Angelus di Germano Tengattini


Germano Tengattini
Angelus
pp. 120
ISBN 978-88-89664-99-1
Alberti & C. Editori



Prologo

Vidi per la prima volta quel Vecchio, mentre mi apprestavo a decollare dal versante sud del monte Civetta. Camminavo verso il punto prescelto per il lancio, impugnando il triangolo e sollevandolo controvento la parte anteriore del deltaplano1
Iniziai la corsa per il decollo, raggiunsi in breve tempo la massima velocità, cominciai a sentire una certa tensione sull’imbracatura e allontanai dolcemente la barra, mi staccai dal suolo e come per magia mi trovai sospeso nel vuoto, libere e leggero.
Vidi e rividi quel Vecchio, in piedi su di una roccia, intento ad osservare con il binocolo, le figure che compivamo, librati i un mondo a tre dimensioni, magnifico e surreale.
Vidi e rividi quel Vecchio.
Una figura elegante, alto, una struttura ossea da far invidia ai più accaniti cultori del fisico umano.
M’impressionavano le vecchie mani; pur proporzionate alla mole, sprigionavano una forza intensa, giovane e matura. Una grossa quercia e i rami principali erano le sue mani. Mani che avevano lavorato e sudato, forse scalpellino, scultore o qualsiasi altro mestiere che avesse a che fare con le pietre, tanto da trasmettere loro, la compattezza, la durezza, la tenacia, quelle vecchie grosse mani.
Portava al collo un foulard di seta dai colori sgargianti, degli occhiali dalla montatura in tartaruga bruno scuro e dei baffi appena accennati, vicinissimi al labbro superiore, completavano quel Vecchio.
Le qualità peculiari, erano l’interezza del suo carattere, mescolata con quel senso d’affidamento, di sicurezza, di fiducia.
Fiducia piena, assoluta, illimitata.
Ciò nonostante, nei suoi discorsi, si percepiva qualche cosa d’anomalo, d’ignoto.
Quale inspiegabile arcano, poteva celare?
Quale passato misterioso, occultava?
Odio? Amore? Vita?
Il sapere di non sapere.
La consapevolezza della mia ignoranza, generava un disagio intollerabile, che si trasforma nel desiderio, nella volontà forte presente, di sapere. Superare l’ignoranza, trasformandola in conoscenza, questo era il mio fine.
Pertanto, mi prodigavo alla ricerca, tentando di soddisfare questa lacuna attraverso un’attiva indagine.
Nell’essere umano, l’acquisizione della conoscenza, il raggiungimento dell’obiettivo, consente d’appagare un desiderio, colmare una mancanza, mettere fine ad una sofferenza, trasformando cosi una condizione sgradita, in un’attività piacevole, carica di significati corretti.
Tutto ciò m’incuriosiva, mi spingeva a spulciare a rovistare nelle frasi, nelle parole che pronunciava.
L’idea d’approfondire, d’intrufolarmi nella sua vita, mi solleticava, mi martellava continuamente il cervello.
Fantasia o concreta realtà!
Vidi e rividi quel Vecchio.
Riuscii, finalmente a distraimi da quella fissazione, quando, una corrente ascensionale mi riportò in quota.
Sotto di me, un panorama superbo si stendeva. Il laghetto dell’era glaciale risplendeva, i raggi di sole riflessi dalle onde, m’impedivano, di tanto in tanto, d’assaporare la bellezza e la tranquillità di quei luoghi. Sulle sponde, da un lato vigne, frutteti e ulivi, cui seguivano boschi di castagni e poi più in alto, le arrotondate dorsali dei monti, dall’altra tratti di piccole spiagge e poi, tutto diventava selvaggio, con rupi a strapiombo e fitti boschi centenari.
E come in un quadro, linee che delimitano l’immateriale dal materiale, il bene dal male.
Un’immagine sempre diversa e sorprendente. Mille dipinti, che si alternavano all’interno di una sconfinata mostra.
Un volteggiare che mi riportava immancabilmente al ritratto di quel Vecchio, in piedi su di una roccia.

1 Il deltaplano è una struttura costituita da un’ala semi rigida a forma di delta (da qui il nome). Sostenuta da quattro tubi in lega. La velatura in fibra sintetica è di circa 12-16mq. Mediamente la velocità di un deltaplano si aggira sui 70 Km/h, il modello più innovativo “ali rigide” può raggiungere i 100 Km/h.


Angelus

“Chi smette di sognare,
rinuncia alle gioie della vita.”


Capitolo 1

Gentile lettore,
prima di iniziare a coinvolgerti o quanto meno provare a renderti complice di questo racconto, vorrei dedicare questo primo capitolo, all’individuo, all’organismo vivente dotato di caratteristiche proprie, peculiarità distintive presenti in ognuno di noi.

Analizzando l’individuo, nella sua esperienza quotidiana, si delinea un essere umano, su cui operano pulsioni diverse, spesso in contrasto fra di loro.
Pulsioni provenienti dall’intelletto, facoltà mentali, che ci consentono di ragionare e intuire, se le abbiamo allenate a farlo, se gli abbiamo concesso del tempo per pensare, imparare.
E poi esiste l’anima. Dove fra le parti che la compongo esiste una precisa gerarchia naturale.
Esiste una logica, un meccanismo.
Dove gli elementi razionali, sono impiegati dalla parte spirituale e immortale dell’uomo, per dare impulso alla ragione, alla logica, mentre gli elementi irrazionali, servono al “soffio vitale” per provare desideri fisici, per sognare, oppure mutare in collera, sdegno, costringendo l’anima ad irritarsi, diventando ambiziosa ed impetuosa.
Un congegno strutturato in fasi.
Strutture collaudate in anni di vita, in secoli di tentativi.
La logica, per natura, dirigere tutta l’anima, alleandosi con l’elemento razionale, contro gli eccessi che la mente umana, è portata a compiere. Ogni parte ha, dunque, una funzione specifica nella vita dell’uomo, il che comporta, che ognuna abbia anche una virtù propria, che le permetta di attuare il suo compito specifico, poiché programmata per natura ad aspirare a qualcosa, progettata per il bene personale ed universale.
Ogni parte è allora capace d’amare gli essere viventi e di desiderarli.
Sapienza, temperanza, coraggio, ma sopra di tutti, c‘è la giustizia.
La sapienza, virtù della psiche, che appartiene alla parte razionale, coerente, sensata.
La temperanza, che va in soccorso, della parte relativa alla concupiscenza, che tiene a bada il desiderio bramoso dei piaceri sessuali.
Il coraggio, l’irascibile dell’essere umano, l’arma vincente di tante battaglie, l’animo ardente di chi crede e vive.
Il raggiungimento della soddisfazione totale dell’anima, attraverso l’esercizio delle funzioni, consente alla giustizia di realizzarsi.
Tutto questo, porta l’individuo a svolgere il proprio compito, come una freccia scagliata nella direzione del bersaglio, verso il raggiungimento del fine loro assegnato, gli uomini provano tensione, conoscono aspirazioni, diventano perfezionisti,
vogliosi di tendere verso qualcosa di specifico.
Muoversi verso se stessi.
Muoversi verso la conoscere di noi stessi, verso quanto di più intimo possediamo.
Buona lettura.


Capitolo 2

“Sei in ritardo” furono le prime parole, che mi disse, quel giorno.
La puntualità era un dogma, o meglio le sue abitudini erano ben radicate.

BIP-BIP- sabato h. 11:08
Io pisolo, ma tu mi fai sognare (stamattina ti ho sognato e Ieri notte anche, ormai ci ho preso gusto).
Questa notte con te, ho fatto di tutto, sono 15 minuti che ci penso e mi chiedo se ero proprio io.

Le piattaforme adibite ai lanci, sfornavano, macchine volanti a getto continuo.
11 mese si apriva all’insegna del bel tempo, i giorni a ridosso del 1° aprile, avevano invogliato molti appassionati.
Decollavano e planavano in un ciclo azzurro, striato da nuvole bianche, mentre i raggi del sole, esaltavano i colori forti delle ali. Le famiglie, gli amici, le fidanzate, gli estranei, assistevano curiosi ai lanci e alle evoluzioni di quelle gigantesse farfalle multicolori.

“Sono in ritardo, perché ho dovuto discutere in hotel” risposi, con un tono seccato, non perché lo fossi, ma la diatriba, mi aveva indisposto.
“Hanno confuso le prenotazioni” aggiunsi.
“Tutto a posto?” s’informò premuroso, mentre si asciugava la fronte, con il foulard di seta dai colori sgargianti.
“Magari, sono rimasto senza stanza. In ogni modo, mi hanno assicurato che provvederanno per una sistemazione”.
“Me lo auguro” aggiunsi.
“Io avrei un’idea, perché non vieni da me, ho un maso, non molto lontano da qui. Nulla d’eccezionale. Mi farebbe molto piacere se tu accettassi” lo disse in un modo talmente convincente che non potei rifiutare.

Nel pomeriggio inoltrato, c’incamminammo.

Dio, aveva programmato l’ora e il luogo, la mia vita e la sua.
Il mondo, il ciclo e il sole, assistevano impassibili.
Il sole ora calava impietoso verso il buio e ci accompagnava lentamente verso le tenebre della notte.
Lungo il sentiero, che dal pendio portava al maso, camminavamo uno di fianco all’altro, sembravamo un’unica persona.
Le gambe si muovevano spedite e il corpo, cercando di adattarsi alle asperità del terreno, come un automa le seguiva.
Tutto l’organismo era in moto, ognuno con i suoi obiettivi.
La lingua, la parola, il cervello, procedevano verso il loro fine, il solito punto, l’appagamento della curiosità.
Una sensazione d’insoddisfazione, di voglia di sapere, mi rendeva nervoso, fragile e il cervello non ordinava, non trasmetteva indicazioni, segnali, né alla bocca, né alla lingua e loro non emettevano suono.
Secondi interminabili, pesanti, sospesi a mezza aria, una sensazione stagnante.
I suoni del mondo, erano ovattati, il movimento dell’aria era sospeso, tutto sembrava tranquillo, sereno, rassicurante.
Camminavamo uno di fianco all’altro, sembravamo un’unica persona.
Mi convinsi, che le difficoltà nell’instaurare una conversazione, dipendessero dal ritmo imposto alla passeggiata e all’irregolarità del sentiero, che non coincideva con la cadenza normale di un colloquio.
Avevamo percorso quasi due chilometri, ma il tempo trascorso sembrava un’eternità. Il sentiero che ci aveva portato fra i boschi di conifere e latifoglie, ormai giungeva al termine, s’intravedeva in lontananza, un’ampia apertura prativa ed in mezzo al verdissimo prato dei grossi massi granitici, che sembravano dei guerrieri, delle sentinelle poste a tutela di quell’angolo di mondo incontaminato. A circa metà del prato si ergeva una struttura in pietra e legno.
“Siamo arrivati” lo disse con tono felice, gioioso, soddisfatto.
Aveva ragione, il panorama era stupendo.
All’ampia visuale, si aggiungeva un tramonto dal colore rosso intenso, mentre fra il crine dei monti, si vedeva una parte del sole e le piccole nuvole, lottavano, per trattenere più a lungo possibile, i raggi caldi del giorno.
“Era un antico ricovero per gli animali” si prodigò a spiegare.


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