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Luciano Erba

**A cura di Gianmario Lucini**


Il sempre giovane: Luciano Erba

Luciano Erba è nato a Milano il 18 settembre del 1922. Nel capoluogo lombardo Erba ha sempre vissuto, pur allontanandosi per alcuni lunghi periodi (soggiorno in Svizzera durante la guerra mondiale, soggiorno a Parigi e negli Stati Uniti). Si laurea alla Cattolica nel 1947 in lingua e letteratura francese e si dedica all’insegnamento, prima nelle scuole superiori e poi all’università. Si interessa principalmente di critica e in particolare del XVII secolo (il suo interesse principale è per Cyrano); traduce vari autori (Sponde, Cendrars, Michaux, Ponge, ecc.). Stringe amicizia con gruppo dei cattolici del dissenso, di Camillo Maria De Piaz e David Maria Turoldo (amicizia che dura tuttora fra i componenti superstiti di quell’incredibile gruppo di intellettuali), per il quale scrive una nota introduttiva (una seconda è di Andrea Zanzotto) a O sensi miei, che è tutt’ora la raccolta turoldiana più curata criticamente e filologicamente.
Nel 1951 esordisce come poeta con la raccolta Linea K, che confluirà con altre opere brevi nella raccolta Il male minore (Mondadori, 1960), che fino al 1977 rimarrà la sola raccolta di poesia di Erba in circolazione. Successivamente, come si vedrà dalla bibliografia, i suoi lavori diventano più puntuali, fino alla plaquette più recente Negli spazi intermedi (Scheiwiller, 1998).
Come osserva il Mengaldo: “Conforme alla sua discrezione, e a un atteggiamento di mondano distacco verso il suo stesso lavoro letterario, Erba si guarda bene dall’attuare alcuna rottura con la tradizione, ponendosi anzi (Forti) “in appendice alla precedente generazione poetica”. Ma è da vedere se questo apparentemente tranquillo epigonismo non mascheri un’altrettanto pacifica presa di distanza dall’esperienza dei lirici nuovi e degli ermetici e in genere di mediare senza scosse il passaggio dall’ermetismo più oggettivo, meno orfico, a certo “realismo” aneddottico del dopoguerra, di peculiare tinta lombarda” (in Poeti del novecento, Mondadori, 1978, p.907).
Erba dunque organizza la sua produzione per sorta di frammenti, ricordi momentanei e improvvisi che nascono e muoiono apparentemente in sè conchiusi, come pensieri transitanti in un uomo occupato a vivere altro. Così che negli ultimo anni la sua poesia acquista sempre più le note del biografismo e si fa sempre più riflessiva ed esistenziale trovandosi “Impreparato / ma sì, alla vita / il binario da prendere era un altro / arrugginito”. Un biografismo però che piega all’autoironia, come in questi versi da Il nastro di Moebius (1980):

Ma non è questo il punto,
se messo a letto da pietose mani
femminili anellate coniugali
attendo l’alba
il viso più cancellato possibile
nella città opportuna, in una casa
di maniglie d’ottone e porte bianche
se già navigo come in un astratto asteroide
ibernando nel dopo.

E così gli anni sono anni “avuti in premio”, come scrive ne L’ipotesi circense, ma sempre, come nelle opere precedenti, la riflessione sul senso della vita, persino sul dubbio di questo senso, si mescola alla incontenibile ironia che la poesia “naturale” di Erba trova radicata nella vena sapienziale delle riflessioni del poeta.
L’elemento della poesia di Erba che in genere colpisce più chi ne ha scritto, è quel suo modo di evocare un senso attraverso l’enumerazione di oggetti, in una sorta di gusto minimale o anche, ad una prima lettura, un tratto manieristico (pittorico più che letterario) e insieme ironico mescolato ad una narrazione di un esserci che ha una dimensione più esistenziale e quasi di tono tragico. Ma a ben vedere, come osservano i critici sono “immagini ove una consistente condizione di insufficienza” si cristallizza e precipita “ in oggetti, situazioni e figure improntati a una evidenza e a una pienezza di senso quali raramente è dato riscontrare nella poesia contemporanea, che non è certo avara di “intensità” (v. “Consuntivo su Erba”, in Poesia italiana contemporanea, di Stefano Agosti, Bompiani, 1995). Questa felice sintesi dell’uso che Erba fa delle immagini, ci può illuminare anche sul portato “reazionario” della poesia di Erba, cioè della reazione ad una civiltà dove l’immagine (in questo caso sì, manieristicamente) viene usata come codice per una comunicazione superficiale (o per dare fondamento a una superficialità di comunicazione). Di fronte all’immagine che sempre più viene usata voyeuristicamente dalla cultura di massa per spiare dentro la vita dell’uomo in una sorta di morbosa intrusione nella sua intimità e nella sua spiritualità, Erba propone l’immagine carica di senso, l’immagine che accosta frammenti cercando una integrazione, come accade nell’arte primitiva. Questo modo di contrapporsi alla cultura di massa dell’immagine tende dunque ad integrare ciò che è bello e ciò che è buono, ciò che è fisico e ciò che è psicologico, ciò che è immanente e ciò che trascende, come appunto fa la pittura o la poesia dei primitivi (e qui la mente va, per associazione, a due artisti che seguono simili tracce: Apollinaire e Mirò, solo per fare un esempio). Il tutto viene giocato, come sottolinea anche l’Agosti, sul piano dell’immaginario e non del simbolico, cioè senza teorie preconcette ma con l’atteggiamento libero e recettivo del bambino di fronte al mondo che lo circonda. E per raggiungere questa dimensione occorre che l’artista sia quanto più possibile libero, recettivo, proiettato nella dimensione di un nulla che lasci che l’essere sia, senza teorie preconcette ma soltanto servendosi del suo corpo e della sua mente come strumenti di catalizzazione, di coagulazione di ciò che, disperso e frammentato, improvvisamente viene a vita propria e si pone come altra realtà o sua faccia non veduta. Questo è il vedere che Erba contrappone al non-vedere della cultura dell’immagine (e anche, a mio giudizio, una diversa ed originale poetica, o anche il recupero di una poetica istintiva e naturale che la civiltà moderna, perduta nel mito del razionalismo, dello scientismo e della tecnologia, tende a dimenticare).
L’ultima produzione di Erba sembra, pur tenendo fede ai temi e al freschissimo stile che gli è tipico (forse il linguaggio più semplice, fresco e trasparente della poesia del novecento, assieme ad altri poeti peraltro a lui molto differenti, come Sandro Penna o Umberto Saba) orientarsi più sul frammento, sull’acrostico (qui riportiamo quello dedicato a Camillo De Piaz, amico comune e compagno di impegno anche di David Maria Turoldo), come se il poeta, ormai anziano, voglia prendere le distanze dal suo caso letterario. E in verità Erba è uno dei più schivi e aristocraticamente distaccati, fra i poeti, dalla sua opera, quasi la consideri una vita a sè, con vicende che non lo riguardino direttamente o emotivamente. Tuttavia anche nei frammenti la compiutezza dei temi e lo stile personalissimo sono visibili a colpo d’occhio e ci meravigliano sempre per la genialità delle soluzioni trovate (e simile in questo gli è, per certi aspetti, Nelo Risi), che stilisticamente sono insieme libere e rigorose ed umanamente esprimono distacco e autocommiserazione, gioco e dramma, temporalità cronologica e interiore, il frammento e l’idea di totalità. Senza dubbio una grande figura di questo scorcio di secolo.


Opere di Luciano Erba

  • Linea K (Guanda, 1951)
  • Il Bel Paese (La Meridiana, Milano, 1955)
  • Ippogrammi & metaippogrammi di Giovanola (Scheiwiller, 1958)
  • Il prete di Ratanà (Scheiwiller, 1959)
  • Il male minore (Mondadori, 1960)
  • Il prato più verde (Guanda, 1977)
  • Il Nastro di Moebius (Mondadori, 1980)
  • Il cerchio aperto (Scheiwiller, 1983)
  • Il tramviere metafisico (Scheiwiller, 1987)
  • L’ippopotamo (Einaudi, 1989)
  • Come quando in Crimea (Laghi di Plitvice, Lugano, 1992)
  • Soltanto segni (Rotary Club Sud, Milano, 1992)
  • Verso Quasar (quae Casar olim dicta erat), Scheiwiller, 1992)
  • Variar del verde (Scheiwiller, 1993)
  • L’ipotesi circense (Garzanti, 1995)
  • Capodanno a Milano (Scheiwiller, 1996)
  • Milano Sud-Ovest, (Le carte di Calliope, Novazzano CH – , 1997)
  • Negli spazi intermedi (Scheiwiller, 1998)


Per questa presentazione mi sono riferito anche ai seguenti scritti e saggi:

  • V. Mengaldo, Luciano Erba, in Poeti italiani del ’900, Mondadori, 1978
  • S. Agosti, Consuntivo su Erba, in Poesia italiana contemporanea, Bompiani, 1995
  • G. Manacorda, Poesia italiana contemporanea, Editori Riuniti, 1996
  • E. Sanguineti, Poesia italiana del ’900, Einaudi, 1993
  • Quarta di copertina in L. Erba, L’ipotesi circense, Garzanti, 1995


Nota alla bibliografia
Per molto tempo ho cercato nelle librerie di Milano opere di Luciano Erba. Le uniche due che ho trovato sono L’ipotesi circense e l’ultima, Negli spazi intermedi. Altre poesie le ho trovate sulle antologie citate in bibliografia. comunque frustrante constatare, per Erba come per molti altri (vari Risi, Magrelli, Cucchi, ecc., nomi di bravi maestri troppo poco conosciuti), il silenzio dell’editoria e l’incapacità della nostra cultura di proporre e far apprezzare il nostro patrimonio artistico di poesia.



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