Racconto premiato di Franco Bernardini


Con questo racconto è risultato 12° classificato nel concorso Marguerite Yourcenar 1997 sez. narrativa


Lettera mai spedita ad un amico che non c‘è

V.o.A. tanto tempo fa
Mio caro amico,
non avrei mai creduto che un giorno mi sarei rivolto a te per una confessione, breve o lunga che sia, ma indispensabile.
Forse perché ogni essere vivente arriva ad un punto della propria esistenza in cui smette di correre, di fuggire, vuole fugare tutto ciò che di artificiale lo circonda &endash; ma è possibile? &endash; per ritrovare un po’ di se stesso, almeno tenta di farlo, perché il bisogno della verità incomincia ad avere il sopravvento sulla vuotezza del resto.
Ed allora si guarda intorno e si rende conto che è solo, una solitudine così grande ed immensa, che lo fa smarrire sempre di più ed ogni tentativo di attaccarsi ai tanti status, così costruiti con cura in una vita di volontarie illusioni, si risolve in un crescente peggioramento: realizza davvero la realtà del proprio stato, prima non si capacita, reagisce &endash; ma con quali mezzi? &endash; e sprofonda, e quando raggiunge il punto più basso, l’universo, sarcasticamente ridente, lo soffoca.
Si dimena il poverino, si agita, si scuote, si ostina, si dispera, si strazia, ma agevola soltanto il processo di autoestinzione.
Hai mai pensato a quanto sia diabolico il significato dello zero, del vuoto, della solitudine, del nulla?
Soffermatici un attimo solo e cerca di concentrarti.
Non ti viene alla mente un senso di sbigottimento perché pensi che fino a qualche tempo fa avevi considerato questi elementi delle semplici parole convenzionali, create appositamente per facilitare un discorso o meglio ancora per dare un opposto all’infinito, al pieno, alla compagnia.
Quindi realizzi che da sempre hai parlato in forma impropria, avendo utilizzato tali termini per poco, effimero, insignificante, ma adesso che tu sai sulla tua pelle che il vuoto è vuoto, lo zero è zero, ed il nulla è nulla, non ti avvinghia la paura? Il terrore non ti soverchia? Non ti senti morto, anche se il cuore, per suo mestiere continua a battere?
Temo che debba fare uno sforzo perché l’argomento che ho abbracciato, certo non mi aiuta a trovare un attimo di serenità tanto necessario.
Ti voglio parlare di colei che oggi mi appare un mondo impenetrabile, ancorché intrigante.
Supponiamo che d’un tratto uno incontri un essere meraviglioso, come sentimenti e ragione, e che tenti di avvicinarlo, di conoscerlo, ma questi si presenti come una cima invalicabile, impossibile, ed ogni tentativo, abile od ingegnoso che sia, viene minato sin dall’inizio da inequivocabile insuccesso e quando il turbamento della situazione, gioco-forza, è sostituito dalla riflessione e ti accorgi, con stupore, che questo mondo, così allettante e perfetto, così valido e delizioso, non è altro che tua moglie, con cui ti sei illuso di vivere insieme per ben sette anni, dopo il primo iniziale sbigottimento per la sorpresa, non ti senti il vuoto?
Io guardo con gli occhi sbarrati quanto mi sta accadendo e senza muovermi distruggo, involontariamente credimi, anche quei pochi e radi attimi di amore che ho creduto di assaporare, cercando di non cadere nell’indifferenza dell’egoismo.
Io non so quant’altro mi riservi il destino, già finora insolitamente beffardo.
Ora mi è difficile pensare all’oggi, figurati al domani: so solo che combatterò con tutte le mie forze per difendere la serenità dei miei figli e di conseguenza la mia figura di padre, il ruolo di marito per il momento lo iberno, dopo averlo curato delle quasi mortali ferite che gli sono state impunemente comminate, ed infine la mia dignità di uomo l’affido a te, con questa lettera, che conserverai con cura notarile, per farmela rileggere fra vent’anni.

Per il momento, addio.


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