Opere di

Francesca Maria Nolfo


Parole

Parole:
pietrame di scarto
buttato a colmare fessure, crepacci, burrati.
Parole:
son note che cullano e portan lontano,
tra il verde modesto di ulivi,
in un giallo deserto assetato,
tra liane impigliate ad arbusti di fitta foresta…
e sibili, versi, fruscii
in un coro costante
che scuote alla vita.


Il Silenzio sussurra…

Il Silenzio sussurra
pensieri di ghiaccio,
scolpiti in forme sapienti,
dipinti col rosso col nero…
li afferro tremante,
mi gelan le dita,
cadono a terra:
minuti frammenti
succhiati dal suolo.


Il Silenzio

Sul bianco tappeto di neve
non s’odon suoni,
il Silenzio parla coi boschi,
invita ad andare.
Ho tante domande pel vento
che ha visto e sentito dolori diversi
e per te, Silenzio, compagno fedele
nel grigio di giorni spruzzati di sale
che brucia narcisi smaglianti
lasciando fantasmi
a perenne ricordo.
Si spegne ogni suono di vita
e il Silenzio sussurra:
“Eri felice
sognando il deserto dorato
fiorito
al tuo sguardo d’amante,
felice sognavi gli altissimi monti,
caldi di vita
a palpito dell’Equatore.
Felice, sognavi la gente dal lieto sorriso
decisa a strapparti da me.”
Sì, eri felice!
Lo spettro trascina con sé
una parte di vita, di me.
Quei sogni sfiorati con mano tremante
splendevano in fondo a miei occhi…
Ora chiedo al vento, al Silenzio:
è così che si spegne una vita?
Gli abeti rintoccan le cime,
aghi leggeri volteggian,
si posan sul bianco tappeto,
argenteo rabesco di segni:
è il messaggio!


Il Dolore

Un grumo nerastro
vuol rompere il guscio qua dentro,
una fitta arresta il respiro.
E’ il dolore:
si slarga pian piano,
e dilaga
mutandosi in muto stupore.


Le gerbere rosse

Laggiù, quelle gerbere rosse
che ornano il breve viale,
dan luce alla squallida piana;
mi attirano, vado.
C’è una povera casa dai muri scrostati,
la piana all’intorno
è più grigia dell’aria,
qua e là pozze d’acqua
riflettono un cielo di piombo.
Una vecchia ricurva
si fa sulla porta,
guarda con occhi sommersi
da un mare di rughe,
un cane la segue, devoto,
latrando, difende l’amata regina.
E’ un lupo… bello e fiero,
d’un balzo è ai miei piedi,
abbaia furioso
a quel cielo di piombo
e mi scaccia di lì.

E voi, gerbere,
schiudete tutte le rosse corolle,
offritele al sole,
ché esca dal buio riparo.


La luce

La luce, già fioca si spegne,
gonfia di odori,
la brezza inonda la stanza,
ti sfiora la pelle,
ti entra nel cuore sciogliendovi il gelo,
le stelle t’invitan.
Attratta, ti spogli
del rozzo mantello:
quell’intelletto protervo
che si proclama regale.
Sei vita
col guizzo felino del gatto,
col verso della civetta,
col vento tra i gelsomini,
col palpito lieve dell’onda.
L’unione ammansisce il dolore.
Il dolore che si fonde e fluisce
col sano sentire delle altre creature
si stampa e perde il potere letale.


Il Vico

Alte, incombenti, le case,
oscurano il vico in salita,
dai bassi esce un lezzo
che rende più triste l’andare.
Un viandante mi disse:
“Là, in fondo, la piazza si slarga in un’orgia di forme
trionfanti
inondate di luce.”
Lo spirito avanza leggero,
pregusta la gloria di quella visione.
Ma il vico è finito,
c’è un muro.
Ombra e silenzio mi sbarran la strada.


La mia arma di difesa,
la corazza da guerriero,
retaggio d’una educazione al
controllo e al rispetto
d’altri e di me stessa
è il “no”… breve rifiuto
di ciò che non accetto.
Mi protegge dagli strali dell’invidia
dai fendenti pesanti del sadismo,
da tutto il male
della mente e del cuore
che s’incarna per ferire e demolire.
Nel guscio robusto del mio “no”,
mi sento protetta e libera.

Poesia inserita nell’antologia del Premio I Poeti dell’Adda 2010



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