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Louis Aragon



I grandi Scrittori del Novecento

Louis Aragon
«Le Fou d’Elsa»

(Articolo di Massimo Barile Rivista Il Club degli autori 231-232-233-234 – Anno 23 – settembre 2014)



Scendere nel profondo dell’essere umano è avventura dolorosa: prima è necessario vivere l’abisso e, poi, riuscire a raccontarlo. In questo caso sarà il poeta stesso a “parlare” e far rivivere i versi delle sue liriche: la sua straordinaria avventura, dalla terra al cielo.
Louis Aragon, in J’abats mon jet, pubblicato nel 1959, così scriveva: «Io non sono sempre stato l’uomo che sono. Durante tutta la mia vita ho imparato a divenire ciò che sono oggi, ma non ho dimenticato l’uomo che sono stato o, più esattamente, “gli uomini” che sono stato. Tra questi uomini e me esistono delle contraddizioni: credo di aver imparato a progredire, di aver mutato in me questi uomini quando, ritornando a loro con il pensiero, non provo nessun odio: essi costituiscono le tappe di ciò che sono oggi, portano a me ed io non posso dire “me” a prescindere da loro. Conosco molte persone che sono nate con la verità in tasca, che non si sono mai sbagliate, che non hanno potuto avanzare di un passo in tutta la loro vita perché erano già “arrivate” fin da quando erano marmocchi. Costoro sanno che cosa è il Bene, l’han sempre saputo. Verso il prossimo mostrano la severità e il disprezzo che provengono dalla assoluta certezza di aver sempre ragione. Io non sono così. A me la verità non è stata rivelata al momento del battesimo. Non l’ho ottenuta né da mio padre, né dalla classe della mia famiglia. Ciò che ho imparato mi è costato caro, ciò che so l’ho acquisito a mie spese. Non possiedo una sola certezza che non mi sia costata dubbi, angoscia, sudore, dolorose esperienze. Per questo ho rispetto per coloro che non sanno, che cercano, che brancolano, che urtano dappertutto. Mentre per coloro la cui ricerca della verità è stata facile provo certamente una certa ammirazione, ma poco interesse. Quando morranno, che si scriva sulla loro tomba: “Ha avuto sempre ragione”, che è appunto quanto meritano, e niente di più. Vi sono scrittori che parlano come se avessero avuto sempre ragione: Gli uni, ad esempio, come se Dio fosse completamente d’accordo con loro; gli altri come se il genio letterario fosse una loro prerogativa… Verso gli scrittori che non condividono le loro certezze essi assumono un atteggiamento che sta tra il distacco e la sufficienza; ma non li leggono, si accontentano di sfogliarli rapidamente, sanno già tutto ciò che occorre pensarne. Io non sono così. A me interessano i cammini molteplici di tutti gli uomini, le tappe meno certe del pensiero proteso verso la luce; e sono sempre più persuaso che la “mia” luce si sarebbe spenta se fossi stato il solo a possederla… Per questo ascolto con ansia le voci sconosciute e dedico una particolare attenzione alle novità letterarie, perché questo è il mio mestiere; sono convinto che ogni uomo possieda una parte, sempre variabile, di verità che non conosco. Ogni uomo cammina verso la verità con un passo che gli è proprio, e quando avverto una debolezza nel suo cammino mi ricordo dei passi compiuti da me, tanto da credermene ancora capace… Ciò di cui mi accorgo, ciò che resta il mio più grande desiderio, è di ritrarre la realtà con tutte le sue contraddizioni, nella coesistenza di uomini e donne in contrasto, una realtà che si definisce attraverso le sue contraddizioni: Non vi è luce senza ombra. Un libro senza chiaroscuri è un non senso, e non merita di essere aperto…».

Se esistono parole per capire ciò che siamo e come intendiamo il nostro “essere più profondo”, cosa desideriamo e quale visione esistenziale ci accompagna, nel caso di Louis Aragon, possiamo trovarle in molte pagine di J’abats mon jeu, ovvero, Confesso il mio gioco.
Prima di affrontare alcune riflessioni sulla poesia e sul percorso letterario di Aragon credo sia opportuno far riferimento ad alcuni brevi cenni della sua esperienza esistenziale che, come vedrete, si miscelano e si plasmano con tutto ciò che ha scritto, una lenta e costante immersione nella realtà: prima si vive e, poi, si scrive.

Tutto è contraddizione e molte lacerazioni faranno parte della nostra vita. Per lui la prima lacerazione avvenne alla nascita quando non fu riconosciuto da suo padre e prese il cognome della madre: per quali motivi vi fu questa decisione poco importa, ma per Louis, finto figlio adottivo, fu certamente un dolore segreto che ricordò anche in una raccolta poetica. Dopo l’iscrizione alla facoltà di medicina, che abbandonerà qualche anno dopo, nel 1917, allo scoppio della guerra, si arruola come volontario e viene inviato ad un corso per medici ausiliari dove incontrerà André Breton, anche lui studente di medicina. Quando ritorna a Parigi pubblica le sue prime poesie su alcune riviste ed entra a far parte della vita culturale parigina e fonda, insieme a Breton e Philippe Soupault, la rivista Littérature. Prende parte al dadaismo francese e, nel 1920, pubblica Feu de joie. Quattro anni dopo è tra i fondatori del movimento surrealista, insieme a Breton e Soupault e, nel 1926, usciranno Le Mouvement perpétuel e Le Paysan de Paris nel quale Aragon già aveva scritto: «La realtà è l’assenza apparente di contraddizioni. Il meraviglioso è la contraddizione che appare nel reale. L’amore uno stato di confusione del reale e del meraviglioso. In questo stato le contraddizioni dell’essere appaiono come realmente essenziali all’essere. Dove il meraviglioso perde i suoi diritti, comincia l’astratto. Il fantastico, l’aldilà, il sogno, la sopravvivenza, il paradiso, l’inferno, la poesia, sono anch’essi termini che stanno a significare il concreto».
In questi anni avviene l’adesione al Partito comunista francese che, seppur seguendo un percorso fedelmente legato alla concezione del realismo socialista, vedrà comunque in Aragon una personalità che non dimenticherà di portare avanti istanze critiche pur mantenendo sempre vivo un forte impegno militante come scrittore. Nonostante il fatto che venga già considerato una voce importante della nuova letteratura francese, sono numerose le delusioni legate al partito comunista e al settarismo che vige al suo interno e, anche per questo motivo, Aragon vive un periodo di inquietudine e profonda crisi (in alcune poesie rivela la sua insofferenza nell’essere “guardato” e “svelato”, fino a scrivere «il mio dolore non vi riguarda»), inoltre, in questo tormentato periodo, finisce male la relazione con una eccentrica miliardaria come la breve avventura con una ballerina, conducendolo, nell’estate del 1928, quasi al suicidio ma, fortunatamente, è proprio in questo difficile momento della sua vita che incontra Elsa Triolet, donna di origine russa, il cui vero nome è Elsa Kagan, che proviene da una famiglia dell’alta borghesia e che diventerà sua moglie nel 1939, anche lei poetessa e scrittrice nonché amica del poeta Majakovskij e grande viaggiatrice che conosce diverse lingue. Elsa diventerà la sua musa ispiratrice, presenza salvifica nella sua vita, ma di questo incontro così importante e che segnerà il destino di Aragon come uomo e poeta, parleremo più avanti.
Durante la seconda guerra mondiale, dopo una breve prigionia riesce a fuggire dai nazisti e a raggiungere Parigi dove pubblica clandestinamente Les Lettres Fracaises ed inizia il suo impegno attivo nella Resistenza contro il nazismo tedesco oltre a far sentire la sua forte e vibrante voce al popolo francese, invocando l’onore, l’amor patrio, il desiderio di riscatto umano e la speranza. Sarà proprio in questi anni che prenderanno vita numerose raccolte di poesie, tra cui Le Yeux d’Elsa, che diventeranno il simbolo lirico di una stagione della sua vita.
Nel dopoguerra cambieranno molte situazioni ed equilibri politici che lo porteranno ad un allontanamento da alcune posizioni e ad una lenta e continua necessità vitale di interrogarsi sul significato autentico di tutta la sua esperienza, e sarà emblematica ed importante l’opera La Semaine Sainte nella quale il poeta confesserà gli errori, le contraddizioni ed i sogni infranti: «Ho sbagliato centomila volte strada… conto le mie ferite…» e a spingersi ad indagare sempre più nel profondo i sentimenti e la concezione dell’amore stesso con le raccolte poetiche Elsa, nel 1959, ed il poema Le Fou d’Elsa, nel 1963.
Qualche anno dopo, nel romanzo La mise à mort scriverà una sorta di amaro resoconto del suo impegno politico e della sua posizione di scrittore militante con alcune riflessioni sulle delusioni che hanno invaso il suo animo e che lo hanno toccato nel profondo. In alcune pagine, onestamente, afferma che non sta dicendo tutto sulla verità della sua vita: «Invento un interesse per questo o quello con lo scopo di evitarmi ciò che mi divora… Recito a me stesso e a voi una commedia. Di quella che si svolge dentro di me non saprete nulla. Non saprete mai, mai ciò che mi soffoca… Questa disperazione di tutta la vita. Questi pianti senza pianti… E mi volto per vedere quale ombra mi segue».
La sua resa dei conti sarà ancora più dolorosa e sofferta con il romanzo Blanche ou l’oublì, pubblicato nel 1967, e l’amarezza si accrescerà ancor più negli scritti di Aragon dopo la morte di Elsa. Il simbolico rifugio nell’oblio si fa baratro delle mancate confessioni, di rivelazioni che non vi sono state, di segreti che sono rimasti celati: i suoi “domini inviolabili” rimarranno tali.

La ricerca di un legame indissolubile tra arte e vita, fino a viverle allo stesso modo, sarà recherche costante nel suo percorso letterario: se venissero meno l’amore e la poesia la vita non avrebbe senso, vi sarebbe il vuoto. La concezione dell’amore come fosse la vita stessa è la sola che può elevare l’essere umano al di sopra della cruda ed amara realtà: ecco il famoso “rapimento lirico” che conduce alla sostanza autentica delle cose.
«La sola cosa che possa salvare l’uomo è l’amore. Coloro che pensano sia una banalità non hanno mai amato veramente» scriveva, a ventidue anni, il grande Cioran. Non si può rinunciare all’amore neppure se la disperazione oscurasse il nostro essere: salvarsi attraverso l’amore è l’unica fonte di speranza.
Nei giorni che scandiscono il tempo si devono fare i conti con l’assurdità del vivere e tutto può condurre all’abisso: una luminosa presenza femminile può far intraprendere una nuova esistenza gloriosa.
Ecco allora che un poeta, scrittore ed intellettuale impegnato, conduce se stesso oltre la realtà, al di là della disputa politica, nel superamento delle ideologie, fuori dal pantano delle inevitabili severe critiche al suo operato e al suo pensiero. Nell’ultima stagione della vita ecco allora che vi sarà una sorta di confessione in relazione ad alcune esperienze significative e sul travaglio interiore vissuto. E, come ci ricorda Sant’Agostino: «Le confessioni si scrivono solo con le lacrime».

Le numerose tracce di questo processo confessorio, sparse tra scritti vari e poesie, saranno importanti per alcune osservazioni critiche ma, più che altro, credo sia importante valutare la posizione della figura della donna che ha cambiato la vita di Louis Aragon.
Il poeta ricorderà il suo primo incontro con Elsa Triolet, avvenuto nel novembre del 1928, nel famoso locale di Montparnasse dove aveva già incontrato Majakowskij, con queste parole: «La mia vita si è improvvisamente rovesciata/Una sera al bar della Coupole».
Elsa è una donna che possiede un certo fascino e lo esercita su Louis: da un lato, gli offre la possibilità di una rinascita interiore ma, ancor più, farà nascere un uomo diverso e diventa simbolica umana presenza che incarna la speranza per un futuro positivo e riesce ad annientare il tormento di Aragon, espresso, poco tempo prima, in una poesia con le parole «era più facile morire che vivere». Elsa diventa l’universo da osservare, la riscoperta dell’amore: «Io ero colui che sa soltanto essere contro…/Ho appreso da te il senso delle cose umane/Ed ho finito con il vedere il mondo attraverso/I tuoi occhi».
L’amore mette in gioco ed ogni giorno assume nuova forma: l’armonia dell’amore scandisce il ritmo lirico della poesia e lei, musa ispiratrice, diventerà il nucleo pulsante della sua opera, simbolo femmineo di un totale abbandono all’amore, all’inevitabile fusione di due anime nella carne e nello spirito: tutto ciò che Aragon scriverà sarà dedicato ad Elsa.
La visione e la percezione dell’amore diventano consacrazione, oltrepassano la necessità materiale di un contatto fisico e la parola diventa canto assoluto: «L’amore non è l’espressione d’un bisogno d’assoluto: è l’assoluto».
Louis Aragon mette sul piatto dei giorni della vita il grido d’amore e lo smarrimento che possono travolgere pur sempre con profonda spontaneità: nell’immediatezza, in un tempo sospeso, nel respiro profondo, nel contatto del corpo che è calore vitale: «L’amore morbido da letto/ di cui il mio cuore è cuscino di piume/ turba/ così mollemente le mie membra/ leggermente le mie labbra/ obliquamente i miei occhi/ per falsi cieli/ che la carne e la biancheria/ hanno un identico odore/ per il mio ardore».
La figura della donna si incarna nell’essere che è “avvenire del mondo”. Louis Aragon sente la sua presenza nel mondo circostante, la sente dentro di sé come immagine eterna, come nuova fioritura che esplode nel mondo, follia d’amore e immenso incendio che scalda il cuore: «Mia insonnia infinita/ Mia fioritura mia schiarita/ Oh mia ragione oh mia follia/ Mio mese di maggio mia melodia/ Mio incendio mia malìa/ Mio universo Elsa vita mia».
La profondità di questa gioia conduce in un luogo dove non esiste confine e domina l’indefinita volontà di perdersi nelle mani d’Elsa, nei suoi occhi “penetranti e dolci”, fino all’ultima estasi: «Io amo d’un amore illimitato/Una creatura carnale/E questo amore si faccia eterno…».
«L’amore di Elsa mi ha sempre portato luce: conoscenza di me stesso e delle condizioni della parola; poiché, nell’amore d’oggi che non appartiene alla preghiera né alla cospirazione, che non si crede sacro ma neppure infelice, che non crede di non essere ricambiato, l’uomo che ama e che vive per quest’amore, e attraverso questo amore, prova ad ogni istante il valore del linguaggio e di tutte le relazioni umane, in questo dialogo dei giorni che neppure la notte interrompe. È contro questo amore d’oggi che viene ad infrangersi il vascello fantasma di ogni consapevolezza, quel “canto interiore”, quella poesia dell’ignoto, quel linguaggio deificato delle tenebre».
La visione totalizzante e la complessità di un sentimento che oltrepassa il confine della realtà terrena si farà sempre più forte pur lasciando sempre spazio ad una visione legata alla realtà, alle molteplici considerazioni sulla propria esistenza, sul significato ultimo del percorso umano in questa travagliata vita: «Non esistono amori che non siano dolore/ Non esistono amori che non strazino/ Non esistono amori che non lascino il segno/ E non più che di te l’amor di patria/ Non esistono amori che non si nutrano di pianto/ Non esistono amori felici/ Ma è il nostro amore di noi due».
Nella visione di Aragon l’amore ha davanti a sé il suo limite, la vertigine immane, la possibilità di un abbandono, l’eroica visione amorosa e tutto, grazie alla poesia, si incide nel cuore. La figura di Elsa è il vertice stesso d’amore, l’estasi di un tempo che merita di essere vissuto con una donna, come anelare l’infinito.
Nella visione poetica, nel linguaggio lirico, la forza e la rinascita di Aragon non sono la lacerazione e lo struggimento sentimentale di un’anima sognante ma l’incantamento desiderato e, fortunatamente, avveratosi, davanti ad una totale dedizione che conduce al vertice dell’amore: lui osserva, scruta, sente il profumo e l’abbraccio della donna, catapultandosi nell’universo emozionale. La donna ha un ruolo decisivo, “è il volto risplendente dell’amore”.
Non v’è dubbio che, nella vita, diventa necessario fare i conti con i tumulti e i sussulti d’amore, con la trepidazione e le sofferte attese, con lo stato di assorbimento totale e l’estasi, ponendo a base del vivere, come avviene in Aragon, il canto d’amore che scandisce il tempo stesso della presenza della donna nel proprio cuore e nella mente.
La ricerca del senso dell’amore, del desiderio di una fusione avvengono repentinamente e ciò che viene scritto è dedicato alla donna amata.
Il processo in divenire conduce a numerose scoperte e nei versi che si susseguono nel tempo, le sue introspezioni liriche svelano segreti e aprono lo scrigno della memoria, a volte, si innamorano di un ricordo e rivivono determinate sensazioni che mai sono andate perdute.
Le parole, profondamente sentite e penetranti, diventano il linguaggio dell’esistere che cerca di salvare e preservare dolci momenti che sono scivolati via, e tutta l’energia sprigionata dal sentimento desidera raccontare il proprio universo e l’essenza di se stessi, semplicemente “nell’amore” vissuto.
La forza totalizzante dell’amore innalza il sentimento infinito dell’amore stesso e conduce ad un incessante disvelamento di ciò che rappresenta la meravigliosa creatura: ardore, fiamma ed incendio. Il canto si fa invocazione, preghiera, lirismo sacro:
«Credo in te come al profumo/ Come al cantare d’uccello nelle tenebre/ Credo in te come al mare/ Credo in te come alla rosa schiusa a mezzanotte/ Credo in te nel frastuono e nel silenzio/ Credo in te nel dolore/ Credo in te come alla prova di esistere/ Come alla lacerazione dell’addio/ Credo in te più che alla mia stessa ombra/ Credo in te come l’acqua nera dai riflessi d’oro/ Come la polvere al piede nudo/ Credo in te come il deserto alla pioggia/ Come la solitudine all’abbraccio/ Come all’orecchio crede il grido».
Il sentimento del meraviglioso che può invadere nel momento più inaspettato, proprio quando ci si trova sull’orlo dell’abisso, e la creazione di un mondo personale che pone alla sua base la concezione dell’amore infinito come speranza per l’uomo, si avvertono e percepiscono in modo vibrante nella prefazione a Les Yeux d’Elsa, che egli stesso ha scritto: «Diranno che ad un uomo non si conviene di parlare del suo amore in pubblico. Risponderà che un uomo non ha niente di superiore, di più puro e di più degno di essere perpetuato del suo amore… Vorrei venisse il giorno in cui, guardando nelle tenebre della nostra vita, gli uomini possano vedervi risplendere una fiamma, e quale fiamma potrei alimentare se non quella che è in me? Mio amore, sei tu la mia sola famiglia dichiarata ed io vedo il mondo attraverso i tuoi occhi, sei tu che mi restituisci questo universo sensibile e che mi riconduci ai sentimenti umani. Coloro che, con una stessa bestemmia, negano l’amore e ciò che io amo, fossero pure capaci di schiacciare l’ultima scintilla di questo fuoco di Francia, io elevo di fronte ad essi questo piccolo libro di carta, questa miseria di parole, questa raccolta di magie perdute, e che importa ciò che ne sarà, se, nel momento dell’odio più profondo, ho mostrato per un istante a questo paese straziato il volto risplendente dell’amore?».
Non v’è altro da aggiungere.
Louis Aragon muore a Parigi il 24 dicembre 1982. Riposa in pace accanto alla sua amata Elsa. Nella vita come nella morte non rimane che «il tenero infinito di cui mi circondano le tue braccia».

Massimo Barile



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