Gli inganni dell’amore

di

Lewis Berther


Lewis Berther - Gli inganni dell’amore
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 104 - Euro 10,00
ISBN 978-88-6587-8033

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In copertina: «L’abbraccio» di Giovanni Medusei

All’interno: illustrazioni di Giovanni Medusei


Le vicende che i protagonisti di questi racconti si trovano ad attraversare, appaiono caratterizzate, per motivi diversi, da circostanze in cui i rapporti interpersonali sono piuttosto complicati e non del tutto schietti.
Tuttavia, nonostante le delusioni, le bugie, i segreti che nella narrazione lo accompagnano, sarà proprio quel particolare legame tra gli esseri umani, al quale queste tre brevi storie sono dedicate, a rivelarsi alla fine come l’unica forza capace di offrire un’occasione di salvezza, riscatto, cambiamento.


PREFAZIONE

Cos’hanno in comune un maresciallo della Guardia di Finanza vedovo e stanco, una prostituta nigeriana, un giornalista che diventa clown per caso e per disgrazia? Nulla, apparentemente, se non la feconda fantasia dell’autore che, qui alla seconda prova letteraria, ci propone tre nuove storie, con protagonisti diversissimi tra loro, ognuno dei quali trascina un destino avverso e pesante, sopportato con la pazienza che li rende eroi moderni e degni di attenzione (e narrazione).
Chi ha letto i primi racconti di Lewis Berther (accettiamo la ritrosia dell’autore che non vuole ancora svelarsi) non rimarrà deluso da questa sua seconda performance, ma anche chi si accosta per la prima volta al mondo fantastico dello scrittore lericino (fantastico, sì, ma al contempo così reale) sarà trascinato in una realtà, dove tutto è possibile ma non banale: dove il riscatto da un’esistenza grigia, o drammatica, diventa una possibilità cui è lecito aspirare.
Il finale dei tre racconti (ma il secondo, “Nigeria” ha quasi il respiro di un romanzo breve) è infatti consolatorio o, quantomeno, aperto alla speranza: favole per adulti, si potrebbero definire, dove non manca la violenza e anche un briciolo di erotismo, dove i personaggi si muovono consapevoli dei propri limiti e delle proprie miserie di uomini e donne, che vivono in una realtà contemporanea complessa e confusa.
Ma, come nelle favole che si rispettano, è l’amore a salvarli e a creare una nuova possibilità e, come nelle favole, esso giunge inaspettato ma necessario a dare un senso al caos: pur coi suoi inganni, senza l’amore, la nostra esistenza sarebbe ben poca cosa.
È questo il messaggio che l’autore ci trasmette: un messaggio di speranza laica che ci lascia sereni e fiduciosi. Perché la vita ha sempre più fantasia di noi e non cessa di stupirci.

Gabriella Mignani


Gli inganni dell’amore


Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale


A Margherita


Calasole

Elio Podrizzi spense di scatto la sveglia. Tutto sommato aveva dormito a sufficienza, nonostante si fosse coricato con uno stato d’animo malinconico. La notte aveva sognato Elena, che da un anno lo aveva lasciato vedovo, con una figlia di ventuno anni. I sogni in cui compariva la moglie tuttavia, non avevano mai un contenuto triste, anche se erano spesso disturbati da un residuo di consapevolezza che lei comunque, non c’era più, e questo finiva per indebolire la già fragile realtà del sogno.
In queste occasioni il risveglio lo lasciava in uno stato che era una mescolanza di tristezza, commozione e gratitudine, perché accanto alla consapevolezza della perdita, vi era l’esperienza dell’affetto di sua moglie che continuava, in qualche modo, ad essergli presente. Rimase per un po’ sdraiato, accarezzando il cuscino su cui una volta Elena riposava, poi lentamente si alzò dal letto e andò a preparare la colazione. Finì di sorseggiare il suo tè ascoltando le notizie del telegiornale, poi si avviò verso il bagno.
Il radersi era un rito a cui non rinunciava neanche nei giorni di licenza. Le lame del rasoio che scorrevano sulla pelle del viso gli lasciavano una sensazione di freschezza e pulizia che contribuiva a togliere i residui di sonno e a renderlo pronto ad affrontare la giornata di lavoro. Finì quindi di lavarsi, pettinò i capelli neri dividendoli con la solita riga a sinistra, e indossò la sua uniforme da maresciallo della Guardia di Finanza. Il suo lavoro non gli dispiaceva anche se, nella maggior parte dei casi, si trattava di effettuare dei controlli sulla contabilità dei sospettati. In effetti quel tipo di indagini gli risultavano piuttosto noiose. In compenso aveva un buon rapporto con i colleghi del comando, e anche il suo capo, il capitano Oldrigo, si vedeva che era una brava persona, anche se appariva sempre così calato nel suo ruolo, che Podrizzi non riusciva neppure ad immaginarlo in abiti civili. A suo modo era anche cortese, ma la sua figura alta ed il passo marziale facevano sì che sia il maresciallo che i sottoposti istintivamente gli facessero il saluto militare ogni volta che lo incrociavano all’interno della caserma, così che lui stesso dovette insistere dicendo a tutti di lasciar perdere, che non era il caso, almeno quando erano tra di loro, al comando.
Podrizzi, seduto alla scrivania, udì il consueto bussare, poi il capitano Oldrigo varcò la porta del suo ufficio «Buongiorno maresciallo, come va?» Elio rispose con una scrollata di spalle «Novità su quel giro di usura?» chiese il capitano «Non ancora. Per ora abbiamo raccolto degli indizi, ma non abbiamo prove. La gente non si fida a parlare, è spaventata…» «Già… Proviamo ad aspettare, prima o poi si renderanno conto del guaio in cui si sono cacciati e si convinceranno a sporgere denuncia.» «Speriamo…» «Ha già preso il caffè?» «No, stamani ero di corsa…» «Venga, glielo offro io.» «Grazie…»
I due finanzieri si avviarono in silenzio verso il distributore automatico.
«Sua figlia come sta?» chiese il capitano sorseggiando il caffè. «Bene, Marta ormai è quasi sempre a Padova. Ora sta preparando gli esami del terzo anno.» «Psicologia, vero?» «Sì. Ci sentiamo per telefono. Lei ormai ha là i suoi interessi, le sue amicizie…»
Oldrigo annuì pensoso; poi si decise: «Poco fa non mi ha risposto: come sta maresciallo?» Podrizzi sorrise, suo malgrado, per la sollecitudine del suo superiore: «Oggi è un anno che è morta mia moglie…» «Mi scusi… Dovevo ricordarmelo» disse il capitano, mortificato. «No, no, fa niente; lei ha già abbastanza pensieri per la testa…» «Senta Podrizzi, perché non si prende qualche giorno di riposo? Come le ho detto le indagini sono a un punto morto, per l’attività ordinaria ci sono gli appuntati, e in questo periodo siamo tutti in servizio.» «In effetti mi farebbe comodo stare a casa domani, se lei me lo consente.» «Vada pure Podrizzi, ce la caveremo.» «Allora grazie, capitano.»

Debora mangiava la minestra in brodo assieme a Cristian, il suo figlioletto di quattro anni. La casa era umida, le pareti scrostate, e con l’inverno alle porte il freddo cominciava a farsi sentire.
«Mamma, ancora! Fame, ancora da mangiare!» Debora aprì l’omogeneizzato di carne che aveva comprato al discount. Avrebbe voluto dargli qualcosa di più appetitoso, ma i buoni pasto forniti dal comune consentivano solo una spesa limitata. «Mamma, quando torna papà?» «Ci vorrà del tempo, è fuori a lavorare, lo sai.» «Quanto tempo? Tanto?» «Non so… Un po’ di tempo… Finisci la pappa, dài, che poi ti do la mela.»
Per Debora continuare a mentire su questo argomento era diventato un supplizio. Richard tre mesi prima era partito per una trasferta di lavoro all’estero e non aveva più dato notizie; il numero del suo cellulare non era più attivo, la denuncia di scomparsa e le conseguenti ricerche tramite i Consolati non avevano prodotto alcun esito: i poliziotti le avevano spiegato che in alcuni stati dell’Africa Centrale vi è un alto tasso di corruzione anche tra le forze dell’ordine, e avevano insinuato che se una persona vuol far perdere le proprie tracce può riuscirci facilmente. Debora di fronte a loro si era risentita, ma con il passare del tempo sentiva questa ipotesi diventare sempre più concreta.

“Speriamo di trovare qualcosa oggi…” Il maresciallo Podrizzi, con la muta già indossata, sganciava il gommone dalla boa d’ormeggio, godendosi il sole mattutino. Ottobre di solito è un mese buono per la pesca: le prime mareggiate smuovono il fondale e attirano vicino alla costa i pesci, che non sono più disturbati dal traffico delle barche dei mesi estivi. “Magari c’è ancora qualche orata… Ma poi vada come vada, sempre meglio che essere al lavoro; chissà quando mi ricapita una giornata così…” Intanto dava gas al motore, dirigendosi verso ponente, per raggiungere le solite franate che da qualche anno si ostinava a frequentare, portando a casa, quando andava bene, qualche pesce di circa un chilo di peso. Il tragitto non era lungo: una mezz’ora diciamo, se il vento non faceva i capricci. Poi c’era la scelta del luogo di pesca, l’ancoraggio, gli ultimi meticolosi preparativi prima di scendere in acqua. “Lo so, i bravi pescatori si alzano che è ancora buio, e all’alba sono già in acqua… – pensava Elio sciacquando la maschera – Ma io non vado in mare solo per pescare…” E contemplando ciò che aveva intorno assaporava quelle sensazioni che le parole non riuscivano ad esprimere. L’acqua che si insinuava sotto la muta al primo tuffo, era l’unico momento sgradevole della mattina, che veniva presto superato dall’entusiasmo per l’inizio della battuta di pesca. Un veloce controllo all’ancora e poi iniziava la metodica sequenza di tuffi lungo il tratto di costa prescelto. “Un muggine, una corvina, un sarago – una volta risalito sul gommone, il nostro pescatore faceva il bilancio della giornata. – Non è un granché, ma è comunque più di quello che mi serve. Questo qui me lo faccio stasera sulla griglia, il muggine e la corvina li surgelo, oppure li regalo… Vedremo.”
Seduto al posto di guida, Elio si ristorava con qualche sorso d’acqua, meravigliandosi, come ogni volta, della sensazione di benessere che lo pervadeva. “Che strano… Io sono spesso solo… Anzi, da quando è morta Elena sono proprio solo… E anche un po’ triste. Almeno… Questo è quello che sento; anche quando sono tra i miei colleghi, se non ci fosse il lavoro che mi distrae… Marta la vedo di rado, ma è giusto così: ormai è una donna, deve costruirsi la sua esistenza con altri, non deve stare dietro a suo padre. So che mi vuol bene, ma quando siamo insieme mi accorgo che i suoi pensieri sono distanti da me. Qui invece… Non ho nessuno intorno, sono davvero isolato, e quando sono sott’acqua l’unico suono che riesco a udire è il battito rallentato del mio cuore, eppure… Non mi sento solo e… Sono in pace.”

Seduta vicino alla finestra, per cercare di sfruttare anche la fioca luce del tramonto, Debora, ago e filo tra le mani, cercava di riadattare alle misure di Cristian il grembiule per l’asilo che la parrocchia le aveva regalato, mentre il pensiero, suo malgrado, ripercorreva gli anni di vita passati assieme al marito. Trascorreva dei periodi anche lunghi da sola, quando Richard era in trasferta di lavoro lontano da casa, ma si sentivano ogni giorno per telefono, e lui non mancava mai di mandarle i soldi. La certezza del suo affetto la rendeva sicura, e la solitudine non le pesava. Ricordava l’emozione provata quando aveva avuto la conferma di aspettare un bambino. Anche in quel momento Richard era via per lavoro, e lei aveva aspettato che lui tornasse, non voleva comunicarglielo per telefono. Così quella sera, poco dopo il suo rientro, aveva cercato la sua attenzione e, con dolcezza, glielo aveva detto. Lui si era mostrato felice e affettuoso, l’aveva abbracciata e baciata ripetutamente e già il giorno dopo, nonostante le reticenze di lei, aveva diffuso la notizia a tutti gli amici e conoscenti. La gravidanza, a parte le nausee dei primi tre mesi, era andata avanti senza problemi e quando alla fine del tempo era nato Cristian, Richard, con l’entusiasmo e la spensieratezza di un ragazzo, aveva chiamato la compagnia offrendo da bere a tutti. Poi gradualmente, gli impegni di lavoro e quelli legati alla maternità avevano riportato la coppia nella consueta routine; Debora aveva la consapevolezza che ora c’era una persona in più in famiglia, per cui, nelle ore in cui Cristian era al nido, cercava di arrotondare lo stipendio del marito aiutando nelle faccende domestiche qualche famiglia benestante. Certo, era faticoso per entrambi, e quel poco che avevano se lo dovevano guadagnare, ma Debora era serena, e anche suo marito sembrava esserlo. Solo sua madre si ostinava a metterla in guardia dagli uomini, ma lei aveva sposato un alcolizzato, e con quello che aveva passato non si fidava più di nessuno che appartenesse all’altro sesso, tantomeno di quel bellimbusto che era riuscito ad incantare una ragazza così bella e ingenua come sua figlia e che con la scusa del lavoro se ne andava in giro per il mondo a fare i comodi suoi.

Una volta rientrato a casa, i pensieri di Elio ripresero il corso consueto e ritornarono a quell’indagine, da poco avviata, sul fenomeno dell’usura che sembrava stesse diffondendosi nella provincia. Podrizzi, d’altro canto, era un finanziere un po’ anomalo: sopportava di malavoglia la routine del lavoro di ufficio, che consisteva nel lungo e paziente controllo sui conti del riccone di turno che tentava di evadere il fisco, mentre prediligeva le indagini investigative che consentissero di entrare negli aspetti umani delle vicende giudiziarie. Cercò comunque di rilassarsi e gli venne in mente che da qualche giorno non sentiva sua figlia, così prese il telefono per chiamarla: «Ciao Marta, come stai?» «Ciao papà! Ho preso 30!» «Davvero? Che esame era?» «Psicologia dinamica.» «Ma sei bravissima! Era difficile?» «È uno dei fondamentali del terzo anno.» «E oggi cosa fai? Riposi?» «Faccio un giro in città con Chiara, poi stasera andiamo a mangiare fuori, per festeggiare.» «Ah bene, bene… Con chi vai?» «I soliti: Chiara, Flavio…» «Quello con l’orecchino?» «Sì… Quello…» Elio aveva conosciuto Flavio un giorno che era andato a trovare Marta a Padova, e aveva intuito che tra i due ragazzi c’era della simpatia. Non aveva detto nulla, anche se questa moda che seguivano i ragazzi di forarsi le orecchie non gli piaceva.
Per discrezione, cambiò discorso: «E il prossimo esame quale sarà?» «Pensavo di preparare Criminologia.» «Vuoi entrare nell’arma?» Marta rise: «Veramente non ci avevo pensato, però non si sa mai… Magari come consulente…» «Giusto… Va be’, era solo un’idea, farai quello che vorrai. Quando vieni?» «Non subito, ora sto qui a studiare, però il mese prossimo vorrei prendermi un fine settimana per venire a casa.» «Quando vuoi; la tua stanza è lì che ti aspetta» «…» «Va bene, ti lascio, vai a divertirti ora, che te lo meriti.» «Ciao papà.» «Ciao, a presto.»

Al rientro dal giro mattutino, Debora incrociò il postino mentre saliva le scale del condominio in cui abitava.
«Buongiorno signora, cercavo proprio lei, devo consegnarle due raccomandate.» Lei sbuffò, infastidita, presagendo che non fossero buone notizie. «Ecco, se mi vuol mettere due firme qui…» disse l’uomo, con la consueta gentilezza. Debora firmò e, entrata in casa, aprì di malavoglia le lettere che aveva appena ricevuto. Una era un nuovo sollecito dell’amministratore del condominio a mettersi in regola con i pagamenti delle spese condominiali, l’altra un invito a presentarsi presso gli uffici della banca, in relazione al mancato pagamento delle rate del mutuo.
«Mamma, cosa c’è scritto in quei fogli?» «Lasciami stare Cristian, ora non ho voglia… Guarda la TV!» I cartoni animati erano una buona soluzione per evitare di impegnarsi in difficili spiegazioni da dare ad un bambino di quattro anni. Debora ripensò agli anni trascorsi da quando aveva conosciuto suo marito. Si erano incontrati al bar del paese, un locale trendy dove i giovani si ritrovavano la sera, per scambiare due chiacchiere e fare amicizia. Richard era un operaio di origine francese in trasferta temporanea, si occupava del montaggio degli infissi sulle navi, ma in realtà sapeva fare un po’ di tutto (idraulico, tubista, saldatore), per cui l’ingaggio era stato prolungato. Debora era stata subito colpita dai suoi modi spigliati e dalla sua allegria contagiosa che lo aveva reso in breve tempo il punto di riferimento della compagnia. Inoltre era un bel ragazzo e con il suo sorriso da furfante aveva conquistato tutte le ragazze che frequentavano il locale. Alla fine l’aveva spuntata Debora. Allora le era sembrato un miracolo, ed era al settimo cielo; ora invece era tormentata dai dubbi. Era bella, certo, ma anche altre sue amiche lo erano. Lei però era così innamorata… Pendeva dalle sue labbra: non aveva mai messo in discussione i suoi progetti, aveva sempre accettato i suoi lunghi periodi di assenza per motivi di lavoro e non aveva mai dubitato della sua fedeltà. Da quando però i poliziotti le avevano ventilato l’ipotesi che fosse fuggito, l’intera vita trascorsa assieme al suo compagno aveva assunto una coloritura diversa: forse quell’aria da guappo non era soltanto una posa, ed ora dubitava che i momenti belli trascorsi insieme, non fossero stati per lui così esclusivi come lei aveva creduto. Inoltre adesso c’erano problemi urgenti da affrontare, e se davvero Richard era fuggito, non curandosi delle condizioni in cui avrebbe lasciato lei e suo figlio… allora era davvero un bastardo!

[continua]


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