Opere di

Franco Calzolari


AMICHE SPONDE

Mesto, ritorno ancor su queste sponde,
dove vissi la mia giovinezza,
osservo il dileguar lento dell’onde
come i sogni d’allora e la bellezza.

Fa il caldo vento ancor stormir le fronde,
poi lieve passa come una carezza
sul volto mio e la mente confonde;
m’avvolge il cuore un velo di tristezza.

Scende dorato il sole ad occidente,
scema la luce nel crepuscolare,
il mare si scolara lentamente.

Fa la scena la mente vacillare,
ora che torna il ricordo struggente
d’un grande amore nato in riva al mare.


NOTTE D’ESTATE

L’arenile lentamente si svuota
e pian piano scemano i clamori del giorno.
Sul mare, ancora qualche roseo riflesso
si fonde col lieve chiarore lunare.
Il passo mio sfiora l’umida sabbia,
mentre lo sguardo segue ed accarezza
la cresta argentea dell’onda
sospinta dalla fresca brezza.
Flebili in alto mare le lampare,
come tremolanti lucciole brillano
danzando leggere sulle onde
e all’orizzonte con le stelle si confondono.
Ora ogni rumore tace;
intorno c’è silenzio
rotto solo dall’ansimar della risacca
e dal calpestio dei miei piedi sulla sabbia.
Come in vecchio filmato in bianco e nero
sfilano i ricordi lieti di gioventù
e agli occhi miei riappare la sua immagine;
istintivamente allungo la mano
per accarezzare i biondi capelli
ma il sogno sfuma e resta solo il nulla.
Scende allora su me, come rugiada,
un velo di tristezza e nostalgia,
per quel bel tempo che non torna più.


FERMARE IL TEMPO

Vorrei esser mago per fermare il tempo,
che quale strale se ne fugge via
lungo il sentiero della vita mia,
ma al suo fuggire non c’è via di scampo.

Il sole nasce e in un baleno è sera,
ed è mattino al terminar del sonno,
ieri fanciullo ed ora ormai son nonno,
oggi è estate, doman già primavera.

In questa pazza corsa della vita,
correr dovrò veloce più del vento,
ghermir così ogni istante, ogni momento,
prima che la commedia sia finita.

E quando affranto, giungerà la fine
di questa folle sfida con il tempo,
che s’è fuggito qual baglior di lampo,
d’inizio e fine, allor vedrò il confine.


AMARA NOSTALGIA

Quanta amarezza, mio loco natio,
or trovarti deserto e in abbandono,
non sentir tra le tue mura alcun suono
di quella bella età del viver mio.

Scende dal colle ancor lungo il pendio:
di ginestre profumo intenso e buono,
lo strider di cicale, il gran frastuono,
tra le fronde, di augelli il cinguettio.

Sanguina il cuore, allora che rivedo:
il roseto dai rovi soffocato,
la fontanella che s’è inaridita.

La sotto il pergolato, allor mi siedo
a ripensar al primo amor lì nato
nella stagion più bella della vita.


AMICO RIVO

Oh rivo! Caro amico di trastulli,
di quella bell’età si lieta e gaia,
gorgogli come allor tra gorghi e frulli,
poi scivoli tranquillo tra la ghiaia.

Ognora, da te anelo ritornare,
per ascoltare: del vento i sussurri,
di mille grilli l’acuto trillare,
tra prati verdi e fiordalisi azzurri.

Nell’acqua a piedi nudi, tutto il giorno,
mi sembrerà di ritornar fanciullo,
col canto degli uccelli a far contorno
e come allora riprovar trastullo.

Poi a sera, quando il sole si nasconde
e luci ed ombre van lente a morire,
dalle vicine ed anguste tue sponde,
dell’usignol la melodia sentire.


PRIMAVERA

La luce dell’alba ad oriente,
di rosa ormai tinge il cielo
e nella pianura silente,
la bruma distende il suo velo.

Al primo tepore d’aprile,
profumo nell’aria di viole,
si spande d’intorno gentile,
man mano che in ciel sale il sole.

Di rondini s’ode il garrire,
tornate da lido africano,
ritornano rose a fiorire
e brontola il tuono lontano.

Oh dolce stagione di fori,
che gioia riporti alla mente,
che doni ai cuori nuovi amori
sbocciati al sole dolcemente



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