Opere di

Luciano Erba


DA: IL NASTRO DI MOEBIUS


AFFINITÀ

Per aver perso la strada
contro la nebbia
non ho più fretta.
ogni tanto un passo
come il corvo
che batte l’ala, sbadato.
Se mi vedi con gli occhi sulle stoppie
è come l’alba
che sapemmo amare.


MEA MINIMA CULPA

Non ho che lana sul petto
per sentire più mia
e più viva la pelle:
come sei fossi tu
distesa al sole.
La mano iscurita
si riposa su colpe senza storia
e vi fa cenno
voi che finite il giorno all’osteria.


DA: IL MALE MINORE


El mundo es un laberinto poético


IL CAVALIERE DEL GARBO

Oppure
svernare agli ultimi piani
nelle cento città. Una corda
molte corde
da una parete all’altra, dai soffitti
al pavimento. Tese.
E il quiete soleggiare sulle dimore.
Mie Rosalbe Carriere
rivedrò i vostri ombrelli piumati?
miei sogni aprirò
le vostre chiuse cerniere?


ALTRA PASSEGGIATA

Solitudine folle mi fa dono
della vela sul mare, del convento
di terraferma
assorto animale di presepio
sulla gobba più aerea di Appennino.
Montagna che non speravo!
Sulla strada che sotto ricinge
si arruffa la primavera se passa
la muta della nuova ricchezza.
Li ho visti
fronti calve al volante
donne ambrate e mafiose
certe
nel cuoio allegro delle carrozzerie.
Lontani i motori dei domenicanti
restiamo noi pietre chiare nell’azzurro
chi ci protegge?


DEVOTIO MODERNA

Venerdì posate d’argento
aringa del mare del Nord
prima digestio fit in ore
e lo spero di cuore
tu a buon conto vessillo biancogiallo
dalla torre più alta del castello
metti in fuga gli stormi dei demonî
pomeridiani unghiati ben decisi
a punire in stomacho vili
l’obbedienza ai precetti vescovili.


TORINO-MILANO

Fiori gialli
zinnie doppie eliotropi
ogni casello è una vampa
allegra tra il ferro dello Stato.
Sorridi?
anche tu forse del domani
diviso con uno di quei volti
di donna che assorti ci dicono
ai passaggi a livello
l’avaro segreto della risaia?

Mondine
ci si guarda un tratto di binario
il treno ha fretta
s’annullano i caselli…


MILANO

Curva tesa e verde del treno
si arriva
c‘è caldo lungo dalle fonderie.
L’operaio pedala al suo vagone
arenato nell’orto
si legge ancora
III classe in numeri gialli
qui sento tutti i viaggi.


AUTUNNO A MILANO

Anche in città fanno fuochi di stoppie
oltre barriera dove arrivano i merci.
In un cortile
hai sentore di terra e di radici
ti attristi col naso a mezz’aria
sul tuo inutile fiuto d’indiano.


SOLE DELL’AVVENIRE

Tutti siamo lavoratori
un numero di sassi
è il tuo nome
e già abiti la casa senza porte
hai lavato contenta in riva al Po.
Compagni sarete invitati
per carne e cetrioli
una sera d’estate
come ora, contro gli schiaffi, uniti
e la festa riuscirà.


DA: IL MALE MINORE II


LE BEAU DIMANCHE

Tenne chiuse le imposte
tutto il pomeriggio
forse uscì
forse rimase.
Ora esce azzurra
e va per il balcone
come una tigre.
La guardo e rientra.
E poi esce ancora
appoggia un cuscino sulla pietra
e guarda in strada
finire la bella domenica.


DOMENICA IN ALBIS

Questo è un regno di pioggia, un mondo vizzo
di fantesche accordate ai music halls
di bambini sospesi a un palloncino
color lampone, vicino fuma il padre
ha le guance screziate dal rasoio.
Questo è un giorno di festa che ti esilia
alla soglia d’amore e dell’addio
a due mani di donna che tu hai visto
indugiare un istante tra le perle
di una breve collana
sembravan dire
per noi la vita è sempre mañana.


DA: IL MALE MINORE III


QUALCOSA

È una via di Milano
e veloce
vado verso occidente.
Già si vedono delle luci
ma il cielo è ancora chiaro
chiare le nuvole lontane.
Tra poco svolterò
per tornare ai miei libri
raccolto
nel loro segreto
e a notte
sarò dietro le imposte
come una statua ansiosa.


TABULA RASA?

È sera qualunque
traversata da tram semivuoti
in corsa a dissetarsi di vento.
Mi vedi avanzare come sai
nei quartieri senza ricordo?
Ho una cravatta crema, un vecchio peso
di desideri
attendo solo la morte
di ogni cosa che doveva toccarmi.


QUADRILATERO SARDEGNA

Sfollava il fumo dalla stanza
eri insonne a un presagio di vecchiezza.
Chiedevi
musica d’altri cortili
tacerà per poche coppie azzurre?
Sentivi la boccia contro l’asse
dei giocatori al circolo
vedevi la levità di una casa
eri per dire
chi vuoi che sbagli la notte delle sfere?


A ME STESSO

Compio gli anni, mi faccio gli auguri
e riconosco nell’aria
le odorose femmine inquiline.
Finestra come una grata!
che l’alba mi portavi
dei miei primi viaggi
e i lividi mattini
nei letarghi d’inverno!
Ai vetri poca natura
tempeste estive o sere
di neve caduta
fascinava la vista.
Notti di strada maestra
sognavo, e l’Orsa alla destra:
ebbi le stelle in vermeille
dei vecchi sulle terrazze
nelle bianche poltrone.
Crebbi al mistero
di lindòri raminghi, del segnale
di una civetta di periferia.


DA: ZUNETTE E CAROLINA


GLI ANNI QUARANTA

Sembrava tutto possibile
lasciarsi dietro le curve
con un supremo colpo di freno
galoppare in piedi sulla sella
altre superbe cose
più nobili prospere cose
apparivano all’altezza degli occhi.
Ora gli anni volgono veloci
per cieli senza presagi
ti svegli da azzurre trapunte
in una stanza di mobili a specchiera
studi le coincidenze dei treni
passi una soglia fiorita di salvia rossa
leggi «Salve» sullo zerbino
poi esci in maniche di camicia
ad agitare l’insalata nel tovagliolo.
La linea della vita
deriva tace s’impunta
scavalca sfila
tra i pallidi monti degli dei.


DA: L’IPPOPOTAMO


se mai ti ricorderò come una madonna senese
tu così bruna, poco ovale, assi illirica
sarà che a volte nel segreto degli occhi
passò una luce d’immensa dolcezza
e tanto bastò perché apparisse un ciel d’oro
di pietà, di letizia sulla selva dei tuoi capelli.


TRISTI GIOCHI DI PAROLE

su uno sfondo di muri giallini
cespi di tagetes e fogliuzze rotonde
che spuntano da minimi cerchi di terra
attorno ai giovani tassi di un ospizio:
il sole non fu mai così mite
su queste bianche sedei di vecchi.
Un giorno arriva una lettera tassata
invita a ritirare gli «effetti personali»,
un pastrano, qualche calza spaiata
un numero incredibile di lamette di rasoio
uno spelato pennello di tasso


RICHIUDENDO UN BAULE

Quel berrettuccio di lana vergine
bianco grigio e marrone
comprato in un folto di abeti
da un’indiana della riserva Sioux
(starà bene alla seconda bambina
che ha un taglio d’occhi un po’ samoiedi)
anni dopo lo ritrovo in fondo a un baule
di un’umida casa in campagna.
Neppure messo una volta
sembra ora un passato di castagne
quasi un mont-blanc, ma seduto.
E dire che l’indiana aveva sorriso
accarezzato il cavallo
e che il sole tra gli alberi…
Ma addio Montagne Rocciose
hand knitted original article!

(1975)


HO MAI TROVATO

cercando bacche e raddrizzando torti
da questa parte nevosa delle alpi
accompagnato solo dai miei passi
accompagnato solo dai miei morti
ho mai trovato
ho mai trovato un esercito spagnolo
che per stolido scambio di persona
mi lasciasse a me stesso in fondovalle
tra spine e infiorescenze azzurre e gialle


SE NON FOSSE

Se non fosse per queste piccole cifre
per queste ultime e umili cifre
un tempo si sarebbe detto centesimi
per le quali il totale delle entrate
non fa rima con quello delle uscite
e non quadra il bilancio di fine d’anno
(la nebbia sta invadendo le terrazze
ma il fumo sale dritto sopra i tetti?
gli immigrati lanciano petardi
que le blanc ne se casse, mi raccomando)
se non fosse per queste minime cifre
ma discordi, e che fanno la spia
non si starebbe a risalire i conteggi
per trovare il nodo, il principium erroris
la smagliatura, il 5 per un 6
(ma la svista era un 8 per un 3)
non si avrebbe l’eureka, né la folle discesa
per le scritture, né l’arrivo in volata
sino all’abbraccio del dare e dell’avere:
ora saltino i tappi di spumante
e sia zero anche questo
mio ennesimo dì di San Silvestro.

(1978)


DA: IL TRANVIERE METAFISICO


ARCIMBOLDI

i tuoi occhi sono prugne del nord
i tuoi denti mandorle amare
il tuo seno una doppia albicocca
due pesche noci i tuoi fianchi
un ficodindia il tuo grembo

il mio cuore è un’anguria emiliana


FILO DI FERRO

mi hanno detto che sono un filo di ferro
perché magro svelto resistente
invece no e lo sapevamo da ragazzi
che per spezzare un filo di ferro
se non hai pinze basta piegarlo di qua
e poi di là tre quattro sei volte
così mi chiedo davanti a una parete
se non sia oggi la mia settima volta
una parete dove il suo profilo
non si modella più, non si delineano
alla luce serale della lampada
la sua fronte il suo mento le sue labbra
una parete bianca.


IL TRANVIERE METAFISICO

Ritorna a volte il sogno in cui mi avviene
di manovrare un tram senza rotaie
tra campi di patate e fichi verdi
nel coltivato le ruote non sprofondano
schivo spaventapasseri e capanni
vado incontro a settembre, verso ottobre
i passeggeri sono i miei defunti.
Al risveglio rispunta il dubbio antico
se questa vita non sia evento del caso
e il nostro solo un povere monologo
di domande e risposte fatte in casa.
Credo, non credo, quando credo vorrei
portarmi all’al di là un po’ di qua
anche la cicatrice che mi segna
una gamba e mi fa compagnia.
Già, ma allora? sembra dica in excelsis
un’altra voce.
Altra?


L’IPPOPOTAMO

forse la galleria che si apre
l’ippopotamo nel folto della giungla
per arrivare al fiume, ai curvi pascoli
di foglie nate a forma di cuore

forse il varco tra alberi e liane
gli ostacoli divelti, le improvvise
irruzioni d’azzurro nelle tenebre
su un umido scempio di orchidee

forse questo e qualsiasi tracciato
come a Parigi la Neuilly-Vincennes
o l’umile infiorata di Genzano

o un canale di Marte, altro non sono
che eventi privi d’ombra e di riflesso
soltanto un segno che segna se stesso


DA: UN COSMO QUALUNQUE


AL RISVEGLIO

Per prima cosa al mattino
vedere se la pendola ha tenuto il tempo
se ha fatto presa la colla sul vecchio libro
se è sbocciato un tal fiore:
controlli soddisfacenti
per avviare le ore.


QUESTI ULTIMI ANNI

Questi ultimi anni avuti in premio
hanno a volte il gusto un poco sfatto
di certe scatolette di tonno
che si mangiano ai bordi di un torrente
sull’erba corta, dopo una camminata:
il vino è fresco
la bottiglia tra sassi e corrente.


Luciano Erba


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