A proposito di Donne - Racconti brevi

di

Isabella Coluzzi


Isabella Coluzzi - A proposito di Donne - Racconti brevi
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
14x20,5 - pp. 102 - Euro 11,00
ISBN 978-88-6037-8347

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in copertina «Lost» © olly – Fotolia.com


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autrice è risultata finalista nel concorso letterario J. Prévert, 2009


Prefazione

“A proposito di Donne” è una cospicua e complessa raccolta di tredici racconti nei quali Isabella Coluzzi narra le storie di diverse donne che riportano ad una galleria di figure al femminile che sono una interessante e valida rappresentazione di un simbolico percorso esistenziale e d’un universo emozionale che può sorprendere.
Ne emergono le inevitabili contraddizioni, le inquietudini e i dissidi interiori, e, al contempo, la forza ineguagliabile dell’amore che si fa, di volta in volta, “invisibile” sostanza vitale capace di creare una fusione tra due persone e sentimento che può condurre alla sofferenza, al travaglio, alla pena d’amore.
Ecco allora dispiegarsi i racconti che riconducono ad un casuale incontro tra un uomo e una donna, un ritrovarsi magico che può avvenire una volta nella vita, come ne “La bella Orchidea”: lei, bella ed affascinante, ostetrica che svolge il suo lavoro con amore e passione, ma, quando si ammalerà chiederà a lui di “aiutarla” a non soffrire più. L’amara considerazione che, a volte, l’amore deve fare i conti con il destino nefasto.
E poi, le figure di donne che devono confrontarsi con il “crudele abbandono” dopo “tanto amore appassionato” come nel racconto “Notte di San Lorenzo senza stelle” o sono “costrette ad abbandonare”, magari proprio alla vigilia di Natale, dopo aver fatto tutto il possibile per salvare il matrimonio ed essersi trovate davanti “un uomo cieco” ed incapace di cambiare, o ancora, le difficoltà d’un amore a distanza, quando basta un nuovo incarico di lavoro per decretare la fine della storia d’amore come in “Adieu mon amour”.
In alcune storie, Isabella Coluzzi, racconta “dell’amore che ritorna” come nel caso d’una donna che, dopo essere rimasta vittima di un incidente, viene curata da un chirurgo che aveva conosciuto dieci anni prima e si innamora di nuovo; o ancora, una donna che evita ad un uomo di essere investito da un’auto e si accorge che è la stessa persona che le aveva fatto una corte spietata e lei lo aveva sempre respinto. Ma, ora, è troppo tardi.
Poi l’amicizia “sincera” tra due donne, che risale ai tempi dell’università, con una rivisitazione del percorso esistenziale fino al ricevimento della lettera da una comunità missionaria dell’India e poi ancora “l’amicizia tra due donne che viene tradita” a causa di una relazione con il marito dell’amica e da qui il rimorso ed il desiderio di fuga per non soffrire e non far soffrire.
In alcuni racconti v’è poi una visione sognante d’un amore mai confessato o la percezione onirica che, al proprio fianco, vi sia un angelo custode che possa aiutare nei momenti difficili della vita come ne “L’Angelo”.
Isabella Coluzzi racconta le sue storie di donne e ci mette il cuore, ne affronta le diverse prospettive e complicazioni, ne esalta la capacità di amare, ne rappresenta le contraddizioni e le sofferte scelte: mai dimenticando di mettere in risalto la forza ed il coraggio, la fragilità solo apparente che viene ammantata da una energia interiore che permette di andare avanti, di continuare a lottare nell’amore e nella vita stessa. Le vicende di donne che vivono e soffrono sulla propria pelle le insidie, il faticoso rapporto sentimentale e il desiderio di un amore autentico e unico, e poi l’ineluttabilità degli eventi del destino.
Le raffigurazioni sono complesse e scandagliano il mondo femminile nelle sue varie manifestazioni con una scrittura che è limpida, espressa in modo efficace, sempre rivolta a fissare in modo originale ciò che intende sottolineare con maggior vigore, nonché le storie sono profondamente sentite sulla propria pelle, come a tendere ad una unificazione attraverso una figura simbolica di Donna.

Massimo Barile


A proposito di Donne - Racconti brevi


A Maurizio


La bella Orchidea

“Sì, tra pochi giorni sarebbe stato il suo compleanno. Già, il compleanno. Aveva sempre amato festeggiarlo, almeno finché era stata giovane e bella!
Eh sì, perché era stata bella davvero, Signori della Corte.
Occhi lampeggianti come fari che ti stendevano quando te li puntava addosso, due pomi alti e sodi che al solo sfiorarli ti facevano rizzare… sì, insomma, avete capito. E il suo incedere elegante da gatta. Dio, che schianto!
Signori della Corte io l’ho amata dal primo momento che l’ho vista, come un fulmine era entrata dentro di me e anche lei mi amava. Me lo ripeteva all’infinito come se io non lo sapessi.
Ma perché possiate comprendere meglio cos’era per me quella donna vorrei raccontarvi brevemente qualcosa sulla nostra storia.
Il nostro primo incontro era avvenuto ad una festa di capodanno di amici dove io avevo deciso di andare all’ultimo momento, mentre lei si era presentata con il suo ragazzo.
Era stato un colpo di fulmine e il mio cuore aveva preso a vibrare senza che io potessi far niente per rallentarlo.
Nello stesso istante in cui l’avevo vista entrare nella stanza con quel vestito di seta rosso che le fasciava i fianchi e le lasciava la schiena nuda, non le avevo più tolto gli occhi di dosso e avevo fatto di tutto per ballare con lei, nonostante la presenza dell’altro e senza curarmi dei suoi visibili segni di insofferenza.
Il bello era stato che anche lei aveva sentito un tuffo al cuore che aveva preso a martellarle nel petto, mentre la testa – mi aveva confessato poi – forse perché aveva bevuto un goccetto di troppo, le aveva girato come una trottola.
Ci eravamo scambiati i numeri di telefono quella notte stessa ma lei l’indomani, tornata lucida, aveva realizzato di avere già un ragazzo col quale aveva pensato di mettere su famiglia, almeno finché non aveva incontrato me.
Ma non s’era persa d’animo perché aveva subito intuito che il nostro era stato uno di quegli incontri che il destino riserva una volta sola nella vita e non sempre a tutti. Perché non era solo bella la mia Giulia, era intuitiva come solo le donne sanno essere, piena di iniziativa come solo le menti creative riescono ad essere, delicata come un fiore.
Così, aveva deciso di parlare sinceramente al suo ragazzo di quello che ci era accaduto, con la sensibilità che le apparteneva ma con altrettanta fermezza. Del resto noi non avevamo colpa per esserci innamorati. Lui avrebbe capito.
Neanche per sogno, lui non voleva capire. Beh, non vi annoierò certo con il racconto dei guai che quell’individuo ci ha procurato per mesi e mesi perché non voleva rassegnarsi. Una volta, piombò a casa mia nel cuore della notte. Io mi rifiutai di farlo entrare, era ubriaco e urlava come un demonio che io gli avevo rubato la sua donna, che l’avevo convinta perché ero ricco sfondato, che il mio non era amore ma solo un capriccio perché ero abituato a prendermi sempre tutto ciò che volevo. Non contento aveva preso a calci la porta, con un martello aveva tentato di sfondarla finché non erano sopraggiunte le forze dell’ordine a portarlo via.
Liberarci di quella persecuzione non fu uno scherzo, ma tanto forte era il nostro legame che non ci scoraggiammo finché lui finalmente mollò.
E da quel momento iniziò la nostra vera vita insieme condividendo gioie e dolori. Ero felice quando la vedevo tornare soddisfatta dal suo lavoro. Era un’ostetrica, una di quelle ostetriche che fanno il loro lavoro con passione, perché amano sopra ogni cosa far nascere i bambini. Non c’era volta che non mi parlasse dei suoi neonati. Sai – mi diceva – oggi ho fatto nascere una bambina a una mamma etiope. Poverina, era al settimo mese e stava perdendo la piccola. Siamo riusciti a salvarla, ora è in incubatrice, dovrebbe farcela. Vedessi, com’è bella, una pastarella al cioccolato che ti vien voglia di mangiarla, amore mio.
E aggiungeva:
«Non vedo l’ora anch’io di vedere nascere il nostro pasticcino, sarà delizioso.»
Ed io le rispondevo:
«Dovremmo prima pensare di prepararlo, non credi?»
Un giorno accadde qualcosa che l’avrebbe cambiata per sempre. Venimmo a sapere che la sua più cara amica era malata gravemente e senza speranza. Sua madre ce ne dette la notizia pregandoci di non farle capire nulla, intendeva il più possibile tenerla all’oscuro per alleviarle il dolore.
Trascorse un lungo periodo durante il quale Giulia andava a trovare quasi ogni giorno Silvia, ormai ridotta un lumicino. Era sempre più sconvolta e con la voce tremante mi diceva:
«Quello che mi fa più male è vedere la sofferenza sul suo viso, il suo sguardo senza luce e senza più illusioni, non so più cosa dirle, ci guardiamo in silenzio e a stento ormai riesco a reprimere le lacrime.»
Poi, a bruciapelo, mi disse:
«Ascolta, devi farmi una promessa. Se un giorno dovesse accadere anche a me di non avere speranza, non aspettare di vedermi ridotta così, non lo sopporterei, anche nella morte l’essere umano ha diritto alla sua dignità. Ti prego, promettimi che mi aiuterai a morire prima di vedermi trasfigurata dalla sofferenza.»
Quelle parole avevano avuto su di me l’effetto di una goccia di acqua gelata sulla pelle calda. L’avevo fissata con gli occhi di fuori e le avevo detto con la voce strozzata in gola:
«Ma cosa ti viene in mente? Sei pazza? Primo, perché dovrebbe succederti qualcosa del genere e secondo come puoi chiedermi una cosa simile? È assurdo e non voglio più sentire questi discorsi.»
Da quel momento non ne parlammo più, quasi per una sorta di scaramanzia tacemmo e anche dopo che Silvia ci lasciò affrontammo in silenzio il dolore di quella morte prematura di cui non riuscivamo a trovare il senso.
La vita pian piano aveva ripreso coi suoi ritmi anche se qualche volta io avevo ripensato a quelle sue parole. Era come se un tarlo fosse entrato nella mia testa anche se cercavo di allontanarlo.
Osservavo le forme sinuose del suo corpo che mi aveva incantato fin dalla prima volta, il suo sguardo fiero ma allo stesso tempo disponibile e accogliente, il suo incedere elegante e soprattutto quella sua esuberante vitalità che le permetteva di rialzarsi dalle cadute, un po’ come succede ai gatti che si dice abbiano più di una vita.
Ma, un giorno, il suo corpo si è afflosciato ai miei piedi e i suoi occhi non hanno più lanciato i loro bagliori.
«Giulia, Giuliaaa, cos’hai?» chinato su di lei le ho gridato mentre le davo dei leggeri colpetti sul volto per rianimarla. Quando ha poi riaperto gli occhi non ricordava più nulla ma, da quel momento, è come se nel suo corpo l’ingranaggio si fosse rotto per sempre. Giorno dopo giorno lei non è stata più la stessa, un male misterioso la stava consumando nonostante la sua voglia di vivere.
È stata dura convincerla che bisognava ricorrere alle cure di qualche specialista. Lei non voleva, non voleva, come intuisse che qualcosa non sarebbe più tornato al suo posto e che alla fine la macchina si sarebbe definitivamente fermata ai box.
E aveva ragione lei, eccome se aveva ragione. E ricordo come quel fiore rigoglioso fosse diventato di colpo appassito, un vecchio rottame che cigolava al solo tocco della mia mano, giaceva inerte nel letto. E non ho visto più quel corpo incedere elegante come un felino.
I suoi occhi ormai spenti mi fissavano atterriti e le sue mani stecchite afferravano le mie e le stringevano in una morsa fino a farmi male e ferirmi qualche volta.
Finché un giorno la sua flebile voce mi ha sussurrato:
«Aiutami, ti prego.»
Io, allora, ho finto di non capire, non volevo capire. Ma giorno dopo giorno lei insinuava il suo sguardo dentro di me e senza parole sembrava implorarmi:
«Aiutami.»
Ora vi chiedo, Signori della Corte, inflessibili Giudici, avete mai visto la bella orchidea dai petali rosati e carnosi trasformarsi in un fiore avvizzito e raggrinzito ed emanare un profumo di morte? Ecco, là in quel letto giaceva quella che un tempo era stata la mia bella orchidea e mi supplicava con gli occhi, mentre la pena soffocava il mio cuore.
E alla fine ho ceduto a quel richiamo e l’ho accompagnata dolcemente lungo quel viale dove lei sarebbe tornata a incedere elegante come un felino.
Lo so, forse non mi crederete, ma io ora sono sereno e la sento di nuovo camminare al mio fianco esuberante e unica come una fuoriclasse.


Notte di S. Lorenzo senza stelle

Capo Palinuro, 10 agosto

Mio caro,

è notte fonda mentre ti scrivo. Dalla finestra aperta mi giungono in lontananza i bagliori della marina come fari accesi ad illuminare il buio di questa stanza, mentre le onde sempre più furiose schiaffeggiano con violenza la scogliera sotto un cielo, ahimè, senza stelle.
È strana questa notte di S. Lorenzo senza stelle, come se lassù qualcuno abbia deciso di deludere chi aspettava di vederne qualcuna cadere per reclamare il suo desiderio, magari tenuto gelosamente celato proprio per questa sera.
Da giorni volevo scriverti perché tu sapessi che sono tornata in quella che un tempo era stata la nostra casa, non dirò nido d’amore solo per sfatare il mio dannato romanticismo che mi fa sentire alle volte un po’ fuori moda.
Ma non potrai certo negarmi che è proprio qui, in questa dimora che si affaccia su quel mare antico che vide il nocchiero del fuggiasco di Troia sparire nelle sue profondità, che noi abbiamo trascorso momenti indimenticabili d’amore e di passione.
Ne sanno qualcosa le pareti di questa stanza, testimoni silenziose dei nostri incontri furtivi e lontani da occhi indiscreti, che mai avrebbero compreso quanto profondo, intenso, sconfinato e senza limiti fosse il nostro legame di carne e di intelletto che mai avrei creduto potesse sciogliersi e meno che mai che saresti stato proprio tu a tradire e con un colpo solo a spegnere nel nulla.
Nel silenzio di questa notte, la voce tonante del mare in tempesta che infrange le onde sulle rocce mi fa compagnia e culla la mia anima un po’ malinconica ancora, ma ormai serena in attesa di rivivere dopo il tuo crudele abbandono.
Crudele sì, e perché no, anche bastardo sei stato, e non solo perché hai deciso di andartene ma perché sei fuggito senza una parola, durante quella mia breve assenza, proprio come solo i vigliacchi sanno fare.
E cosa dire di quelle due righe insulse scritte su un foglio qualunque e abbandonate, così, su quel letto dove i nostri corpi hanno vissuto interminabili ore d’amore?
Pensavi forse che parlandomi e guardandomi negli occhi io avrei potuto trattenerti senza la tua volontà? O che mi sarei inginocchiata ai tuoi piedi pregandoti di non lasciarmi? O ancora, che avrei potuto farti del male infilandoti un coltello nelle viscere o spararti un colpo di pistola alle tempie?
Mi viene da sorridere, finalmente, immaginando la faccia che farai leggendo queste mie parole a tinte fosche se vuoi, che mai ti saresti aspettato, ma ti prego, dopo il tempo del dolore, permettimi un po’ d’ironia.
Sai bene che niente di tutto ciò sarebbe potuto accadere, perché conoscendomi avresti dovuto sapere quanto il mio animo sensibile avrebbe accolto con dignitosa sofferenza ogni tua scelta, seppure non condivisa.
E del resto cosa potrebbe mai fare, quali artifici potrebbe inventare un’amante quando l’altro non condivide più quel sentimento e quella passione che li aveva pervasi e uniti in un essere solo, in un solo corpo?
Ma avrei dovuto aspettarmelo. Oh, se solo avessi ascoltato di più la ragione che facendo capolino ogni tanto mi avvertiva del pericolo che correvo, io donna matura, sebbene ancora bella e desiderabile, e tu sempre in cerca di fresche ragazze, attratto dalla loro giovinezza più per esorcizzare l’età che avanza e che a voi uomini più che a noi donne, a volte, fa paura.
Ma quello che mi ha fatto più male è stato, quando ti ho cercato per saperne di più sulla tua fuga, sentirti dire che la tua giovane ventenne, amica nientemeno che di tua figlia, non l’avevi cercata tu ma si era infilata nel tuo letto senza che potessi farci nulla. Stronzate.
Perché tanta falsità? Come non fossi consapevole che il tuo fascino di uomo maturo, dai modi eleganti e raffinati e quella tua fervida mente di studioso, profonda conoscitrice dell’animo umano, non potesse attrarre una giovane ragazza in cerca di una figura rassicurante e paterna?
Ecco, come è andata. La giovane fanciulla è rimasta incantata sentendoti parlare, mio caro, e visto che sei anche un bell’uomo, non ha esitato a farsi avanti e a molestarti, come tu hai voluto farmi credere.
Okay, ora basta parlare di questo, del resto tra noi c’erano patti molto chiari. La nostra è stata una storia meravigliosa proprio perché vissuta pienamente finché è durata. Le nostre menti hanno veleggiato inseguendo pensieri sublimi e i nostri corpi si sono uniti in amplessi impetuosi proprio come le onde di questo mare che battono irruente sulle rocce fino a scalfirle profondamente.
Certo dopo tanto amore, grande è stato il dolore dell’abbandono, non posso negarlo e non voglio farlo proprio con te e non certo perché tu abbia sensi di colpa. Del resto non ne avresti, comunque, sbaglio? I sensi di colpa appartengono alle persone banali e tu non lo sei stato davvero, almeno fin quando sei stato con me.
Guardo ancora questo cielo senza stelle e sono felice di aver trovato il coraggio di scriverti proprio in questa notte che seppure buia non mi appare, però, senza illusioni forse perché la mia anima è tornata a sperare.
Non so quando il mio cuore tornerà a brillare come in quel nostro tempo d’amore ma certo la nostalgia e il ricordo di te faranno sempre parte di me.
E come potrebbe essere altrimenti, mio caro?

Eleonora


[continua]

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