Opere di

Gian Claudio Vassarotto


A S. Teresina del Bambin Gesù

Teresina, come splendida
pratolina sbocciò
tra gli oscuri prati della terra.
E nel tempo in cui le ragazze
dal sogno traggono
il loro primo stupore,
come un’eterna vergine sposa
s’innamorò del Signore del sole.

Oltre le stelle l’amore volò
e dal cielo baciato,
piogge di grazie scendevano
sulle feroci corazze del tempo,
i deserti di pietra
del regno del peccato.
Un divino vento
spingeva i navigli del vangelo
Verso terre lontane.

La luce che splende
in ogni dolore l’abbandonò
e nella gelida notte del nulla,
pura e feconda,
compartì la prigione della colpa.

Ritornò l’aurora incantata,
ma la rondine della sua primavera
s’ammalò, non lasciò più
il suo nido.
Teresina pativa i tormenti,
l’agonia della redenzione
e Gesù la vegliava con la speranza
delle nozze del cielo,
il suo candore saliva
tra le braccia dello sposo divino.

Nel giardino infinito
Teresina coltiva le rose,
da spargere
per la salvezza del mondo


A S. Teresa d’Avila

Mentre il Carmelo s’assopiva
sui soffici divani del mondo,
lo Spirito Santo fece il nido
nella candida anima di Teresa.

E nella notte dell’oblio,
puri stormi di preghiere
volavano verso la luce
che fa splendere il mistero,
illuminando il pensiero,
di mistica dottrina celeste.

Le nubi s’addensavano cupe,
ma nulla ormai la turbava,
Cristo Signore le bastava.

Nel silenzio Teresa nutriva
le caste colombe del vangelo
col nettare della devozione.
Come regina serva dell’astro
nel cuore del castello
libera penetrava
e l’umanità invitava
a seguirla oltre la soglia.

Dall’oceano dell’infinita sapienza
Teresa guida i pargoli
del divino sentiero
verso l’orazione del cielo.


La tempesta del dolore

Nasce col peccato
la tempesta del dolore
che con furia immensa
devasta la terra.

Distrugge il grano
delle anime,
travolge le colombe
dei pensieri,
annega le sirene
della gioia.
Manda i vascelli dei sogni
alla deriva,
flagella l’umile piantina
e l’albero che si proclama onnipotente,
rende funebri i respiri universali.

Ma nell’oceano in burrasca
del tempo s’è gettato
il Signore della storia,
scalando con la pazzia d’amore,
la più alta vetta del dolore.
I pianti e le ferite
dei suoi figli
puri e sacri
ora guidano alla gloria.


La mia fantasia

La fantasia ha un nido in me
e come un bianco cigno
con le ali di sogno,
vola tra gli arcobaleni
di stupore del tempo,
le pure armonie
degli incanti divini,
dipingendo sorrisi di gioia.
Vola tra i gigli e le rose
dei giardini del sole,
raccogliendo il nettare
per le storie d’amore.

Vola tra i deserti di buio
dei cuori accecati,
le crocifisse stagioni
dei disperati dolori.
Vola tra le dorate trappole
dell’infame progresso,
le tombe di fango
del regno dei miseri.
Vola tra la mesta
agonia della terra,
lo scibile umano,
l’infinita sapienza.

Vola per dire al mondo
che la poesia
cambia la vita.


Nel campo del dolore

Nel campo del dolore,
tra strazianti grida di obbrobrio,
si ergono le tombe del rancore.
Tra deserti di pietra
strisciano i serpi della disperazione.

Nel campo del dolore,
tra la crocifissa speranza,
sorgono le rovine della depressione.
Tra le mortali ferite
degli eredi della dissoluzione,
vagano gli sciacalli della creazione.

Nel campo del dolore,
tra il luminoso mistero,
nascono le rose della rassegnazione.

Nel campo del dolore
seminato dal risorto,
fioriscono i gigli della redenzione


La primavera impazzita

La primavera, come fata impazzita,
è uscita dal suo castello d’oro
sul sole, sciogliendo nel vento
il gelo, la neve di gennaio.

I nudi alberi si vestono
di speranza, di gemme preziose,
i fiori schiudono gli occhi
contemplando l’astro sereno,
l’orso saluta la luce
uscendo dal regno dei sogni,
gli uccelli preparano i voli
verso la terra incantata:
rifulge di festa la vita.

Ma esule, nel vagabondo rifugio,
l’inverno rivuole la patria
nel tempo: armato di bombe ghiacciate
assalirà l’intrusa stagione,
annienterà l’arcobaleno fiorito


La felicità eterna

Tra le trafitte chimere dell’io,
negli antri sepolcrali della storia,
mendicavo invano sorsi di felicità.

Tu, eterna immacolata luce,
nel fitto buio della mia vita
sei discesa, dando meta al labirinto
dei miei passi, splendore e pace
ai funebri silenzi.

Tu, con le ali dell’infinito,
mi fai volare oltre il deserto
dei desideri umani, le tombe
degli apostoli del nulla,
le spine lancinanti delle colpe.

Tu, mi hai riposto nel giardino
dell’aurora, nell’incanto oltre il sogno
delle stelle, mentre i violini e le cetre
della mia anima stupita,
suonano per la terra intera.

Dal supremo monte della gloria,
é sceso in me il fiume della gioia
che scorre oltre le macerie, le dighe
del peccato, e porta al mare
della beatitudine.
Senza fine la mia felicità:
oltre ogni aspettativa.


La bestia destata

Come quieto dormiva l’animale
adagiato su un cuscino
infinito di galassie di stelle!
Come famelica urla la bestia
destata dalla danza lasciva
delle figlie di Venere!

Volano via le colombe candide,
si scioglie il miele dell’amore donato,
fugge il sorriso dell’angelo.

Il lupo della delirante
passione si avventa bramoso
tra le ninfe carnali.
La belva mai sazia, senza freni,
divora le viziose suddite
dell’impero dei sensi.

Ma la carne in festa
non porta alla gioia del cuore,
la vetta del piacere
non è il paradiso del sole.
Di virtù e incanto
si nutre la felicità.


A Cristina

Cristina coglie sul prato
dell’amore fiori di poesia
e il suo cuore canta la dolce
melodia dei casti e puri
baci sotto lo sguardo della luna.
Il suo viso sorride ai pargoli
incantati che spargono
nel mondo primavere di speranza.

I suoi occhi piangono
sulle nere sfingi sospese
sugli orridi abissi della storia,
sugli innocenti passeri
col volo sbriciolato
dalle bombe dell’assurdo.

Oltre il nulla della notte
la sua anima risplende
come sorgente della luce,
come aurora delle stelle.


A Gabriella

Gabriella non vede più tra le ansanti
stagioni il viso solcato dall’amore,
dagli affanni e dal dolore di colei
che cullò il suo primo stupito vagito.
Non sente più le note
della cara voce che accompagnava
il flauto incantato della sua giovinezza,
e nel meriggio dello svanire dei sogni
empiva come un suono di luce
i deserti di buio,
arpeggiava la sua allegria.

Gabriella si sente sola e tra i dipinti
del commiato del sole, raggiunge
la quieta dimora dei morti.
In mezzo alla carne assopita, il suo cuore
di pace s’imbeve e a sua madre,
che vive oltre la tomba del tempo,
confida i tormenti e le ansie
a cui son condannati i mortali.

Dal mondo infinito, un raggio di verità arriva,
e Gabriella vola verso lo splendore
del mistero, squarciando il telo
che soffoca gli amanti della terra.
La colomba della preghiera s’innalza
e, nella festa della comunione dei santi,
la mamma conduce Gabriella alla vita


Ragazza desiderata

Ti voglio assisa
sul trono dell’onda.
Ti desidero distesa sull’eden
fiorito dei gigli del sole,
danzante come splendente galassia del cielo.
Ti contemplo stupita
tra le perle della creazione.
Ti anelo nutrita dal nettare
del sapiente candore.
Ti bramo piena di gioia abbracciare
i casti sorrisi del tempo,
cullare nell’arcobaleno del sogno
le nuvole della disperazione.

Ti amo immersa nell’oasi
di silenzio del tuo cuore,
in un volo incantato
verso il supremo amore.


A mio padre

Ora, che le profonde ferite della mia mente
non accecano più
lo splendore dello sguardo;
ora, che la mia anima vive
in comunione con le stelle,
veramente io ti amo.

Adesso, che tu libero sei
dalle catene della carne;
adesso, che vivi nel mondo oltre la tomba,
in modo perfetto tu mi ami.

E c’incontriamo nel campo del silenzio,
dove la pace regna sovrana sulla terra,
dove la tua polvere attende
di essere trasfigurata nella gloria.
Io volo oltre il mare dell’umano,
per raggiungere il tuo mistero eterno:
forse la mia preghiera candida
ti fa salire più presto in Paradiso.

Tu, dai vertici dell’intercessione,
guidi i miei passi sulla dolente valle:
perché la sirena della vanità
non mi seduca
e nella buia notte non mi perda.
Implori che mai la dolce musa
mi lasci in balia della grettezza umana.
Fai sì che la mia vita diventi un fiore
nel giardino dell’orazione.


Siamo piccoli

Siamo piccoli, siamo fragili,
siamo fuscelli tra le onde
in tempesta del mare.
Granelli di sabbia
tra le mostruose tormente del tempo,
microbi tra lo spazio infinito.

Siamo tronfi, superbi,
Icari di cera
sciolti dai vulcani del mondo.
Iceberg tra lo splendore
trionfante delle stelle.

Un ago del pianeta
trafigge il nostro cuore,
uno spicchio di terra
seppellisce i nostri sogni.

Siano nulla nella palude della colpa
tra le spire infernali
del serpente che striscia.

Siamo tutto, siamo Dei,
se umili ci prostriamo all’amore
infinito, se in noi vola
la colomba della grazia.


Vieni fanciulla

Lascia fanciulla
i sacri idoli del tempio del mondo,
i turbinosi galoppi
tra gli Dei degli affanni;
lascia la pietra del cuore,
le tombe dell’Io,
i disperati singhiozzi:
vieni con me a volare
nel cielo della poesia.

Planerai su giardini di stupore
per la festa del divino nel creato,
sorriderai nell’incanto delle stelle,
tra i silenzi e le armonie universali.
Con le arpe e i violini dell’amore,
navigherai verso le isole dei sogni,
se tempeste di dolore infurieranno,
arcobaleni di speranza appariranno.

Dagli orizzonti sublimi del mistero
spunteranno soli d’infinita luce,
la strega del tramonto non ti ghermirà
e la dolce musa nel tripudio
dell’aurora mai appassirà


Solo per te Gesù

Solo per te Gesù
l’ulivo fiorito della mia solitudine,
il volo della pura colomba
verso l’arcobaleno infinito.
Per te il mio silenzio armonioso
che si accompagna stupito
alla beata danza delle stelle.
Per te la mia celeste aquila,
le lucciole della preghiera
tra le notti del mondo.
Per te il nettare della mia voce,
il miele dolce e amaro della poesia.

Per te l’abbraccio d’amore
con i miseri,
le viscere che gridano giustizia.
Per te le preziose perle
delle mie sofferenze,
le capriole di gioia
sul prato della grazia.
Solo per te Gesù
ogni attimo del fiume dell’umano,
il mistero del mare della morte.


Ad Adriana (amica poetessa)

Sentivi il cupo silenzio del tramonto
tra le crocifisse speranze del giorno.
Vedevi la tigre che divora i sogni
farsi sempre più vicina.

Ma che magnifica sorpresa, Adriana,
quando, spogliata dell’ultima
briciola di carne, hai visto
svanire l’abisso del nulla.

Dal sublime monte del mistero
sgorgava una sorgente di luce,
e tu vestita d’ansia,
di stupore celeste,
ti sei messa a volare
verso lo splendore infinito.

Nella patria senza tempo,
il tuo volo molto breve sarà
e, nell’incanto dell’eterno poema,
la tua colomba arriverà.


Al volontario

Tu lasci le soffici poltrone
dove si sprofonda l’Io,
il fumo delle corse
sulle giostre mondane
e vai dove la voce
del bisogno chiama,
dove fioriscono le piaghe
della storia.

Non ti cattura
il laccio del denaro,
non ti seduce
il mito della gloria.
In silenzio t’affatichi e sudi,
di nascosto curi le ferite
e, sordo alla sirena del benessere,
porti il sole
dove la notte impera.

Tu fratello e servo
dell’umana avventura
sei la fonte pura della carità.
Segui le orme
del divino agnello
fattosi cibo per l’umanità


Andare

Lasciare i tumulti del tempo,
le sorde gelate corse dell’Io
e andare dove il mondo
è una foresta di ulivo,
dove libera vola
la colomba dello Spirito.
Dove, al suono dell’arpa incantata,
danzano le perle dell’amore
e i silenzi, le voci luminose
s’innalzano tra gli arcobaleni del sole.

Andare dove non impera più
il delirio della materia
e il vampiro del secolo
non succhia il sangue dei miseri.
Andare dove l’ostia sacra del pane
si spezza per tutti i viventi,
dove spariscono i funebri sguardi
e pura, gioiosa canta
la vita.

Andare dove la rugiada dell’incanto
stilla in tutte le anime,
dove il fiume dolce della poesia
irriga tutti gli istanti.
Andare dove i fumi e le nebbie
non appaiono più sul cammino del cuore,
dove nell’Eden del mondo
sboccia il giglio dell’orazione.


Noi poeti

Noi, non ghiacciati dal rigido inverno
dell’oblio dei raggi del cuore,
non protesi verso gli ori e gli argenti
delle paludi del tempo.
Noi, aspersi dalla rugiada divina,
con la musica della fantasia,
voliamo tra gli arcobaleni fioriti
di bellezza incantata,
e le tormente di piombo
delle fecce del secolo.
Noi, palombari degli oceani
palpitanti di storia,
c’immergiamo nei misteriosi fondali
brulicanti di sorrisi e di lacrime.

Noi, viandanti smarriti
tra le nebbie d’angoscia
delle tombe dell’Io.
Noi, stupite galassie
ridenti di stelle.
Noi, luci soffuse
tra le ombre calanti,
siamo ingenui bimbi innamorati,
in volo verso l’infinito.


I miei sessant’anni

Dal nascosto silenzio colmo d’amore
la mia fragile vita preziosa è sbocciata
e, dopo i puri inconsapevoli giochi,
verso la luce del sogno ha camminato.
Ma il sentiero ripido saliva
tra le cupe e dense nebbie del mondo
e l’oro agognato del sole
splendeva e spariva oltre l’orizzonte.
Caste sorgenti eterne
dissetavano il mio tempo,
ma i nudi paesaggi dell’illusione
ubriacavano lo sguardo e il senso.

E poi fu la straziante notte prigioniera
nel miraggio di libera aurora
e fu la dolce musa seppellita
dai deliranti cumuli della fornicazione:
fu la piaga purgante del dolore.

L’angelo custode schiuse la porta
della mia anima depressa
e la vergine colomba dello spirito
depose uova di grazia
di gioia e di saggezza.

E fu speranza di infinito giorno,
arcobaleno di carità e di fede
mentre sulla strada del pensiero
la verità felice dilagava.

Con il mio bagaglio di peccato
e di sapienza
sono giunto al cuore dei sessant’anni:
meravigliato canto alla bellezza
al sublime onnipotente abbraccio.

31 Gennaio 2008


Ritornerai Signore

Ritornerai, Signore, ritornerai.
Frantumerai la notte
con i raggi del tuo sole.

I lupi del peccato
non divoreranno più
le pecorelle della grazia.

L’impero dell’angelo
della morte si scioglierà
come semplice brina.

Le schiere della luce
voleranno, risvegliando
le assopite colombe.

Tra diamanti di stelle
l’Agnello risplenderà
sovrano della storia.

I feroci macellai
del tempo, i figli
del regno della carne
tra le spire del tormento
strisceranno eterni.

Gli amanti della sorgente
dell’aurora, i pargoli
dei baci universali,
nel cuore della Trinità
saranno preziose gemme
e brilleranno
nei secoli dei secoli.



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