In - Saine

di

Lorenzo Donati


Lorenzo Donati - In - Saine
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 136 - Euro 15,00
ISBN 978-88-6587-3267

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In copertina e all’interno fotografie della serie «Igluvigaq» di Thomas Marroni

Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto la silloge è finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2012


Prefazione

La visione lirica di Lorenzo Donati si incarna in una poesia essenziale, in alcuni componimenti, direi quasi scarnita e sintetica, con versificazione criptica che necessita indubbiamente di decodifica per permettere di addivenire alla substantia del nucleo ispiratore.
Eppure, la sua visione abbraccia numerose manifestazioni dell’essere umano e conseguente scandaglio dell’universo interiore: le atmosfere impregnate di solitudine conducono alla constatazione che fa affermare “ciò che ho vissuto/ciò di cui ancora vivo / E quello di cui vivo in realtà: / Solitudine che impasta le mani”; e, poi, il senso di vuoto avvertito in numerose occasioni della vita, sentendo nel profondo “quel che manca” e “quel che resta”, fino a chiedersi “con quali parole, umanamente, si può chiamare questo vuoto?”; e, ancora, il dolore che “si lascia su ogni cosa guardata”; infine, le poche parole disperse nel travaglio della vita, quasi a chiedere a se stesso una sorta di silenzio dell’anima.
Nella veglia di una sospensione nel tempo, alla fine d’ogni senso e all’inizio dell’ennesima mutazione, nella dimensione del Tutto e Nulla, si assiste ad una lenta ed inesorabile fuga “in qualche parte” dentro se stesso, unico sigillo mentale per la consapevolezza che “siamo soli e siamo nudi” e, come se non bastasse, ecco che, spietatamente, mette sul piatto la rivelazione: “Io sono qualcos’altro” come a sentire su di sé il peso di un’alterità che, in ogni caso, diventa condizione privilegiata e proficua, capace di offrire nuove pulsioni, buone vibrazioni e non rappresenta certo una “presenza” negativa.
Le immagini poetiche e le percezioni sono fulminei lampi che si esternano con poche stoccate, con l’essenziale offerta, in una sorta di distillato lirico che non indulge mai oltre la sintesi più estrema.
Il processo lirico incontra il fragore della vita nel continuo interrogarsi sul senso del vuoto che assale, del Nulla, nel silenzio che si fa abisso dell’anima, come a fermarsi a “guardare la vita/attraverso gli abissi/dei giorni comuni”, tra indugio e sgomento, tra “sentimenti emersi” e “ricordi illuminati”.
“Nel caos della semplice esistenza”, dopo assenze, inerzie, “aridi vuoti” e vanità, il ventaglio della ragione conduce alla sponda del silenzio, alla dimensione quiescente nella quale il dolore possa scorrere liberamente, nel disincanto, che è più “crudele della verità” e dissimulando “segni di vita” in una lirica algebrica che serba, nei suoi enigmi, innumerevoli verità.
Lorenzo Donati, nella silloge di poesie “In – Saine”, costruisce labirinti mentali, plasma e offre i suddetti enigmi nelle parole vive, “parole che brillano”, che “accendono emozioni” nascenti da un mondo misterioso in cui tutto deve essere decifrato, fino a diventare una sorta di radiografia esistenziale che vuole “veder l’anima”: è in questa fase, così sentita e profonda, che la volontà di Lorenzo Donati si insinua tra le pieghe del pensiero, “nelle gioie più intime” con il desiderio di sentire il ritorno dell’ardore, attraverso un viaggio nella sospensione dei sogni, nelle attese di “un’anima spogliata”, nel respiro della memoria che infrange gli argini e supera l’immobilità che “vede il giorno morire ogni sera” fra “ombre di ortensie”, profumo di “fiordalisi” e “odor d’anice”.
Lorenzo Donati offre la sua poesia con tutte le conseguenze che comporta e irrora ogni parola della passione, che oltrepassa la “benedizione del silenzio”, che annulla il dramma dell’uomo con la sua forza salvifica e, tra abissi che si aprono e deflagrazioni emozionali volutamente filtrate dalla visione prima umana e, poi, poetica, si innalza l’intelligenza profonda del magistero lirico.

Massimo Barile


In - Saine


“La vita è un dono, dei pochi ai molti,
di coloro che sanno e che hanno a coloro che non sanno e che non hanno.”

Amedeo Modigliani

“L’Arte ci attrae solo per ciò che rivela
del nostro io più intimo.”

L. Godard


1. Les Mauvaises ascensions
Le insane ascensioni
(2010)


In questo piatto di grano,
un posto da vivi,
dove si lascia
dolore
su ogni cosa guardata.
E qui ho lo sguardo
che ama
il qualunque viso,
E qui la mattina
in cui venivano in tanti
a voler esser bambini.
Terra rimasta in aria,
interi campi di strade
rimasti in aria
e passi di passi
su campi rimasti
in cima.
Forse giorni felici
in cui le foglie
potevano esser vestiti.


Cielo batte mano
Al temporale.
Sono scappato dagli occhi
Con il volto
Fisso in testa
E con altri giorni
In qualche parte
Di me
A chiedere perdono.
Sono scappato e
Ho portato dappertutto l’aria
Che anime incrociate
Hanno fatto muovendosi.
In una finestra
Il ricordo del vento
E a volte,
Cielo batte mano al temporale,
A volte,
Molto lontano dai romanzi
Ho chiesto silenzio.
Un silenzio di tutto
Un silenzio per tutti
Un silenzio che fosse
In tutti i giorni
Nati senza dire niente.


Appoggiavi il giorno,
Come giorno sta a giorno,
A quel muro,
Dove tanti autunni
Ti hanno vegliato.
Di schiena nei colori,
Con poche parole,
Per dire gli occhi.

Ieri,

D’ortensie ombre fiorite.
Oggi,
La sera è lungo il muro dipinta.


Povere e care
Le dita che danno
Alla bocca
Queste ore
Immense di noi.
Avere nelle mani
Il freddo e il vento,
Solo perché un altro ti possa vedere.
E le vecchiette chinate
Raccolgono tramonti tra le sabbie dure
Della bassa marea.
Dove ancora
Le mani escono dai passi della vita?


Strade e visi
Tutta la mia vita.
Una dietro l’altra
Vorrei quelle piogge
In cui ci si bagnava
Senza sapere
Di camminare.
Prima non esisteva
E chissa se dopo questo
Mondo
Noi c’eravamo!
Intanto,
Tre volte il freddo,
La polvere e le ambizioni.
Dopo,
Solo gli altri
La segale e i fiordalisi.


Dove la solitudine
È non sapere
Dove orologi non sciolsero
Corpi che cantano,
Ieri bocche di sorrisi cercati
Oggi il dove in cui non possiamo
Domani il mentre in cui non potevamo vederci.


Tra gli occhi
E il non veder più
Tra il volto e le mani
Come acqua vicino ad acqua
In questo secolo
E nei suoi attimi
Si piansero mormorii di vuoti
In echi di corpi-cipressi.


Bava d’azzurro
Al cospetto del giorno,
La mattina è da qualche parte sepolta.
Il cielo è carta ritagliata
Il sapore dei tuoi occhi
Sono minuti che restano.
Si sta come a volte
L’oceano,
Il mare.


Nessuno,
In mani di mani
Di sogni vestiti.
Fame di cielo
In cielo che non piove.
Tutto e nulla
Di questa nascita che spira.


Io che sono qualcos’altro:
Distanza dalla vita.
In un piccolo cortile
Tra poco,
Farà tardi.
E mancano persone
E mancano presepi d’onde
Su petizioni d’acqua
Ora che piangere è pioggia,
E stare soli più grande.


In bocca ad una stessa eternità
Povera umana gloria!
Uscita dalle stagioni
Venduta in qualunque vita!
Paesaggio di non qui.
Dolori di nessuno.
Fievoli corpi.


Secca mestizia
sul fondo degli occhi.
Sospesi universi fioriti.
Nient’altro
Se non processioni
D’umida ortica
In autunno
Lacrimante
Salice-settembre.


Lacrime di dissoluti
E stormi d’aria nuda.
Camice di tiglio
Per ombre
Gorgoglianti
Rimastichii di passioni.


Armato di tutto
Torbido incanto
Dell’abbondanza e del torpore
Come serpe fra avena
Labbra di labbra barattano stelle,
Ingombrando di vita
I principi e le fini.


Bocca amara di sogni
Più bianchi d’un delirio.
In un odore di sughero e cicale
La vita si colmò di minuzie
Come tutti gli sguardi
Dei primi passanti.


[continua]

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