Opere di

Gloriamaria Pizzichemi


Con questo racconto è risultata 7^ classificata – Sezione narrativa alla XV Edizione del Premio Letterario Città di Melegnano 2010


Il vento

Era buia quella notte più buia delle altre, avevi paura, fin da piccola eri intimorita dal buio e dal vento, ti creavano insicurezza.
Fuori le raffiche scuotevano le piante del terrazzo che sembrava ce la mettessero tutta per rimanere attaccate al pavimento, ognuna dentro al proprio vaso, ma che da un momento all’altro la forza del vento avrebbe potuto trascinare via fino a farle volare fuori dal davanzale.
Le foglie secche che intanto si erano accumulate sotto la finestra della tua camera strusciavano senza sosta scorrendo lentamente da una parte all’altra del pavimento con lo stesso rumore di fogli di carta.

I bambini sono usciti col padre, non sapevi neanche dove fossero, aveva detto di portarli al cinema e poi a mangiare la pizza, ma si era fatto tardi e ancora non tornavano.
Avevi acceso la televisione per non sentire il rumore del vento e quello dei pensieri, ma non riuscivi né a vedere l’una né a quietare gli altri. Erano troppe ormai le sere passate insieme ad una silenziosa sofferenza e a un dignitoso silenzio.

Distesa sul letto, con le mani dietro la testa, giravi lo sguardo dal soffitto alla televisione, dall’armadio alle foto appese in camera e di nuovo ti tornavano in mente la tua infanzia, le illusioni, la tua infelicità.
Ripensavi a quanto amore avevi dato, alla passione che avevi messo nelle cose che avevi fatto, alle rinunce che non ti erano mai costate tanto quanto adesso che ti eri resa conto che tutto l’amore si era dissolto. Pensavi che con tutta la tua forza non saresti più riuscita a cambiare niente e che come nessun abitante di questo pianeta saresti potuta tornare indietro e dire: «Voglio un’altra possibilità, solo una, per me ma soprattutto per i miei figli».
Ma questo non si può e tu stasera lo sapevi meglio di ieri.

La tua infanzia era stata tranquilla con due genitori troppo giovani e troppo innamorati di te, di quella bimbetta vivace e bellissima che aveva sempre il sorriso stampato in faccia. Sapevi che i tuoi ti avevano dato tutto quello che erano in grado di darti, a volte c’erano riusciti, a volte no. Questa volta non avresti voluto deluderli, non avresti voluto amareggiarli, ma alla fine era stato inevitabile.
Quando si diventa grandi la solitudine è troppo forte e ci si accorge presto che bisogna agire da soli, che non c’è più nessuno che corre quando cadi e ti fai male, non c’è più chi ti consola e ti prende tra le braccia fino a quando non smetti di piangere.
Le donne poi, a differenza degli uomini, piangono tanto anche da grandi, lo fanno di più perché soffrono di più, perché credono di più..

Ora il vento ha fatto sbattere la finestra della cucina, ti alzi per chiuderla ma fa resistenza, mentre blocchi con la chiave la grata tiri fuori la tendina che si è inceppata tra le ante della finestra.
Adesso il suono del vento è più ovattato, ma sembra che stia aumentando, arriva con folate meno frequenti ma più violente.
Porti il cane con te in camera, pensi che anche lei sia intimorita da tutto questo rumore e vi fate compagnia come due vecchie amiche.
Quando sei andata via da casa dei tuoi genitori avevi gli occhi più grandi e più lucidi di quando eri piccola e un pancione di cinque mesi. I tuoi ti accompagnarono fino al portone sotto casa, la macchina era zeppa di cose da portare in quella nuova e tu a fatica riuscisti a entrare e metterti comoda alla guida. Li salutasti convinta di intraprendere una vita nuova, piena di cose belle, una era già in arrivo e le altre sarebbero venute.
Salutasti tuo padre nel giorno del suo compleanno mentre ti guardava augurandosi che la tua strada non fosse così in salita come aveva previsto e sperava che anche stavolta te la saresti cavata come quando eri piccola che riuscivi sempre a farla franca ….

Le donne, pensavi, vivono spesso di illusioni, di sogni, di passioni. Fin da piccole non si dice loro la verità, la si nasconde tra le favole, le scarpette con gli strass, i complimenti quando sono tranquille. Non si dice loro quanto sono forti, quanto riusciranno a fare solo se ci credono, che possono farcela da sole, che non hanno per forza bisogno di qualcuno.
Invece sono i gesti quotidiani, le tacite sofferenze, la sopportazione delle proprie madri che senza accorgersene non risparmiano nessuna, così imparano presto e bene.

Non riesci ad addormentarti, almeno fino a quando non saranno rientrati i bambini.
Ti affacci appena dalla finestra della camera da letto, un vaso grande si è arreso al vento ed è caduto a terra roteando avanti e indietro, disegnando un semicerchio.
Richiudi le imposte, la cagnetta dorme e anche tu ti rimetti al letto.
Con le finestre chiuse senti caldo, ma per nessun motivo le terresti aperte con tutto quel rumore che c’è fuori.

Eri andata ad abitare lontano da casa dei tuoi, come se volessi dare prova a te stessa di farcela anche senza di loro.
Tua madre ti aveva ripetuto più volte di non andare ad abitare troppo distante nelle tue condizioni e soprattutto vicino a persone che conoscevi appena, ma nessuno ti avrebbe convinto del contrario. Eri contenta, ti trovavi bene. Fino a quando un giorno in fila all’altro ti eri accorta di essere caduta in un mondo estraneo, con modi di fare e linguaggi che non ti appartenevano, tra incomprensioni e solitudini. Di nuovo sola ma ancora innamorata, con il piccolo di pochi mesi che cresceva troppo in fretta e tu che dimagrivi a vista d’occhio.

Quella sera ti veniva in mente tutto, forse era il vento che ti costringeva a rivedere tutte le cose, come le foglie che si ammucchiavano continuando a rotolare sotto la finestra.

La sera, prima di andar via da casa, avevi lasciato un foglio sul tavolo del salone, un foglio a quadretti che tua madre ancora conserva nel cassetto tra i suoi maglioni. Quella sera se lo sentiva, sapeva che aprendolo, la vita, sua figlia e tutto il resto non sarebbero stati più gli stessi.
L’annuncio dell’attesa di un figlio li fece piangere di gioia e di dolore, come uno schiaffo improvviso e una carezza, come se il mondo prendesse a roteare vorticosamente. Forse per la prima volta si accorsero che eri diventata grande e che le decisioni spettavano solo a te.

Ma un foglio a quadretti strappato da un quaderno è troppo poco e tante volte ti sei chiesta perché non sei riuscita a dirglielo, forse per pudore, forse per timidezza o per paura di doverti sentir dire cose che sapevi ma non volevi sentire.
Volevi solo essere appoggiata e piuttosto di non esserlo hai preferito scrivere, forse per la prima volta.

Ti accorgi che la cagnetta sta sognando, piagnucola e muove le zampe, sicuramente sogna di correre, la sua realtà è molto più semplice della nostra, segue l’istinto, anche lei soffre ma lo fa solo in quel preciso momento, poi dimentica.
Intanto ti accorgi che il vento si è quietato, ora sembra più lontano e anche il vaso che non hai avuto il coraggio di tirare su sembra che non rotoli più.
Dagli spiragli della serranda riesci a vedere solo una striscia di cielo che sembra non promettere niente di buono: è scurissimo, senza stelle, sembra che possa cadere sull’asfalto da un momento all’altro …

Anche il giorno del matrimonio fu di corsa, come se il tempo scappasse troppo in fretta per sottrarre ore all’amore, allo stare insieme.
Col vestito bianco e il velo ti sentivi bella e te ne infischiavi di quello che sarebbe accaduto dopo, come tutti i giovani giocavi col futuro e con tutto quello che sarebbe potuto accadere da qui a domani.
Eri bellissima come sempre e piena di amore.
Portavi in braccio il tuo primo e unico figlio come un trofeo e sembrava non vedessi l’ora che la vita ti presentasse l’elenco di tutte le cose meravigliose che avreste potuto fare insieme.
La gioia e il dolore li avevi già provati anche tu partorendo, ma il tuo sguardo era tranquillo, solo a guardarti si sarebbe detto che il mondo ti avrebbe dato ragione.
E in quel momento avevi ragione.

Abbassi il volume della televisione fino a farlo diventare muto, hai sentito un rumore addosso alla serranda, ma non sembra il vento. Poi un’altra volta lo stesso rumore, ora più forte. Sta piovendo. Gocce grandi e decise cadono sulla terrazza, sulla strada, sulle piante ormai esauste dal vento.
Alzi appena la serranda e subito ti arriva al naso l’odore del bagnato sull’asfalto caldo.
Ora la pioggia scende come una tenda e al passaggio di una macchina il fragore dell’acqua con l’impatto dei pneumatici diventa più forte.

Quando eri piccola andavi matta per giocare nelle pozzanghere.
Ti sono venute in mente le galosce rosse che tua madre ti aveva comprato proprio per farti godere la pioggia in giardino alla fine del temporale. Ti piaceva saltarci dentro, allegra di poterlo fare a piè pari, così anche la gonna si bagnava, ma tu neanche te ne accorgevi. Alla fine l’acqua ti entrava dentro gli stivali di gomma e ti schizzavi di fango le gambe e le braccia, e tua madre facendo finta di arrabbiarsi ti cambiava tutta.
Quindi prima ti piacevano la pioggia e anche il vento e ti chiedi da dove fosse nato quel disagio, quello che sentivi adesso.

Chissà dove saranno ora i bambini? Forse si saranno fermati con la macchina da qualche parte in attesa che cessi la pioggia.

Un tuono rompe il rumore dell’acqua, vorresti gridare insieme a lui tutta la tua rabbia, la tua malinconia, ma non ce la fai. Resti ancora in ascolto e i pensieri lì in agguato tornano prepotentemente. Provi a scacciarli alzandoti, infili le ciabatte, chiudi lentamente la porta della stanza in modo che il cane non si svegli e non ti segua. Vai in cucina, apri il frigo e ti versi un succo di frutta.

Col bicchiere in mano, sorseggiando quel liquido rosso, troppo freddo, entri in camera dei bambini, alzi da terra i cuscini, rimetti nel cesto il palloncino col quale hanno giocato fino a pochi momenti prima di uscire.
Stasera senti particolarmente la solitudine, sembra ti accarezzi la pelle e hai come un brivido di freddo. Tutto l’amore si è trasformato in silenzio, in assenza, prima bastava guardarsi e si era sazi ora il vuoto è così grande che niente riuscirebbe a colmarlo.
Gli anni insieme hanno divorato tutto e l’amore promesso non è bastato a saziare quella fame.
Prometti a te stessa che ce la farai, che ne uscirai, che questo è solo un momento della vita, che non avresti mai voluto avere, ma che passerà …

Ti accorgi che non piove più.
Senti dei rumori per le scale e in un attimo i pensieri si dissolvono.
La chiave è nella toppa, eccoli i tuoi bambini. Li abbracci, li stringi forte, ma loro si liberano da te, vogliono raccontarti della pioggia che cadeva così forte che hanno dovuto accostare la macchina e aspettare che spiovesse. Vogliono dirti che un ramo caduto da un albero aveva bloccato la strada e si erano dovuti fermare di nuovo.
Ne parlavano come un’avventura, incuranti, come tutti i bambini, di tutto il resto.
Si erano appisolati in macchina e ora mentre ascoltavi quanto era buona la pizza e che non avevano finito il gelato, li spogliavi pezzetto per pezzetto per poterli mettere al letto.

Finalmente si distendono e dopo poco gli occhi cominciano a chiudersi e il respiro diventa pesante.
Eccoli i tuoi bambini. Hanno il tuo viso e anche quello del padre e quando dormono e i lineamenti si distendono sembrano più grandi e anche più pensierosi.

Ti affacci di nuovo, il cielo si è liberato dalle nuvole e si intravede anche qualche stella, domani sarà una bella giornata. Esci nel terrazzo, raccogli a fatica il grosso vaso che non ha resistito al vento, la sedia di plastica che si è rovesciata, chiudi la porta della casetta dei bambini, richiudi la finestra e te ne torni al letto.

Ora è tutto più silenzioso, anche il vento è cessato, con la porta della camera aperta riesci a sentire persino il respiro dei bambini nella camera accanto. Sei più tranquilla e sembra che tutto riprenda a scorrere, a girare, tutto sembra avere un senso, non ti senti più così sola quando ci sono loro con te.

I periodi bui passano, tutto passa, lo diceva sempre tua nonna ed è un pensiero che riesce sempre a rilassarti, a riconciliarti per un attimo col mondo.

«Uscirò da questa situazione, e lo farò a testa alta, con le mie gambe» l’hai detto a tua madre e soprattutto l’hai giurato a te stessa.
Anche tu sei cresciuta, gli occhi sono diventati tristi, ma dentro senti una forza fino a poco tempo fa sconosciuta.
Il sonno ti coglie sfinita, è l’alba e fuori la nuova giornata sembra promettere sole.

Gloriamaria Pizzichemi



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