L’anonimo dimenticato

di

Lino Lecchi


Lino Lecchi - L’anonimo dimenticato
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 440 - Euro 18,50
ISBN 978-88-6587-0495

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In copertina: elaborazione grafica di Lino Lecchi.

All’interno: immagini di Lino Lecchi.


Un archeologo è attratto professionalmente da un antico edificio in rovina, che si erge sulle sponde di un lago umbro. Quando viene a conoscenza che il rudere è in vendita, decide di comprarlo. Durante i lavori di ristrutturazione, e di restauro degli ambienti storici, si susseguono impreviste e macabre scoperte senza identità e senza tempo.
Il carattere e la professionalità del protagonista, lo spingono ad andare a fondo alla questione, per dare una risposta agli interrogativi che circondano i misteri che sono tornati alla luce.
L’archeologo, aiutato dalla sua compagna anch’essa ricercatrice ed altri amici, si inoltreranno con le loro indagini, in ambienti che a volte sconfinano tra il sacro ed il profano, incontrando molti ostacoli e minacce.
Ma Liam Ness ha sangue irlandese nelle vene e non si fermerà davanti a nulla, continuando nella sua indagine, per cercare di scoprire la verità su un misfatto dimenticato dalla storia.
Avvincente per l’entrata in scena di personaggi anche illustri, e la descrizione retrospettiva di ciò che in verità accadde nella realtà un secolo e mezzo prima, in pieno periodo risorgimentale.
La cornice coreografica della natura che dipinge con colori a pastello l’ambiente dell’Umbria e l’aspetto culturale che testimonia la ricchezza storica di questa antica terra, completano il quadro di un racconto scorrevole ed appassionante dalla prima all’ultima pagina.


Prefazione

Nonostante lo conosco da quasi trent’anni, Lino Lecchi riesce sempre a sorprendermi, l’amico divenuto scrittore infatti sa meravigliare ad ogni nuovo libro, spaziando su argomenti sempre nuovi e diversificati, temi insospettabili… e rimango ammirato dalla sua sconfinata curiosità, nonché dall’abilità ad inoltrarsi e districarsi in situazioni decisamente impegnative.
L’occasione di un incontro precede sempre di qualche tempo l’uscita del libro, il contatto è quindi con l’inedito cui do il mio apporto di consulenza per l’immagine di copertina che, nel bene o nel male, risulta la faccia del libro e spesso ne determina la scelta del lettore; l’unica immagine visiva che costituisce una fisionomia più indelebile dell’inchiostro.
Una responsabilità condivisa come del resto la stima, da antica data.
Anche nella presente occasione Lino mi ha descritto l’iter del testo, la traccia con una disinvoltura di chi l’avesse realmente vissuta, immedesimato nella narrazione con la fantasia sicura, propria della gente pratica.
L’uomo, nato nel quartiere di Milano che si chiama “Isola”, non è isolato come spesso mi apparve, ma circondato da un oceano di curiosità e conoscenza.
E poi è vero: ogni leggenda nasce dalla storia, l’intreccio che ci attende avrà il fascino di impegnarci a distinguerle e confonderle.

Luigi E. Mattei


L’anonimo dimenticato


Ai miei tre nipoti Arianna, Lucrezia e Filippo
che con la loro gaia innocenza, allietano
la mia esistenza.


Abbiamo una vita sola. Nessuno ci offre una seconda occasione.
Se ci si lascia sfuggire qualcosa tra le dita, è perduta per sempre.
E poi si passa il resto della vita a cercare di ritrovarla.

Rosamunde Pilcher


Introduzione

La continua ricerca sull’evidenza di eventi storici, ci permette di accertare nei dettagli alcuni aspetti, che a volte confermano o modificano i fatti fino ad oggi conosciuti.
In alcuni casi, la scoperta di nuovi elementi sconosciuti, hanno permesso di rimettere in discussione o addirittura riscrivere pagine di storia inedita.
La nostra cultura si basa sulle testimonianze di menti eccelse, tramandateci attraverso antichi testi giunti fino a noi.
Ma quante di queste vicende sono state descritte con effettiva obiettività, confermate da fatti reali e quante in mancanza di prove concrete, sono state ricostruite solo secondo una logica o una interpretazione personale?
Quante storie autentiche sono giunte fino a noi? E quante forse non giungeranno mai?
L’analisi che si propone è: quali cose sono effettivamente accadute e tramandate nella reale evidenza dei fatti? Quanto può essere stato distorto o modificato, perché qualcuno ha voluto tacere la verità, seppellendola per sempre nell’oblio?
Questo romanzo nato dalla fantasia dell’autore, propone una storia immaginaria, basata su eventi accaduti in un’epoca storica non molto distante dai nostri giorni e quindi abbastanza verificabile sotto l’aspetto dei singoli episodi e dei protagonisti che li hanno vissuti.
In molti casi la penna dello storico è andata molto più in là della realtà, creando la leggenda, i cui protagonisti diventano miti.
Questi casi nascono, quando il contesto storico si trasforma in enigma. Ecco che la storia diventa leggenda ed i cronisti d’epoca si sbizzarriscono a pennellare le vicende del protagonista con eventi epici che spesso restano senza una risposta.
Per citare qualche episodio, basta pensare alla storia della Papessa Giovanna, ascesa sul trono di Pietro, con il nome di Giovanni VIII.
Secondo le notizie fino ad oggi pervenute, alcuni storici la collocano come Papa intorno all’anno 855, altri storici approssimativamente verso il 1100.
Sembra che la sua fine, fu a causa di un parto spontaneo per strada, durante una processione.
Poche sono le testimonianze attendibili giunte fino a noi e molte ipotesi, costellate di: pare, sembra, si dice, secondo i cronisti dell’epoca…
Un’altra protagonista della storia, diventata leggenda, fu Giovanna D’Arco, la Pulzella d’Orleans.
Qualche storico ha messo in dubbio se fosse veramente una donna, o un uomo. Un processo sommario la condannò per stregoneria, mandandola al rogo nel 1431.
Ma se era vergine, come si sosteneva all’epoca, non poteva essere posseduta dal diavolo.
Qualche storico addirittura mette in dubbio che fosse lei a salire sul rogo.
Infatti dopo qualche anno dall’esecuzione, sembra che i fratelli l’abbiano incontrata, ponendo una sconcertante domanda: chi fu sacrificato sul rogo al suo posto? Fu una delle tante decisioni per la Ragion di Stato?
Nel 1920 fu addirittura canonizzata. Non era più una strega?
Nel 1932, un articolo sul quotidiano Le Mercure de France riportava la sconvolgente notizia che da una ricerca effettuata da alcuni studiosi di storia medioevale, Giovanna D’Arco non fosse una pastorella, ma addirittura una discendente di sangue nobile.
Molte sono ancora le domande che avvolgono la leggenda della pulzella e alcune di esse difficilmente potranno avere una risposta.

Citiamo ancora un ultimo caso storico la cui protagonista ancora oggi è leggendaria, a causa delle infinite interpretazioni, che gli storici hanno scritto negli anni in migliaia di testi, e soggetto per molti film, a volte attingendo ad una sorprendente fantasia. Parliamo di Mata Hari, il leggendario agente H 21.
Descritta come una donna dalla bellezza ammaliante.
Fu veramente una spia spietata e crudele, che attraverso le sue informazioni, causò un elevato numero di vittime nella grande guerra?
Fu davvero un’abile spia doppiogiochista? In questo caso chi ha veramente tradito: la Francia o la Germania, visto che agiva per entrambi i Paesi in guerra tra loro?
Il suo mito sul quale ancora oggi si favoleggia, non è forse esagerato? Non fu invece una donna estremamente attraente, che fu coinvolta in un giro più grande di lei e che pagò in prima persona davanti ad un plotone di esecuzione francese la mattina del 15 ottobre 1917?
Dove finisce la storia e comincia la leggenda, creando un mito? Sono infiniti i casi in cui la storia conosce solo una parte dei fatti reali in cui si tende ad esaltare il protagonista, a volte esagerando e trasformandolo in mito. Così la storia diventa leggenda.
Alcuni documenti anonimi, che descrivono fatti e ambienti inesplorati, potrebbero in qualsiasi momento essere scoperti, modificando gli eventi della storia conosciuta, quella che ci hanno insegnato sui libri di scuola.
Ecco perché è estremamente importante continuare a scavare nel passato, per indagare, ma soprattutto per verificare se, come dice alla fine di un’opera lirica, il Manzoni: fu vera gloria?
Ai posteri l’ardua sentenza, può nascere dall’interpretazione dello storico, che ci tramanda un evento dal proprio personale punto di vista, oppure è la testimonianza documentata di ciò che effettivamente corrisponde alla realtà dei fatti accaduti.
La continua ricerca della verità ci rivela che a volte l’attribuzione eroica di un personaggio, scaturì forse da un fatto occasionale, oppure che la verità di un evento non è ancora stata scritta, per la mancanza di notizie tangibili.
E di queste lacune la storia ne è piena. Gente scomparsa e mai più ritrovata, almeno fino ad oggi; tragedie occasionali o causate da ignoti, non ancora ben identificati; processi storici reiterati dopo molti anni, con protagonisti considerati colpevoli, riabilitati, come il caso Dreyfus, ad esempio.
Sono ancora molte le domande nella storia anche recente, rimaste senza risposta ed alcune lo saranno per sempre.
L’uomo in ogni momento epocale, è sempre stato il regista e protagonista di eventi sociali, politici, religiosi, che hanno condizionato l’evoluzione del proprio Paese, sotto l’aspetto culturale, economico e civile.
Quante sorprese ci riservano ancora le future scoperte?
Ma soprattutto, se alcune verità si evidenzieranno in tutta la spietata crudezza e brutalità, saranno mai raccontate? E se in qualche caso un eroe fosse smitizzato e delegittimato di questo titolo a causa della scoperta di qualche atto poco onorevole o addirittura indegno?
Non resta che attendere.


Capitolo primo

Perugia, Cattedrale di S. Lorenzo 20 giugno 1859

Il sacerdote era inginocchiato, rivolto al piccolo altare situato in una cappella laterale della navata centrale, dedicata a San Bernardino.
Osservava la pietosa rappresentazione della “Deposizione dalla croce” di Federico Barrocci, un artista del tardo Rinascimento.
Il volto sofferente e sfigurato dalla passione di Gesù, esprimeva in quel momento di dolore, il sacrificio che il figlio di Dio aveva dovuto offrire agli uomini per la loro salvezza dal peccato.
Anch’egli in quel momento stava pregando per tutte quelle vite falciate dalla violenza omicida dei reggimenti delle guardie svizzere, inviate da Roma. L’ordine impartito dallo Stato Pontificio a quelle orde mercenarie, era quello di debellare tutti i focolai di ribelli insorti, che si battevano per essere liberati dal giogo della Chiesa e che proprio in quel giorno aveva raggiunto l’apice dei massacri, perpetrando una strage.
Sentì aprire il portale centrale della cattedrale, che andando a sbattere contro la parete causò un frastuono che echeggiò per tutta la chiesa, rompendo il solenne silenzio di quel luogo sacro, in quel momento deserto.
Il sacerdote non si mosse, come se stesse aspettando che qualcosa accadesse, come se in quei momenti di violenza, la profanazione fosse contemplata pur di raggiungere i fini previsti.
Quattro armigeri svizzeri percorsero la corsia centrale, con passo marziale, facendo rimbombare il rumore delle ferraglie delle corazze e delle armi che portavano indosso.
Al loro passaggio, le fiammelle tremolanti delle candele votive che ardevano sotto le immagini dei santi, vacillarono ed alcune si spensero, come un cattivo presagio.
Il prete, mentre li sentiva arrivare si comunicò, come se stesse celebrando una messa personale, imperterrito e senza alcuna titubanza.
Mise in bocca l’ostia consacrata e chinò il capo ringraziando per il dono dell’Eucarestia che aveva ricevuto.
Gli armigeri si arrestarono proprio davanti alla cappella.
Il prete in quel momento si girò a guardarli, sempre con le mani giunte e senza interrompere la sua preghiera.
“Vi stavo aspettando, fate quello che dovete fare, ma fate in fretta.” disse con voce serena, reggendo gli sguardi dei suoi aguzzini che gli stavano davanti con aria minacciosa.
L’unico suo rammarico in quel momento non era quello di morire, anche se da martire, ma di essere stato l’oggetto di un perverso gioco politico, progettato dalla chiesa per tentare di salvare il potere in quella regione umbra che era storicamente stata una zona di santi e cristianità.
Il capo degli armigeri non commentò e sfoderata la spada fu il primo ad affondare la sua lunga lama affilata nel petto del sacerdote inerme. Egli barcollò, ma non cadde, né proferì alcuna parola. Poi, con un cenno del capo intimò ai soldati di eseguire gli ordini. Gli altri tre emularono con fredda razionalità il loro capitano, immergendo i loro ferri nel corpo di un indifeso essere, che aveva servito la chiesa fino alla fine.
L’ironia del destino era quella di morire per mano di soldati che agivano sotto la stessa bandiera della chiesa.
Il prete vacillò per alcuni istanti ferito a morte, poi stramazzò sui gradini della cappella privo di vita.
La sua uccisione era stata un barbaro assassinio, una spietata esecuzione in piena regola, ordinata per salvaguardare “la Ragion di Stato”.


Umbria, settembre 2002

Liam Ness si fermò come spesso gli capitava sulla riva sud del lago di Corbara, ad osservare quel complesso architettonico in stile neoclassico che doveva risalire alla metà del ’700, e che lentamente stava andando in rovina.
Era stato assente da quei luoghi per più di due mesi, occupato con un gruppo internazionale che stavano operando nei lavori di scavi archeologici a Jerash, un’antica colonia romana a nord di Amman, in Giordania.
Egli era un archeologo molto appassionato del suo lavoro.
Amava cercare tra le pieghe della storia, per scoprire verità a volte nascoste da molti anni, che in certi casi potevano rivelare nuovi aspetti ancora sconosciuti di luoghi e personaggi scomparsi da tempo.
Niente lo soddisfava di più che riuscire ad estrarre qualche reperto imprigionato nel tempo tra le viscere della terra e potergli dare un significato storico.
Proprio nei pressi di Amman, era riaffiorata dalla sabbia una nuova necropoli romana risalente ad almeno duemila anni prima e con essa erano tornati alla luce nuovi reperti, appartenuti al popolo che aveva vissuto tra le mura di quella antica città.
Era stato un lavoro massacrante, al limite delle proprie forze, ma appassionante e coinvolgente come poteva essere la professione dell’archeologo, sempre alla ricerca di vestigia storiche da scoprire, da ricomporre, da catalogare.
Egli e i suoi colleghi operavano durante la giornata in quel deserto, sotto il sole bollente, che cuoceva la pelle e di notte dormiva in alloggi di fortuna costituiti da baracche di lamiera, esposti al freddo della notte.
Ora, dopo quel faticoso lavoro nel deserto, era tornato a casa, in Umbria, dove abitava ormai da anni.
Quando percorreva quel tratto di strada che dalla sua abitazione di Orvieto portava a Todi, restava sempre ammaliato da quei ruderi.
Era un gruppo di edifici composti a ferro di cavallo, una classica villona patrizia al centro, con alcuni ostelli aggregati per la servitù ed una chiesetta ormai sconsacrata.
Liam accostò ad un lato della statale e scese dalla macchina per due motivi: il primo era di natura idrica e difficilmente avrebbe potuto continuare a trattenersi; ed il secondo, data la bella giornata, voleva a tutti i costi fare un giro intorno a quel complesso antico che appariva abbandonato, ma nel quale non si poteva accedere, poiché era sbarrato da transenne ed un cartello che vietava l’accesso.
Scese nel boschetto adiacente e cercò una pianta dietro alla quale poter pisciare in pace, nascosto da occhi indiscreti che potessero adocchiarlo dalla strada.
Come un cane che si gira intorno, finché trova il posto ideale per alzare la zampa e svuotare la vescica.
Si guardò intorno in quel silenzio paradisiaco, ed osservò più in giù le acque calme del lago, appena crespate dalla brezza di quella mattina.
Poi cominciò a girare intorno a quel muro di cinta, che in alcuni punti era crollato con i mattoni riversi nel prato, come brecce colpite da un mortaio.
L’antica tenuta era situata su un piccolo promontorio del lago umbro, ove un tempo doveva estendersi una profonda vallata boscosa.
Questo lago infatti si era formato artificialmente verso la fine degli anni Sessanta, a causa della diga realizzata in una ramificazione fluviale del Tevere.
Il bacino artificiale era stato realizzato per produrre risorse idroelettriche.
Ne era nato uno specchio d’acqua che percorrendo la gola del Forello, collega ancora oggi, attraverso la strada statale 448, Orvieto a Todi.
Il lago che è profondo circa 50 metri, si snoda come un serpentone tra i colli boscosi di quella zona selvaggia con una superficie di 10 chilometri quadrati.
Le rive frastagliate creano nel percorso un piacevole paesaggio naturale con angoli spettacolari, non ancora contagiati da speculazioni edilizie.
Liam si sporse e guardò giù verso la riva, che distava una ventina di metri dal muro di cinta delle rovine, ed era alta circa sette, otto metri.
Si era innamorato di quella casa fin dalla prima volta che l’aveva notata.
Era enorme, costruita a due piani, doveva misurare in pianta almeno cinquecento metri quadrati, in un’area compresa del giardino e gli altri immobili di circa diecimila metri quadrati, una bella proprietà davvero.
Ma non erano le dimensioni che colpivano l’attenzione di Liam, bensì lo stile neoclassico con cui era stata costruita la grande casa padronale.
La facciata aveva due scale trasversali che portavano al piano di accesso, protetto da una fila di colonne scanalate che supportavano un grande terrazzone al primo piano, mentre il porticato sottostante costituiva l’ingresso con un enorme portale ad arco in legno massiccio, che stava andando purtroppo in rovina per le intemperie e l’esposizione delle aggressioni climatologiche del tempo.
Il frontale in alto presentava un disegno geometrico triangolare adottato dal tipico stile neoclassico molto in voga in quell’epoca di fine secolo.
Liam doveva percorrere quel tragitto almeno un paio di volte alla settimana, da Orvieto, ove risiedeva in un piccolo appartamento in affitto, verso Todi, ove spesso operava con un gruppo di ricerca archeologica locale.
Liam Ness era di origine americana. Era nato a S. Diego in California più di quarant’anni prima.
Era alto quasi un metro e novanta, con un fisico atletico. Aveva capelli neri corvini, un poco lunghi, ma non esageratamente e occhi verdi, come il colore dell’Irlanda, dal cui ceppo migratorio discendeva.
Era figlio di allevatori di bestiame, ma fin da bambino aveva capito che quel ranch, che i primi pionieri appartenenti alla sua famiglia avevano creato e tramandato da almeno quattro generazioni, non avrebbe fatto parte del suo futuro.
Era appassionato di storia ed appena maggiorenne si trasferì a Los Angeles, ove vinse una borsa di studio, che gli permise di dedicarsi completamente alla sua materia preferita: l’archeologia.
Si trasferì in Italia e si laureò a pieni voti in archeologia presso il Dipartimento di Archeologia di Bologna.
Poi, innamorato di questo Paese che costituisce la culla dell’arte e della storia a livello mondiale, non lo lasciò più.
Conobbe dei colleghi insieme ai quali fece parte di gruppi di scavi in Egitto, in Iraq, prima che scoppiasse la guerra del Golfo, in Siria e a Petra in Giordania.
Si era stabilito in Umbria, affascinato dall’ambiente e dalla storia etrusca di quella regione a cui sentiva ormai di appartenere e ove aveva trovato un ente privato che operava nella ricerca di molte aree archeologiche italiane.
I colleghi avevano imparato a rispettarlo per la sua intelligenza, la professionalità e scrupolosità nelle analisi dei reperti storici e soprattutto per il carattere bonario e quella carica di simpatia che riusciva a infondere.
Quando Liam percorreva quella strada statale, costeggiando il lago di Corbara, ogni volta che giungeva in quella località e gli appariva quella vecchia costruzione isolata, si doveva fermare almeno dieci minuti affascinato dalla bellezza artistica della struttura e dalla posizione suggestiva in cui era collocata.
Si chiedeva spesso a chi poteva appartenere quel vecchio complesso che stava andando in malora a causa della trascuratezza di proprietari senza cuore, o forse senza soldi.
Ma a volte si poneva anche la domanda se ci fosse ancora in vita un proprietario, o tutto ciò che gli si presentava davanti facesse parte da tempo del patrimonio immobiliare dello Stato, in mancanza di eredi.
Gli amici di Todi, ormai lo prendevano in giro per quella che era diventata per Liam un’ossessione.
Liam dopo avere girato intorno all’ampia proprietà, risalì sulla Range Rover e si avvicinò alla tenuta, percorrendo una stradina sterrata e piena di buche, fermandosi davanti al filo spinato che delimitava la proprietà, con tanto di cartello “Vietato l’accesso”.
Una brezza autunnale proveniente dal lago lo investì, scompigliandogli la lunga chioma di capelli neri.
Sulla riva le folate del vento flettevano le canne palustri e gli arbusti, come una danza orchestrata dalla natura.
Tenui onde si infrangevano dolcemente tra la vegetazione, terminando la corsa sul lago.
La boscaglia che circondava questo agglomerato edile era costituita da un esteso castagneto ed altri alberi che cominciavano a perdere le foglie, creando un caratteristico soffice tappeto.
Le foglie, con il proprio fruscio orchestrato dal vento, cominciavano ad esibire sugli alberi, meravigliose macchie tinte a pastello con sfumature gialle, verdi e rosse, come una infinita mostra di quadri naif, che la natura solo in quel periodo sa esprimere.
Per Liam l’autunno che era appena iniziato era la più bella stagione dell’anno.
Si guardò intorno, come se temesse che qualcuno lo stesse osservando, poi, infrangendo il divieto, scavalcò il filo spinato stando attento a non impigliarsi nei jeans e di colpo si trovò nella zona proibita, nella proprietà privata di quelle rovine.
Fu quasi come se qualcosa di surreale gli volesse inviare un messaggio, un saluto a un solitario visitatore di quel luogo isolato e silenzioso.
Per un momento osservò da vicino i particolari della costruzione e degli immobili adiacenti non meno interessanti del corpo principale, per le linee architettoniche con cui erano state erette in epoche molto lontane.
A pochi passi dalle mura della grande casa, potè constatare come il tempo stava lentamente devastando la tenuta, senza che qualcuno potesse intervenire per tentare di salvare quelle storiche costruzioni.
L’immobile era fatiscente e trasandato, un edificio in completa decadenza.
Al centro le erbacce avevano preso il sopravvento e la vegetazione negli anni, era notevolmente proliferata, celando parte dei muri perimetrali.
La facciata appariva scrostata ed i preziosi stucchi originali, che riproducevano forme di animali erano consumate e quasi irriconoscibili.
Alcune persiane di legno scardinate, pendevano pericolosamente nel vuoto, mostrando lo scempio dei vandali, che avevano infranto a sassate le grandi vetrate d’epoca. Una gran parte dei pluviali si era staccata e pendeva desolatamente, cullata dal vento.
Il tetto costruito con pendenze a falda era ricoperto di vecchi coppi che in parte la grandine ed il vento, avevano divelto, lasciando intravvedere lo scheletro delle travi sottostanti, che erano ceduti. L’antica struttura di legno con il tempo era marcita e prima o poi avrebbe ceduto completamente, causando il crollo di tutto il tetto.
Aveva l’impressione, che presto quel prezioso monumento che stava andando in rovina, sarebbe crollato interamente, trasformandosi in un anonimo rudere, seppellendo per sempre la storia dei personaggi che vi avevano abitato e che ora vagavano intorno come fantasmi.
Scattò qualche istantanea con la sua Olimpus tascabile digitale che portava sempre con sé. In serata si sarebbe goduto con calma le immagini collegate al suo computer.
Risalì controvoglia sul suv e riprese il viaggio per Todi, ove quella mattina era atteso per una importante riunione circa alcuni scavi che erano stati commissionati all’ente di cui faceva parte.
Dopo avere parcheggiato la macchina in un’area riservata all’ente di ricerche archeologiche di Todi, percorse una stradina interna lastricata con ciottoli tutta in salita, all’interno del centro storico, finché giunse in una piazzetta ove erano situati gli uffici ed il laboratorio.
Il largo antico portone dell’edificio era preceduto da alcuni scalini in porfido.
Una targa esterna in ottone portava scritto: A.R.S.A Associazione Ricerche Scavi Archeologici.
Era una fondazione privata sorta trent’anni prima e sovvenzionata da donazioni di appassionati di storia e da famiglie benestanti, che aveva lo scopo di finanziare scavi e ricerche storiche a livello internazionale.
Aveva molti associati, tutti professionisti culturalmente appassionati di archeologia, che versavano modeste quote di iscrizioni annue per partecipare alle spese di gestione dell’organizzazione.
L’A.R.S.A era ormai molto conosciuta ed erano molti gli inviti da parte di enti o organismi statali che richiedevano l’intervento di professionisti in aree archeologiche di recente costituzione.
Entrò e dopo avere percorso un lungo corridoio lastricato da un mosaico risalente al ‘6oo, si trovò nel salone ove altri colleghi ed amici l’aspettavano.
“Salve Liam,” disse il professor Silvano Patti, appena lo vide.
Era il capo storico fondatore del gruppo, nonché il più anziano ed esperto archeologo dei componenti dell’associazione.
Patti era docente della cattedra di archeologia di Urbino ed aveva scritto molti saggi ed alcuni libri sulle sue esperienze e ritrovamenti nelle varie spedizioni a cui aveva partecipato.
Aveva quasi settant’anni ed aveva fatto parte di una moltitudine di spedizioni e di scavi che l’avevano portato nei posti più impervi e remoti del mondo.
Aveva bivaccato nei deserti, ove il caldo diurno cuoceva i cervelli dei ricercatori e la notte li rattrappiva dal freddo, con escursioni termiche davvero terrificanti.
Ma tutti questi sacrifici spesso erano compensati da ritrovamenti davvero importanti, che in alcuni casi davano risposte e conferme alla storia.
Nonostante la non più tenera età, Silvano Patti aveva ancora un fisico possente ed atletico.
Era alto un metro e novanta e pesava quasi cento chili, non c’era un filo di adipe nel suo corpo, ma un fascio di muscoli. Aveva una straordinaria somiglianza con l’attore scozzese Sean Connery degli ultimi tempi, con i capelli brizzolati corti, tagliati a spazzola ed una barba grigia ben curata lunga solo qualche centimetro, che gli donava molto.
Nonostante l’età, il suo aspetto sprigionava ancora un certo fascino e le giovani studentesse provavano per lui molta ammirazione e lo consideravano un sex symbol, con qualche atteggiamento a volte provocatorio, che egli declinava per non incoraggiare alcuna cotta adolescente.
La vita professionale gli aveva reso la pelle del viso cotta dal sole del deserto, ma gli donava come avesse un’abbronzatura perenne.
Aveva uno sguardo molto profondo, ed i suoi occhi marroni erano sempre attenti e guardinghi. Scrutava qualsiasi cosa potesse apparire all’improvviso, come in quel momento, quando era apparso sulla porta Liam, al quale era molto affezionato quasi come un figlio.
Liam, come altri colleghi ed amici del giro, aveva imparato molto da lui e lo stimava e rispettava con la massima ammirazione.
Salutò anche altri amici e fu raggiunto da Rita, con la quale aveva ben altri tipi di rapporti, oltre che professionali.
Rita Cappucci era una bella ragazza di trentacinque anni, anch’essa laureata in archeologia, alta, bionda con occhi immancabilmente azzurri come il mare dei Caraibi.
I due si erano conosciuti ad un convegno di antropologia ed avevano cominciato a frequentarsi sempre più assiduamente, finché ebbe inizio la loro storia, fatta di passione, amore sincero e tanto rispetto per le reciproche personalità.
Il problema della convivenza al momento era ostacolato dal fatto che Rita desiderava vivere a Todi ove era nata, anche se era rimasta sola, poiché i genitori si erano trasferiti a Milano per ragioni di lavoro del padre.
L’appartamento era stato ceduto dal padre alla figlia, forse anche per un doveroso senso di colpa, per non esserle stato molto vicino.
Era cresciuta in un collegio di Perugia, e con i genitori non aveva mai avuto un gran feeling, poiché li vedeva solo in occasioni rare come le festività di Pasqua e Natale.
Rita, fin dall’adolescenza, aveva imparato a condurre una vita autonoma, ed il lavoro che faceva la aiutava molto nella sua vita professionale ed esistenziale.
Liam amava Orvieto e viveva in un monolocale con vista direttamente sulla piazzetta del secolare Duomo, ed aveva molte conoscenze alle quali non sapeva rinunciare.
Tutti gli amici che frequentavano i due giovani, erano a conoscenza dei loro rapporti e di questa diatriba logistica, che spesso era oggetto di battute ironiche.
“Ciao Liam” lo salutò sfiorando con un bacio la guancia del compagno, e stringendolo a sé “mi sei mancato molto. Tutto il tempo che sei stato via non passava mai.”
“Ora sono qui” sussurrò Liam “ti garantiso che recupereremo tutto il tempo perduto.”
Rita era un po’ più bassa di Liam, che aveva una stazza quasi di un metro e novanta, ed ogni volta si alzava in punta di piedi per baciarlo.
Quel giorno Rita indossava un jeans molto attillato sbiadito ed una camicetta color senape molto elegante, che conteneva un seno minuto ma ben sodo.
“Cosa abbiamo oggi?” chiese incuriosito Liam, vista la ampia partecipazione alla riunione indetta per quella mattinata.
“Ho parlato con il professor Patti e mi ha anticipato che hanno aperto una nuova area di scavi a Ercolano e ci hanno invitato a partecipare ai lavori.”
“È una zona molto interessante, ci ho già lavorato alcuni anni fa.
Lì c’è davvero molto da fare, nonostante le difficoltà causate dalla natura lavica del terreno, ma le sovvenzioni giungono con il contagocce e quindi il tempo a disposizione per gli scavi è sempre troppo avaro.”
“Ho una sorpresa per te” disse all’improvviso Rita con un sorriso raggiante.
“Oh, davvero? Spero che non sia come quella dell’altra volta, dove hai speso un mucchio di soldi per quei biglietti a teatro, che poi a causa della tua influenza abbiamo dovuto regalarli ad amici.”
“No, questa volta si tratta di qualcosa di più importante e non mi è costato un euro.”
“Ebbene?” chiese incuriosito Liam.
“Sono riuscita a conoscere chi può darci informazioni sulla proprietà che ti ossessiona da anni e di cui vorresti avviare delle ricerche.”
“Non stai scherzando, vero?” chiese con occhi sgranati Liam.
“Affatto. Giorni fa sono riuscita, attraverso conoscenti, a contattare un agente immobiliare che spesso collabora con lo studio commercialista che cura gli interessi della proprietà della casa sul lago di Corbara.”
“Ne sei sicura? Siamo riusciti ad avere l’indirizzo?”
“Sono riuscita ad avere l’indirizzo.” sottolineò Rita arrogandosi questo merito.
“Sei stata bravissima, mi sto dannando da mesi senza successo, per riuscire ad individuare il padrone di quel rudere.”
“Questo ti costerà una cena a base di pesce al ristorante L’aragosta.”
“È il minimo, te lo sei davvero meritato. Quando ci andiamo?” chiese impaziente.
“Al ristorante o dal commercialista” chiese sorridendo Rita.
“Non fare l’oca, hai capito benissimo di chi parlo.”
“Settimana prossima, appena riesco a fissare un appuntamento ti avverto.”
La riunione fu molto interessante e terminò nel pomeriggio e poiché Liam e Rita avevano fatto solo un rinfresco al buffet, decisero di andare a mangiare una pizza e poi sarebbero andati a casa di Rita.
Quella notte Liam avrebbe dormito da lei, dopo avere parlato a lungo di quella tediosa tenuta.

[continua]

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