ancora laureato ho iniziato a rianimare nel suo letto una vecchina che stava solo dormendo? E beatamente pure. Tronfio della mia scienza che vedeva ovunque arresti cardiaci le ho sferrato un pugno al centro del petto. Giusto sui fiorellini rosa ricamati sulla camicia da notte di lino bianco conservata appositamente per un malaugurato ricovero in ospedale. Un colpo secco ben assestato. Avrà forse pensato di essere stata convocata dal diavolo in persona e svegliata nel terrore ha gridato non so quali ingiurie in un dialetto stretto stretto. Incomprensibile nei singoli termini ma certamente espressivo quanto a contenuto generale. Mi sono così vergognato di me stesso che le volte successive quando c'era da visitarla mandavo sempre avanti un altro e da dietro il corteo dei camici bianchi l'adocchiavo temendo di essere riconosciuto.
Chissà perché mai mi è venuta un po' di febbre. Se non lo avessi sentito da loro durante il giro proprio non me ne sarei accorto. Mi sembra di stare così bene. Dieci a uno che mi faranno una lastra al torace. Io non credo ci sia un focolaio polmonare ma loro pensano subito a quello. Eppure da qualche parte dovrà venire questa febbre. Potrei avere dei decubiti infetti. Ma dovrei sentirli e poi sono improbabili visto che ho il materasso ad acqua. Magari si stanno formando e non ne ho ancora sentore.
Basta. Ho imparato da tempo che è meglio resistere alla tentazione di fare auto diagnosi quando si è nella mia condizione. Ci pensino loro. In fin dei conti come medico sono in pensione da un bel pezzo.
A proposito. Oggi non vanno in mensa. Ho sentito che c'è una festa di reparto per festeggiare l'Annina che va in pensione. Doveva essere una sorpresa ma alla fine hanno spifferato tutto. Di sicuro piangerà. L'ho fatto anch'io quando ero al suo posto. Mi regalarono un bell'orologio che non mi sono mai levato. Da allora. Chissà adesso dove l'avranno messo. Non vorrei si rovinasse. Incredibile ma sono queste le cose che mi fanno star male. Mica la febbre e le punture. È il non poter più dire mio a niente.
È il momento della visita parenti. Allora devono essere le quattro. Li fanno entrare uno alla volta. Per me non ci sarà nessuno. I pochi amici restati sono troppo malconci per portarsi fino qua. E poi venirmi a trovare non deve dare una grande soddisfazione. Glielo risparmio volentieri.
Se ho fatto bene i conti in questa stanza dovremmo essere in quattro. Lo spazio è certamente ampio perché quando durante il giro visita passano oltre il mio letto non sento più le loro voci. Io sono vicino all'ingresso e quando è ora avverto entrare non più di tre persone. Stanno silenziosi ma smuovono l'aria e la loro presenza si traduce in una brezza quasi impercettibile sul mio volto. Non credevo ma si acquisisce una sensibilità tutta particolare per ciò che è. Per ciò che vivo si muove.
Ti stavo dicendo che da questa osservazione ho dedotto che siamo in quattro. Io più i tre fortunati. A meno che non ci siano altri che non ricevano visite come me. Anche questo non posso escluderlo a priori.
Non è facile ricordarsi di chi versa in una condizione simile. Per tutta la vita fuggiamo inorriditi da ciò che ci ricorda il nostro limite.
Ornella è già andata via. L'ho sentita salutare i colleghi e lasciare il turno a Rocco. Lui è un tipo strano. Si muove silenzioso per la stanza e certe volte mi spaventa. Non lo sento avvicinare e quando mi tocca all'improvviso sussulto. Ma lui non se ne avvede. Sono contento che ci sia lui perché le sue mani sono leggere e delicate nelle manovre. Da qualche giorno quando mi cambiano le flebo mi duole il catetere che ho sul collo. Si vede che si è infiammato al punto di inserzione. Ecco da dove arriva la febbre. Rocco è sempre molto attento. Come se si preoccupasse di potermi fare male. Di certo non gli sfuggiranno i segni dell'infezione e mi farà cambiare il catetere. Domani.
Vedi è proprio lui. Lo riconosco da come lavora meticoloso. Poi ascolta la radio che trasmette canzoni italiane. L'unico a farlo. È anche abbastanza intonato ma canta solamente quando resta solo. Credo si vergogni del fatto che ogni tanto gli piace inventarsi un po' le parole.
Mi manca tanto la musica. Il mio Mozart. Pensa riuscivo a commuovermi anche alle Nozze di Figaro. Non credere al Contessa Perdono dove lo fanno in molti. Al Non più Andrai Farfallone Amoroso!
Da un po' di tempo sono diventato bravissimo. Quando qualcuno cambia un programma alla radio va sempre a finire che incrocia una qualche stazione di musica classica che prontamente viene abbandonata. Orbene mi basta solo qualche secondo e da poche battute riesco a riconoscere e impossessarmi di un'intera sinfonia. Ricostruendola il più simile possibile alle incisioni che amavo.
Dovrebbe essere notte. Era proprio questo il momento preferito per l'opera. Comodo sulla poltrona stanca mi inebriavo a tarda ora fino a che la quiete non mi faceva suo. Assieme a Giuditta morbida sulle gambe. A chi l'avranno affidata quella povera gatta? Non voleva mai mangiare le scatolette.
Sai ora è difficile per me dormire. Me ne accorgo solo quando mi sveglio e del sonno ricordo i sogni. Ieri o il giorno prima c'era un uomo coperto da una tenda. Nel sogno certo. Con una lanterna in mano. Mi seguiva su un sentiero stretto lungo una spirale scura ripida verso l'alto. Lento e inesorabile nel guadagnare terreno con la lanterna a disegnare la mia ombra sempre più grande sul muro nero fino a spiaccicarmici sopra. Da piccolo avevo paura del buio. Certe volte mi sembrava di vedere un uomo dietro la tenda della cameretta. La vedevo muovere e quando i piedi spuntavano di sotto io mi mettevo a urlare. Poi arrivava mio padre arrabbiato che non lo facevo dormire e il giorno dopo doveva lavorare mica come me che non avevo niente da fare. Ma invece io andavo a scuola. E non capivo perché non era anche quello fare qualcosa. Allora piangevo e lui si innervosiva di più senza picchiarmi però perché non era cattivo. Perdeva solo la pazienza.
Forse era proprio lui l'uomo dietro la tenda.
L'ho perdonato anche di questo. La gente crede che perdonare sia dimenticare. Un po' come sospendere il giudizio. Invece vedi io ho capito che perdonare è proprio la perfezione del giudizio. Il suo pieno compimento.
Vedi ho ricominciato. Mi piace ricordare. Quello che è stato e quello che poteva essere. La strada non è mai stata dritta tipo l'autostrada da Milano a Bologna. Ecco non così. A ogni passo un bivio e ho scelto in ogni istante. Di qua o di là. Ora non mi resta che pensare. Ripensare a quei bivi. Dove alcune volte ho commesso errori ma molte altre ho fatto bene.
Annalisa è queste molte altre. Tutte le volte che ho scelto per lei. Tu non l'hai conosciuta ma ti sarebbe piaciuta. Annalisa voleva il mio bene. Amava quello che amavo. Se ti fa contento va bene. Ripeteva. Insegnava latino e ridendo mi diceva Ubi Tu Gaius Ego Gaia. Era lei a farmi contento. E siccome lo ero davvero lei viveva felice.
Vedi che mi sono sbagliato. Alla radio hanno dato il segnale orario. Sono solo le dieci. E io che pensavo fosse notte fonda. Per questo che non ho ancora sonno. Avrei dovuto intuirlo dal fatto che non sono ancora passati a cambiare il sacchetto delle urine.
Ti dicevo di Annalisa. Ha sofferto poco e se ne è andata in fretta. Serena come aveva vissuto. Non aveva potuto avere bambini. E io con lei. Così sono rimasto solo. Ma non mi sono buttato giù non mi sono trascurato. Non avrebbe voluto. La memoria di lei non me lo ha permesso.
Mi viene in mente quella primavera che mi aveva seguito a Palermo ad un congresso. Eravamo andati in giro senza sosta. Le piaceva farlo. Tutto era interessante per lei anche il particolare più trascurabile e lo rendeva bello anche a me. Ma ormai lo saprai a memoria. Ti racconto sempre le stesse cose e pensa quante ne avrei da dirti che non mi vengono più in mente.
Possibile che si dimentichino di cambiarmi il sacchetto? Rocco è così preciso. Ma forse non è ancora mezzanotte. Questa sera sembra che il tempo si sia rallentato. E io sono angosciato.
Sono stanco. C'è quasi da vergognarsi a dirlo.
La fame invece non la sento più da quando mi hanno ricoverato in questo posto. Significa che hanno impostato un buon programma di nutrizione parenterale. Io non ci ho mai capito molto di queste cose. oligoelementi vitamine elettroliti.
Mangiare sì che mi piaceva. Ero anche un discreto cuoco e la mia specialità erano i primi. Non ho mai incontrato un carboidrato che non mi piace. Dicevo sempre. Ed era bello preparare per gli amici che mi onoravano della loro presenza. Qualcuno si era anche accorto che la cura di un risotto coincideva con la cura di lui. Per lui.
Erano grandi gli amici che avevo. Più stavo con loro e più diventavo veramente me stesso. La loro compagnia era la condizione per la mia realizzazione. Per questo Annalisa li amava. E loro ci venivano a trovare.
Scusa ma non riesco a capacitarmi di come possa avere sonno lo stesso. Steso in questo posto senza avere mosso il più piccolo muscolo. Potessi sbadiglierei.
Adesso se non ti spiace vorrei provare a dormire. Mi addormento per un po'. C'è Rocco che ci penserà per questa notte.
Mentre chiudo gli occhi già chiusi l'ultimo pensiero è a te.
Aspetto solo di incontrarti.
Dove e quando vorrai.
Ma forse oggi già lo hai fatto. Forse oggi già sei stato.
Forse oggi Tu.

 

Classifica Concorso Parole in Movimento Fonopoli 1998 sezione narrativa
 
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inserito il 27 ottobre 1998