Racconto premiato di Giovanni Vanni

Con questo racconto si è classificato al terzo posto al Concorso Città di Melegnano 2008 sezione narrativa


Questa la motivazione della Giuria: «Desolata, tenera e incisiva storia di un cane randagio, Piripicchio. Attraverso i suoi occhi innocenti e candidi, s’intravede la realtà di adulti crudeli, incostanti, a volte sfacciatamente stupidi, interessati all’animale per appagare il loro ego. Piripicchio riceve affetto soltanto quando serve e non è scomodo. Ma non è solo un cane, è un essere senziente che vive l’affetto, la violenza e l’abbandono con la purezza che gli umani non possiedono: attenderà per sempre in un canile l’impossibile ritorno dell’amato padrone. Bravissimo l’autore, lodevole la sua comprensione e la sua profonda umanità». Alessandra Crabbia


Piripicchio

M’hanno chiamato così. Sono stati i ragazzi del mio amico che mi trovò davanti al suo giardino.
Quando vivevo nella strada, m’avvicinavo a lui e l’annusavo tutte le volte che scendeva dall’auto per aprire o chiudere il cancello. Mi piaceva il suo odore, capivo di volergli bene. Spesso mi parlava e mi faceva delle carezze, allora sentivo un pizzicorino in tutto il pelo ed un’emozione che mi faceva fare la pipì, allora ero piccolo e la facevo senza alzare la zampa.
Un paio di volte m’aveva dato anche della carne buona come non n’avevo mai mangiata, a quei tempi avevo sempre fame e non era facile trovare da mangiare. Quando c’erano i bambini con lui, ci scappavano anche le cose dolci, alcune a forma di pallina, veramente buone, anche se si appiccicano ai denti. La donna che era con loro invece no, non mi ha mai dato niente, aveva un brutto odore e non mi piaceva. Io, malgrado tutto, cercavo di conquistarla e le facevo festa, ma lei mi scacciava coi piedi.
Vivevo nelle strade di quella zona. Mia madre era scomparsa da qualche tempo, non la ricordo quasi più. Io e gli altri tre fratelli dovevamo sbrigarcela da soli, non era facile. Dovevo stare molto attento alle automobili ed alle motociclette che facevano una puzza tremenda ed erano veramente pericolose, uno dei fratelli morì colpito da una di queste. Stette un po’ di tempo ad urlare e noi gli stavamo vicini. Poi rimase fermo, lo portarono via quegli uomini che passano sulle strade. Dovevamo stare attenti anche a quelli perché ci scacciavano e cercavano di farci male.
Un giorno rimasi solo. I miei fratelli corsero incontro a due uomini che avevano portato da mangiare, ma questi li acchiapparono con degli strani bastoni che stringono il collo e li portarono via. Io riuscii a scappare e da allora sono sempre stato attento, non mi sono fidato più di nessuno e se qualcuno mi portava da mangiare, prima aspettavo che se ne fosse andato.
Sono veramente strani gli uomini, qualcuno cerca di accarezzarti e ti da mangiare, qualcuno invece ti scaccia. Si deve fare attenzione a quelli che portano a spasso qualcuno di noi col guinzaglio, sono cattivi. Vorremmo giocare e ci avviciniamo, ma loro danno calci e ci mandano via. Anche quelli come noi sono cattivi, spesso mordono e quando ci vedono passare davanti ai loro cancelli si arrabbiano. Ce n’era uno però che mi era amico, era quello grandissimo, chiaro, che camminava lentissimo insieme a quell’uomo vecchio.
Mi facevano i complimenti tutti e due e qualche volta l’uomo vecchio mi faceva mangiare della roba molto buona che dava anche al mio amico grandissimo, ma poi non lo ho più visti.
Dopo un po’ di tempo cominciò a fare molto caldo. Stavo attento a non bruciarmi le zampe, la strada scottava e dovevo camminare all’ombra, ma il problema maggiore era quello di trovare l’acqua. Non capivo perché quella della fontana la chiudessero sempre. Io stavo lì vicino e leccavo quelle poche gocce che rimanevano nel fondo. Ogni tanto però qualcuno mi apriva l’acqua quando mi vedeva che aspettavo lì vicino. Meno male!
Poi avevo trovato quel cancello e mi c’ero piazzato. Aspettavo ogni giorno il mio amico, non so cosa avrei fatto per essere preso da lui. Stavo bene lì, e poi avevo da bere e da mangiare, il mio amico non me li faceva mancare, ma una volta, quando partirono tutti mi dovetti arrangiare. Furono giorni duri, non so come ce la feci. Continuavo a stare presso il cancello perché vicino c’era il contenitore delle immondizie, ogni tanto qualcuno lasciava i sacchetti di fuori e c’era la possibilità di trovare da mangiare.
Per trovare l’acqua dovevo fare tanta strada, avevo imparato che quella che sgorgava da un tubo faceva venire il male alla pancia, peccato perché era vicino a dove stavo io.
Per fortuna, un giorno ritornò il mio amico, coi ragazzi e la donna. Come di solito li aspettavo accanto al cancello. Fu una gran festa, mi dettero tanto da mangiare e quindi accadde il miracolo. Mi fecero entrare. Il cancello che avevo sempre davanti, ora l’avevo dietro. Cominciai a saltare dalla gioia ed i bambini con me, saltavano anche loro. Da allora trovai la casa anch’io. Mi fecero una casetta di legno, ci stavo bene la dentro, ma soprattutto avevo il mio amico.
Ero veramente felice e facevo di tutto per rendermi simpatico e manifestare la mia gratitudine, ma c’era la donna che proprio non mi sopportava, imparai a starle distante.
Il mio amico quando parlava con me e coi ragazzi era calmo, ma quando parlava con quella donna strillava sempre e lei più di lui. Mi portava spesso fuori con la macchina che era grande ed io stavo dietro accanto ad una grata. I primi tempi mi veniva da vomitare, ma poi mi c’ero abituato e mi piaceva tanto andarci.
Un giorno in macchina era salita anche una donna, era simpatica, anche se aveva addosso un odore strano. Mi fece tante carezze. Mi piaceva. Ricordo che in macchina si tolse tutta la pelle che loro chiamano vestiti. Vicino a me capitò un pezzo di stoffa sottile, aveva un odore molto eccitante, riuscii ad agguantarlo con una zampa, per un po’ ci giocai, poi finii per mangiarlo. Capii dopo che quel pezzo di stoffa era importante perché lo cercarono a lungo.
Il mio amico non mi ha mai picchiato. I ragazzi invece, qualche volta mi davano dei calci e si sono anche divertiti a farmi mangiare della roba che mi ha fatto bruciare la bocca, altre volte mi hanno fatto male tirandomi le orecchie e la coda, ma io volevo bene a quei ragazzi perché sapevo che anche loro me ne volevano. Mi facevano molte carezze e mi davano i biscotti. Mi piacerebbe tanto giocare ancora con loro.
Qualche volta vedevo muoversi delle figure strane e c’erano anche strani rumori. Non so da dove venissero, ma i miei amici non se ne accorgevano.
Quando cercavo di avvertirli toccandoli con la zampa mi davano da mangiare, pensando che io avessi fame, oppure mi sgridavano e io non capisco proprio perché.
Una volta mi portarono in campagna. Trovai subito un’amica. Che bello!
Giocai e corsi tanto con lei, per un po’ mi dimenticai dei miei amici.
Quando ritornai mi sgridarono tanto e ancora non ne capisco il motivo. Forse speravano che me ne fossi andato e si arrabbiarono perché ero tornato da loro? Mah, valli a capire!
Nella mia casetta stavo sempre più a lungo, purtroppo, mi ci avevano legato con una catena da quando mi ero divertito a scavare le fosse tra i fiori.
Non so perché la cosa avesse fatto tanto arrabbiare la donna che aveva strillato per quasi tutto il giorno e mi aveva fatto picchiare dal giardiniere, sì che zoppicai a lungo, ma il male maggiore me lo fece alla bocca, non potei mangiare per giorni ed anche ora posso addentare da una parte sola.
Legato a quella catena io mi lamentavo tanto e, naturalmente, abbaiavo. Loro si arrabbiavano quando abbaiavo, ma lo dovevo fare, dovevo avvertire quando c’era qualcosa che non andava. Ogni tanto, infatti, c’era qualcuno che metteva le mani sul muro o si appoggiava al cancello, dovevo avvertirli.
Loro invece si arrabbiavano.
Qualche volta i ragazzi mi toglievano la catena e giocavano con me. Lo faceva anche il mio amico, ma quando la donna se n’accorgeva cominciava a gridare, così mi ritrovavo incatenato di nuovo. Doveva essere lei il capobranco perché gridava sempre. All’inizio le facevo festa, ma lei non voleva neppure che l’annusassi. Avevo capito che non mi tollerava, così, quando mi passava vicino io mi rintanavo nella mia cuccia.
Non so quanto tempo passai col mio amico e la sua gente, ma deve essere stato parecchio, perché ho sentito venire il freddo, poi ancora il caldo.
Un giorno il mio amico e la donna vennero davanti alla mia cuccia. Dalla loro faccia capii che c’era qualcosa di brutto e restai dentro la mia casetta, li guardavo dall’interno. Lei strillava, come al solito, e ripeteva:
«Mandalo via, mandalo via».
Quelle parole l’avevo già sentite altre volte molto tempo prima quando dormivo per le strade, ma quello che capivo di più era il tono della voce.
Voleva dire che arrivavano le pedate e che dovevo scappare, ma in quel momento mi trovavo legato nella mia casetta e non sapevo cosa fare, per cui me ne stetti buono buono, come facciamo noi quando non sappiamo cosa fare, col muso tra le zampe. Arrivarono anche i ragazzi, ma se ne stavano lontani,
in disparte. Sembrava che l’avessero tutti con me. Io continuavo a guardare fisso il mio amico, ma lui volgeva la faccia da un’altra parte. Credevo che almeno lui mi aiutasse, ma sembrava che fosse arrabbiato con me, ma perché?
Io non gli avevo fatto nulla. Tremavo e mi scappava la pipì.
Quella notte feci tanti sogni. Ero rincorso dagli uomini coi bastoni che avevano catturato i miei fratelli, ma non riuscivo a scappare perché scivolavo, poi cadevo in una pozza d’acqua e non riuscivo ad uscire, poi quella donna che continuava a gridare «Mandalo via» mi tirava i sassi.
Il giorno dopo il mio amico mi portò con sé in automobile, ma non fu come le altre volte, non era allegro, non parlava. Stette in silenzio per tutto il tragitto. Aveva una faccia strana, io stavo zitto zitto e lo guardavo, come al solito. Capivo che c’era qualcosa di strano nel suo comportamento. In effetti gli uomini si comportano stranamente, non mi capiscono mai. Certe volte vogliono giocare, ma si stancano subito, altre volte sono allegri e mi accarezzano, poi diventano immediatamente seri; certe volte, quando capisco che mi sgridano o che vogliono picchiarmi, io dichiaro di arrendermi e lo faccio chiaramente distendendomi e mostrando la pancia, ma loro continuano a gridare. Certe volte sembrano non capire niente.
Arrivammo nel posto in cui mi trovo ora. Vidi tante gabbie e tanti altri come me che abbaiavano come forsennati. Un uomo mi prese per il guinzaglio.
Ricordo il mio amico che mi abbracciava, aveva la faccia triste, io conoscevo bene le sue espressioni perché per tutto il tempo trascorso con lui non avevo mai smesso di guardarlo. Poi l’uomo mi mise dentro questa gabbia e mi tolse il collare. Sentii il rumore della nostra macchina che si allontanava perché gli altri cani avevano smesso d’abbaiare.
Per un po’ stetti immobile senza capire nulla. Mi sentivo, frastornato, strano, senza voglia di far nulla. Non mi era mai capitato di sentirmi così, neppure quando i miei fratelli furono portati via e mi trovai solo. Poi, cominciai a guardarmi intorno. Dalle sbarre vedevo gli altri che mi osservavano, qualcuno di sfuggita, qualcuno insistentemente, ma non potevo capire il motivo di quegli sguardi strani che non riuscivo a definire.
Non mi hanno più chiamato col mio nome, Piripicchio. Mi piacerebbe tanto che qualcuno mi chiamasse di nuovo, ma lo farà il mio amico quando verrà a prendermi.
Non so quanto tempo è passato, non lo so valutare, ma certo che deve essere tanto. Molte volte è venuto il caldo poi il freddo, poi di nuovo il caldo… Da queste sbarre ne ho viste tante. Temporali, bufere, nevicate, afa soffocante, una volta c’è stato perfino un incendio e qualcuno di noi è morto bruciato.
All’inizio ho cercato di scappare, ho morso la rete fino a sanguinare, ho scavato, ho fatto di tutto, come fanno tutti quelli che vengono qua: abbaiano, si lamentano per giorni, qualcuno si rintana nella cuccia e non mangia, c’è chi litiga con gli altri, c’è chi muore dopo poco.
La mia vita è stata assai movimentata. Ho vissuto molte esperienze: girovago, mendicante, adottato, addirittura membro di famiglia, poi mi sono trovato incatenato agli arresti domiciliari, infine in carcere. E poi?
Chissà!
Tante cose sono cambiate in questo tempo. Non so perché, ma gli altri cani abbaiano sempre meno, prima li sentivo bene, probabilmente li hanno messi più lontano, adesso non li sento più, neanche quelli che mi portano da mangiare, si vede che hanno smesso di parlare e camminano sempre più adagio perché non sento i loro passi e stranamente non li vedo più come prima, è come se tutto diventasse distante. E poi c’e sempre la nebbia. Anche il pane è cambiato, è diventato talmente duro che non riesco più a mangiarlo, meno male che ogni tanto mi danno della pasta, quella è della stessa qualità, è ancora morbida.
Eh sì, tante cose sono cambiate, anche le persone che venivano qua. C’era una donna tanto buona che mi metteva le gocce negli occhi e mi faceva le carezze, poi anche lei è andata via, adesso non vedo più nessuno, sono sempre solo.
Sono cambiato anch’io però, forse è per questo che non mi dà più retta nessuno. Prima facevo dei salti altissimi, ora invece fatico ad alzarmi e faccio pipì come le femmine.
Continuo ad aspettare il mio amico che non ho più visto. So che tornerà perché lui mi vuole bene ed un giorno verrà a prendermi, io lo aspetto sempre. Quando dormo lo vedo, sento la sua voce ed anche quella dei ragazzi, qualche volta sento anche urlare la donna che diceva:
«Mandalo via, mandalo via».
All’inizio quando dormivo lo sentivo chiamarmi:
«Piripicchio, Piripicchio, vieni, bello, vieni!».
Allora cominciavo a strillare per farmi sentire, e gli dicevo:
«Ti ho sentito, sono qui, vieni a prendermi».
Ma ormai non ci faccio più caso, quando verrà verrà.
Però mi preoccupo un po’ perché non so se riuscirò ancora a fare i giochetti
che lui mi aveva insegnato. Si divertiva tanto. Me li ricordo tutti quei giochi, ma non credo che li saprei fare ancora, non riesco più ad alzarmi sulle zampe e tanto meno a fare i salti. Come farò quando verrà a riprendermi? Speriamo che non si arrabbi.


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