Amori di un uomo di periferia

di

Giovanni Formaggio


Giovanni Formaggio - Amori di un uomo di periferia
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 48 - 6,00
ISBN 978-88-6037-4745

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In copertina: foto del poeta in età giovanile


Presentazione

Una raccolta di poesie d’amore e sull’amore: Giovanni Formaggio sorprende ancora il lettore con la limpidezza e la trasparenza della sua poesia, fatta di piccole suggestioni e di immagini dalla profondità di un chiaro fondale marino.
Un uomo di periferia, questo poeta innamorato del suo paese e dell’umanità che lo abita. Attraverso un viaggio dalle radici storiche alle generazioni future, l’autore riflette e ci trasporta in un passato che scopriamo essere straordinariamente vicino. È questo messaggio che Formaggio vuole lanciare ai giovani: non dimenticare di riflettere sugli attimi fondamentali della propria storia è essenziale per comprendere e vivere pienamente il domani.
Un filo ideale collega le varie poesie: l’amore. Che sia per una donna, un paesaggio, per la famiglia o per un’intera generazione, questo sentimento è sicuramente presente in ogni componimento.
Questi sono gli amori di un uomo di periferia, colti nella loro semplicità, nell’istante del loro sbocciare.
Ancora una volta ci stupiamo della grande sensibilità e della capacità di osservazione propria del poeta. Il poeta ritrae un momento, una sensazione, un’intermittenza del cuore, con grande semplicità e spirito di meditazione, senza intenti didascalici o formalismi.
È questa caratteristica che rende Formaggio un poeta diretto, che sa parlare al cuore di tutti. Percorrendo l’opera, ognuno può a tratti riconoscere sé stesso, le proprie sensazioni, il ricordo di un amore…
La periferia, troppo spesso intesa come “non luogo” o semplicemente “luogo di confine”, diviene finalmente un luogo dell’anima e un paesaggio dell’esperienza.
Un grazie al poeta per aver raccontato l’umanità più vera di tutti noi uomini di periferia.

Luisa Stochi
Vicesindaco e Assessore alla Cultura
del Comune di Pero (Mi)


Amori di un uomo di periferia

“Ai dimenticati”


RADICI


Queste mura

Queste mura
abbracciate dal fumo di periferia
sono l’eco di molte vite.
Trasudano dalle pareti
i volti scarni ma dolci dei miei vecchi
mai dimenticati.
Emergono anni lontani
con bambini odorosi di talco
(quante carezze)
figli ormai altrove…
Queste mura
sono giara mai colma
d’emozioni vissute con la mia compagna.
Sono tomba di sogni preparati
come filigrana, poi spenti
che han lasciato sapore di spada.
Qui, impotente
vedo i giorni accatastarsi
a volte policromi, irripetibili
a volte percossi, contorti come un ramo d’ulivo.
Queste mura discrete
raccolgono i miei perché
in silenzio mi vogliono bene.
Guardano i miei crepuscoli
ascoltano i miei versi
mentre s’alza un forte profumo di menta
dalla pipa
che tra le mani, mi tiene compagnia.


Tracce di te su queste terre

Tracce di te su queste terre
quando d’estate il sole
scioglie trecce di luce sui prati
quando d’inverno la neve
veglia il sonno del grano.
In questa casa
che tramanda il tuo saluto discreto
in un giorno infuocato di luglio
prima di andartene sul Carso.
Tra le pieghe di questi campi
dove la nonna ha frantumato
il suo dolore nel lavoro
poi travolta dal tempo.
Nella parte più viva di noi
che ha raccolto il testamento
della tua penna nera.
Negli occhi dell’ultima generazione
che sgambetta con il cane
attorno al pagliaio
e che domani vivrà nelle vene
questa storia.
Tracce di te su queste terre
quando il tramonto rosso
abbraccia il tuo vigneto
quando l’aria della sera
accende il canto delle betulle
quasi coro di montagna
per un alpino rimasto sul Piave.


El Alamein

“a coloro che non tornarono”

Guardo il vento disegnare sul deserto
ascolto il canto delle palme.
Leggo uno ad uno i nomi dei tanti che
dormono qui
e l’emozione mi gela:
sono tutti del mio paese!
Mi entra nell’anima
quel ragazzo in silenzio
che più in là lega ad un legno bianco
il suo cappello piumato
spinto dal richiamo del sangue.
Stupendo questo tramonto d’africa
senza odio e sete di vendetta
che allunga all’infinito
le ombre delle croci
quasi un abbraccio ai popoli del mondo
alle radici lontane.
Stupenda questa notte d’Africa
che accende su El Alamein
un immenso altare di lumini
per chiedere pace.
Guardo il vento disegnare tra giochi di luna
ascolto la preghiera delle palme
ma tutto mi ricorda
un dolore forte al di là del mare
mentre il calesse della vita
mi porta via…


Lacrime di luce

Alla montagna più alta ho
chiesto
un foglio di ardesia.

Con lacrime di luce
là dove il vento
abbraccia l’infinito
ho scritto il vostro nome
martiri
per la libertà dei popoli.

Là dove fiori sconosciuti
sciolgono eterni canti
d’amore.

Al cielo più puro
ho consegnato la vostra storia
perché la sparga
tra le vie della città
dei villaggi
nel cuore di ogni uomo.

Al sole più luminoso
il vostro grido
perché raggiunga
ogni bimbo del mondo
come pane di pace.


Perle di sole

“a mio padre”

È dentro di me
e vibra con tenerezza
come il fruscio di betulle e salici piangenti
la tua vita.

Vivo
come un cespuglio di rododendri in fiore
che strappa al cielo perle di sole
è scritto qui, nelle vene
il rumore dei tuoi passi
di montanaro mai stanco.

Stupendi come l’alba che gioca
con la rugiada sui petali dei fiordalisi
sono qui, nella radura dell’anima
i giocattoli di legno
plasmati con le tue mani
per farmi bambino felice.

È qui, nel cuore
racchiusa in un abbraccio infinito e leggero
la tua figura di vecchio sofferente
con le mie poesie sulle ginocchia
e un rigo di pianto.

Padre
hai accompagnato sottovoce i miei anni:
grande come l’immensità del mare.

Vorrei gridare al tempo di fermarsi
perché non si spenga il dialogo
che nutre lo scorrere di questa mia vita
che continua la tua.


A mio padre

Ho raccolto
tutte le mie forze
ho gridato
tutte le mie preghiere
per aiutarti
ma i chiodi del destino
mi hanno messo in croce.
E un giorno freddo di marzo
ho vestito la siepe di nero
ho coperto la tua bara di rose
ho pianto tutte le mie lacrime.

Al camposanto ho alzato la mano
per dirti ciao…

Ora invano
cerco nella casa
il tuo sguardo buono
la tua gioia di sapermi poeta.

Mi è rimasto solo il ricordo
delle tue mani
passate sui miei capelli
quand’ero bambino.


A mia madre

“30 agosto 1979”

Stupendo chiarore di luna
che porti via mia madre
inarrestabile ruota del tempo
un attimo.
Scendono nell’anima
come gocce d’arcobaleno
felici ricordi.
Un attimo
ch’io raccolga nelle vene
questi ultimi brandelli di vita
ch’io ripaghi con una carezza
una vita d’amore.

Chiara alba d’agosto
che hai portato via mia madre
prendi il mio pianto
con il gesto cieco del seminatore
spargilo sulla tua tomba
perché ogni giorno
nasca una rosa.


Desiderio

Datemi un Dio
che passi per le strade
della periferia
che guardi gli operai
uscire dalle fabbriche
e respiri l’aria
che ha soffocato
il verde dei pini
e annerito i colori
delle rose.

Datemi un Dio
che bussi alla porta
della mia casa
e sieda alla mia tavola
che viva con me
che giochi col mio bambino
e mi sia vicino
quando amo e quando soffro.
Un Dio che mangi il mio pane
che guardi il ricco
quando mi giudica.

Datemi un Dio
che al tramonto
colga il mio respiro
per festeggiare
UN VECCHIO AMICO.


Sulla spiaggia del tempo

Sulla spiaggia del tempo
sgrano il mio rosario.
I giorni, arrivano, sorridono
e se ne vanno.
A volte portano ore magiche
e mi sento felice
come un bambino d’inverno
con le caldarroste tra le mani.
A volte portano ore coronate
di spine
colme di lacrime dense
e mi trovo accartocciato tra foglie
secche in balia del vento.
Poi sento una mano
che m’accompagna
tra i fiori d’arancio della tua anima
e li chiudo bufere e tempeste
tra pieghe di carezze.
In silenzio rivivo con te
il fuoco mai spento di anni lontani.
Il mio corpo sul tuo fresco e vivo
i nostri giochi liberi
come rondine senza paese.
Ti stringo e ti chiamo forte
per paura di perderti
ti porto su mongolfiere colorate.
Così sull’altipiano dell’amore
nella spiaggia del tempo.


Vorrei

Vorrei non essere un granello di sabbia
nella clessidra del tempo
portare a ritroso le lancette delle stagioni
vestire l’abito dell’infanzia.
Ancora acerbo bambino correre;
in una scatola di cartone
chiudere libellule e farfalle.
Sudato,
sopirmi nell’abbraccio ombroso
degli alberi,
al sole, poi, correre correre ancora
inseguito dal cane…
Scavare la terra
nascondermi
annusare l’aria per cogliere
l’odore di cotto della focaccia che lievita…
Sentire la mano nodosa di mio padre
sui capelli
prima di attaccare la falce al muro
dopo il suono dell’Ave Maria.
La voce delicata di mia madre
allo schiudersi del giorno
all’arrivo della notte
guardare la sua figura
che mi rimbocca le lenzuola
profumate di lisciva.
Vorrei…
Ma il filo di fiordalisi e papaveri
strappati al campo
s‘è rovinato nel gomitolo degli anni.
È rimasta su una sedia tarlata
solo la figura tremante di mio padre
che guarda lontano.


L’ultima stagione

Prende dagli occhi la pena
dai grani del rosario la speranza.
Le dita sulle ginocchia
portano
gli ultimi giorni del calendario.
Una mano mi stringe
come una tenaglia:
un cerchio di pupille mi guarda
ma non fa luce.
Mi spacca il cuore
l’ultima stagione
di questi che se ne stanno andando.


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