Opere di

Gianmario Lucini


Testi da: Paesaggio in lame di sole, 2009


C‘è carburante per dieci o vent’anni
nell’ipotesi migliore – dice il macchinista – e il capitano
ancora in preda ai postumi della sbornia
notturna incupisce e non risponde.

Continua la nave a salpare. La prora
solleva schizzi di mare fino alle stelle.

Il macchinista crolla il capo e s’inabissa nella stiva.
Il capitano sbuffa a piene gote
fissa un punto lontano fra azzurro e azzurro.

Visto di profilo sarebbe un ottimo soggetto
per un ritratto emblematico.


I biglietti sono tutti venduti, possiamo partire
non importa se mancherà il carburante
sul mare di Ischia o sorvolando le Cinque Terre
siamo un equipaggio ricco di inventiva
troveremo una soluzione conveniente.

Il golfo di Napoli nella notte decembrina
pare un presepe e un tepore discreto
sale sino alle nostre altezze rallegrandoci
perché un minuto può contenere l’eterno
e qualche minuto potrebbe non finire

riverberare nello spazio e rifondare il tempo
come un piccolo big bang artigianale.


E’ come trovarsi invischiati nella cronaca spoglia
d’un dramma di congiure dove ognuno
conosce il ruolo d’ogni singolo attore

l’eroe, il traditore, il santo, la puttana,
la nutrita marmaglia di clienti e di sciacalli

e passo dopo passo studiare ogni copione
fingere d’ignorare antefatti e conseguenze
il nome dei carnefici e quello delle vittime

ignari d’ogni mossa che s’avvera conosciuta
da sempre – che il divinare è l’arte del banale
per antonomasia nelle vicende umane –.

La stizza di non poterci estraniare
ci rende estranei al dramma meschino
di noi che fingendo di non partecipare

continuiamo a recitare il copione del cretino.


Invece di tacere parlerà l’arroganza
d’una domanda retorica: “forse
sono io il guardiano di mio fratello?

Ingranaggio d’un sistema che macina
guidato da un principio omeostatico
che tutti sanno e nessuno conosce,

ho rubato, ma soltanto quel poco
che mi consente la legge degli uomini
e il pollo a sua volta era un ladro;

ho ammazzato ma fu per obbedire
all’ordine costituito e di lontano
senza guardare negli occhi il nemico;

ho spergiurato a volte per difendermi
– invero il condannato era già pregiudicato:
ho agito colludendo con la logica

maniacale del sistema –. Ho venduto
l’onore dei miei cari a prezzo di mercato
gli occhi di mia madre, l’orgoglio

dei miei figli e la dignità malata
dei miei amici. Ho vissuto una vita
normale, senza uscire dal mio guscio.

Da tutto questo non ho tratto beneficio
non sono al vertice della piramide sociale
e neppure alla base, sto nel limbo

mezzano senza ombra né luce
ho una voragine ai piedi e una sopra il capo
ho dentro il nulla, il tutto, l’indefinito

parlo e non dico, ascolto e non intendo
sono un numero che gonfia le statistiche
senza cambiare la sostanza della storia

– piccoloborghese indegno di memoria.


Oggi fiutavo un vento fetente sulla spiaggia
un sentore di cadavere dormiente
cullato da un rimorso di risacca

e sull’auto lungo in litorale
ancora quest’immondo sentore
stagnante nelle fiumare.

Rincasai, lessi un poeta
per mitigare il fetore che forte levitava
fino al mio terrazzo aperto verso il cielo

poi finalmente mi annusai il vestito
ma volli illudermi di non aver capito
che cosa non saprei – posso aver fallato,

avrò torto io… Il coraggio,
uno non se lo può dare. Ho mancato;
ma cosa dovevo fare,

in un frangente di quella sorte?


Anche i santi fuggono l’ultimo campo di battaglia:
non restano che gli eredi d’una storia
di ladri e prostitute a scrutare dai sicomori
e il Nazareno che emette l’ultimo grido
prima che la terra tremi.
Ogni giorno si rinasce per morire dei medesimi mali
dal canto del gallo alla chiusura di Wall Street
appena dopo l’ora nona quando la luce declina
e la mestizia della sera si avvicina al trotto della bestia
in exitu Israel de Aegypto, volgendo verso il deserto
teatro d’ogni miseria umana e d’ogni regressione
perché l’arroganza si paga col sangue umiliato
e in eguale misura
nequando dicant gentes: “ubi est Deus eorum?”.

Siamo così abituati a farci trucidare
che i nostri stessi assassini ne sono disgustati;
Dio terrorizzato dalla nostra inettitudine
permette l’ennesima tentazione di Satana
al Figlio:
la vita del povero per il benessere del ricco
in cambio del vessillo della libertà;
ma il Nazareno non è sciocco
accoglierà con giustizia la nostra eutanasìa
il sangue di poveri ignavi
la cecità ostinata dei piccoli borghesi
complici per aver sovvertito
il delicato equilibrio del creato.


L’ultima notte
a Luisella Pisottu

Chi è piegato, amica, non ha voce
non vede oltre il presente e il passato
e in questa notte a un vento che urla
come un coro di ubriachi
ripenso ai volti dei miei incubi
piccoloborghesi
alle parole che ci siamo detti
nella verità rarefatta del telefono
al fango che cola dai tuoi rubinetti;

ma la grande sete non è che una metafora
che prende forma e sangue nelle nostre mani.

Il vento fischia e la notte è guasta, senza luna.

Il Paradiso è a un passo
nella direzione sempre opposta,
in direzione ostinata e contraria.

Dillo agli amici, che li verrò a trovare
portandomi in tasca un nido di vespe
e nelle mani i nostri peccati
e tutte le bandiere che abbiamo seguito
su spiagge infernali
tramutando in oro la rena rubata
e la farina in polvere da sparo.
Dillo che sono sazio di rimorsi
di raccontare inferni e sognare paradisi
che è un tempo cruciale il nostro
per rifondare il tempo
e non sarà data altra occasione
– perché anche l’Iddio di Gomorra
ha esaurito la sua pazienza.

Porterò nelle mie tasche parole di ladri
odi triviali, preghiere blasfeme
incastonate in un amore di terra
e azzurri
di un altro cielo su cui scriveremo
le nostre condanne alla gogna:
“poeti senza fede
nella verità della parola”. Accogli
e cancella questo mio cosmico disgusto
per i versi scritti e letti senza fede
questa rivolta contro me stesso e il mondo intero
accoglila con sangue più nuovo e più vero
e con la fronte alta scruta nel buio
veglia nell’ultima notte di vento
e l’aurora non ti colga dormiente.


Non ho uno stomaco da gasteropodo
non posso strisciare sul filo d’una lama
senza sanguinare.
Ogni giorno viaggiando nella vanità
del nulla mi ferisco
spargo sangue sulla polvere
come Onan il seme inutile.

Dio mi guarda impassibile
giocatore di poker.

Davvero è pazzia tentare la poesia
se il cuore è ingombro di macerie.

Guarirò la mia malattia
Smetterò di bluffare,
lascerò il mio cadavere per via.

Che almeno dalla mia carcassa, Signore,
possa fiorire un verso in lode alla bellezza
un fiore tutto per Te, tutto nostro.


Non posso dire in versi l’impoetico
che dorme in fondo al nostro mare
perché non è poesia la metafora o la rima
con tonnellate di scorie radioattive

che la n’drangheta inabissa da trent’anni
sulle rotte degli elleni e dei fenici
e su fino ai mari dei dogi;
non fa poesia e ormai non fa notizia.

Ringrazio Dio di non avermi dato figli
ma lo prego di non togliermi il disprezzo
per i versi che cantano bellezze
in quest’era di morti che non sanno

d’esser morti; lo prego con fervore
ch’io trovi versi dall’acido sapore
dello sdegno e del disgusto
volando basso incuranti del futuro

di sé presso nascituri
gettati in un mondo d’ipocrita poesia
di cronaca omertosa e di parole
che uccidono tacendo e non tacendo.


Si professa etico il politico italiano
di notte a puttane e di giorno sugli altari
a mendicare appoggio al tal cardinale
di comprovata fede clericofascista
in cambio di uno sgravio fiscale
una leggina ad hoc per le opere buone
da fare in compagnia
per l’alberghetto, l’ostello, la penzioncina
o la scuoletta che si fregia di una croce adamantina
dove il politico cattolico manda i suoi figli
perché la scuola pubblica non è più redimibile
troppo squassata da tempeste secolari.
Il politico etico si crogiola nel dilemma
di come servire bene due padroni
ha slanci ascetici ma miseramente frana
su questioni di confine fra divino e umano
prega per i poveri ma pensa ai petrolieri
alla finanza creativa a come ripagare
il voto di scambio a mafiosi e ‘ndranghetisti
s’inventa frottole e le vende per ragioni
razionalizzazioni per scelte razionali
fa un gran baccano, occupa la scena
dei mass media e della televisione
con un occhio ai sondaggi e un altro al Vaticano
ha parole buone per i deboli ma in segreto
li crocefigge con decreti inumani
ama i negri e i rumeni purché lavorino
e dopo il lavoro spariscano lontano
da ogni sguardo in una casa di sogno
con pareti di vento e letti di parole.
Il politico etico è una nemesi di natura
per un Paese sfatto e senza più cultura.


da Sapienziali, 2008


Qohèlet, principe fantastico

Dove c’è molta sapienza c’è molta tristezza
se si aumenta la scienza, si aumenta il dolore
Qo, 1, 18

Qohélet, principe fantastico e vanità di Salomone
t’insinui nel suo sogno, calpesti la sua ombra,
come l’ossesso gli stessi sentieri, li intrappoli
nell’urlo del vento, li cancelli.

Te ne stai sul pinnacolo più alto e spingi
lo sguardo acuto sull’universo intero
scrivi i tuoi versi nel vento, li canti
a una diaspora di morti per i deserti del nulla

e come un grande falco nero giri e giri
nella polvere e nel vento e mai riposi
riconti i tuoi giorni uno ad uno, li schianti,
li disperdi, in una risata li sconquassi.

Così ride il folle che se ne va tutto solo
per sentieri fuorimano senza meta,
lacero e senza bisaccia, senza nulla
da prendere e nulla da lasciare

Sei scagliato da un luogo senza tempo
dentro il calderone delle streghe,
la prima recita i versi di Parmenide
la seconda da viva faceva la puttana

la terza è un ragno che stende la sua bava
nelle case svuotate dalla pestilenza
la quarta ride mentre parli e tesse
con lana di cane il suo abito da sposa.

Ti sei gettato da un monte a capofitto
dentro l’anima di un fiore e hai pianto
hai riso, ti sei avviato nella sera
nel mattino, senza mai sostare

hai pregato che morisse quel canto
portato nella polvere dal vento.

***

Se stai coricato nella terra e ascolti il rombo degli abissi
scopri altri mondi rovesciati.
Quello che stava a destra ora sta a sinistra
il sopra è diventato sotto e ogni pensiero
cambia di segno
tutti i sogni vengono squarciati
ogni volto si confonde nel vento
e non rimane che un turbinio di parole
nell’eco, sprazzi di vero senza nesso

capovolto nel mondo capovolto
se ne va l’uomo cercando direzioni
sprofonda nello zenith, ascende nel nadir
avanza indietreggiando e si ritira avanzando,
sguardo rovesciato, non senso
tutta la sapienza vanità di vanità
sotto il sole a inaridire.

Non rimane che terrore,
tutto è giustizia e perfidia
tutto è sano e malato
la salvezza è uno sguardo finale
dove un Dio severo aspetta e tortura
ma disperare è il peggiore dei mali.

Levati Ecclesiaste, presentati
al cospetto dei sapienti
negli occhi ancora ti brilla la notte
il passo volge verso un’altra notte.
Recita un versetto o due
ed empi di suoni vani
la vanità del tutto:

ti ascolterà in silenzio l’assemblea
diranno”è preghiera” – “è bestemmia”
ma nessuno potrà mai sondare
la notte dell’Altissimo.


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