Opere di

Leila Gambaruto


CONCERTO PER UN GIGLIO BIANCO

Di gelo e solitudine mi ammanto,
silenzio ed ombra sono il mio giaciglio,
ho nella mente il suono d’un rimpianto,
porto nel cuore spento un bianco giglio.

Un sax tenore geme in lontananza,
piangendo i miei ricordi troppo amati,
arpeggia la tua voce nella stanza,
cantando sogni morti e disperati.

E di violini neri un cupo accordo,
stride nel buio, fioco e scanzonato,
morde il dolore al petto, muto e sordo,
per un rimpianto fragile e stonato.

Nel blu s’addensa l’aria della sera,
il sole affonda e il tempo se ne va…..
Oh! Dimmi dove sei, passione vera!
Sei tu illusione, senza verità?


LIMPIDE PIOGGE

Fragrante di nuova vita,
così antica e così fresca,
limpida, la pioggia di marzo
scioglie le ultime nevi d’inverno,
ancora mollemente adagiate,
come grigie, stanche vecchie,
sulle brune tegole.

Ed ancora, diafane, incerte farfalle,
le mie mani innamorate tratteggiano
contro i vetri appannati,
le amare lettere d’un nome
incise nel fuoco dei sensi,
nel ghiaccio del cuore
e nel sogno della mente.

Vagano, mutevoli, pigre nubi di perla,
svaporando in gocce chiare
sul tenero fiorire di nuove gemme in boccio,
ed io vorrei, come loro,
sciogliere tra le braccia dell’infinito
il mio rossore e le mie lacrime d’inverno.

Candida, leggera ed innocente,
vorrei rinascere ancora, eterea nube
in una pura immensità di luce
e, giovane figlia della primavera,
libera da neri e gelidi ricordi,
rotolare, scompigliandomi nel cielo,

verso le sfolgoranti porte del sole


IL COLORE DELL’INNOCENZA

Sei come l’ombra, l’onta ed il peccato,
come la pece e il fondo dell’Averno,
nascesti senza colpa e sei marchiato,
sei gatto nero, figlio dell’Inferno.

Attorno a te il sospetto e la paura
t’avvolgono di zolfo e di magia,
eppure il Padre Eterno in sua natura
volle ogni tinta fatta in armonia.

Perché temere tanto il tuo mantello?
Sei un gattino buono e affezionato,
col cuore bianco dentro un corpo snello,
come se fossi fulvo, oppur tigrato.

Follia di chi si fida all’apparenza
e giudica soltanto dall’aspetto,
farcito d’ignoranza e di scemenza,
trema davanti al pelo d’un micetto.

Se di presagio infausto si favella,
io rispondo che invece nero è bello,
pure l’inchiostro è nero e porta iella,
ma solo a chi non usa il suo cervello.


IL SANDALO PERDUTO

Condannato alle cinte inesorabili
di tenaci rene di sale e argento,
senza tregua crudelmente sbattuto
e fustigato dalla risacca mormorante,
un sandalo capovolto si dibatte
solitario, tra le percosse delle onde,
e le piccole creature del mare
lo sfiorano a guizzi, indifferenti.

Tutto intriso d’amara salsedine,
corroso, svilito, lacerato e stinto,
inutile, lui abbandona i suoi sfregi
già invisibili, ai risucchi beffardi
delle correnti tra gli scogli aguzzi,
ed i piedi nudi dei bagnanti, arrossati,
lo sfiorano senza vederlo, ebbri d’estate,
mentre vanno verso il largo,

Oh, sognante, irrisoria e vana futilità
di tutte quelle cose prese, abbandonate
o perse, inseguendo chimere di sabbia
tra il frale spumeggiare di acque chiare!
Già il grido dei gabbiani richiama l’autunno,
l’estate sbiadisce con i sorrisi dei cartelloni,
e sulle inutili follie della spiaggia soffiano,
indifferenti, i venti dell’eternità.


HAIKU

Cade il giorno

Voci di donne
Ricamano gioiose
Tacite sere


I CAVALLI DELL’INFINITO

Ormai i miei sogni
non cavalcano più
purpurei stalloni di fuoco
per galoppare, sfrenati,
verso le immensità dell’infinito,
ma cauti trascinano
piatte pantofole di feltro,
strofinando, stanchi,
i freddi ciottoli della vita,
levigati dagli anni.

Ma talora, inaspettato,
il dolce respiro della sera
si fa brivido sulla mia pelle
e bevendo vino di luna
dalla coppa del cielo,
ancora io mi attardo alla finestra
spalancando occhi smarriti,
e mi perdo in sogni indistinti,
profumati di giovinezza,
tra calde ceneri palpitanti.


LE CENERI DELL’ALZHEIMER

Vorrei avere ali
immense come la mia croce,
forti come l’amore,
leggere come la tenerezza,
per volare in alto
valicando le fumose giogaie
della tua malattia,
e ritrovare intatti
nel marasma del nulla,
quei sentimenti che facevano di te
un uomo meraviglioso.

Ma, inutilmente,
le mie mani, come ali stanche,
sfiorano il tuo viso assente
e il soffio tiepido
della mia muta presenza
passa come uno sconosciuto
nell’opaco crepuscolo
della tua mente gelata,
cercando invano di ravvivare
tra le disperse ceneri di dolore,
le braci spente dei tuoi pensieri.


PROFUMO DI MENTA

Come ti amavo in quel tempo passato,
con te vivevo i miei giorni più belli,
c’incontravamo tra il grano dorato,
vestiti a festa, felici e ribelli.

Come mi amavi in quel tempo perduto,
io t’attendevo contando le ore,
complice l’ombra del gelso caduto,
c’intrecciavamo in viluppi d’amore.

C’era un profumo di menta e d’estate,
di fiori freschi, di giovane vita,
c’era un calore di pelli abbronzate,
di labbra rosa, di gioia infinita.

Che bionde sere, il tramonto arrossiva,
il fiume calmo era un nastro d’argento,
e dolcemente dal petto saliva
uno squisito, soave tormento.

Perchè la vita ci sfoglia e divide
come papaveri rossi nel grano?
Folli certezze che il tempo deride
e un vento freddo le porta lontano.

Come rimpiango quei tempi passati,
sogni bruciati sfidando il presente,
di giorni azzurri, risate e peccati,
resta un profumo di menta….e poi niente.


PER MARIA MADDALENA

Sei polvere, Maria, ma fosti amore,
mistica rosa d’ombra diffamata,
ti volle a fianco Cristo il Salvatore,
ma il tuo sesso gentil t’ha emarginata.

Apostola tra apostoli invidiosi
tu fosti pietra, cielo e conoscenza,
discepola e sorella, ma i gelosi
t’avvolsero di zolfo e maldicenza.

Fosti giovane e bella? Bianca o nera?
Nascesti tra tre donne differenti?
Non meretrice fosti, messaggera,
vittima di sleali tradimenti.

Eppur Gesù ti amò come persona,
ti trattò con rispetto ed attenzione,
donna di carne sì, fedele e buona,
presente sulle scene di Passione.

Ma il Mondo ancor non riesce ad accettare
che un apostolo indossi velo e gonna,
come potevi farti perdonare
la colpa misteriosa d’esser donna?


LA VOLPE MORENTE

Si pasce di mute, segrete armonie
la casta dolcezza del bosco silente,
ritorna alla tana la volpe morente
tra i pizzi d’argento di vecchie gaggie.

Ha il piombo nel petto, il corpo straziato,
già l’oro degli occhi scolora e si langue,
strisciando la coda macchiata di sangue,
si sposta gemendo nell’erba del prato.

Fiutando la forra col muso infangato,
a sprazzi rammenta momenti felici:
le cacce, lo stagno, le grasse pernici,
il vecchio compagno dal pelo ramato.

Un’algida luna l’irride, splendente,
remota e sospesa tra cielo e collina,
le mostra un profilo di grassa gallina,
che arruffa le penne nel cielo ad oriente.

Già un’alba di rose rinasce nel blu,
di malva si sfuma la valle lontana,
e ancora, nell’ombra, lei cerca la tana,
tra felci spezzate, che non vedrà più.


I LUPI DEL LUNEDÌ

Vento del nord, ti prego, soffia piano,
non scuotere l’imposta arrugginita,
nonna non sente più, tu sbatti invano,
lei dorme col rosario tra le dita.

La casa piange, senti i suoi lamenti?
Ma io non tremo, sai? Quanti ricordi!
Li stringo forte a me, caldi e presenti,
parlano al cuore, con struggenti accordi.

Vedi quell’ombra dietro la tendina?
Quegli occhi così grandi, tristi e seri?
E’ il passato di me, che fui bambina,
sola con i suoi libri e i suoi pensieri.

Le fiabe colorate, Cappuccetto
con la mantella rossa sul sentiero…...
Quanta paura! Insonne nel mio letto,
pensavo al lupo con il pelo nero.

Ma giungeva la nonna bianca e rosa,
che mi diceva “Cara, non sei sola.
Il lupo non c’é più, dormi e riposa,
domani é lunedì, si torna a scuola.”

Quanto ho studiato con affanno, nonna,
quanti pesanti esami ho preparato!
Eppure come sposa, madre e donna,
la vita troppo spesso mi ha bocciato.

Quanti feroci lupi sorridenti
m’hanno sorriso e preso per la gola,
m’hanno spezzato a morsi con i denti!
Nonna, nessuno ormai più mi consola.

Ma con il vento, un’eco misteriosa
sussurra piano “No, non far così.
C’é tempo per la scuola, ora riposa.
Domani sarà ancora lunedì.”



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