Racconto premiato di Fabio Pasian


Con l’opera «Nello studio dello scrittore» è risultato 9° classificato nella XVII Edizione del Premio Letterario Città di Melegnano 2012 – Sezione narrativa

Questa la motivazione della Giuria:

«Mariano è quel tipo di uomo “periferico”, così ampiamente analizzato dal filosofo Soren Kierkegaard nel trattato “Gli atti dell’amore”, nel quale descrive le peculiarità del Don Giovanni, la superficialità di sentimenti, la pseudo-morale estetizzante, l’incostanza etica e quel non raggiungere mai un’interiorità salvifica. Questo racconto, accorato e appassionato, narra le imprese erotiche effimere di Mariano, e ripercorre una vita in perenne e vacuo movimento, nella quale il piacere è un diktat fine a se stesso.
La condanna di Mariano è la stessa del Don Giovanni, la rovina fisica e morale: perde l’amore della moglie a causa delle continue infedeltà, non ha un patrimonio affettivo per il suo rifiuto di aver figli, perde la prestanza e la bellezza e infine la salute. In un gravissimo incidente stradale causato dalla sua smania di eccitazione e rischio, diventa tetraplegico.
Gli resta il suo talento di scrittore, e il ricordo lontano della sua sessualità intemperante.
Ma la catarsi gli giunge proprio grazie alla sua terribile invalidità: lascerà i suoi averi alla moglie e ai suoi fedeli dipendenti che lo aiutano quotidianamente a sopravvivere.
Lo scrittore, con scorrevole profondità, ci indica con questo scritto la tragedia di un’esistenza inautentica e la devastante tristezza che la accompagna: l’unica resurrezione dalla sterilità affettiva è il dono di ciò che resta, quel po’ che la vita lascia dietro di sé prima di abbandonarci».

Alessandra Crabbia


Nello studio dello scrittore

«L’ispettore Davino si alzò dalla sedia. Punto. Aperte virgolette. Questo chiarisce l’intera questione, trattino, disse, trattino, ora vado alla centrale a preparare il mio rapporto. Chiuse virgolette, punto. A capo».
Ci fu una pausa. Mariano guardava un punto lontano, da qualche parte, oltre al soffitto. La pausa si protrasse a lungo, ma Eva non dava segni di impazienza.
«Davino si girò, virgola, raggiunse in pochi passi la porta, e l’aprì, punto» continuò infine Mariano. «Aperte virgolette; buona sera, chiuse virgolette, disse in tono neutro. Punto, a capo. Nella notte il cielo continuava a riversare su Milano scrosci di pioggia, punto. Tirò su il bavero dell’impermeabile e si incamminò verso l’automobile, virgola, lontana parecchie centinaia di metri, punto. Si sarebbe bagnato, virgola, ma non gli importava. Punto».
Una nuova pausa, più lunga della precedente. «Penso di aver finito anche questo» disse infine. «Che te ne pare?».
«Suoi libri sono tutti belli, signor Mariano» disse Eva sollevando il volto biondo dallo schermo del laptop.
«Sei sempre troppo generosa, tu. Se è buono, lo vedremo rileggendolo. Ma non stasera. Per oggi abbiamo lavorato abbastanza».
«Prepariamo cena, signor Mariano?».
«Non ancora, grazie. Mi voglio riposare per un po’. Magari tra un’oretta».
«Come vuole lei, signor Mariano». Eva chiuse il laptop e sparì silenziosamente dalla stanza, lasciando al solito il suo sorriso a mezz’aria, come il disneyano Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie.
Mariano se ne accorse, ma gli restarono impresse nella retina anche le natiche della giovane donna, il cui movimento era stato evidente, nella mezza dozzina di passi che aveva fatto per uscire dalla stanza. Eva non si vestiva mai in maniera provocante: portava scarpe di ginnastica bianche e indossava sempre larghe maglie, di cotone d’estate e di lana d’inverno. Ma quella sera la maglia si era impigliata nella cintura, scoprendole il sedere ben tornito fasciato dai jeans attillati.
“In altri tempi, l’avrei seguita nel corridoio, fatta appoggiare al muro e baciata appassionatamente” pensò Mariano, “aspirando con voluttà il suo fiato tiepido e memorizzando con il tatto tutte le curve del suo corpo”.
Altri tempi, anche se nemmeno troppo lontani.

Era stato, e forse si sentiva ancora, un tombeur de femmes. Gli veniva naturale e ci metteva molto del suo, naturalmente. Era un uomo galante fino al limite della sfacciataggine, e oltre. Fissava con occhi ardenti di desiderio la sua controparte, soffermandosi sui particolari che più lo attiravano: solitamente seno, sedere e gambe. Ma anche lunghi sguardi negli occhi, senza mai abbassare i propri. Ed espressioni eloquenti di apprezzamento.
Alla maggior parte delle donne quell’atteggiamento dava fastidio. Ma ad altre piaceva, e ricambiavano gli sguardi, all’inizio timidamente, poi in modo sempre più deciso. E a quel punto era fatta, la preda era catturata: dopo una breve relazione sentimental-sessuale, andava ad arricchire la sua ampia collezione di conquiste.

Quante saranno state, nella sua vita, le donne che aveva conquistato così? Trecento, quattrocento, cinquecento? Non le aveva certo contate, era un atteggiamento talmente connaturato con la sua personalità da diventare un automatismo. Passioni travolgenti. Ma le sue storie duravano una notte, una settimana, qualche volta (poche) addirittura un mese. Poi c’era una nuova donna, una nuova passione, una nuova conquista da fare. Per ricominciare daccapo. Per poter soddisfare questa sua sete inestinguibile si era organizzato in modo da avere una vita movimentatissima. Il lavoro, certo, all’interno dell’istituto bancario in cui grazie alle sue innate capacità di comunicazione, e anche alla sua competenza, aveva fatto una brillante carriera. Ma anche il circolo del tennis, il club nautico, la società dei concerti, il circolo del bridge, il gruppo escursionistico. Tutti ambienti in cui Mariano aveva l’occasione di incontrare donne sole (spesso solo momentaneamente), e gli era facile esercitare il suo fascino.

Sua moglie aveva accettato questo suo attivismo con una certa qual rassegnazione, pensando forse che potesse sfogare così la sua esuberanza. Ma, secondo Mariano, non sospettava i tradimenti; forse si illudeva che lui si limitasse alla galanteria e non passasse alle vie di fatto.
Eh, sì: era stato anche sposato. Difficile da credere, ma vero. Come le altre, Dorina era stata conquistata dai complimenti espliciti e dagli sguardi infuocati; ma era riuscita a penetrare più di ogni altra oltre la dura scorza di cui lui era fatto, e a toccargli il cuore. Si erano sposati quando lui era attorno alla quarantina, lei aveva qualche anno di meno. Era l’unica donna che Mariano avesse mai amato davvero; ma per lei non aveva rinunciato ad alcuna delle sue avventure. E qualcosa sarebbe dovuto pur succedere.

Quella domenica mattina lui si era alzato molto tardi. Era infatti rientrato dopo le quattro da un torneo di bridge, seguito da un fuori programma nella stanza da letto della moglie di un cardiologo all’estero per un congresso.
Si era accorto che Dorina non era in casa, forse era uscita per andare a messa. Aveva messo sul fuoco la moka e si era accasciato su una sedia della cucina.
Era un brutto periodo quello: pur se ancora pieno di energia si sentiva invecchiato. Aveva compiuto sessantadue anni da pochi giorni, e la sua banca aveva deciso che poteva fare a meno di lui. C’era stata una fusione tra istituti bancari e la nuova dirigenza riteneva che per gestire il suo ufficio fosse necessaria una persona più giovane e con idee nuove. Lo avevano caldamente invitato a chiedere il pensionamento, offrendogli in cambio una ricca buonuscita. Che altro avrebbe potuto fare? Era perciò in pensione da un paio di mesi. Per reazione, però, aveva moltiplicato la sua frenetica attività fuori casa, condita dalle solite avventure.

Una mezz’ora dopo Dorina era rientrata, e si era affacciata sul vano della porta della cucina. Così, in piedi, gli aveva comunicato che aveva intenzione di andarsene. «Ho pazientato vent’anni, sperando che con il tempo saresti cambiato», gli aveva detto. «Ma sono stata un’illusa, e anche se ti voglio bene non sono più disposta a essere umiliata. Me ne vado, e fammi un piacere, almeno uno: non venire a cercarmi». Se n’era andata così, chiudendo delicatamente la porta dell’appartamento alle sue spalle. Lui era rimasto di sasso.

Nelle settimane e nei mesi successivi Mariano l’aveva invece ripetutamente cercata, senza peraltro riuscire mai a parlare con lei. C’era andato vicino una volta, quando era riuscito a raggiungere telefonicamente la sorella di Dorina. Ma quella gli aveva sbattuto il telefono in faccia, non prima di avergli urlato «e non farti più sentire, stronzo!».
Per le pratiche di separazione prima e di divorzio poi, Dorina aveva mandato il suo avvocato. Avrebbe firmato i documenti a parte, da sola con il notaio. Non aveva avuto alcuna pretesa, era ricca di famiglia e non desiderava alcun assegno mensile: solamente una parte dei risparmi comuni e alcuni oggetti che erano rimasti a casa e a cui lei era particolarmente legata. Mariano le aveva concesso quanto chiedeva senza discutere.

Aveva incominciato a scrivere allora, per fissare sulla carta le sue sensazioni: quell’insicurezza, quel vuoto, quel rovistare nei ricordi di una vita per ritrovarne il filo. Infilava questi aspetti per lui così importanti nella trama di romanzi gialli, apparentemente semplici, ma in cui i dettagli della sua esistenza arricchivano la personalità del protagonista, l’ispettore Davino.
Quando ebbe scritto una decina di romanzi gialli, un amico che lavorava in una casa editrice aveva chiesto di leggerli e se ne era entusiasmato. I suoi libri furono pubblicati e Mariano si era ritrovato in breve tempo autore di successo.
“Il caso letterario dell’anno”. “Libri diventati best-seller grazie al passaparola”. “Un giallista profondo conoscitore dell’animo umano”. Le critiche sui giornali lo avevano coperto di lodi sperticate. Da quel momento scrivere era diventata la sua attività esclusiva e i diritti d’autore lo avevano trasformato in un uomo ricco.
Il fatto di essere diventato in breve tempo un autore affermato gli aveva regalato un ulteriore successo con le donne. Non le doveva più nemmeno cercare, venivano loro ad offrirsi sull’altare della celebrità. La cosa non gli aveva dato particolare soddisfazione: mancava il brivido di prima, il brivido della conquista.

Continuava a infarcire i suoi romanzi con i ricordi della vita con Dorina: le vacanze in moto, le confidenze e le affettuosità davanti al caminetto della loro casa in montagna. Ma soprattutto il rimpianto per essersi rifiutato di considerare l’idea di avere un figlio insieme: lei l’aveva proposto, lui aveva liquidato la cosa con una battuta delle sue. Ora quel diniego gli pesava.
Aveva spedito i primi libri anche a Dorina, ottenendo come risposta un silenzio assoluto. Chissà cosa aveva sperato: forse che si intenerisse con quei frammenti della vita che aveva condiviso con lui.

Poi c’era stato l’incidente. Stava percorrendo a tutta velocità la strada provinciale che portava in collina: una serie di curve e controcurve, un vero godimento. Dopo una “esse” particolarmente stretta, la sua moto si era trovata la strada sbarrata da un’automobile messa di traverso sulla carreggiata. Chissà cosa faceva quel deficiente, forse un’inversione a U.
Aveva colpito l’auto in pieno sulla fiancata, era volato per una decina di metri ricadendo pesantemente sull’asfalto. Il casco gli aveva probabilmente salvato la vita, ma si era rotto tutte le ossa di braccia e gambe. E soprattutto aveva riportato tre fratture vertebrali, con lesioni permanenti al midollo spinale. Il danno principale, gli avevano detto, era stato a livello cervicale ed era stato causato dai frammenti della vertebra fratturata che si erano conficcati nel midollo.
Era rimasto completamente paralizzato, dal collo in giù. Un tetraplegico, per usare il termine tecnico che tanto aborriva.

Per far fronte alla sua nuova condizione di grande invalido aveva acquistato, senza intaccare se non in minima parte il suo capitale, una grande villa in riva al lago con un grande parco attorno. Aveva fatto eliminare tutte le barriere architettoniche, installato un ascensore interno tra il piano terra e il piano superiore, reso scorrevole la pavimentazione dei vialetti del giardino per far muovere meglio la sua sedia a rotelle.
E, soprattutto, aveva assunto una serie di persone che si prendessero cura di lui. Madlena teneva la casa a posto e cucinava; suo marito Aleksandar faceva i lavori di fatica, e si occupava della manutenzione e del giardino. Era stata proprio Madlena a consigliargli come segretaria una connazionale, Eva, per aiutarlo a riprendere l’attività di scrittore: «Evica ha fatto università, è intelligente, buona, gentile. Vedrà che sarà contento, signor Mariano». E in effetti si trovava bene con quel trio di giovani serbi: erano proprio in gamba. Particolarmente Eva, che era in effetti intelligente, buona e gentile. E anche bella. Ah, se avesse avuto ancora l’uso del suo corpo…

Mariano si guardò attorno. Quel suo studio era ingombro di libri che non poteva prendere, e di cui non poteva sfogliare le pagine. Era un invalido. Per sua fortuna era ricco, aveva un patrimonio davvero considerevole. Ma non aveva nessuno con cui condividerlo, o a cui lasciarlo. Era figlio unico, niente fratelli, sorelle o nipoti. Di Dorina non aveva saputo più nulla da quel giorno sulla porta della cucina. E non aveva quel figlio che Dorina avrebbe voluto ma che lui aveva sprezzantemente rifiutato. Quando sarebbe morto, e ci era già andato maledettamente vicino, tutti i suoi averi sarebbero stati ereditati da qualche sconosciuto cugino di quinto grado che lui non aveva mai visto.
Si fece strada in lui l’idea di condividere in qualche modo i suoi averi. Con chi era stato più sfortunato di lui, magari tramite un’associazione per la tutela dell’infanzia. Con Madlena, Aleksandar ed Eva, che gli permettevano di vivere più che decentemente. E con Dorina, ovunque e con chiunque fosse. Lei, l’aveva proprio amata.

Con il pollice premette il pulsante rosso sul bracciolo della sua poltrona. Eva apparve sulla soglia dopo pochi secondi, illuminando la stanza con il suo sorriso.
«Eva, ho bisogno di scrivere ancora qualcosa. Mi aiuti, per favore?»
Quando la giovane si fu seduta davanti alla tastiera accesa del laptop, Mariano si mise a guardare un punto lontano, da qualche parte oltre al soffitto, e incominciò a dettare.
«Il sottoscritto Mariano Perinetti, virgola, nel pieno possesso delle sue facoltà, virgola, chiama a succedere in tutto il suo patrimonio, virgola, in parti uguali…».



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