I coccolatori

di

Giovanna Flamini


Giovanna Flamini - I coccolatori
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 78 - Euro 8,50
ISBN 978-88-6587-0129

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Prefazione

Erano le undici di sera e faceva freddo. L’ultimo brano che avevamo provato era stata una languida e trascinante “Ave Maria” di Villa-Lobos. Anche noi ne eravamo illanguidite, Paola, Silvia, Giovanna, soprano, soprano, contralto. Ora, dopo aver salutato il Maestro e i colleghi di coro, ci stavamo avviando all’auto di Paola che avrebbe riaccompagnato me e Silvia a casa. “Però”, aveva sospirato Paola fermatasi vicino allo sportello senza aprirlo, “non sarebbe bello se, arrivate a casa, trovassimo qualcuno che ci coccolasse? Intendo dire, qualcuno proprio in grado di farle per bene, le coccole”. “Che sciocchezza” aveva ribattuto Silvia rabbrividendo leggermente, la mano avvinghiata alla maniglia della portiera ancora chiusa, “chiunque è in grado di fare le coccole, è qualcosa di istintivo in tutti noi. Apri la macchina, per favore”. “Questo sarà anche vero”, aveva continuato Paola vaga e imperturbabile, “ma, vedi, se le cose non le pratichi, è come se non le sapessi fare, il risultato è lo stesso. Hai in mente qualcuno di tua conoscenza che sia un bravo coccolatore?”. “No”, aveva risposto Silvia battendo i piedi e avvolgendosi meglio nella sua sciarpona turchese, “e allora tu che proponi?”. “Propongo, che so, una scuola, una specializzazione, un master. Anzi no, propongo che si sottragga un’ora alla didattica settimanale delle scuole medie per inserire la materia Coccole”, intanto finalmente la sua mano si era avvicinata alla serratura dello sportello, “direi che si potrebbe sottrarre all’orario di matematica o di scienze”. “Che cosa?”, ero saltata su io, “tu devi essere fuori di testa, la matematica e le scienze sono il perno della nostra civiltà, e lo dici tu, che sei per giunta un medico, in mia presenza?”. “Giovanna, reagisci così perché probabilmente anche tu hai dimenticato il piacere di far scorrere il tempo con le parole tenere, le carezze, gli abbracci. È inutile illudersi, la scienza sta diventando solo una fredda sezionatrice di fenomeni”. A quel punto stavo per rispondere, volevo dire che io riempio di carezze i miei due cani, ma intanto Paola, ormai ammutolita, aveva aperto lo sportello, si era infilata al posto di guida e aveva acceso il motore. Un’ultima sensazione di freddo, un’occhiata tra me e Silvia. Poi ci siamo infilate in macchina anche noi. E chissà perché, a partire da quella sera delle coccole non si è più parlato. Ma io ho continuato a pensarci.



I coccolatori

“Non c’è da stupirsi nel vedere quante cose restano ancora da spiegare sull’origine delle specie e delle varietà, se si considera la nostra profonda ignoranza sulle relazioni reciproche fra i vari esseri viventi che esistono intorno a noi… queste relazioni sono della massima importanza perché determinano l’equilibrio attuale e, a mio giudizio, il successo e le modificazioni future di ogni abitante di questa terra.”

Charles Darwin, 1872 – On the origin of species by means of natural selection or the preservation of favoured races in the struggle for life.


1.

– Insomma, perché? – chiese Anne.
– È davvero una domanda singolare da parte tua, Anne,… da parte di una delle migliori rappresentanti del corpo docente, intendo dire – rispose Philip Sanseveri senza alzare gli occhi.
Mio dio, speriamo che proprio oggi Anne non sia nel picco del suo periodo elettrico, pregò tra sé Roberta.
L’altra si frenò e tacque.
– E quindi – sempre con lo sguardo abbassato sulle sue carte l’uomo continuò – da lunedì potrete dare inizio al vostro corso. Tu, Roberta, come convenuto, ti occuperai della parte pratica pomeridiana, ma permettimi di consigliarti di presenziare anche alle lezioni del mattino, non potrà che farti bene…quest’anno Anne ha il più alto score di gradimento tra gli insegnanti di biomedicina.
– E quando – interruppe sbrigativamente Anne – potremo disporre del nostro compenso?
– Già… – il volto abbronzato dall’espressione fredda si sollevò verso le due donne in piedi davanti alla sua scrivania – francamente non so ancora come ci regoleremo, data la novità. Ci penseranno in amministrazione. E ora firmate questi contratti, così potrete subito dedicarvi alla ricerca di un alloggio, non se ne trovano facilmente in questo periodo, e avete solo un giorno.
Dopo aver girato a turno attorno alla scrivania per firmare i documenti sotto gli occhi del “sovrano assoluto” del Dipartimento Centrale di Genetica, le due raggiunsero la porta dello studio e si volsero per accomiatarsi. L’uomo sollevò una mano senza parlare ed esse si ritrovarono a scalpicciare sulla soffice moquette di un largo corridoio dell’Interdipartimento di Scienze Bioumane dove presero un ascensore giunto al piano nel più assoluto silenzio. E dopo pochi secondi furono fuori dall’edificio.
– Forse poco fa non era il momento migliore per fargli quella domanda – suggerì Roberta alla collega che le camminava accanto col capo abbassato.
– Invece era un ottimo momento, solo che, come avrai notato, non abbiamo ottenuto alcuna risposta.
– Sanseveri ha detto che tu hai lo score più alto…
Anne non rispose, così Roberta proseguì:
– Ma infine, Anne, se ci rifletti bene tutta la questione si riduce a resistere qualche settimana in questa sede disagiata per insegnare un argomento nuovo, e di questo genere di cose non è mai morto nessuno.
–Non lo so, Roberta… è inutile che ti ripeta ancora che tutto questo continua a sembrarmi molto, molto strano…
Le due donne, tirandosi dietro i robusti trolley, proseguirono lungo il vialone che conduceva alla fermata del minibus diretto alla Zona Residenti.
Nel frattempo Sanseveri aveva raggiunto la finestra del suo studio per osservarle.
Le guardò allontanarsi, piccole e nitide, mentre intanto gli sembrava di sentirsi risuonare nelle orecchie ogni singola parola dei loro discorsi. Parole e discorsi che, peraltro, era in grado di immaginare perfettamente.


2.

– A cena adesso! – disse Roberta infilando il proprio trolley sotto la sua metà del letto matrimoniale in dotazione alla stanza 18-19 del lotto 25, l’unica rimasta disponibile per visitatori esterni a breve permanenza.
– D’accordo, anche se il maledetto snack che ho buttato giù durante l’ultimo tratto del viaggio non si è ancora deciso a fare pace col mio apparato digerente – replicò Anne tirando un faticoso sospiro.
– Niente paura, sai bene che si tratta di uno dei tuoi soliti mal di pancia post-trasbordo.
Roberta controllò con un’occhiata la compagna di stanza e quello che vide la indusse a raggiungerla all’altra sponda del letto.
– …Anne… ma non vorrai farmi credere che sei davvero turbata per questa storia. Io pensavo che saresti stata addirittura riconoscente nei confronti di chi si è finalmente mosso per prendere questa decisione.
– Ma, andiamo, chi mai può aver preso questa decisione? – sbottò Anne – la stessa commissione che da anni, e tu ne sei testimone quanto me, ci nega un budget degno di questo nome? E adesso, improvvisamente, che cosa dovrebbe essere subentrato per far loro cambiare idea? E poi perché mandarci nella più sperduta periferia dell’Interstato?
– D’accordo, e allora ascoltami. Sono ormai cinque anni che lavoriamo insieme, un po’ di fiducia da parte tua dovrei essermela guadagnata, quindi, ora che siamo qui da sole, potresti anche provare a confidarti…
La mano dalla sottile pelle olivastra di Roberta si posò sul braccio di Anne e lo strinse con calore.
– Tu hai ragione, Roberta – disse indulgentemente Anne – sei abituata a vedermi affrontare le novità e le difficoltà con ben altra sicurezza, quando ne comprendo la necessità, ma adesso l’idea che dovremo restare per un mese in questo angolo dimenticato da dio per trattare quell’argomento davanti a una classe di cui non oso immaginare il background biologico…
Intanto fuori era sopraggiunta una cupa sera invernale che costrinse le due donne a sostituire gli indumenti da viaggio con pesanti piumotti ben visibili nell’oscurità opaca della Zona Residenti.
Uscite dal fabbricato, il vento notturno investì in pieno i loro volti e le costrinse ad aspettare in silenzio il minibus che le avrebbe trasportate al centro-mensa.
Poi, mentre il veicolo procedeva verso il nucleo centrale dell’installazione, per evitare di immergere lo sguardo nel buio che regnava loro intorno, si concentrarono sullo schermo del minicomputer di Roberta, assistendo in diretta a una sequenza di chiassose smorfie e risate interpretate da suo figlio Boris, un possente maschio di tredici mesi in quel momento fisicamente lontano dalla madre di una quantità quasi incalcolabile di miglia.
Il quale, come previsto e preannunciato ad Anne dalla stessa madre, fece puntualmente oscurare il video e terminare il collegamento strappando entusiasticamente la centralina dalle mani del padre per lanciargliela in testa.


3.

– Come inizierai la prima lezione?
– Pensavo con la Sindrome da Trauma – replicò Anne con aria assorta osservando dalla sua ordinata, perché vuota, postazione il caotico spettacolo di briciole e tovaglioli di carta prodotto dalla sua collaboratrice – …del resto l’insieme stesso delle esistenze umane altro non si può definire se non un variegato campionario post-traumatico, visto che presto o tardi nella vita chiunque sperimenta qualcosa di simile.
– E con quale capitolo in particolare? – chiese Roberta succhiando golosamente dalla cannuccia le ultime gocce della sua “Lypple-Cola”.
– Pensavo di prendere come modello esemplificativo gli abusi sessuali, mi sembra che…
Anne stava per continuare, ma si frenò e strinse le labbra di fronte all’espressione bruscamente corrucciata di Roberta, rendendosi conto che per qualche motivo il terreno della conversazione si era fatto scivoloso.
…Abbastanza bizzarra come reazione, dato che quell’argomento era già da un paio d’anni uno dei principali filoni di studio del loro gruppo…
– Comunque – intervenne Roberta dopo aver velocemente deglutito – dal punto di vista teorico tu te la potrai cavare senz’altro agevolmente, pensa invece a me… alle prese con gli aspetti pratici!
E sotto lo sguardo ancora molto perplesso di Anne le ultime parole uscitele di bocca sortirono sulla giovane collega un effetto quasi esplosivo, cancellando rapidamente la contrarietà dal suo viso e facendo sì che un singhiozzo intermittente di riso cominciasse a gorgogliarle nella gola, mentre intanto dai tavoli attorno qualcuno girava il capo, incuriosito dall’improvvisa crisi d’ilarità di una delle docenti di Grande Sistema, i due ultimi arrivi pre-natalizi presso la Decima Succursale Periferica dell’Università Biomedica di Holyhome.
– Mi rendo conto di quanto possa divertirti immaginare una classe di periferici che si esercita sull’argomento, ma sai bene che ciò che farai loro eseguire verrà invece accolto solo come qualcosa di terribilmente noioso.
Ma anche ad Anne scappò una mezza risata. E, forse perché sollevata dalla vivace frenesia della compagna, in quel momento sentì nascere prepotente in bocca la voglia della sua sigaretta serale, quella delle giornate di lavoro concluse con un esperimento ben riuscito, (…e già cominciava a farsi sentire anche la mancanza del suo rassicurante tavolo di lavoro, invaso dai protocolli e reso garbato da qualche oggetto personale…).
Meglio non pensare a queste cose. Qui, per un mese, l’unico laboratorio a disposizione sarebbe stato quello dedicato agli studenti, e gli esperimenti da effettuare solo una serie di esercitazioni.
Quanto poi alle sigarette, si trattava di qualcosa da dimenticare tassativamente.
Pena, l’avevano messa in guardia prima di partire, gravi rischi per l’apparato respiratorio, peraltro già destinato a sostenere un impegnativo impatto quotidiano con la particolare composizione atmosferica locale.

4.

L’aula J2, targata “Scuola Infermieri”, profumava di caffè. La porta era stata appena chiusa e l’odore della corroborante bevanda spillata dall’imponente macchina dispensatrice collocata giusto accanto aveva fatto in tempo a insinuarsi dentro l’ambiente ancora freddo della notte appena trascorsa.
Anne Jarrillaud e Roberta Bodransky erano sedute ai due lati di una piccola cattedra, e la docente più anziana stava illustrando ai dodici ancora assonnati studenti il programma della sezione pre-natalizia del trimestre.
– Mi auguro siate già in possesso di qualche nozione di Grande Sistema, poiché gli insegnanti di Anatomia e Fisiologia che ci hanno appena preceduto avrebbero dovuto prevederne dei cenni nei loro programmi. In ogni caso, io e la mia collega riprenderemo l’argomento nelle sue linee generali, per poi focalizzarci sulla vera e propria finalità di questo corso, e cioè… le coccole.
Come colpita da una folata di vento la classe fluttuò repentinamente mentre fischi sommessi ed espressioni comicamente sbalordite accompagnate da sussurri interrogativi si inseguivano tra i banchi.
L’elegante silhouette della quarantacinquenne docente, strofinandosi leggermente una mano sulla fronte, si alzò e attraversò l’aula per raggiungere la spaziosa vetrata al di là della quale la brezza mattutina giocava con spirali di polvere desertica nella luce verde limone; aveva bisogno di dare le spalle ai presenti per qualche secondo.
Entrambe le docenti avrebbero comunque scommesso che la minuta e compunta studentessa seduta tutta sola nel banco centrale della prima fila avrebbe prontamente alzato la mano e atteggiato il suo volto sumero-lappone a un’espressione esplicitamente diffidente:
– Professoressa, ha proprio detto… coccole? – fu l’inevitabile domanda.
Anne fece un lieve cenno del capo a Roberta; in quello stesso momento sentì fiammeggiare su di sé lo sguardo scurissimo di un ragazzo dal grosso naso e larghe spalle ossute seduto nell’ultimo banco alla sua sinistra e provò l’impellente necessità di stringersi una mano con l’altra per vincere la leggera scossa elettrica che le stava guizzando dalla nuca ai polsi.
– Ebbene, sì… – Roberta si stava lisciando nervosamente le corte trecce arruffate messe insieme dopo la doccia – è stata pronunciata la parola coccole, e scommetto che voi non avete neppure la più pallida idea di ciò di cui stiamo parlando. Ma questo è del tutto comprensibile, poiché si tratta di un argomento che non ha mai fatto parte di alcun programma didattico. Anzi, a questo proposito aggiungerò che io e la mia collega, se il corso riuscirà ad essere ottimizzato in questa sede, avremmo intenzione di estenderlo anche ad altre scuole dell’Interstato… È bene quindi sappiate che vi trovate in una situazione in qualche modo privilegiata, quella di essere cavie e sperimentatori allo stesso tempo…
Roberta approfittò del silenzio che era di colpo calato sul gruppo di nove ragazze e tre giovani maschi e concluse.
– E ora lasciate che vi consegni nelle mani esperte della professoressa Jarrillaud, valente neurogenetista, per l’avvio ufficiale del corso.
– Naturalmente ti invito (e grazie infinite per esserti inventata con tanta prontezza la storia dell’ottimizzazione, delle cavie e tutto il resto e, ti prego, non lasciarmi sola in questa situazione!) a trattenerti in classe per questa prima lezione – intervenne Anne con voce già cattedratica, ottenendo così che Roberta, sia pure a malincuore, spegnesse prontamente il suo minicomputer e riaccostasse la porta dell’aula, fuori dalla quale sarebbe altrimenti silenziosamente scivolata per godersi in tutta tranquillità lo spettacolare pasto serale del suo ciarliero e opulentissimo primogenito.

[continua]

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