Amplificazioni banali

di

Lia Simonetti


Lia Simonetti - Amplificazioni banali
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 76 - Euro 7,00
ISBN 88-8356-900-8

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Prefazione

Cambiano gli occhi con i quali guardiamo il mondo e cambiano le cose intorno a noi: e alla fine non resta che il declino con seriali fantasie e proiezioni mistificate, atmosfere irreali e desideri che svaporano ed anche la presenza si fa effimera: “ci sono/ma non sento/per non morire/tutto banalmente/normale”.
Lia Simonetti ricostruisce e rende visibile lo spettacolo che trascina in questo mondo, rivelatore delle contraddizioni e delle visioni fulminee, delle effimere cristallizzazioni e delle inquietudini d’una donna.
Enigmatica e insondabile, profondamente legata alle continue seduzioni e ai reiterati ammiccamenti letterari, sempre lucida nel muoversi in una dimensione senza tempo, come esperta equilibrista segue la direzione più propizia, ardita e assoluta nella sua determinazione per raggiungere la mèta.
I versi sono scarnificati, ridotti all’essenziale, in una poesia che toglie invece di aggiungere, tesa a distillare in modo impietoso le intenzioni e le emozioni.
L’immaginario è nelle parole strappate via con parsimonia dal magazzino della memoria, dal personale diario esistenziale, dalle visioni di immagini sempre frammentate, autentiche schegge vetrose in attesa della ricomposizione d’un mosaico ancora da scoprire.
Una continua riconferma di ciò che deve essere salvato a discapito di ciò che deve essere eliminato, senza ripensamenti, ma con tagli netti e fendenti che risultano essere sempre definitivi.
Ecco allora che la parola residua, essenziale, emblematica ed enfatica, si fa schiuma fertile, nutrimentum spiritus, e lei è sempre disposta a guardare il resto, a scrutare la zona oscura, come guerriera coraggiosa “Ho fatto una vita/da soldato/attenta agli ordini/... fortemente legata/ai principi/...con le orecchie attente/a sentire/a capire/con le mani rovesciate/con i piedi scalzi/conficcati nella terra/con gli occhi avidi/col cuore aperto/col desiderio di essere invincibile/... e tanto entusiasmo/... è dentro di me/vivo/e/assetato”.
Sono le sue passioni e le personali visioni che rigurgitano, fedeli e perfide al contempo, conosciute e misteriose, sovente imprigionate in un godimento criptico con le parole che diventano balocchi con cui giocare, segni di gesso su un muro antico, vocaboli ancestrali.
Eppure la vita che abbiamo davanti si riempie di ovvietà e noi siamo qui a rintracciarle, a scovarle in tempo e le riflessioni ossessive immancabilmente trivellano la mente: le piccole illusioni che portiamo con noi sono un quaderno su cui appuntare i frammenti della nostra vita, diventano un libro per conoscersi e riconoscersi, assumono la forma di un bicchiere per dissetare lo spirito e danno voce alla “parola”, l’unico strumento in nostro possesso che può suscitare l’anima.
Stringere le nuvole o fermarsi a contemplare fuochi passeggeri, scovare un nuovo entusiasmo in rinchiuse memorie o raccogliere e sintetizzare gli umori all’interno di una poesia che diventa atto liberatorio e salvazione.
Mentre la corrente esistenziale trascina il nostro corpo chissà dove, il tempo è leggero in questo ondeggiare, in attesa di tagliare i legami con una vita “consumata tra la catastrofe incipiente e l’esaltazione della povera quotidianità”.
Le parvenze e le memorie tradite di volti riflessi in specchi ingannevoli possono far perdere il senso della vita e diventa difficile ritrovare il legame intimo tra il silenzio e il sussulto, i miraggi degli altri e le nostre attese e ancor più arduo è cercare di rinascere.
E Lei, affaticata e stremata, con la dignità di un guerriero, raccoglie le ragioni delle cose e sedimenta categorie astratte, frammenti e rimanenze di lontani incanti, attenta ad annodare pensieri perduti, intrigante nel ricordare i desideri coniugati con gli stupori: tutto diventa ragionevole anche la verifica dello “scempio”, dei silenzi mortali, dell’inadeguatezza che attanaglia le viscere.
A conclusione del tortuoso volteggiare, tra versi da decodificare e criptiche esternazioni, prima assapora liricamente l’esito positivo del suo lavoro e poi, ironicamente e parossisticamente, soffre l’impossibilità della quiete nel rumore e scrive, senza ammettere repliche, aspetto la morte perché la voglio uccidere.
È per questo che le sue parole entrano nella pelle, lasciano il segno e si riconoscono, rendendosi incancellabili.

Massimo Barile


Amplificazioni banali

Ellittici raggi
di sole,
posati su pelle distesa,
assaporati,
saldati,
portati
nelle ossa con la morte
e
lucidi,
focosi,
irradiati
dopo
e
sempre
dopo la morte.

***

Alberi di plastica
la luna
fatidica veste,
lussurioso incarto
di lumini,
liberi,
potenti,
lividi
e
fissi
come nuvole di lucciole,
ai fianchi pozze e terre
avide di grilli,
tutto dentro
senza tempo
a
lucido nella memoria

***

Libera
zitta,
ardita,
assoluta
e
sempre
leggera
e
presente
virgola
c‘è

***

In silenzio
affaticata,
lieve,
rigurgita
il lavandino,
visioni,
missioni,
passioni,
oggi
è estate

***

Buona
silenziosa
e
greve
interprete
e
scalfisce
lieve,
lieve,
lieve.

***

Se cambiano
i miei occhi,
cambiano le cose
e
vere rose irridenti
e
perfide
oscillano
amorfe
e
fedeli.

***

Con un chicco
di riso,
estrovede
estrada
e
fomenta
perfide
luride bellezze

***

Ti riempi
la vita,
di ovvietà
e
di puntiglio,
sconquassi,
mitigati
e
formali,
il tempo
è
relativo,
ma
incipiente
la vita
ti lascia
con licenza poetica,
bava,
versi affastellati,
riflessioni ossessive,
tremore,
sfida,
e
lucente
ricordo
flebile
nutrice,
latte,
terra,
campana
e
e
e
trivellazione.

***

Mi si è spelato
il pube,
il ventre
comprime,
arride
pustole
arcibugiarde
e
flebile,
il lamento
della fertilità,
proiezione,
altri porti
mistificati,
corre
ed
è morta
la vita,
resta
il declino,
indenne
pirata.
La stanza
la regolarità,
l’ovvietà
produce seriali fantasie morte.
Amore mio,
figlia mia,
quante
e
tante
bandiere, cose, mi hai consegnato,
un trillo di cellulare
è
un poema epico.
Affronto
dedico
a te
le mie piccole
illusioni
e
battaglie.
Odio telefonare
per sapere come stai
e
chiedere che cosa
vuoi per cena.
Il legame
e
la parte migliore
di me
è in te.
È libera, forte
tenera
sicura
vengo con te.

***

Qui a Castellamare
ti ho sentita
anche se non c’eri
l’affabile indaffarata
è ridiventata
madre di ventre,
ti cerco
ma so che riderai

***

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