Metamorfosi del divenire: poetiche di vita

di

Franco Conti


Franco Conti - Metamorfosi del divenire: poetiche di vita
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
15x21 - pp. 306 - Euro 22,00
ISBN 978-88-6587-1072

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In copertina: “Oggi… come un ricordo di vita passata fotografia di Franco Conti

Tutte le fotografie inserite nel volume sono dell’autore


Ci troviamo di fronte ad un’antologia che racchiude buona parte della produzione poetica (risalente come scrittura al periodo tra il 1987 e il 1994 con solo una decina di testi scritti successivamente tra il 1999 e il 2011) di un autore piuttosto originale nel suo porsi tra lirismo e sperimentalismo, direi situato all’incrocio tra suggestioni neofuturiste e neodadaiste tendenti verso una sorta di spiritualità dove il contesto piuttosto teatralizzato della poesia lascia il campo ad una spinta metafisica di rare profondità.
Una poetica, questa di Franco Conti, che io direi dalle lontane ascendenze palazzeschiane, ma che molto di più si apparenta all’happening: quella forma d’arte d’azione, teatrale, gestuale, capace di coinvolgere emotivamente lo spettatore nell’evento creativo stesso. In pratica, uno sviluppo dell’avanguardismo artistico contemporaneo, dove la cosiddetta opera aperta confluisce nel teatro tardo-surrealista del New Dada e della Pop Art…

dalla prefazione di Franco Campegiani


Con questa pubblicazione, Franco Conti dona una parte della sua anima a chi avrà la fortuna di leggere la sua poetica, poggiata su solide basi stilistiche, su temi di estrema attualità e di profondi pensieri, emozioni, sensazioni posti sulle ali di una fantasia che plana in fantastici viaggi esistenziali toccando serene radure di nostalgia in un’anima pregna di valori genuini che ancora guarda entusiasta il miracolo della vita in tutte le sue forme, coinvolgendo in un indelebile ricordo quegli spiriti liberi (a cui non a caso dedica il libro) che esplorano mondi sconosciuti ma che hanno lasciato ai posteri la ricchezza della loro arte universale.
Un particolare ringraziamento all’autore per averli ricordati.

dalla postfazione di Anna Maria Amori


SAGGIO CRITICO
di Franco Campegiani

Metamorfosi del Divenire: Poetiche di vita di Franco Conti si compone di dieci capitoli per altrettanti argomenti tematici:

  • 1) Sulla soglia dei giorni trascorsi – Itinerari della memoria
  • 2) L’inquietudine della sera, il fascino misterioso e tenebroso della notte
  • 3) La trascendenza, la meditazione, la ricerca, il mistero, il senso cosmico della vita
  • 4) Per i sacri fuochi dell’Arte, per le creazioni emotive
  • 5) L’amore e la ricerca dei suoi imprescindibili percorsi
  • 6) Quando i venti di tempesta (Appunti di poesia civile)
  • 7) Nella natura, nell’uomo
  • 8) Homages lyriques and Elegies
  • 9) La vita è sogno, l’emozione è la vita
  • 10) Volo nel vento verso gli infiniti universi umani

Ci troviamo di fronte ad un’antologia che racchiude buona parte della produzione poetica (risalente come scrittura al periodo tra il 1987 e il 1994 con solo una decina di testi scritti successivamente tra il 1999 e il 2011) di un autore piuttosto originale nel suo porsi tra lirismo e sperimentalismo, direi situato all’incrocio tra suggestioni neofuturiste e neodadaiste tendenti verso una sorta di spiritualità dove il contesto piuttosto teatralizzato della poesia lascia il campo ad una spinta metafisica di rare profondità.
Una poetica, questa di Franco Conti, che io direi dalle lontane ascendenze palazzeschiane, ma che molto di più si apparenta all’ happening: quella forma d’arte d’azione, teatrale, gestuale, capace di coinvolgere emotivamente lo spettatore nell’evento creativo stesso. In pratica, uno sviluppo dell’avanguardismo artistico contemporaneo, dove la cosiddetta opera aperta confluisce nel teatro tardo-surrealista del New Dada e della Pop Art. È il gesto che si fa simbolo, chiarendo ancor meglio di quanto già non fosse, la sua vera natura simbolica e mostrando come tale attitudine non sia appannaggio esclusivo del cerebralismo contemplativo, ma sia anche la via del dinamismo fisico e dell’azione corporale.
Le poetiche possono essere, infatti, vitalistiche (come prevalentemente in questo caso) o intellettualistiche, ma entrambe hanno, con modalità differenti, valenze simbolico-spirituali. Non nel senso che alludano allo spirito, e neppure in quello che lo catturino nelle forme espressive, ma nel senso che lo rivelano, lo illuminano, lo rispecchiano, lo fanno balenare. Questo è, a parer mio, il vero significato di symbolon (= unione): unione come relazione, allineamento, non come assimilazione o evocazione. Qualsiasi forma artistica è simbolica nel profondo, per cui la polemica scatenata dagli avanguardisti contro il simbolismo in generale, ritenuto immobilista e statico, deve ritenersi infondata. Cos’altro era, d’altro canto, la stessa esaltazione futurista della velocità e della macchina, se non un’immagine simbolica, ovvero un mito? Simbolico – da sempre – non è soltanto il linguaggio colto ed aulico, come spesso si equivoca, ma anche il linguaggio popolare dei menestrelli, degli artisti di strada, dei commedianti di piazza che si sono sempre attenuti al principio dinamico-fisico della spettacolarità. Costoro possono ben essere considerati gli antenati dei performers contemporanei, che fanno dell’evento estetico una sorta di environment, di ambiente in cui si accende l’energia creativa ed ogni fruitore ne viene contagiato, con tecniche espressive immediate e pregnanti. Se nel primo tempo avanguardistico, questa coralità tendeva essenzialmente a liberare l’arte dalle panie di una mitologia mummificata, nelle poetiche del postmoderno, come può essere considerata questa di Franco Conti, essa viene a connotarsi quale antidoto verso la solitudine e la massificazione imperanti nel vivere sociale.
Le presenti pagine risentono di questo clima spirituale e propongono un interessante incontro spesso a carattere multimediale nella sua forma completa (non solo scritta ma anche recitata o teatralizzata). Una peculiarità dell’autore è l’abbinamento, l’incontro, la simbiosi di molte sue poesie con altre arti (fotografia, arte figurativa, video) ma principalmente con la musica, altra grande passione, che non funge solo da sottofondo ma viene ricercata, nei vari generi, anche in base al senso del testo e forma una sorta di unione, di alchimia poetico-musicale per arrivare a forme di poesia-teatro. Questa è stata la ricerca e il senso dei diversi recitals, piuttosto particolari, che l’autore ha effettuato nei primi anni Novanta in diversi ambiti letterari e culturali romani e culminati in una mostra a carattere multimediale nel maggio 1992.
Nella suddetta mostra, “Frammenti di una visione poetica”, i testi erano tutti dedicati alle varie arti e la multimedialità comprendeva anche fotografie e oggetti d’arte figurativa (disegni, collages, assemblages) per celebrare una sorta di convivialità e di affratellamento fra le arti che facendo leva su sfere emotive e suggestive si assumeva il compito di vivacizzare, di smuovere, di rinnovare certi conformismi e prevedibilità delle forme e dei modi di fruizione della poesia. “Quando le Arti / meravigliosamente si fondono / in un’unica luce / in un profondo respiro poetico / esplodono quei sacri fuochi / da cui scaturisce / la scintilla creativa”.
Lo stesso multilinguismo, cui diverse volte ricorre l’autore (l’inglese in particolare), rientra in questo tentativo di risveglio, di rifondazione linguistico-culturale. Fare del mondo intero un universo sensibile alle bellezze del creato e della natura, alla poesia, alle arti: questo il suo sogno, che ben si cala negli orizzonti della cultura contemporanea in un tentativo di riequilibrio delle forme.
Una sorta di umanizzazione della techne, del lavoro materiale ingiustamente snaturato a livello materialistico, dimenticandone le valenze profondamente spirituali, visto che ogni applicazione richiede sacrificio, termine questo, che ha a che fare con il sacro. Techne, pertanto, inserita nei processi creativi del creato, nell’abbraccio materno della natura, e dunque capace di puntare verso l’ecologia, verso il riciclaggio, verso il bricolage e l’assemblage, come testimoniano alcune prove singolari di arti figurative che lo stesso autore ha compiuto in passato. Sui risvolti spirituali della tecnica bisognerebbe meditare attentamente. E se l’arte può chiamare in causa la Musa è soltanto in virtù dell’anelito spirituale che soggiace ad ogni sperimentazione tecnica.
Sbaglia pertanto chi pensa che l’ispirazione possa prescindere dal lavoro tecnico, giacché il poeta non fa che offrire alla Musa (all’Essere in termini heideggeriani), ma io direi meglio al proprio essere spirituale, il vocabolario da lui stesso acquisito, la propria evoluzione linguistica, ovvero le proprie corde vocali. In molti ambiti delle poetiche contemporanee si parla di scrittura automatica, e questo di Franco Conti può esserne un esempio, giacché accade a volte che egli scriva come in una specie di trance spirituale, con ottimi esiti anche sul piano stilistico (qualche esempio in questo libro: “Corale/Requiem”, “La passeggiata visionaria”, “In volo”, anche se l’esempio più eclatante, un poemetto in 8 parti a tema ecologico, intitolato “Aura: Canto per la terra ferita” non trova posto in questa raccolta ma è lasciato per una futura pubblicazione). Dov’è dunque il lavoro del poeta se in questi casi egli scrive di getto e senza ripensamenti tecnici? La risposta è semplice: la sperimentazione c’è già stata e la Musa non fa che utilizzare i risultati raggiunti, i mezzi espressivi acquisiti.
Spontaneità, pertanto, come conquista e non come dono. Spontaneità non come parlare a vanvera, ma come capacità di tornare alla parola semplice dall’interno della complessità linguistico-culturale. Un risorgere dal veneficio storico, un rinverginamento, un rinascere dalle ceneri come l’araba fenice. Sta qui la poetica di Franco Conti. Tutto parte dal desiderio di far rivivere i miti dell’innocenza e dell’infanzia, che sono poi quelli della natura e dell’eden perduto: “Siamo tutti uomini, ora / eppure qualche brandello / del vecchio bambino / continua a vivere ancora, segretamente / rifugiato tra le pieghe dell’anima”. Farlo rivivere quel bambino, ovvero rinnovarlo e non ricordarlo nostalgicamente, o celebrarlo con sentimenti retorici, bolsi e melensi.
Tornare dunque alle radici, non per sprofondare nel passato, ma per avere la possibilità di iniziare nuovi cammini. Un generoso tentativo di rifondazione del mito, proponendo di esso nuove stagioni sorgive, nuove rivelazioni di senso, nuove illuminazioni. Ed è la più sconcertante delle metamorfosi del divenire: quella di tornare come per incanto all’essere in una sorta di percorso circolare dove si torna sempre a capo: “Ascoltava quegli immutabili suoni (della natura) come se il mondo ne avesse una propria memoria al di fuori del perenne fluire del tempo; il tempo, che implacabilmente cambiava tutto, che trasformava il paesaggio e le città e invecchiava le persone”. Mutevolezza e immutabilità, cangianza e staticità, assoluto e relativo in simbiotica relazione tra di loro.
Dualità, pertanto, di moti opposti e circolari nella poesia di Franco Conti: da un lato il desiderio di correre, di evadere dalle morse e dalle strettoie sensoriali; dall’altro il bisogno di intimità, di radicamento nelle cose semplici, vitali. Proiettarsi nel cosmo e radicarsi al suolo: da qui l’innesto tra lirico e prosaico, fra terrestrismo e spinte eteree e accenniamo anche a quella sorta di esperienze che, trascendendo a volte l’ordinaria realtà, ricerca e trova con la sola forza spirituale, senzazioni o visioni che si estrinsecano in esperienze creative.
“Sciolgo tutta la fantasia / e l’immaginazione / per ricercare l’assoluta essenza / racchiusa nelle cose”; “E il canto solenne / si eleva nell’aria / gli Dei si sono innalzati”; “Liberiamoci / dalle strettoie del Dio-materia / dove tutto soffoca e sbiadisce. / Cos’è, cos’è / che mi trasporta così lontano”; “Prendi a volare / non naufragare / nel vuoto dell’aridità.”
Tuttavia, allontanatosi dal branco per ritrovare se stesso (“un sogno d’amore / tra l’individuo e l’universo”), ecco crescere nel poeta un acuto bisogno di tornare nell’umano, tra “gente anonima / fra cui confondersi, / voci e volti sconosciuti / che ti traggono in salvo / dall’indefinibile mistero dell’insondabile”. Da un lato, dunque, lo scatenarsi di un desiderio travolgente di purezza, di liberi abbandoni in un mondo di incontaminata energia; dall’altro l’esigenza tutta umana di stare nei limiti, dal momento che non c’è purezza senza impurità.
Spiritualità e materialità tese l’una verso l’altra, se pure scisse tra di loro. E tutto assume il senso di un viaggio, (un volo nel vento verso gli infiniti universi umani), di un’avventura dolce e di estrema intensità che avvicina “agli angeli invisibili” in un “soffio di pulsione divina”.
Un poema autobiografico, privo tuttavia di autoreferenzialità. Ciò si rende possibile in virtù della catarsi e della palingenesi di cui stiamo parlando, le cui gesta eroiche puntano al superamento dell’ego per potersi immergere nel flusso universale della vita. Superamento che non significa annientamento, ma attraversamento. Bisogna amare e vivere l’umano per poter accedere al piano sovrumano della spiritualità. Bisogna sperimentare la superficie per poter accedere alle profondità. Bisogna vivere orizzontalmente per potersi proiettare nella verticalità.
Non a caso abbiamo sottolineato la musicalità, la gestualità, la fisicità, l’azione danzante e corporale della poesia di Franco Conti, dove è come essere presi in un vortice di versi, pensieri, parole, musica, gesto, danza, visioni: “Poesia è musica / di silenzi e di parole”. C’è la vocalità, la sonorità, il fuoco d’artificio di una sensibilità acuita, capace di approdare a forme di poesia visiva (con esperimenti di video-poesia in cui alla parola, alla musica, al suono si unisce l’immagine che, a seconda delle necessità espressive, può essere reale e naturale o anche scomposta, informale, impressionista), o anche a forme di poesia grafica (con disegni dati da particolari allineamenti dei versi o con intromissione nel testo di sembianze geometriche: rettangoli, triangoli, linee rette, curve, ovoidali). Da un altro lato abbiamo l’aspirazione all’Essere, alla fusione profonda con tutte le cose, annullando spazio e tempo, velocità ed azione. Moto e stasi si rincorrono, dunque, a volte fondendosi tra di loro: “Scintille di luci e di colore / nella piovigginosa notte autunnale, / le automobili corrono veloci / ma per me non esistono più, / l’asfalto lentamente svanisce / per lasciar posto / ad una catena iridescente / di filamenti luminosi / sospesi in un senso d’infinito, / ne colgo l’essenza estetica / come mi muovessi dentro un quadro”.
Ne segue una duplice tendenza metrico-musicale: da un lato il sussulto frammentario del verso e dall’altro l’ipermetro galoppante, a seconda delle situazioni. Da un lato un caleidoscopio di luci scintillanti e di scoppi d’energia; dall’altro un rapimento cosmico, un’ascesi radicale, una paralizzante anestesia sensoriale. Ed in questo contesto superbamente si innestano le poesie d’amore: incanti su incanti per gli occhi dell’amata, per la sua voce, per il suo pensiero, per i suoi attributi carnali, ma l’occasione è propizia per celebrare l’universo e i suoi suoni, per andare oltre l’aspetto sensibile, che è sempre mortale, inseguendo un’ansia di pienezza eternale. Vuoto e pieno sono l’uno nell’altro. Contingenza e assolutezza si danno la mano.
Se in “Time song” c’è il senso del tempo, dello scorrere incessante e ineluttabile delle cose, sempre vivo è il sentimento della rinascita, della rigenerazione: “Ah!, che senso lieve, profondo / di vita, d’amore; / … / C’è terra, c’è natura, c’è cielo / in questa stanza / perché c’è vita dentro me / e sono felice di essere, / sono felice di esserci”. Essere e tempo si rincorrono in “attimi fugaci / eppure eterni / pieni dell’essenza atavica / della vita”. È un’altalena di spinte convergenti e divergenti fra assoluto e relativo, fra sé e il mondo; un movimento costante di estraniazione dalla realtà da cui si è circondati e di partecipazione alla stessa.
Scrive Conti: “in quei momenti / non cercatemi / non ci sono per nessuno / è come se non appartenessi / a questo tempo inquieto / ma ad un’altra dimensione / di un tempo indefinito”. E quando poi torna nella realtà, egli sa che andrà ancora a visitare quei luoghi, i luoghi senza tempo e senza confini “dove non avvertiamo più il corpo / ma solo l’essenza più segreta dell’universo / … / per ricordare ancora / ad un’umanità troppo affannata / il respiro più vero della vita”. Necessita tuttavia l’attuazione di un capovolgimento di valori che spinga a rifiutare il “calderone della mediocrità infinita” di “questi tempi / colmi di vuoto e di assenza”, perché “per sentire veramente / occorre proprio il silenzio / … / per ascoltare / le mille voci silenziose / che parlano dentro di noi”.
Nell’ecletticità delle varie tematiche del libro, si inseriscono con forza anche i testi di protesta e a carattere “sociale” (gli “appunti di poesia civile”). La civiltà muore di gas, di cemento, di traffico e lamiere, di clacson e motori, (efficaci in questo senso “In auto” e ancor più l’invettiva furiosa di “Roma muore…” che è in realtà un tributo d’amore per la città eterna); e poi ancora: vetro, plastica, rifiuti e ciminiere, emblematici i quattro versi di “Hiroshima now”: “Cielo di piombo / su grattacieli di lamiera / alle periferie di cartoni e rifiuti / si spazia su orizzonti di metallo”, una periferia “pasoliniana” che non è ovviamente solo luogo geografico ma una terra desolata dell’anima, un arido deserto di vita. La civiltà muore di egoismo, apatia, finzioni e ipocrisia. Ed ecco allora “Gli indifferenti”: “amministratori di una vita / vissuta senz’anima”; ecco l’odio per la maschera: “maschere per chi vive sempre / come su un palcoscenico / che non rappresenta mai la verità / e giorno per giorno, meschinamente / si inventa la sua parte di uomo”. Ma ecco anche la riscossa, la certezza di essere, il grido della propria identità “al di sopra / di tutto / anche della morte / … / Io uomo / forse già morto molte volte / eppure ancora ben vivo / Io / Esisto”. Ed è una riscoperta della propria figliolanza e fratellanza cosmica.
Una ribellione contro l’appiattimento, un vero e proprio uragano: “Svegliatevi cuori ed animi desolati, / la rinuncia a vivere / è la prima delle morti”; “una mente viva / vivrà per sempre”; “siamo uomini, siamo divini, / pur se mortali”; “E tu, piccolo uomo spaurito, dall’animo fragile, / non abbassare più i tuoi occhi, / affronta lo sguardo bieco dell’arroganza, / delle farse di potere: / proprio dentro di te vive la vita / proprio dentro di te puoi trovare / la forza che ti dà l’Essere Supremo.” Subito dopo però affiora la consapevolezza che l’evoluzione dello spirito è una conquista individuale: “Non senti un canto solenne / provenire dalle più alte regioni / del tuo spirito?” Nessuno può acquisire da altri la propria evoluzione, né insegnarla didatticamente perché il percorso è sempre individuale, possiamo però comunicarla tramite il pensiero, la parola, l’arte, la poesia.
E allora “Non scrivo / per i malati di boria, protervia, presunzione / per chi assurge a maestro di vita / perché è la vita stessa la maestra / ed ha solo allievi.”

Franco Campegiani


FRANCO CAMPEGIANI: (scrittore, poeta, saggista, filosofo, critico d’arte), ha pubblicato svariati testi poetici con le seguenti Editrici: Mario dell’Arco; Rossi & Spera-Carte Segrete; Ibiskos; Sovera. Coltiva interessi nel campo delle arti visive, come critico d’arte, ed è giurato in alcuni premi letterari. Pubblicista, ha svolto un’intensa attività presso emittenti radiofoniche e testate di interesse locale, nonché testate specialistiche.
Animatore culturale, ha curato rassegne e collane letterarie per conto di Editrici e Gruppi Culturali. Ha inoltre dedicato particolari attenzioni all’organizzazione di eventi multimediali ed ha promosso manifestazioni sia artistiche che letterarie, nonché iniziative ecologiche, dando fra l’altro impulso a svariati cenacoli culturali. In campo filosofico ha pubblicato nel 2001 con l’Editore Armando, un saggio dal titolo “La teoria autocentrica”, sviluppando una rivoluzionaria interpretazione dell’Armonia dei Contrari. Inoltre, con lo scrittore Aldo Onorati ed il sociologo Filippo Ferrara, ha dato vita nel 2005 al Manifesto dell’Irrazionalismo Sistematico, ispirato all’opera del Maestro Bruno Fabi. Nel 2008, il Progetto Athanòr in collaborazione con l’Accademia Internazionale “Città di Roma”, gli ha conferito una laurea honoris causa in filosofia.

“…Ho dentro un grido selvaggio,
una bomba inesplosa di vita,
un tuono che si srotola
da distanze sconosciute…”

(Franco Campegiani da “Cielo amico” Ibiskos Ed., 1989)



Metamorfosi del divenire: poetiche di vita


M.P.P. (MANIFESTO PROGRAMMATICO POETICO)

SCRIVO PER CHI

Non scrivo per tutti
ma solo per gli uomini
che hanno un’anima,
che sanno ascoltare
che sanno capire.
Scrivo per chi come me
sa provare emozioni ed amore
per chi vive d’arte e di poesia
e non per denaro, effimera gloria,
vacui successi, inutile arrivismo.

Scrivo per chi come me
si esalta e si inebria
della bellezza della natura
in cui vorrebbe quasi disperdersi
ed entrare in simbiosi.
Scrivo per tutti gli spiriti sensibili
che sanno gioire, commuoversi, soffrire
e vivere la propria vita.
Non scrivo per i malati di boria,
protervia, presunzione,
per chi assurge a maestro di vita
perché è la vita stessa la maestra
ed ha solo allievi.

Scrivo ancora per le persone amiche,
per comunicare, dialogare, confrontarmi;
per le persone che mi amano,
per le persone che amo
per vivere insieme
momenti d’emozioni
e regalargli attimi d’incanto,
sprazzi di poesia.

E poi infine
scrivo per me stesso
per dare finalmente una voce
a quest’anima
che non vuole e non può
stare più in silenzio…


C’È UN TEMPO, C’È UN LUOGO,
C‘È UNA BAMBINA

(a L., qualche tempo fa, in Sardegna)

C’è un tempo, c’è un luogo
e c’è una bambina
col vestito rosso, un cestino in mano
che attende… attende di andare al mare,
all’ombra di eucaliptus al vento,
attende… una corriera che non arriva.

C’è una terra antica, un sapore lontano
e c’è un ricordo
di una bambina nel vento
con un fiocco nei capelli, un fiorellino in mano
in attesa… in attesa fremente di andare al mare,
in attesa già da un po’
di una corriera che forse non verrà.

C’è ancora un sole di primavera,
un profumo di mirto nell’aria
e solo un po’ più lontano c’è un mare,
un mare azzurro, infinito
come in attesa di una bambina
col vestito rosso, un cestino in mano,
una bambina che non verrà più.

C’è ora una donna
che ha varcato quel mare
in cerca di altre fortune,
una donna di sguardo intenso, respiro antico
che trattiene in sé
la memoria atavica
di un’isola nel vento
e di una bambina
col vestito rosso, il cestino in mano
nel cerchio di eucaliptus
che attende… attende di andare al mare,
attende ancora la corriera mai arrivata…

…ma dai, dimentica per un attimo
quel ricordo che ancora fa male,
dai, metti un vestito rosso,
andiamo… ti porto al mare…


CANTO LONTANO PER I VIVENTI PENTITI

Ci sono momenti
che ti sembra di poter afferrare
la tua vita tra le mani
e, incantato, stare a guardare.
Vedi! L’infinito è così vicino.
Ascolta! Non senti un canto solenne
provenire dalle più alte regioni
del tuo spirito?
Se riuscirai a percepirne
anche solo una lontana eco
ti arricchirai per sempre
ed anche tu sarai un frammento d’universo
come stelle discese
ad illuminare le tenebre
che ci avvolgono l’anima.

Non annullarti, non svilirti,
non dilaniarti, non distruggerti:
puoi essere un frammento del tuo Dio,
puoi essere un anello vivo della catena della Vita,
puoi essere un cuore in più che batte per Amore.

Ascolta amico,
dalla soglia estrema
oltre il quale intravedi
solo un tuo desolato tempo futuro,
getta via lontano
le siringhe e le bottiglie,
apri le finestre
dove puoi vedere il sole,
non piangerti più addosso
non serve che a fortificare
la lunga catena del dolore,

piangi solo d’emozioni!

Anche se siamo solo fragili uomini
vivono ancora dentro di noi
gli Dei delle Arti,
le Muse della Musica
e scampoli infiniti di tenerezza
riusciamo a provare ancora,
così, prova a far partecipi altri
dei tuoi momenti migliori,
è vero, più che ad amare
forse gli uomini
riescono molto meglio a deludere,
ma non arrenderti,
vedrai, sarà bello anche così
e se un giorno qualcuno
ti offrirà un sorriso vero,
anche solo questo varrà molto di più
dei tuoi mille paradisi artificiali
perché avrai afferrato
un granello della poesia infinita
che vive dentro di noi
troppo spesso dimenticata.


LA VOCE DEL RICORDO

(a mio fratello Crescenzo, scritto nel 2010,
nel ricordo dell’infanzia, a Falvaterra)

E qualcosa oggi mi spinge fin qui,
qui dove si formavano
le albe antiche d’infanzia
e i suoni avevano altri colori,
altri sapori, altre armonie.
Qui, oggi,
salendo ancora
lungo la cima di questa montagna,
regno dei miei giorni bambini,

dei tuoi giorni adolescenti,

qui, proprio qui, ecco in silenzio tendo i sensi
e mi metto ad ascoltare
se nell’aria, nel vento, nel tempo
è rimasta qualche lontana eco
di un richiamo, una voce, un fischio,
qualcosa di te, di quei giorni perduti
quando piano, senza fretta
salivamo verso il monte
con le pecore, il cane,
le nostre giovani vite
e il mondo sembrava senza fine
e le gambe giovani e forti
non conoscevano ostacoli,
dimmi (se solo potessi dirmi)
ti ricordi come cavalcavo l’asino,
spericolato, senza sella
nel saltare i fossi,
dimmi (ah! Se solo potessi dirmi)
ti ricordi i voli sull’altalena
da quell’albero di castagno
e dimmi ancora (ma non puoi più dirmi)
di quel vecchio grammofono a manovella,
con la punta di rame
datoci chissà da chi,
che mi portavo dietro sulla montagna
con l’unico disco a 78 giri
“anema e core”, sì mi ricordo ancora
e tu che davi fuoco alla “stramma”,
l’erba secca della nostra montagna,
chissà, forse come in un rito
propiziatorio di qualcosa
e il carosello dei falò
sembravano tripudi di vita e calore.
Ma ecco, arriva ora portata dal vento,
la voce del ricordo
di quella spavalda sicurezza
dell’essere così liberi e veri
fino al fondo
di quei nostri giovani anni.


1 – UNA MATTINA MENTRE IL TEMPO CANTAVA

Ho sbocciato tremuli rossi papaveri
al sole di giugno,
ho udito il serpente
intrufolarsi tra la siepe
e non ci siamo disturbati,
le cicale accordavano
i loro preludi d’estate,
la schiuma delle lumache
sui fragili steli delle sassifraghe,
le bianche campanule
sbocciate al sole e al vento,
le foglie di catalpa ricordano i cuori
e gigli selvatici e frutti di mirtillo,
neri carboni
specchi di fuochi accesi –

il paese mi sovrasta ora,
io forse sovrasto me stesso –

sul ciglio del ponte
lungo il baratro del torrente
mi ritraggo,
devo ricordarmi
che non posso volare…

Nella piccola radura
adagio il mio spirito,
il possente ippocastano
indica forse la via:
le sue braccia
raggiungono la terra e il cielo,

io dove sono diretto?
Ora la gioia e la sofferenza di vivere
vivono insieme,
ora sul campo aperto
dove risuonano i miei passi,
dove confabulano le balle di fieno
e laggiù l’ombra della quercia secolare
mi chiama:
tra l’odore dell’erba tagliata
chiudo gli occhi
mi trovo sotto altre ombre
nel campo della mia memoria,
sotto l’albero di pero
dove abitavano i cervi volanti…

Ho scavato nel terreno secco
per trovare nuovi germogli di radici,
ho scavato dentro di me
per ritrovare le mie
ed ho sentito ancora
il loro caldo abbraccio
NO, mai più fuggirò da me,
percorrerò anche le strade della pena
perché terminano forse
sul giardino delle rose,
sul giardino della gioia,
sul giardino del tempo…
…che verrà…

Laggiù oltre il pino,
oltre la curva della montagna
immagino il mare…

Laggiù continuano i giorni…


ESISTO…

Al di sopra

del pianto
trattenuto nella gola

Al di sopra

delle tristezze
ataviche
dell’anima

Al di sopra

delle nostalgie
del tempo trascorso
adagiate su stagioni d’autunno
che hanno incorniciato
il colore dei miei anni

Al di sopra

dei mesti sorrisi
e delle dolcezze trattenute

Al di sopra

di tutto
anche della morte
con un brivido nel corpo
ho avvertito per un attimo
che si perpetua nell’eternità
tutto il senso della vita

Io
Uomo

forse già morto molte volte
eppure ancora ben vivo
Io
Esisto…


L’infanzia: alba della vita
nel mito della nostalgia e del ricordo…

RICORDO UN TEMPO

E ancora posso riascoltare
il lontano suono del ricordo
di antiche scene, antiche sere
perse nell’oblìo del tempo.
Vecchie indimenticabili immagini
per sempre immutabili
nella mia memoria.

Voci, qualcuna ancora vive,
nel cielo colori di arcobaleni,
negli occhi la scoperta del mondo,
nelle gambe la voglia di correre…
Io, solo un bambino
ma avevo tutto un mio mondo.

E ancora posso vedere
vecchie radure
dove il vento urlava
con voce impetuosa
ancora c’è una vecchia donna
che per l’antico sentiero si allonana,
in testa ha una cesta,
nel cuore, chissà,
se ancora speranze…

Ed è sempre lì il paese,
immobile sulla collina,
quelle piccole piazze
quelle poche case
hanno visto passare
intere generazioni di uomini
ed io sono solo un piccolo granello
della sua storia,
certo, sopravviverà
anche dopo di me,
per quanto tempo ancora?
per quanto tempo ancora!

Questi sentieri, questi alberi
sono ancora qui
ed hanno radici
ben salde come le mie,
così a volte
ancora qui ritorno
a ricercare tutto il senso
che c’era
e che mai
sarà perduto…
(mai perduto… perduto… perduto…)


METAMORFOSI DEL DIVENIRE
VISIONI DI ALTRE DIMENSIONI
(Poesia fantascientifica)

– Guardando la parte finale
“Giove e oltre l’infinito” del film
“2001: odissea nello spazio” (1968)
di Stanley Kubrik –

Luci vaganti
nella notte stellare,
caleidoscopio di colori
allucina il pensiero
oltre tutte le possibili forme:
visioni, trasformazioni,
trasfigurazioni –
rosso, arancione, giallo,
verde, azzurro,
indaco, violetto:
il prisma della luce;
il battito universale dell’occhio,
galassie fluttuanti nell’immenso
spazio senza fine;
comete, masse nebulose,
ellissi, masse gelatinose
in cui immergersi, sprofondare
e il suono
il suono infinito
delle distese universali…
il vuoto…
strane forme
ai confini della vita
tra primordi di tempo
senza tempo,
in viaggio verso il Bing Bang?
Il grido, il grido compresso
come un URLO lacerante del Mondo –
l’occhio, l’occhio che scruta
profonde oscurità,
che batte allucinato oltre tutti
i confini della materia
vagante, fluttuante
in volo astronomico,
si approderà in luoghi sconosciuti
impossibili da immaginare
dove tutto ha un termine
o forse un principio
nella trasformazione divina,
noi proiettati nel grembo dell’universo –
il corpo, il non-corpo, il pensiero,
il silenzio, il nulla, l’anima,
la vita, la non-vita,
la morte, la non-più-morte,
la stasi nell’evoluzione dinamica
di mondi paralleli
in cicli ripetuti,
corsi e ricorsi –
il plasma sanguigno
nei canali dello spazio profondo
sperduti in una terra di nessuno,
visioni di inferni e paradisi,
la rarefazione estrema
nell’assoluto
nell’arcano
nel divenire metamorfico
senza tempo,
senza spazio,
senza fine


PER “CERTA” TELEVISIONE

Insulsi stereotipati messaggi,
chiasso, rumori fastidiosi si emanano
da quel piccolo schermo
ora anche grande, flat, plasmatico –
pubblicità a valanghe
nel mass-media per eccellenza
per plasmare gente da convincere,
da massificare nel gusto, nei prodotti,
nelle tendenze, nella mancanza di idee.
È l’ospite fisso a cena, la TV,
e si ascoltano voci ammiccanti,
si guarda, si segue
e sono travolgenti storie d’amore, se va bene,
sono notizie anzi news
guidate, manipolate, costruite
per orientare il pensiero (dove c’è ancora).
Talk-show-spettacolo che spettacolo non è,
reality-show che show non è
nella finzione malriuscita della realtà,
fiere assurde di vuoti e vacuità.
C’è un tema da approfondire
perché fa audience
e sono chiacchiere all’infinito,
si dibatte (nell’intenzione),
ci si infervora, si alza la voce (e solo quella),
si litiga, ci si incazza:

“io credo… io penso… ma no cosa dici…
quantunque… per come e perché…
ordunque… siccome e sicché…
bla bla bla… quaquaraquà e perepepé…”

ma occhio c’è anche il varietà (più o meno)
gambe nude e tutto il resto all’aria
per allietare la fantasia spinta dello spettatore.

E allora dai partecipa anche tu,
vieni su esibisciti, fatti vedere, datti da fare,
basta apparire: non sai parlare, non sai ascoltare,
non stai stare zitto, non sai fare niente
ma come litighi bene!
E allora via, non è più richiesto il talento,
ma un personaggio sì, quello devi esserlo,
devi far parlare
e ancora “bla bla bla cuccurucucù paloma
ahia ahia ahi parlava!”

Insomma dai, buttati nella mischia
nel calderone della mediocrità infinita
magari diventi famoso pure tu,
un nuovo riferimento pieno di niente
per questi tempi
colmi di vuoto e di assenza.


IL PRINCIPIO E LA FINE,
LA FINE E IL PRINCIPIO

In principio era l’uomo,
e poi fu la vita
e poi fu la morte.
Quando si scoprì l’amore credemmo ancora;
quando vinse l’odio, agghiacciati,
predicammo parole di pace
…ed ora che proprio su di noi si sommano
le civiltà e le inciviltà dei secoli,
ora che siamo presi
tra la vita e la morte,
tra l’odio e l’amore,
tra la desolazione e la speranza:
dove conduciamo ancora il nostro pensiero,
dove le incertezze dell’anima –
si costruisce un mondo di nuove certezze
o si distrugge la storia dei secoli?

Dov’è il solco invisibile della fine,
dove inizia la linea del principio?
Se la vita e la morte sono indissolubili
e si completano
dov’è il taglio netto,
la precisa linea di demarcazione,
si riesce veramente a vedere il cordone ombelicale
della vita di una nuova generazione?

È IN GESTAZIONE L’UOMO NUOVO?
L’uomo nuovo, l’uomo nuovo
o l’uomo A-U-T-O-M-A?

Uomini, si nasce e si muore tante volte
e non ce ne rendiamo neanche conto,
si vive forse anche al di là della vita
o forse non si vive mai –
se a volte crediamo di avere il mondo tra le mani,
attenzione, potrebbe sfuggirci
e toccare la mente;
se crediamo che la fine è già avvenuta
e brancoliamo nel buio,
uno scarto improvviso e di nuovo si apre gli occhi
su noi, sugli altri, ancora su noi e gli altri,
siamo un tutt’uno con gli altri che sono con noi.

Credemmo e fummo delusi,
non credemmo e fummo smentiti,
l’incertezza della vita è la sua certezza di vita
e l’uomo è sempre in noi:

NON DIMENTICHIAMOLO,
NON DIMENTICHIAMOCI,
NON DIMENTICATEVI.

Io vissi e morii
poi nacqui ancora
amai
mi dimenticai di me
mi ricordai
mi illuminai all’idea dell’amore
soffrii
fui felice forse senza saperlo
e chissà a volte odiai anche veramente,

…ma io,
io che scrivo poesie,
non sto parlando solo di me
ma anche di te che puoi capire,
anche di te che puoi sentire,
anche di te che puoi amare,

puoi ascoltarmi,
puoi ascoltarmi veramente, amico,

PUOI ASCOLTARMI?…

“…egli aveva tra le braccia il mondo intero,
e ogni stella del cielo ardeva in lui
e scintillava voluttà nella sua anima.
Aveva amato e amando
aveva trovato se stesso…”

(Hermann Hesse “Demian”)


LA FIGURA DEL SOGNO

Lampi
bagliori
spiaggia che
accoglie corpi
sinuosi interi
frammentati segmentati
Universo femminile alla
ricerca di se stesso
di completezze
Corpi che sorgono
dal mare che si
proiettano nell’aria
all’incrocio di
arcobaleni
Oniriche sembianze
Trasfigurazioni ideali
di realtà ludici infiniti
universi sensuali
Danze con luci
al neon occhi
magnetici musica
dei corpi
perfette
geometrie
rotondità
plasticità
morbidezze
offerte ad occhi
che sanno vedere
anche oltre l’immagine
nuda
Figura del sogno
Evanescenza della
realtà Concretezza
ricercata a volte
ritrovata Sublimazione
del sogno a volte sfuggito
evaso nella paura di
sognare paura di volare
oltre i limiti razionali
Sogni come riti sacrificali
come miti come simboli
trasportati nel nostro tempo
Collages d’emozioni
ognuna un piccolo frammento
delle tue figure di sogno.

SCULTURA

Scultura
è concretizzare immagini
trovare FORME
rappresentazioni.
Visioni perpetuate
nel soggettivismo
REALIZZATE.
Scultura
creazioni scaturite
da puri primigenii materiali
che la Terra generosamente offre.
Messaggi codificati
ardue concezioni
forme arcaiche
primitive
o forme di ricerca
d’avanguardia

sperimentali
sempre riconducibili
all’ESSENZA
alla SINTESI
delle COSE.

Dialoghi muti————————————-
dalla pietra sviscerati
nel legno intagliati //////////////////////
Mani addentratisi
nell’anima della terra
nell’argilla mescolata
impastata
cementata
Mani che plasmano
che perfezionano
sottiliartistici modelli

NUOVE FORME

lanciate nel futuro
in un attuale
imprecisato confine

tra Arte e Contemporaneità
SCULTURA:
COMUNICAZIONE
INCISA
NELLA PIETRA
MESSAGGIO
SCOLPITO
NELLA STORIA
lasciati all’eternità
del Tempo……………………………………


SENZA FINE…

C’è una strada incantata
come una lunga scogliera senza fine
in qualche luogo
di un sogno ricorrente,
un sentiero da percorrere
in cerca di sensi ancora nascosti:
lo troverò un giorno quel cammino
è lì che tutto ebbe inizio
e non avrà fine.
C’è un luogo magico
nella mia anima
che vive
nella dimensione di un sogno:
troverò quel luogo,
in esso mi immergerò,
in quel sentiero scosceso
eppure dolce
lungo un declivio di colli
digradanti sul mare infinito,
come sapori di altre esistenze
come colori che non conosco
per scoprire quelle nascoste armonie
di canzoni che cantano nel vento
e suoni d’arpa tra le rocce:
è allora che distillerò
quel succo dolce di vita
per farne un’essenza, un profumo
da donare a chi si incammina
nei magici sentieri
battuti dal vento, segnati dal tempo,
nello spazio cosmico senza fine
alla ricerca del senso più vero
del proprio essere.


TRASPARENZE

Giochi d’acqua
gocce
scintillìi
zampilli
rinfrescano marmi
e cippi scultorei.

Giochi di luci
giochi d’ombre
alberi fanno capolino
con la notte.
Effluvi lacuali
lungo argini di fossi,
ruscelli mormoranti
tra le siepi.

Delicate trasparenze
di bellezza
lievi essenze.

Uno spicchio di luna
solca un cielo
trapunto di stelle
in una notte d’estate
che odora di terra.

Trasparenti desideri
affidati a lembi di tempo.

Tutto traspare
tutto trascolora
tutto scompare
ma qualche stella dimenticata
ogni tanto riappare

e ritrovo
la quintessenza del bello –
estetica di forme, luci, colori:
è un plasma vivo o inerte
che rifulge,
è cogliere il magma più intenso
di tutte le cose
prima che traspaiano
nei solchi del tempo.


THE RAIN SONG
(LA CANZONE DELLA PIOGGIA )

‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘
‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘
Batte la pioggia
di là dal vetro
nella luce pallida
di un nuovo giorno che sorge
lentamente
a illuminare le strade del mondo,
i percorsi di vita.

Batte, batte la pioggia
come uno scandire
determinato dal tempo,
come il senso
di un fiume che va
solcando vasti orizzonti.

Batte, batte ancora la pioggia
di là dal vetro
ed io qui a sognare
di volare sopra altre realtà
che si dispiegano agli occhi,
alla mente, al cuore –
che ti avvolge
in ataviche sensazioni…
altre realtà…
altri sogni…
altra vita
oltre quella già vissuta
mentre batte ancora la pioggia, fuori,

di là dal vetro…

la pioggia…
lacrime di un mondo soffocato…
acqua che lava le ferite della terra…
pioggia da cui cerchiamo riparo…
pioggia che batte ancora
incessante
di là dal vetro…
‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘
Listen this rain in the morning
‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘
Ascolta…
la pioggia ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ ‘


FALVATERRA

Il mio sguardo bambino
ti guarda
per la prima volta
di cui abbia coscienza,
ed eccoti lì, Falvaterra,
qui da lontano,
nella campagna,
guardo le tue case antiche
arroccate sulla collina
ed è un senso d’eternità
di piccole cose
vive dal suo inizio,
è un sapore antico
di respiri di tempo,
che sembra fermo ma va
come gli aliti di vento leggero
sulla mia fronte,
apro così le braccia ad ali
nella folle breve corsa
come per volare fino a te,
Falvaterra,
ciglio del mondo allora
per me appena nato
alla ragione della coscienza.


DREAM & MEMORY SEQUENCE
(SOGNO & MEMORIA)

…è partito l’ultimo treno della notte,
è partito per andare lontano,
destinazione sconosciuta –
velocità che spezza il suono
oltre le barriere, oltre i limiti
…e il fumo che sale lento
da campagne ondulate,
piatte distese in fuga verso l’orizzonte –
brumosi fossi di lievi nebbie serali
incorniciano la notte
al soffio dei venti dei ricordi…

…ricordi che girano
attorno ai bordi della mente
in un circolo di sensazioni…
ancestrali memorie lungo i confini di un sogno
che fluttua ondeggia spazia
si posa s’invola ancora
nell’aria fresca di un nuovo mattino…

…nuovi mattini e nuovi giorni
nei miti dell’esistenza,
noi esseri creati e ricreati
così perduti a volte
smarriti nei viaggi della grande notte,
ritrovati in nuove luci
nuove gemme
su rami d’oro,
nuovi frutti darà
l’albero della vita!


A WASTE SOUL IN A SHINING LAND

(to T.S. Eliot and for Freedom)

I

Remembering the finished days…
All the time passed…
We’ve lost our soul.

Time to dream again
Time to no-reply
We’ve left something
in the memory of our years

and the ghosts of time
runs across the rivers of pain.

Where is our soul?
Where is our time?
Where is, where is
what we will find?

……….
II

E la tristezza atavica
scende ora su di me,
accoglie lacrime di sale.
Ho sentito l’urlo dell’orgoglio
di un popolo sterminato –
Ho sentito il tuono
di mille minacciosi cannoni –
Ho sentito il rombo
degli aerei di morte –
Ho veduto la paura
negli occhi di un bambino,
solo al vuoto tendeva la mano
ed ho accolto dentro di me
l’eco dei canti di cento, mille blues.
Per tutti quelli che sono lontani,
nel rifugio dell’indifferenza,
sentiamo nel petto il dolore
di mille ferite di più
di un’umanità calpestata,
e lacrime amare, di sale,
scendono a bagnare
una pagina scritta.

Ah! È mai possibile
che la forza di milioni di anime pure,
che il suono possente di milioni di voci
non possano estirpare il male
quando soffoca le voci della speranza?

LIBERTÀ, LIBERTÀ, LIBERTÀ
è ancora il grido
che ci scava nel cuore
ci trafigge, ci consuma
ma pur t’invochiamo ancora
LIBERTÀ, FREEDOM,

LIBERTÉ, LIBERTAD,
LIBERTÀ…

Freedom to feel
Freedom to live
FREEDOM, FREEDOM…

LIBERTÀ, LIBERTÀ…

(Traduzione I)

Ricordando i giorni trascorsi…
Tutto il tempo passato…
Abbiamo perso la nostra anima
Tempo per sognare ancora,
Tempo di non-risposte
Abbiamo lasciato qualcosa
nella memoria dei nostri anni
ed i fantasmi del tempo
corrono attraverso i fiumi di pena.
Dov’è la nostra anima?
Dov’è il nostro tempo?
Dov’è, dov’è
quello che stiamo cercando?


MEMORY OF HIROSHIMA

E dopo il lampo, il tuono, il rombo, il fragore, lo scoppio, l’URLO:
dopo il fumo, la nube, il fungo velenoso dell’aria,
la polvere raccolta dalle strade del tempo;
dopo l’immane suono svelato
delle mille paure dei secoli,
l’angoscia trattenuta
dispiega le sue ali
trionfanti
di distruzione:

Passi silenziosi
lungo la memoria
collettiva
del mondo
per ritrovare
un deserto
perenne
di vita
in un
paesaggio
desolato
dell’anima.

HIROSHIMA NOW
(a P. P. Pasolini)

Cielo
di piombo
su grattacieli
di lamiera –
alle periferie
di cartoni
e rifiuti
si spazia
su orizzonti
di metallo.


IVAN GRAZIANI
(tra la tua musica e le tue parole)

C’è qualcosa nella tua musica
che mi commuove,
qualcosa che smuove l’anima
e mi fa viaggiare con il cuore
nello spazio delle tue canzoni
vissute con intensità.
Ti ho scoperto tardi, chissà perché,
ed eri già partito
per il tuo viaggio verso l’infinito
ma di te, ora, resta non poco:
la tua musica, le tue parole
come una colonna sonora vivente
accompagnano istanti d’emozione
e mi chiedo se l’hai poi dato
quel primo bacio ad Agnese
o se sei più tornato a Lugano con Marta,
mi chiedo anche se hai per caso incontrato
quella bionda signora dei ciliegi,
se l’aria di Firenze
ha sentito una canzone meno triste
e come è grande ora
quel bambino a cui cantavi
la tua tenera ninna nanna abruzzese,
mi chiedo perfino se Attilio
si è finalmente deciso
a vivere un po’ d’amore
e so che tutte le risposte
possono darle la fantasia, l’immaginazione,
ho ritrovato anch’io ora, nella soffitta,
il triciclo del bambino antico
e sono “un tutt’uno con l’anima mia”.
Addio a te amico di spirito,
addio amico d’arte, di musica, di poesia:
l’ippocampo della mia mente
cattura e comunica
sentimenti d’amore

“…e penso all’amore
e al suo fuoco interiore
che nessuna tempesta mai spegnerà…”

sentimenti di vita

“…vita, vita
e che non si dica
che io non ti ho vissuta mai…”

Canzoni di riferimento:
“Agnese” / “Lugano addio” / “Signora bionda dei ciliegi” / “Firenze (canzone triste)” / “Ninna nanna” / “Limiti (affari d’amore)” / “Bambino antico” / “L’ippocampo” / “Vita”.


VOLO ALL’ALBA
(morning fly)

Vieni via con me,
corriamo incontro all’infinito.
Vedi anche le nuvole
ci vengono incontro
e le stelle
sembrano più luminose che di notte.
Corriamo lontano
sospinti dal vento,
dopo verrà un’aria intensa
di nostalgia lontana
ma noi cavalcheremo
lievi
il tempo,
le ombre delle paure
si dilegueranno,
ci sembrerà strano
non dover aprire gli occhi
come al termine di un sogno…
ma tu avvertilo
questo lieve profumo
di verdi anni che tornano
come bambini ancora,
ai margini
alle rive estreme,
verso l’infinito
sospinti dal respiro degli Dei.

“Era al di là di quello schermo
di umori volatili che il suo sguardo
voleva giungere: la forma delle cose
si distingue meglio in lontananza.”

(Italo Calvino “Le città invisibili”)


7 – OLTRE, SENZA CONFINI

Tornerò ancora
nei luoghi senza confini
dove il tempo sembra fermo
per dormire quietamente
sulla nuda terra.

Tornerò nei luoghi
dove nessuno passa,
dove il ramarro
mostra la sua verde livrea,
dove si ascoltano ruscelli
scorrenti tra umbratili fossi
e lontani richiami
di rapaci in volo
in alto sulle vette.

In quei momenti
non cercatemi
non ci sono per nessuno
è come se non appartenessi
a questo tempo inquieto
ma ad un’altra dimensione
di un tempo indefinito
sospeso tra passato, presente e futuro.

Tornerò nei luoghi
dove non avvertiamo più il corpo
ma solo l’essenza più segreta dell’anima,
vi tornerò per ritrovarvi profonde sensazioni
e per ricordare ancora
ad un’umanità troppo affannata
il respiro più vero della vita.

Vi tornerò ogni tanto
fino a quando forse un giorno
di un futuro lontano
mi dimenticherò di tornare
alla quotidiana realtà

e come un dolce vento di primavera
mi disperderò o forse mi ritroverò
nel fragrante profumo
di un fiore di maggio.


Postfazione
di Anna Maria Amori

Questa corposa raccolta, già mostra nel titolo una profonda riflessione su temi di estrema importanza suddivisi in capitoli comprendenti testi dalle tematiche omogenee. L’autore esprime la sua interiorità sublimata dalla poesia e fusa in uno spirito libero, un immenso amore per la natura e una latente nostalgia che è lì, annidata tra i versi che corrono sulle linee parallele di un binario classico-moderno.
Sono questi gli elementi che hanno fornito all’autore gli spunti per la composizione di splendidi gioielli, sia per il pensiero intenso e profondo, sia per lo stile particolare dove spesso, come originali tasselli, unisce la nostra lingua all’idioma inglese e in minor misura al francese o tedesco.
L’autore, con questa pubblicazione ha finalmente portato alla luce tante poesie che attendevano da anni di essere date alle stampe, possiamo così scoprire un’anima sensibile, un autore amante del bello, della natura, della cultura e dell’arte in generale che esterna anche componendo versi dedicati ad artisti di massimo livello, dai grandi musicisti che hanno lasciato al mondo quei diamanti di opere che rapiscono l’anima, agli artisti, ai poeti e scrittori di chiara fama.
Presento ora alcuni versi per ribadire l’afflato dell’autore con la natura, con l’arte nella totalità dei suoi elementi e con la spiritualità di pensieri profondi che spaziano nel magico mondo della poesia.

  • Da “Sulla soglia dei giorni trascorsi – itinerari della memoria”
  • Lontano… nel tempo “Ancora oggi / volgendo lo sguardo / mi par di vedere quella casa / lontana… nel tempo / … / Un po’ sono rimasto proprio là, / là dove fioriva il melograno / e respirava il gelso a primavera…”

  • Da “L’inquietudine della sera, il fascino misterioso e tenebroso della notte”
    • I silenzi della notte “Amo la notte / le sue forme accennate, / i suoi indecifrabili suoni, / la sua leggera spazialità”
  • Notturno “Fontana notturna / nella fioca luce / come un distillare / di gocce d’anima / s’involano / verso il mistero / del futuro / – dove mai / si racconterà / di estremi pensieri –”

  • Da “La trascendenza, la meditazione, la ricerca, il mistero, il senso cosmico della vita”
    • …and all is so quiet in here “… / solo noi ne possiamo conoscere / il dolce e la ferita, / solo noi / forse così vicini / agli angeli invisibili / forse a volte / così vicini a Dio”
  • Il lupo urla ancora alla luna “… / vivere intensamente / aspettando un nuovo mattino / che ci porterà lontano, in alto, / dove tutto si alleggerisce / o dove tutto svanisce?”

  • Da “Per i sacri fuochi dell’Arte, per le creazioni emotive”
    • Beethoven “Il suono immane / batte alla porta del destino / a compimento dell’umano fatale. / Note di luna / adagiate su tappeti di sogno / … / Corale inno alla gioia / finale immenso / proteso nel cosmo / universale / dell’armonia.”
    • Edith Piaf “E via / dispiega ancora al vento / il tuo canto infinito / piccolo uccello / dalla grande anima / … / Penso a te / come un bianco gabbiano / che solca i mari d’inverno / riscaldato dal sole dell’anima / … / Oh oui, la tua voce / chante encore et pour toujours / l’hymne à l’amour.”
    • Genesi artistica “L’arte più alta / la creazione sublime / nasce da spiriti irrequieti / da animi inquieti / non è il pane / degli uomini vacui / che restano in superficie / … /
  • Arte è trasgressione, / rappresentazione / dell’impulso più profondo / del nostro essere, / è la luce / che illumina l’anima / alla sua realizzazione”.

  • Da “L’amore e la ricerca dei suoi imprescindibili percorsi”
    • Se la vita “E se la vita / è buia come una notte / l’amore è come una fiaccola / che illumina le sue ombre.”
  • Chanson d’amour “Guardo nei tuoi occhi / e vedo onde del mare, / perle lucenti, / topazi, lune di giada / immerse in un sogno.”

  • Da “Quando i venti di tempesta (Appunti di poesia civile)”
    • Memory of Hiroshima “E dopo il lampo, / il tuono, / il rombo, / il fragore, / lo scoppio, / l’URLO: / dopo il fumo, / la nube, / il fungo velenoso dell’aria, / la polvere raccolta / dalle strade del tempo / … / Passi silenziosi / lungo la memoria collettiva / del mondo / per ritrovare / un deserto / perenne / di vita / in un / paesaggio / desolato / dell’anima.”
  • Bambini… (Voodoo child) “Bambini nella miseria e nella disperazione / con gli occhi sbarrati e i ventri (Voodoo chile) rigonfi / … / Bambini nel fumo e nelle rovine / cresciuti tra le strade / nei lati emarginati dell’esistenza. / Bambini che la guerra, / che l’indifferenza, uccide.”

  • Da “Nella natura… nell’uomo”
    • Richiami “…E vengo ancora qui / dove c’è poesia nell’aria, / nel suono lontano di campane / da paesi incastonati tra le montagne; / c’è poesia nei ricordi sfumati / e in quel filo di fumo / che sale lento; / c’è poesia / nelle voci, nei suoni, nei richiami / che si disperdono nella valle.
  • Oltre, senza confini “Tornerò ancora / nei luoghi senza confini / dove il tempo sembra fermo / per dormire quietamente / sulla nuda terra.”

  • Da “Homages lyriques and Elegies”
    • Prayer in january (a Fabrizio De Andrè) “… / Amico fragile / dalla grande anima / ti ascolterò ancora / perché continua il tuo canto…”
    • Ai miei genitori, insieme “… / danzavano come / fino alla fine dei loro giorni / un ballo scomposto, frenetico / come quando mio padre / suonava l’organetto / nelle aie della mia infanzia, / una ballo d’amore contadino / …”
  • La voce del ricordo “…/ Ma ecco, arriva ora portata dal vento / la voce del ricordo / di quella spavalda sicurezza / dell’essere così liberi e veri / fino al fondo / di quei nostri giovani anni.”

  • Da “La vita è sogno, l’emozione è la vita”
    • Trasparenze “Giochi d’acqua / gocce / scintillìi / zampilli / rinfrescano marmi / e cippi scultorei / … /
    • Delicate trasparenze / di bellezza / lievi essenze / … / e ritrovo / la quintessenza del bello / – estetica di forme, luci, colori – / è un plasma vivo o inerte / che rifulge, / è cogliere il magma più intenso / di tutte le cose / prima che traspaiano / nei solchi del tempo.”
  • Senza fine “… / troverò quel luogo, / in esso mi immergerò, / in quel sentiero scosceso / eppure dolce lungo un declivio di colli / digradanti sul mare infinito, / come sapori di altre esistenze / come colori che non conosco / per scoprire quelle nascoste armonie / di canzoni che cantano nel vento / e suoni d’arpa tra le rocce / …”

  • Da “Volo nel vento verso gli infiniti universi umani”
    • Portogallo “Giunto qui / sul ciglio del mondo / al Dio Atlantico tendo le braccia / per un volo ideale verso l’infinito / laggiù, all’orizzonte / oltre l’oceano e le nuvole. / Accogli il mio canto / Dio del vento / esso ti raggiungerà / dove il mistero si tinge di azzurro.”
    • Quando il vento “Quando i venti solitari / soffiano sulle valli / e disperdono i semi / da cui nascerà nuova vita, / vorrei anch’io essere vento / per lambire / col mio invisibile manto / tutti i fragranti profumi della natura / …”
  • Pace “Ed è solo questo suono così lieve / che mi solleva ancora l’animo / a riprendere le sue ali perdute / tra le nebbie oscure del dolore. / … / …e quando un ciclo si chiude / eppure un canto ancora / di struggente bellezza / si strappa dai tentacoli del dolore / per dirci ancora una volta / che forse tutto si crea / e nulla… / …e nulla / si distrugge.”

  • Da “Prologue”
  • Scrivo per chi “Non scrivo per tutti / ma solo per gli uomini / che hanno un’anima, / che sanno ascoltare, / che sanno capire. / Scrivo per chi come me / sa provare emozioni ed amore, / per chi vive d’arte e di poesia / e non per denaro, effimera gloria, / vacui successi, inutile arrivismo. / … / E poi infine / scrivo per me stesso / per dare finalmente una voce / a quest’anima / che non vuole e non può / stare più in silenzio.”

  • Da “Epilogue”
  • E… (Umano Index) “…E si vive così / attraverso i sacri fuochi dell’arte, / nelle metamorfosi del divenire, / volando nel vento verso gli infiniti / universi umani, / in viaggio verso le nostre poetiche di vita / … / …si vive così, / tra ombre e luci / shadows & lights nel sogno inquieto, meraviglioso / della Vita…”

Con questa pubblicazione, Franco Conti dona una parte della sua anima a chi avrà la fortuna di leggere la sua poetica, poggiata su solide basi stilistiche, su temi di estrema attualità e di profondi pensieri, emozioni, sensazioni posti sulle ali di una fantasia che plana in fantastici viaggi esistenziali toccando serene radure di nostalgia in un’anima pregna di valori genuini che ancora guarda entusiasta il miracolo della vita in tutte le sue forme, coinvolgendo in un indelebile ricordo quegli spiriti liberi (a cui non a caso dedica il libro) che esplorano mondi sconosciuti ma che hanno lasciato ai posteri la ricchezza della loro arte universale.
Un particolare ringraziamento all’autore per averli ricordati.

Anna Maria Amori


Anna Maria Amori, romana di nascita vive ad Aprilia dove per molti anni ha svolto la sua attività di imprenditrice. Da sempre amante della poesia ha iniziato a cimentarsi nei vari concorsi letterari prima in lingua e successivamente in vernacolo romanesco ottenendo sempre lusinghieri consensi e aggiudicandosi spesso il posto d’onore a Roma, nel Lazio ed in varie regioni italiane.
Ha pubblicato nel 1999 “Du’ Piccioni co ’na Fava”, nel 2003 “Le donne si raccontano” una raccolta di racconti in lingua di storie vissute nell’arco del secolo passato. Nel 2007 “Sonatori, Pajacci e Sartimbanchi” e nel 2009 “Sotto ar pergolato”. Dopo le tre raccolte in vernacolo è in preparazione una raccolta di poesie in lingua dal titolo “Stelle di mare”.

“…
Un conzijio sincero
la volete ‘na vita che ve dia
soddisfazione e giojie a sprofusione?
…Pijate tutto co filosofia,
tenete stretta in còre l’alegria
e ne l’amore
mettetece un pochetto de poesia”

(Anna Maria Amori “Epigramma”)


SOGNO O REALTÀ?
(Nota finale dell’autore)

Arrivati alla fine di questa raccolta poetica (strutturata come un lungo racconto in versi), penso che il lettore possa facilmente avere l’impressione che io sia un grande sognatore e probabilmente è vero. Tuttavia non penso di essere il tipo di sognatore che si rifugia in un mondo tutto immaginario, perché, al di là del sogno, i miei occhi sono ben aperti sulla realtà. Del resto, come si evince anche dal contenuto di alcuni capitoli, confermo di essere affascinato dal mondo dei sogni, (sia quelli che si effettuano durante il sonno sia quelli che coltivo e che nutro), che considero quasi come una sorta di vita parallela, però non ho mai sognato le grandi ricchezze materiali o una fama stratosferica, né di diventare un imperatore con vasti domini e neanche di poter essere un super-eroe che effettua viaggi intergalattici alla scoperta di mondi sconosciuti. No, più semplicemente e più umanamente, ho sognato un mondo privo di guerre, violenze, genocidi, dittature, prevaricazioni; un mondo in cui le persone siano libere di esprimere se stesse liberamente senza quegli infingimenti, ipocrisie, meschinità, opportunismi che sviliscono la vita.
Ho sognato che l’uomo più che a odiare e prevaricare gli altri per i propri sordidi scopi, possa imparare ad amare, a cercare ciò che unisce anzichè ciò che divide. Ho sognato che non ci si prostituisca l’anima e la mente in nome di fama, gloria, privilegi, denaro. Ho sognato che nessuno sia costretto a strisciare per ingraziarsi il potente di turno e chiedergli ciò che gli sarebbe naturalmente dovuto: libertà, lavoro, poter vivere sicuro e in pace.
E soprattutto ho sognato che nessuno possa dimenticarsi mai della propria Dignità e della propria Umanità. E allora sì, confesso di aver sognato tutto questo e in parte di continuare a farlo. Tutto sommato, sarebbero sogni almeno in parte realizzabili se ci fosse la volontà di essere persone oneste, sensibili, capaci di pensare e di agire in armonia con se stessi rispettando veramente gli altri e non ci si facesse accecare dai miraggi e dalle illusioni del potere. Sarebbe possibile se non si mettesse al primo gradino della scala la ricchezza materiale, illudendosi con questo di sentirsi grandi e realizzati, quando le vere ricchezze non sono all’esterno ma dentro di noi.
Credo che la ricerca dell’equilibrio e dell’armonia con il proprio essere e con gli altri, con il mondo, debba far leva su valori di vita guidati da sentimenti d’amore, d’amicizia, di comprensione. Sono questi che illuminano l’anima e rendono la vita davvero unica, grande e degna di essere vissuta.
Sì, confesso di aver osato sognare tutto questo, e forse era davvero troppo perché, a quanto pare, è molto più facile realizzare opere anche grandiose e faraoniche che cambiare quegli impulsi che portano l’uomo a dimenticarsi della propria essenza e della propria dignità, della propria unica e imprescindibile Umanità.
È proprio questa l’unica forza che ci potrebbe permettere di spiccare quel Volo nel Vento verso gli Infiniti Universi Umani.
Sono tutte belle parole, lo so, ma voglio anche dire che non mi sento affatto al di sopra delle parti, faccio parte dell’universo umano e come tale non sono esente da limiti e difetti che sono proprio della nostra natura, perché appunto “errare humanum est” e quindi tutti possiamo sbagliare, penso però che abbiamo il dovere di imparare dagli errori e dalle esperienze perché, per rimanere al detto latino, se errare è umano, perseverare è diabolico e purtroppo nella storia dell’umanità il diabolico ha avuto e continua ad avere troppa parte.
Occorre quindi intraprendere un cammino evolutivo verso cui tendere, vivendo e superando debolezze, miserie, difficoltà.
Occorre provare a migliorarci per vivere meglio con noi stessi e con gli altri e per rendere davvero bello e prezioso il dono inestimabile della vita.
Alla fine di questo percorso letterario che è anche esistenziale e umano, confesso che mi riesce sempre meno oggi lasciarmi andare facilmente al sogno come in passato, ma se la vita ha un divenire metamorfico, questo in parte è dovuto anche al sogno perché, a volte, dalla forza della sua suggestione si ricavano impulsi per agire nella vita reale. Non sono così netti allora i confini tra sogno e realtà e volendo dare una risposta alla citazione di Giorgio Gaber: “…si può anche vivere senza capire se il vero è il sogno o il resto della vita”, potrei dire che sono entrambi veri e indispensabili, infatti se non è possibile una vita fatta solo di sogno, che cosa sarebbe una vita senza alcun sogno? (“Se la vita non è sogno, il sogno è una vita in più”). In definitiva, come le Arti anche sogno e realtà si incontrano, si fondono, si amalgamano nell’unità del pensiero e dell’animo umano.
Per questo, la mia realtà e il mio sogno continuano…

Maggio 2011 Franco Conti


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