Paradossimori

di

Gilbert Cerbara


Gilbert Cerbara - Paradossimori
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 40 - Euro 5,80
ISBN 978-88-6037-7678

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Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è 8° classificato nel concorso letterario Il Club dei Poeti 2007


In copertina: Capi-versi di Gilbert Cerbara


(Ho eretto)

Muri che non facevano entrare il dolore
Non lo facevano nemmeno uscire.

Ma a un certo punto un’emozione positiva
Uno spiraglio:
“Benvenuto, puoi passare”

In un istante, da quello stesso taglio
Quel passaggio capillare,
Ecco che si riversano decine di demoni.

Troppo dure e insufficienti le parole
Incredibile e pesante da sostenere la verità

Nella poesia ho trovato il modo,
Sovvertimento del buio e precipizio nel sapere.

Un senso compiuto anche se cifrato.
Dove tutti, tutti i mostri sono svelati.


Paradossimori

PREFAZIONE

Vita di ossimori,
Di tempi immobili,
Di ricordi immemori,
Io canto.
(È una mutazione inapparente)

Vita di scarsi sorrisi,
Di slanci derisi,
Vita di tempi duri,
Di desideri impuri
E mille pensieri oscuri.

Vita di cambiamenti
E costosi miglioramenti.


L’ultimo sogno
(Quando sarò nessuno)

Come aumenta il mio vissuto
Sbatacchiato tra la grandezza dell’essere
E le miserie dell’esistere,

E nelle mie mani ciniche di uomo
Si contano domande,
Si raggruppano problemi.

Mentre prudentemente oramai vivo,
Subendo un destino
Mai cercato,
Mai completamente amato;

Il mio crescere e annientarsi,
Annichilirsi; compromettersi.

Come una puttana vecchia
Senza ormai più brividi
Senza più splendori,
Subisco le ingiurie del tempo
E di diffidenti compratori.

Schiave del mio disincanto
Le mie rughe antiche
Sull’involucro dell’anima
Diventano voragini,
Inutili coccarde
Ricordi cestinabili,
Orpelli da sacrificare.

Vessilli di esperienze inutili,
Macerie da secchio e sottofondo,
Nella mia deriva ciclica
E silente disperazione.

Com’è buio il mio mondo senza sogni
E freddo lo sguardo degli uomini,
Rinchiusi nel calcolo degli utili
Arabescati dei beni più futili.

Dichiaro chiusa la mia prima vita;
Sull’urna degli ideali
Depongo un cuore; il mio primo.

Lascio una tavola piena di briciole
Avanzi ed affanni,
E mi immergo nel niente
Così addobbato e vasto.


La strada prende quota

Semplicemente puoi aspettare
quel po’ d’amore che volevi
ancora un altro giorno.

Sopravvivi allora,
e copri il castello di carte e i tuoi dolori
cammina sugli spilli con la pelle dura.

Da un lato un muro
dall’altro un vuoto senza fine,
troppo avanti per tornare indietro
troppe cicatrici per ricominciare.

Ricorda: a volte sorridi…

Alla partita, ai giocatori,
Alle carte, ai tuoi tre sette,
non lasciare più, devi giocare:

Avvilito sì, ma non vinto:
bevi sangue, ma se ne sei costretto.
Percorri la tua strada.

Allora, col peso dei tuoi errori
allontanato da te ogni dubbio
e sorridendo…

Solo allora…
umilmente vai a morire.


Al dolore

Dal delirio
Dal rancore
Dal dolore a questo istante

Dal furore
O dal perdono
O l’abbandono alle parole

Dal sospetto
Preconcetto
Al confronto con il mondo

Dolore
Vieni avanti,
Benvenuto.
Maledetto!


L’amore ortogonale

Non respingo il ricordo che mi inonda
e lo sento attimo per attimo
mentre il desiderio di te mi spacca i sensi
come il sole fuori dalle mie sbarre

E come può bastarmi
un già lontano sapore
che vorrei ancora
mille altre volte ancora?

Per effetto dei tuoi sguardi
e dei miei sensi impazziti
io non posso dimenticare,
che in questa vita
così spesso troppo amara

vivendo qualche attimo di estasi rubata
sono comunque felice

perché il mio attimo di tutto
l’ho vissuto.


I primi trent’anni di equivoci

Longevi sono i sogni e si proiettano abusivi
Su alcune notti e mi addormento.
Tanti dubbi,
Tempo sempre meno e miracoli di pensieri.

Vado. Vado perché devo
Devo perché voglio,
Voglio perché ho voglia.

Rubo alla morte più tempo che posso
Tutta una vita.. intera
Alla ricerca di dati certi
E ogni giorno il bisogno di averli finalmente trovati.

Vivo e miglioro; o solo cambio,
Nel cervello strane idee
Soli rettangolari e pensieri in fiamme…

Percezioni sghembe e trasversali
Svariati narco-minuti, tanti piccoli “ancòra”…
Ma nessun dato certo neancora.

Sensi gestiti all’ingrosso, agonia di minuti obbligati.
Disillusione e disincanto,
Sfiducia verso i miei futuri me,
Per i sicuri abissi certi che mi aspettano.

Intento l’essenza, un bulbo primigenio
(Antegenio addirittura) non può mutare,
Scarnificati e nudi
Sotto una corazza di lucido ferro battuto.

Elegia dell’inutile. Terapia della parola
Un dopo, due dopi
Non c’è più salvazione.
Pioggia di perle di pianto.


Ondivagare

Che bella pelle (ombelico a parte)
Capelli vaporosi, io ti capisco
Ti piace piacere: sei l’oggetto.

Io invece no, io sono il soggetto
Barba lunga e capelli distratti.

Conosco un uomo orribile: sono io
Io sono l’eccesso, io vengo dall’abisso
E volo da sempre, coltivo dolore
Il suolo per me non esiste.

Il mio cuore è un abitacolo per decine di spettri
E la mia vita la mangio buccia e tutto.

Mentre usi tutto il tuo potere su di me
E sai che è tanto,
E sai che mi colpisci e mi ferisci
Basta un solo sorriso e non ho scampo

Io ti temo, temo i tuoi luoghi
Temo le tue amiche sagge
Temo le tue frasi salde

Fai bene a non fare come me
A non darti mai completamente
Restare senza pelle sotto il sole e nella neve
È difficile

E fa un gran male, credimi,
Ascolta un uomo senza pelle
Come me


Dissi – non mi capisco – non rendendomi conto che in realtà non mi approvavo

Sforzi inutili e fatiche offese e derise
Disincanti ed infine abbandoni

Un continuo è il mio vivere
Senza spazi vuoti, senza silenzi
Senza inizi, senza fini.

Ogni cosa dentro me modificata e parallela
Sembra vera tutto il giorno

Non importa, soffro solo, con la mente
Incompreso, incomprensibile
Desiderio di impossibile

Troppo a lato di un: lo voglio
Resto intanto nel mio sogno.
E la mia bocca madida di sudore
Come il mio corpo distratto tra le ore.

Io dico al vento di scuotere i muri
Di rompere i vetri invisibili e puri

Guarda come mi guarda, rantola e stupisce
Quel mio bastardo di corpo,
Che annaspa a terra e tossisce.

Ha gli occhi puri, ed i capelli come ceramica
E mille pensieri oscuri
Mentre l’asfalto brucia sotto le sue natiche.

E nelle sue mani, fredde come caimani
Stringe un filo.
Quasi spezzato, già troppo liso,
Mentre io;
Volo già così in alto.


Sento piangere un fantasma mai nato

Non sarai grande
Né sorriderai
Tristemente muori,
Non nasci a primavera.

Inconsapevole; sparendo
Senza il minimo rumore,
La gola che fiotta
Un grumo di cuore

Universo mai nato
Del mio cuore.


Il pescatore di pioggia

È nuotare,
Negli affanni; senza appoggi
nella pioggia;

Passa il tempo delle attese…
(Verità sospette)

Sollevo a fatica il mio sudore
Nella rete saraghi e sardine
Rivenduti per un altro pasto.

Tempo messo da parte
Per un tempo che non avrò più
(Anche se mi fermassi adesso)

Di certo non rimane che
nuotare nella pioggia e
già molto lontana tu.


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