Opere di

Katia Croci

LUNA D’AUTUNNO

Ero seduta sul seggiolone di legno nel locale per il quale lavoravo, nel tentativo di farmi passare il più in fretta possibile la sbornia che avevo preso, quando trafelato arrivò mio fratello Simone. Lo ignorai. Ero ancora sconvolta per averlo visto avvinghiato sul sedile posteriore della sua Jeep con la persona che odiavo di più al mondo: Nicole, la cugina dei proprietari.
George, padrone del bar, aveva appena fatto annunciare al microfono che la festa di Halloween era giunta al termine, ringraziando tutti per la partecipazione e scatenando nel contempo il malcontento da parte dei più giovani che non ne volevano sapere di abbandonarla. Mi alzai poco convinta dal mio comodo sedile per raggiungere Luana, la mia collega, nello sgabuzzino: di sicuro mi stava aspettando con stracci e scopettoni in mano per dare inizio alle pulizie, quando una mano mi afferrò la spalla. Era di nuovo Simone. Aveva la faccia preoccupata, molto probabilmente i suoi amichetti avevano già pensato di metterlo al corrente circa l’andamento della serata e i miei comportamenti. Allo strattone mi girai verso di lui, aveva gli occhi colmi di sensi di colpa, pronto a darmi ogni genere di spiegazione, ma io lo ghiacciai all’istante.
– Ciò che fai non mi riguarda.. se ritieni che stare con Nicole sia la cosa giusta, prego fai pure, ma non contare sulla mia approvazione. –
In quel momento arrivò il suo amico Pierre.
– Scusate se vi interrompo. Simone puoi venire un momento con me, ti devo parlare.. –
– Arrivo.. – e poi diretto a me – ci vediamo dopo. –
Non risposi. Di sicuro se ancora non sapeva nulla della mia seratina alcolica, Pierre avrebbe trovato subito il modo di metterlo al corrente nella maniera più negativa possibile.
– Allora, ti vuoi muovere? Pensavo stessi venendo ad aiutarmi! –
Mi ammonì Luana facendo capolino dallo sgabuzzino.
– Arrivo, scusa.. –
E presi il primo scopettone che mi trovai davanti, dirigendomi a passi veloci nel salone ormai vuoto. La musica che ci aveva tenuto compagnia per buona parte della serata era solo più un ricordo e le voci dei partecipanti alla festa si sentivano solo più nel parcheggio mentre si auguravano la buona notte. Mi avvicinai al bancone e vidi George che, con un paio di guanti infilati nelle mani e un grosso sacco nero per l’immondizia, era intento a raccogliere i bicchieri di plastica sparsi un po’ dappertutto. Era incredibile come la stanza vuota sembrasse così grande, durante la serata c’era stata così tanta gente che per un attimo avevo avuto la sensazione che stesse per esplodere e a fatica avevo trattenuto il mio autocontrollo per non soffrire di claustrofobia.
– Allora ci muoviamo a pulire oppure no?! –
Tuonò secca e superba l’ultima voce che avrei voluto sentire in quel momento. Mi girai di scatto, il mio viso teso, quasi fossi pronta ad attaccarla. Nicole era lì, davanti a me, ferma con le braccia incrociate e il suo solito ghigno superbo, dopo la soddisfazione di essere riuscita ad irretire mio fratello, sembrava ancora più compiaciuto. Non ci vidi più dal disgusto, la voglia di metterle le mani addosso era troppo forte. Feci per replicare, ma d’improvviso il cuore iniziò a palpitare così forte che mi fece mancare il respiro. Per un attimo ebbi la netta sensazione che mi stesse per esplodere nel petto. Avvampai, immobile, mentre sentivo il sangue rabbioso ribollirmi incontrollato nelle vene. Era come impazzito. D’istinto chiusi gli occhi nel tentativo di calmarmi. Era la prima volta che mi accadeva una cosa del genere, di solito i miei scatti d’ira erano sempre molto controllati, ma quella volta sentivo che era diverso ed ebbi paura. Sentii ridere e riaprii gli occhi: lei era ancora ferma davanti a me, con le sue braccia secche lungo i fianchi. Mi guardava divertita.
– Cos’è non sai più usare la lingua? Meno male che non è una caratteristica di famiglia! –
E con una risata sarcastica spostò lo sguardo dietro di me in direzione di Simone. Avvampai di nuovo. Sentivo il sangue scorrere così forte nelle vene che per un istante ebbi la netta sensazione che me le volesse squarciare. Non sapevo cosa stava per accadere, i miei sensi erano confusi, sentivo la mia mente lottare, indecisa se assalirla o se fuggire. Non mi sentivo più io. Ebbi di nuovo paura, ma questa volta fu la ragione a prevalere: le scaraventai addosso il secchio vuoto e lo scopettone che avevo in mano e fuggii via sbattendo la porta d’ingresso, sotto lo sguardo allibito di George e degli amici di mio fratello.
Appena fui fuori iniziai a correre in direzione del bosco. La luna era alta, immersa in un cielo privo di nuvole. I suoi raggi lievi ed argentei mi guidavano verso sentieri che ancora non avevo esplorato, mentre sentivo il mio corpo piano piano cambiare. Non ero molto lontana dal bar, nella mia testa sentivo in modo abbastanza nitido lo stupore nelle voci delle persone che avevano assistito alla scena di poco prima. Non me ne importava, era stata lei a sbagliare, lei a provocarmi. Al ricordo corsi ancora più forte, come a sbollire qualcosa di sconosciuto che mi bruciava dentro. Le mie gambe erano in fibrillazione, ma scattanti. La mia mente ad un tratto era libera da ogni pensiero e si lasciava guidare dai sottili raggi lunari. Poco per volta sentii la ragione venire sempre meno, ora era l’istinto a guidarmi, in una corsa senza limiti che mi faceva stare bene. Arrivai all’altezza della scuola di sci. Non c’ero mai stata prima e solo in quel momento mi accorsi con stupore di aver percorso in pochi minuti la bellezza di cinque chilometri. Mi fermai per riprendere fiato e mentre mi guardavo intorno ancora su di giri, sentii distintamente nella mia testa la presenza di mio fratello. I suoi pensieri erano alterati, emanavano sensazioni di affanno e rabbia in modo alternato. Chiusi gli occhi per concentrarmi meglio, ma mi ritrovai distesa a terra a qualche metro da dove mi ero fermata poco prima, sbalzata da qualcosa piombato improvvisamente su di me. Mi rialzai con uno scatto e vidi davanti a me un enorme lupo immobile che ringhiava. Mi misi sulla difensiva per nulla impaurita: non sapevo come ma il lupo che avevo di fronte era mio fratello e la mia non era una supposizione, ma una certezza. Ci guardammo a lungo negli occhi, senza pensieri, quasi fosse un’altra entità al di sopra di noi e della nostra ragione a dirci cosa fare, per poi avventarci l’uno contro l’altra. Fu una lotta strana. Sentivo i suoi denti aguzzi mordermi una gamba, ma non provavo dolore, anzi con una certa facilità riuscivo a respingerlo e a morderlo a mia volta. Continuammo ad azzuffarci per un po’ di tempo sotto la luce tenue della luna fino a che, stremati, non ci accasciammo al suolo.

Mi svegliai di soprassalto, scossa da un sottile venticello autunnale, che il sole era già alto nel cielo. Aprì gli occhi e con stupore mi ritrovai accovacciata ai piedi di un albero poco lontano dalla scuola di sci. Non riuscii a capacitarmi, in un lampo mi alzai in piedi guardandomi intorno e abbassando gli occhi mi resi conto di essere nuda. Mille domande affiorarono nella mia testa con l’intensità di un vortice, ma non riuscivo a rispondermi: possibile che ciò che in realtà credevo d’aver sognato fosse accaduto davvero?
Cercai di allontanare questo pensiero dalla mia mente ancora scioccata quando vidi poco lontano da me mio fratello che dormiva beatamente.. nudo. Cercai invano intorno a me gli abiti che avevo indosso la sera prima o almeno quelli indossati da Simone, ma non c’erano. Non sapevo cosa fare, ma nonostante le mie preoccupazioni ciò che mi spaventava di più era la certezza di aver vissuto davvero ciò che fino a qualche minuto prima credevo un sogno. Cercai di rifiutare quella possibile realtà con tutta me stessa: non lo potevo credere, quelle cose non potevano esistere. Feci appello alla ragione, decisi di non pensare più e in preda ad un attacco isterico iniziai a scuotere mio fratello.
– Simo! Svegliati! Guarda come siamo ridotti! –
Aprì gli occhi di soprassalto e appena si rese conto di essere nudo si portò istintivamente una mano sopra i genitali.
– Cavolo! Che è successo? –
– Non lo so.. mi sono svegliata poco fa.. siamo nel bosco dietro la scuola di sci.. –
– E’ vero ma.. non riesco a capire com’è stato possibile.. sapevo di essere venuto qui, ma.. nel sogno.. –
Disse incredulo con voce tremante.
– Lo so.. Credevo d’aver sognato anch’io, ma a quanto pare è accaduto davvero.. ma adesso.. cosa facciamo? Più che altro.. come ce ne andiamo? –
Chiesi invasa dal panico. Simone istintivamente si guardò il polso ed esclamò ancora sconvolto:
– Caspita.. l’orologio! Devo averlo perso durante.. ehm.. durante quella strana corsa insieme ai miei vestiti a questo punto.. –
Era rassegnato. Poi guardò in direzione della scuola.
– Bè, dal momento che oggi è il primo di novembre la scuola è chiusa. Almeno questo! Vieni, andiamo a cercare qualche vestito.. –
Disse con estremo imbarazzo. Ci alzammo in piedi facendo il possibile per non guardarci, dopo tutto era sempre mio fratello e questo alimentava ancora di più il mio senso di vergogna. Camminammo velocemente uno accanto all’altro senza dire una sola parola, con lo sguardo perso in due direzioni opposte, finche non arrivammo all’entrata. Ovviamente non avevamo le chiavi, ma per fortuna la finestra accanto alla porta non era chiusa. Data la sua altezza mio fratello fu costretto a sollevarmi. Senza tanti preamboli mi prese per i fianchi e mi tirò su più che poteva, mentre io cercavo con tutte le mie forze di aggrapparmi al davanzale. La finestre si aprì subito, Simone aveva visto giusto, e con un salto fui nella stanza: era uno dei tanti spogliatoi della scuola. Vidi una scaletta vicino alla finestra e gliela passai subito.
– Grazie! Ora proviamo a dare un’occhiata in giro.. di sicuro ci saranno abiti dimenticati.. –
Feci una smorfia mentre lui si aggrappava al davanzale. Trovai un sacco pieno di vestiti e con disgusto lo rovesciai a terra.
– Lo so, non è proprio il massimo, però è sempre meglio che tornare a casa nudi! –
Senza dire una parola lo assecondai: era l’unica cosa possibile e sensata da fare. Trovai il sacco, lo vuotai a terra e, vincendo la mia riluttanza, cercai gli indumenti più puliti e li indossai.
Rimasi in silenzio fino a quando non salii sulla Jeep. Chiusi la portiera e sprofondai nel sedile. Le mille domande che a stento pensavo di aver scacciato erano tornate nella mia mente e sempre più insistenti chiedevano risposte che non sapevo fornire. Avevo paura. Paura di sapere, paura di conoscere la verità. Nella mia mente confusa sentivo che una nuova consapevolezza stava prendendo vita, ma più cercavo di allontanarla da me, più la sentivo radicata. Cercavo di sgomberare la mente, di renderla razionale, ma non potevo, non dopo quello che avevo appena scoperto d’aver vissuto. Tra le mille domande sentivo che una in particolare si faceva sentire sempre più chiara nel mio cervello, ma non la volevo sentire, non ero ancora pronta per affrontare questa nuova realtà che ormai stava incombendo sulla mia vita.
Afferrai la cintura di sicurezza con la destra e mentre mi girai per agganciarla il mio sguardo si fermò sul viso contratto di mio fratello. Anche lui stava lottando con i suoi pensieri, era innegabile. Ci guardammo un istante negli occhi e raccogliendo il poco coraggio che mi era rimasto con un filo di voce gli chiesi:
– Ricordi qualcosa di ieri notte? Quando mi hai raggiunto nella radura.. –
– Abbastanza.. – disse con voce combattuta – ma non mi va di parlarne.. sono successe troppe cose.. è capitato tutto così in fretta.. ho bisogno di rimuginare da solo.. –
– Ok, però ho bisogno di sapere solo una cosa.. – il cuore iniziò a battermi velocissimo – quando mi hai raggiunta e abbiamo iniziato a lottare io ero.. umana vero? –
La mia voce era quasi un tremante sussurro, quasi non la volessi sentire. Mio fratello accese il motore e ingranò la retromarcia, quasi non mi volesse rispondere.
– Per favore, lo so che è una cosa stupida, ma ho bisogno di sapere.. almeno questo.. –
Lo supplicai, la mia voce era affranta, e rimasi impietrita a guardarlo. Fece un pezzo in retromarcia nel parcheggio e si fermò, ma prima di inserire la prima e scattare sulla strada emise un respiro profondo, poi senza guardarmi disse:
– No.. eri un lupo.. –
Non risposi, le lacrime furono più veloci.


PROFUMO DI PRIMAVERA

Nella sua giovinezza Vittoria aveva fatto girare la testa a molti uomini, ma mai nessuno era riuscito ad avere il suo cuore. Era di origini molto umili, la sua famiglia lavorava da sempre presso la fattoria nella quale erano alloggiati e a stento riuscivano a mettere qualche soldo da parte. Suo padre era un uomo molto rude e incline al bere e quando esagerava Vittoria e sua sorella Margherita, per sfuggirgli, si nascondevano nel granaio, immaginando di vivere felici in una dimensione fantastica popolata da maghi e principesse, come i protagonisti delle storie che si inventava la loro mamma la sera per farle addormentare serenamente.
Quante cose aveva vissuto Vittoria, quanto aveva visto e sentito patire a sua madre e per quanto tempo ancora, si domandava a volte, avrebbe dovuto vivere così. Certe volte sognava che qualcuno all’improvviso arrivasse lì e la portasse via, ma poi al solo pensiero di lasciare sua madre e Margherita anche per un solo istante si pentiva per aver avuto sogni simili e si convinceva che in fondo suo padre non era una persona cattiva: era così per colpa della situazione di stenti in cui erano costretti a vivere.
Quando Vittoria si innamorò per la prima volta era una sera di maggio. Aveva appena finito di cenare ed era uscita in giardino a sgranchirsi le gambe. Mentre si godeva il fresco seduta sulla panca, sentì uno scalpitio di cavalli provenire dal fondo del suo cortile e corse a vedere cosa fosse accaduto. Fu proprio in quell’istante che il suo cuore iniziò a palpitare per la prima volta: vide un giovane disteso a terra, supino, intento a massaggiarsi un ginocchio, mentre il suo cavallo, rimasto imbrigliato nella recinzione, cercava di mangiare un arbusto. Un lungo brivido le attraversò immediatamente la schiena: era davvero un bel giovane, occhi castani, capelli scuri, con un ampio ciuffo che gli ricopriva la fronte. Rimase come impietrita ad osservarlo e vide che i pantaloni che indossava erano strappati all’estremità sinistra della gamba, probabilmente a causa della caduta.
Tremando per l’agitazione e in punta di piedi gli si avvicinò. Il giovane, appena sentì dietro di sé il rumore dei passi, con un balzo si mise a sedere, cercando di giustificare la sua presenza nel cortile con incomprensibili balbettii.
Tra le tante parole che a Vittoria ronzavano nella testa, riuscì ad esternare soltanto un banale “ti sei fatto male?”. – No ma.. Accidenti! &endash; Rispose il ragazzo dopo aver visto i suoi pantaloni strappati.
&endash; Si sono rotti! Adesso chi la sentirà mia madre!- – Te li posso accomodare io! Lavoro in una sartoria e molte volte mi capita di dover fare dei rattoppi di questo genere.- gli disse Vittoria. – Davvero? Allora è il mio giorno fortunato! Come mi posso sdebitare? – - Non ti preoccupare, lo faccio volentieri. &endash; Disse arrossendo. – Se aspetti un attimo faccio un salto nel granaio a prendere l’occorrente.-
Disse e di scatto si diresse di corsa verso casa. Di lì a poco era già di ritorno, trafelata e col fiatone, mentre il giovane, nascosto dietro a un cespuglio, si era tolto i pantaloni. Senza perdere tempo Vittoria si mise subito all’opera. Dal suo nascondiglio intanto lui ebbe modo di osservarla meglio: era davvero sensuale con le guance rosate e il respiro ancora affannoso per la corsa, un po’ spettinata e con la camicetta leggermente aperta per far entrare un po’ di aria fresca, mente era intenta al suo lavoro. Tra tutte le sue conquiste non gli era mai capitato di vedere una ragazza così intraprendente ed attraente nello stesso tempo, proprio il genere di donna che piaceva a lui, ma soprattutto non si era mai sentito prendere così in contro piede, da rimanere addirittura in silenzio e senza argomenti. Rimase incantato e sovra pensiero fino a quando lei non ebbe finito di cucire e non si fosse alzata e non appena fece per restituirgli i pantaloni lui, nel prenderli, le si avvicinò ancora di più toccandole le dita.
Vittoria, che aveva appena ripreso il suo colore naturale, avvampò di nuovo in viso, questa volta però per imbarazzo: era sicuramente l’uomo più bello che avesse mai visto.
Fu un istante lunghissimo dove Vittoria provò una sensazione che non aveva mai provato prima. Alzò d’istinto lo sguardo e vide i suoi occhi castani che la guardavano intensamente. Il cuore iniziò a battere all’impazzata e si sentì invasa da un grande imbarazzo: non aveva mai avuto grandi esperienze con gli uomini, solo un bacio fugace dato al figlio del fattore per una scommessa, nulla di più, ma questa volta, nonostante la confusione dei suoi sensi, sentì che era diverso ed ebbe paura, così distolse lo sguardo e con uno strattone mollò la presa.
Il giovane sorrise al gesto di Vittoria: era la conferma che anche lei aveva provato qualcosa. Si rivestì e uscendo dal cespuglio con dolcezza, prima che lei si allontanasse, le chiese: – Quando ci rivediamo? &endash; – Rivederci? &endash; chiese lei con stupore. – Si, rivederci. Dovrò in qualche modo sdebitarmi del favore che mi hai appena fatto! Mi hai salvato la reputazione! &endash; disse mentre liberava il cavallo dalla recinzione. – Ti aspetterò qui, tra due giorni, sempre all’imbrunire, vicino a quest’albero!- e salito in sella sparì in una nuvola di polvere senza nemmeno darle il tempo di rispondere.
Dopo molte esitazioni Vittoria decise di fare finalmente ritorno a casa, anche se durante il breve tragitto non riusciva fare a meno di pensare a quegli occhi, così lucenti e intensi, che l’avevano stregata e guardata come mai nessuno aveva fatto prima. Non conosceva il suo nome, né sapeva chi fosse, ma non gliene importava nulla e immersa in tali pensieri, arrivò all’ingresso della casa, ne varcò la soglia e si recò in cucina. Lì ritrovò la situazione uguale a come l’aveva lasciata prima.


VOLTO DI DONNA

Ho visto il suo sguardo..
Era quello di una donna infelice..
La sua vita,
trascorsa in balia di decisioni altrui:
mai un momento di felicità
sul suo volto,
mai un vero sorriso
dal profondo del suo cuore.
Resta impavida,
dinanzi a chi le si sofferma accanto,
ma nel profondo del suo spirito
una grande verità resta celata:
la sua forte corazza è ormai abbattuta
e solo una timida lacrima
fa capolino dai suoi occhi verdi,
a testimoniare la sua rabbia nascosta,
voglia profonda di ribellione
travolta da tempeste di rassegnazione..
Si sente fallita:
per lei la vita non ha significato molto,
nessuno l’ha mai capita,
nessuno si è mai curato della sua infelicità,
frutto di un matrimonio combinato,
e nella sua prigione velata
passa il resto della sua utile
ma inutile
vita..


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