La luce incompiuta

di

Gianluca Farina


Gianluca Farina - La luce incompiuta
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 68 - Euro 8,00
ISBN 978-88-6587-9689

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In copertina: «Summer68» fotografia dell’autore

All’interno e nel retro di copertina: fotografie di Giacomo Nuzzo


Nota dell’autore

Quando affrontiamo un viaggio (lungo o breve che sia) ci assicuriamo di avere tutto ciò che serve per farlo al meglio. Ma talvolta durante il tragitto, pur avendoci messo tutto il nostro impegno e la nostra buona volontà, ci troviamo di fronte ad imprevisti che non avevamo calcolato. Quando poi questo viaggio si chiama “Vita” le avversità che ostacolano il nostro percorso, spesso ci mettono a dura prova. Siamo costretti a deviare, ad adattarci a nuove strade, diverse da quelle che ci eravamo prefissati di seguire, per poter giungere (o quantomeno avvicinare) a destinazione con la consapevolezza di aver fatto tutto ciò che era nelle nostre possibilità per vivere nel migliore dei modi ogni singolo istante che ci è stato donato. Durante il mio “viaggio” è stato così. Ad un tratto qualcosa è cambiato, la luce si è fatta più fioca, le strade più buie, il percorso sempre più accidentato e aver perso una parte di me, il dover riadattarmi a qualcosa di nuovo e trovare un’altra via alla mia “normalità”, è stato ed è tuttora un cammino faticoso. Gli occhi hanno dovuto far posto ad altri occhi, hanno dovuto far fronte alla quotidianità avvalendosi del tatto, dell’udito, della voce, dei silenzi, ma soprattutto del mio cuore più di quanto avessi fatto prima. Questo lento divenire, che da una parte toglie e dall’altra dona, non mi ha mai fatto sentire “diverso” dagli altri. La luce può manifestarsi sotto varie forme ed io cerco di coglierle di giorno in giorno e di dargli un senso. Questa breve silloge vuole essere una testimonianza delle sensazioni che ho vissuto in questi ultimi anni e che tuttora sto vivendo.

Un particolare ringraziamento a Ornella e Giacomo che, con parole e immagini, hanno contribuito ad arricchire questa mia raccolta.


Prefazione

C’è qualcosa di più terribile che il non mettere più a fuoco le immagini?
Sì, io credo che la cosa più terribile sia non mettere a fuoco la vita.

“Sono luce
l’eletto
sono dono
del Signore
pertanto inseguo
(mio malgrado)
una nuova prospettiva
(…)”

Così, Gianluca, in questa nuova raccolta, si pone domande ma si sa dare anche le giuste risposte.
È una lunga lettera d’amore alla vita, questa silloge.
Il tentativo di rimettere Luce dove una patologia agli occhi cerca di isolarti dal mondo.
Disobbedendo dunque alla legge della compassione, della rassegnazione, Gianluca lascia parlare il Poeta.
E forse, proprio perché tale, la prima qualità è sempre la forza:

“(…) E in questo silenzio
parole che hanno il peso dell’aria.
Di loro mi nutro e con loro
cerco una parte di me…”

Diventa dunque, com’è giusto che sia, “salvezza”, la scrittura.
Ed è in questo “setacciare” la Luce che fa, di questa nuova raccolta, l’urlo di speranza per cercare di non abitare la periferia dei pazzi.

“Apro gli occhi
e passo la luce al setaccio”.

Cambia quindi il modo di osservare la vita ma, per il Poeta, è il Cuore che non può restare cieco.
Dentro un radicale cambiamento, nella consapevolezza che spesso sia la solitudine, la compagna più terribile, vi è tutto un mondo di emozioni che non può restare al buio.
Del resto non vi è nulla di peggio che avere stanze buie dentro al Cuore.
L’Autore, vede ancora la luce nel colore dei narcisi.
Riesce a portare con sé la neve, perché, ciò che conta è ritrovare un senso.
Disporre della vita come un dono, è il viaggio che Gianluca ci invita a fare, sempre, per poter ancora raccontare di infinite bellezze.
Gianluca ci insegna da che parte dell’Orizzonte guardare, per lasciar vivere il ragazzo con la certezza che tutto è Poesia.
A volte anche la luce “pesa”, seppure impalpabile, leggera.

Ma:

“Le ombre saranno morte
ancor prima che la notte
avrà fatto capolino fra i miei sogni,
al di là di quel bagliore
che ancora non si placa”.

Cogliamo, dunque, l’invito dell’Autore, al miracolo del viaggio dentro noi stessi, sempre alla ricerca di una voce che ci riporti un senso.

Ornella Mereghetti


La luce incompiuta


A Simona e Sara, alla loro luce…

A Chiara Olga Pierrottet


Sono luce
l’eletto
sono dono del Signore,
pertanto inseguo
(mio malgrado)
una nuova prospettiva,
geneticamente offeso
mutante o ereditario
senza nessun distinguo
io,
conclamato portatore d’ombre
destinato ai margini del branco.


Zolla che rimane incolta,
terra cosparsa di sale
di sole che non tramonta,
che non conosce oriente.


Silenzio
e in questo silenzio parole
che hanno il peso dell’aria.
Di loro mi nutro e con loro
curo una parte di me,
quella nascosta nel buio
la più vicina al nulla.


Rimango in ascolto.
Appoggiato al tuo seno
ogni notte è il silenzio
a scandire il mio tempo,
nel buio degli occhi
quella dolce cadenza
è la tua melodia
la reminiscenza,
di una ninna nanna
lontana lontana…


Vivo di orizzonti lontani
velati di malinconia,
vivo solo
scalfito da fertili primavere
eterni palcoscenici di vita
paradisi di luce.
Vivo truccato da clown
vestito di fiori e colori
e talvolta piango,
e talvolta è sempre.


Le campane tacciono,
anche l’ultimo rintocco svanisce.
Il silenzio ricompone il suo mosaico,
ricopre le pareti vergini
tassello dopo tassello,
attimo dopo attimo.


Attraverso stagioni deserte
dove gli occhi, sepolti dalle sabbie,
setacciano la luce rimasta appesa
ai quattro angoli del senso.
Stasera rincasando
masticherò foglie di salvia
e sulla mia finestra
brucerò bastoncini d’incenso,
per lenire il fruscio del vento
che abita la periferia dei pazzi.


Nel silenzio della luce
c’è un destino sottile.
L’ombra appare e scompare,
si cela nel buio degli occhi
senza lasciare una traccia di me.


Questo mio continuo
timido accondiscendere
è un lento divenire che mi uccide.
E muoio
con un chiodo piantato in gola
io, mendicante afono
che non sa dire nulla,
che non si accorge di niente.


Gli occhi sepolti in un vicolo cieco
sotto l’esile graticola di luce imperfetta
dove l’uomo non distingue il colore
dalle grigie sfumature della sofferenza.
Il bianco e il nero occupano spazi definiti,
confinati agli estremi di un limbo
orfano di assenza e di essenza.


Siamo schegge impazzite
fluttuanti nel vuoto,
frammenti invisibili
di vita quotidiana
rimasti senza cielo né terra.
Come un dannato
invasato di speranza,
sospinto dalla corrente
afferro le nostre radici,
per potermi fermare

a riflettere.


Vieni a prendermi adesso
mare calmo, prendimi ora
che l’onda batte sul piatto
senza cedere ancora al fermento,
prima che un’altra burrasca
tolga l’infinito al mio orizzonte,
che la cresta impetuosa dell’indaco
spezzi l’incantesimo dell’alba,
il suo tratto rosso, le sfumature arancio
e la luce bianca in cielo
a risvegliare in me l’intramontabile ricordo
delle ombre che ho lasciato
per sempre alle mie spalle.


[continua]

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