Opere di

Ernest Hemingway

Da IL VECCHIO E IL MARE (Mondadori)


Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni lo aveva accompagnato un ragazzo, ma dopo quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio ormai era decisamente e definitivamente salao, che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo li aveva ubbiditi andando in un’altra barca che prese tre bei pesci nella prima settimana. Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni giorno il vecchio con la barca vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a trasportare o le lenze addugliate o la gaffa (1) e la fiocina e la vela serrata all’albero. La vela era rattoppata con sacchi da farina e quand’era serrata pareva la bandiera di una sconfitta perenne.
Il vecchio era magro e scarno e aveva rughe profonde alla nuca. Sulle guance aveva le chiazze del cancro della pelle, provocato dai rifiessi del sole sul mare tropicale. Le chiazze scendevano lungo i due lati del viso e le mani avevano cicatrici profonde che gli erano venute trattenendo con le lenze i pesci pesanti. Ma nessuna di queste cicatrici era fresca. Erano tutte antiche come erosioni di un deserto senza pesci.
Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri e indomiti. «Santiago» gli disse il ragazzo mentre risalivano la riva dal punto sul quale era stata sistemata la barca. «Potrei ritornare con te. Abbiamo guadagnato un po’ di quattrini.»
Il vecchio aveva insegnato a pescare al ragazzo e il ragazzo gli voleva bene.
«No» disse il vecchio. «Sei su una barca che ha fortuna. Resta con loro.»
«Ma ricordati quella volta che sei rimasto ottantasette giorni senza prendere pesci e poi ne abbiamo presi di enormi tutti i giorni per tre settimane di seguito.»
«Ricordo» disse il vecchio. «Lo so che non è perché dubitavi di me, che mi hai lasciato.»
«È stato papà, che mi ha costretto a lasciarti. Sono un ragazzo e devo ubbidire.»
«Lo so» disse il vecchio. «È assolutamente normale.»
«Lui non ha molta fiducia.»
«No» disse il vecchio. «Ma noi sì. Vero?»
«Sì» disse il ragazzo. «Posso offrirti una birra alla Terrazza? e poi portiamo la roba a casa.»
«Perché no?» disse il vecchio. «Tra pescatori.»
Sedettero sulla terrazza e parecchi pescatori canzonarono il vecchio e lui non si offese. Altri, pescatori più vecchi, lo guardarono e si sentirono tristi. Ma non lo mostrarono e parlarono con garbo della corrente e a che profondità avevano gettato le lenze e del bel tempo stazionario e di ciò che avevano visto. I pescatori fortunati di quel giorno erano già rientrati e avevano già squartato i loro marlin; (2) e li avevano trasportati distesi su due assi, con due uomini barcollanti all’estremità di ogni asse, al magazzino dei pesci dove aspettavano l’autocarro frigorifero che li portasse a mercato all’Avana. Coloro che avevano preso pescecani li avevano portati allo stabilimento sull’altra riva della baia dove li avevano issati alle carrucole per togliere il fegato, tagliare le pinne e scuoiare le pelli e ridurre la carne a strisce
per metterla sotto sale.
Quando il vento veniva da est, dallo stabilimento giungeva l’odore attraverso il porto; ma oggi lo si sentiva soltanto vagamente perché il vento era indietreggiato a nord e poi si era smorzato e sulla terrazza si stava bene e c’era il sole. «Santiago» disse il ragazzo.
«Sì» disse il vecchio. Stava stringendo il bicchiere fra le mani e pensava a tanti anni fa.
«Posso andare a cercarti le sardine per domani?»
«No. Va a giocare al baseball. Sono ancora in grado di remare e Rogelio getterà la rete.»
«Andrei volentieri. Se non posso pescare con te vorrei almeno esserti utile in qualche modo.»
«Mi hai comprato una birra» disse il vecchio. «Sei già un uomo.»
«Quanti anni avevo la prima volta che mi hai preso sulla barca?»
«Cinque, e a momenti venivi ucciso perché ho issato il
pesce troppo presto e lui ha quasi fatto a pezzi la barca. Ricordi?»
«Ricordo la coda che sbatteva e rintronava e il banco che si è spaccato e il frastuono delle mazzate. Ricordo che mi hai gettato a prua tra le lenze addugliate fradice e ho sentito tutta la barca rabbrividire e il frastuono che facevi mentre lo prendevi a mazzate come quando si abbatte un albero, e l’odore dolce del sangue che avevo addosso.»
«Te lo ricordi davvero o è perché te l’ho raccontato?» «Ricordo tutto, dalla prima volta che siamo andati insieme.»
Il vecchio lo guardò con gli occhi bruciati dal sole, pieni di fiducia e di affetto.
«Se tu fossi mio figlio ti porterei fuori a tentare» disse. «Ma sei figlio di tuo padre e di tua madre e hai trovato una barca fortunata.»
«Posso procurarti le sardine? So anche dove potrei procurarti quattro esche.»
«Mi sono avanzate quelle di oggi. Le metterò nel sale nella scatola.»
«Lascia che te ne dia quattro fresche.»
«Una» disse il vecchio. La speranza e la fiducia non l’avevano mai lasciato. Ma ora si rafforzavano come quando sorge il vento.
«Due» disse il ragazzo.
«Due» acconsentì il vecchio. «Non le hai rubate, vero?»
«Avevo voglia di farlo» disse il ragazzo. «Ma queste le ho comprate.»
«Grazie» disse il vecchio. Era troppo semplice per chiedersi quando avesse raggiunto l’umiltà. Ma sapeva di averla raggiunta e sapeva che questo non era indecoroso e non comportava la perdita del vero orgoglio.
«Domani sarà una giornata buona, con questa corrente» disse.
«Dove andrai?» chiese il ragazzo.
«Al largo, per rientrare quando cambia il vento. Voglio esser fuori prima di giorno.»
«Cercherò di far venire anche lui al largo» disse il ragazzo.
«Così, se prendi qualcosa di molto grosso possiamo venire ad aiutarti.»
«Non gli piace lavorare troppo al largo.»
«No» disse il ragazzo. «Ma vedrò qualcosa che lui non riesce a vedere, magari un gabbiano al lavoro, e lo farò venir fuori dietro a un delfino.»
«Ha gli occhi così mal ridotti?»
«È quasi cieco.»
«Strano» disse il vecchio. «Non è mai andato a caccia di tartarughe. È questo che uccide gli occhi.»
«Ma tu sei andato a caccia di tartarughe per anni e anni, lungo la Mosquito Coast, eppure hai gli occhi buoni.»
«Io sono un vecchio strano.»
«Ma sei forte abbastanza, adesso, per un pesce proprio grosso?»
«Credo di sì. E ci sono molti trucchi.»
«Portiamo a casa la roba» disse il ragazzo. «Così posso prendere il giacchio (3) e andare in cerca di sardine.»
Raccolsero l’attrezzatura della barca. Il vecchio si mise l’albero in spalla e il ragazzo portò la tinozza di legno con le brune lenze ben ritorte addugliate, la gaffa e la fiocina con la sua asta. La tinozza con le esche era a poppa con la mazza che serviva a domare i pesci grossi quando venivano rimorchiati. Nessuno avrebbe mai derubato il vecchio, ma era meglio portare a casa la vela e le lenze pesanti perché la rugiada poteva rovinarle, e pur essendo certo che nessuna persona del posto l’avrebbe mai derubato, il vecchio riteneva che fosse inutile lasciare in una barca una gaffa e una fiocina a far nascere tentazioni.
Risalirono insieme la strada fino alla capanna del vecchio, ed entrarono per la porta spalancata. Il vecchio appoggiò alla parete l’albero con la vela serrata e il ragazzo posò accanto a esso la tinozza e il resto dell’attrezzatura. L’albero era lungo quasi quanto l’unica stanza che costituiva la capanna. La capanna era costruita con scaglie dure di palma reale, quelle che chiamano guano, e dentro vi era un letto, una tavola, una sedia e una zona sul pavimento di terriccio dove cucinare con la carbonella. Sulle pareti brune fatte con le foglie piatte, sovrapposte, del guano resistente e fibroso, vi era una fotografia a colori del Sacro Cuore di Gesù e un’altra della Vergine di Cobra. Erano ricordi della moglie. Una volta sulla parete c’era la fotografia sbiadita della moglie, ma il vecchio l’aveva tolta perché si sentiva troppo solo a vederla, e l’aveva messa su un angolo della mensola sotto la camicia pulita.
«Che cos’hai da mangiare?» chiese il ragazzo.
«Una pentola di riso giallo e pesci. Ne vuoi un po’?»
«No. Mangerò a casa. Vuoi che ti accenda il fuoco?»
«No. Lo accenderò più tardi. O magari mangio il riso freddo.»
«Posso prendere il giacchio?»
«Certo.»
Il giacchio non c’era, e il ragazzo ricordava il giorno in cui l’avevano venduto. Ma recitavano questa commedia ogni giorno. Non c’erano pentole di riso giallo e pesci, e anche questo il ragazzo lo sapeva.
«Ottantacinque è un numero che porta fortuna» disse il vecchio. «Ti piacerebbe vedermene portare a casa uno da mezza tonnellata?»
«Ora prendo il giacchio e vado in cerca di sardine. Ti siedi al sole sulla porta?»
«Sì. Ho qui il giornale di ieri e voglio leggere il baseball.»
Il ragazzo non sapeva se anche quella del giornale di ieri fosse un’invenzione. Ma il vecchio lo prese di sotto il letto.
«Me l’ha dato Perico alla bodega» spiegò.
«Ritorno appena ho trovato le sardine. Le terrò sul ghiaccio insieme, le tue e le mie, e domattina ce le dividiamo. Quando ritorno mi racconti del baseball.»
«Non è possibile che gli Yankees (4) perdano.»
«Ma ho paura degli Indians di Cleveland.»
«Abbi fede negli Yankees, figlio mio. Pensa al grande Di Maggio.»
«Ho paura delle Tigers di Detroit e degli Indians di Cleveland.»
«Stai attento, se no avrai paura anche dei Reds di Cincinnati e delle White Socks di Chicago.»
«Tu studia la situazione, così quando ritorno me la racconti.»
«Cosa ne dici di comprare un biglietto della lotteria col numero ottantacinque? Domani è l’ottantacinquesimo giorno.»
«Perché no» disse il ragazzo. «Ma, e l’ottantasette del tuo grande primato?»
«Non può succedere due volte. Credi che riuscirai a trovare un ottantacinque?»
«Posso ordinarlo.»
«Un biglietto. Costa due dollari e mezzo. Da chi ce li potremmo far prestare?»
«È facile. Io trovo sempre chi mi presta due dollari e mezzo.»
«Forse ci riuscirei anch’io. Ma cerco di non farmi prestare mai niente. Prima si chiede in prestito. Poi si chiede l’elemosina.»
«Stai coperto, vecchio» disse il ragazzo. «Ricordati che siamo in settembre.»
«Il mese in cui arrivano i pesci grossi» disse il vecchio.
«Chiunque sa fare il pescatore, di maggio.»
«Ora vado per le sardine» disse il ragazzo. «Ricordati che siamo in settembre.»
Quando il ragazzo ritornò il vecchio si era addormentato sulla sedia e il sole era calato. Il ragazzo tolse la vecchia coperta militare dal letto e la stese sul dorso della seggiola e sulle spalle del vecchio. Erano spalle strane, ancora forti per quanto molto vecchie, e anche il collo era ancora robusto e le rughe non erano molto visibili quando il vecchio dormiva e aveva la testa piegata in avanti. La camicia era stata rattoppata tante volte che pareva la vela e le toppe erano state sbiadite dal sole in numerosi gradazioni. Però la testa del vecchio era molto vecchia e quando aveva gli occhi chiusi il viso era senza vita. Il giornale gli giaceva sulle ginocchia e il peso del braccio lo tratteneva dal vento della sera. Era scalzo.
Il ragazzo lo lasciò come si trovava e quando ritornò il vecchio dormiva ancora.
«Svegliati, vecchio» disse il ragazzo. E gli posò la mano su un ginocchio.
Il vecchio aprì gli occhi e per un attimo parve ritornare da lontano. Poi sorrise.
«Che cos’hai portato?» chiese.
«La cena» disse il ragazzo. «Ora ceniamo.»
«Non ho molta fame.»
«Su, vieni a mangiare. Non si può andare a pesca senza mangiare.»
«Sì, che si può» disse il vecchio alzandosi e raccogliendo il giornale e piegandolo. Poi si mise a piegare la coperta.
«Tienti la coperta addosso» disse il ragazzo. «Non andrai a pesca senza mangiare finché sono vivo io.»
«Allora vivi a lungo e riguardati» disse il vecchio «Che cosa si mangia?»
«Riso e fagioli, banane fritte e un po’ di stufato.»
Il ragazzo aveva portato questa roba dalla Terrazza in un portavivande di metallo a due piani. In tasca aveva le due serie di coltelli, forchette e cucchiai avvolte in tovagliolini di carta.
«Chi ti ha dato questa roba?»
«Martin. Il padrone.»
«Bisogna che lo ringrazi.»
«L’ho già ringraziato io» disse il ragazzo. «Non c‘è bisogno che lo ringrazi tu.»
«Gli darò la pancia di un bel pesce»
disse il vecchio. «L’ha già fatto altre volte?»
«Eh, sì.»
«Allora devo dargli qualcosa di più della pancia. È molto cortese, con noi.»
«Ha mandato anche due birre.»
«A me piace di più la birra nelle lattine.»
«Lo so. Ma questa è in bottiglia, è birra Hatuey, e devo portare indietro le bottiglie.»
«È gentile da parte tua» disse il vecchio.
«Vogliamo mangiare?»
«Te l’ho già chiesto» disse il ragazzo con garbo. «Non volevo aprire il portavivande finché non eri pronto.»
«Ora sono pronto» disse il vecchio. «Dovevo soltanto lavarmi.»
“Dove ti sei lavato?” pensò il ragazzo. La dotazione d’acqua del villaggio era alla seconda traversa della discesa. “Devo portargli qui dell’acqua” pensò il ragazzo “e un po’ di sapone e un bell’asciugamano. Perché sono così sbadato? Devo procurargli un’altra camicia e un giaccone per l’inverno e un paio di scarpe e un’altra coperta.”
«Lo stufato è squisito» disse il vecchio.
«Parlami del baseball» gli disse il ragazzo.
«Nella Lega americana, gli Yankees, come ho detto» disse soddisfatto il vecchio.
«Oggi hanno perduto» disse il ragazzo.
«Questo non vuol dir nulla. Il grande Di Maggio ha ritrovato se stesso.»
«Ci sono altri uomini nella squadra.»
«Si capisce. Ma tutto dipende da lui. Nell’altra Lega, tra Brooklyn e Philadelphia sceglierei Brooklyn. Ma poi ripenso a Dick Sisler.»
«Non c‘è mai più stato niente del genere. Colpisce le palle più lunghe che mi sia mai capitato di vedere.»
«Ricordi quando veniva alla Terrazza? Avrei voluto portarlo a pescare, ma ero troppo timido per chiederglielo. Allora ti ho chiesto di chiederglielo tu, ma anche tu sei stato troppo timido.»
«Lo so. È stato un grande errore. Forse sarebbe venuto con noi. Così ci sarebbe rimasto questo per tutta la vita.»
«Mi piacerebbe portare a pesca il grande Di Maggio» disse il vecchio. «Dicono che suo padre era un pescatore. Forse era povero come noi e potrebbe capire.»
«Il padre del grande Sisler non è mai stato povero, e giocava nelle grandi Leghe, lui, il padre, quando aveva la mia età.»
«Io quando avevo la tua età, mi trovavo davanti all’albero di una nave a vele quadre che andava in Africa e la sera ho visto i leoni sulle spiagge.»
«Lo so. Me l’hai detto.»
«Dobbiamo parlare dell’Africa o del baseball?»
«Del baseball, direi» disse il ragazzo. «Dimmi del grande John J. McGraw.» Disse Jota invece di I lungo.
«Anche lui ogni tanto veniva alla Terrazza, una volta. Ma era sgarbato e villano e difficile, quando aveva bevuto. Si interessava di cavalli oltre che di baseball. Almeno si portava sempre in tasca qualche elenco di cavalli e spesso diceva i nomi dei cavalli al telefono.»
«Era un bravo allenatore» disse il ragazzo. «Mio padre dice che era il più bravo di tutti.»
«Perché veniva sempre qui» disse il vecchio. «Se fosse stato Durocher a continuare a venir qui tutti gli anni, tuo padre avrebbe pensato che era lui l’allenatore più bravo di tutti.»
«Ma in realtà, chi è il più bravo allenatore, Luque o Mike Gonzales?»
«Secondo me sono pari.»
«E il pescatore più bravo di tutti sei tu.»
«No. Ne conosco di migliori.»
«Qué va» disse il ragazzo. «Ci sono molti pescatori bravi e alcuni grandi. Ma come te ci sei soltanto tu.»
«Grazie. Mi rendi felice. Spero che non mi capiti un pesce così grosso da dimostrarci che hai torto.»
«Non esiste un pesce così, se sei ancora forte come dici.»
«Può darsi che non sia forte come credo» disse il vecchio.
«Ma conosco molti trucchi e sono ostinato.»
«Ora dovresti andartene a letto, in modo da essere fresco domattina. Riporterò io la roba alla Terrazza.»
«Allora buona notte. Domattina vengo a svegliarti.»
«Tu sei la mia sveglia» disse il ragazzo.
«La mia sveglia è l’età» disse il vecchio. «Perché i vecchi si svegliano così presto? Sarà perché la giornata duri più a lungo?»
«Non lo so» disse il ragazzo. «So soltanto che i ragazzi dormono fino a tardi e sodo.»
«Mi ricordo» disse il vecchio. «Ti sveglierò a tempo.»
«Non mi piace che sia lui a svegliarmi. È come se fossi meno di lui.»
«Lo so.»
«Dormi bene, vecchio.»
Il ragazzo uscì. Avevano mangiato senza luce sulla tavola e il vecchio si tolse i calzoni e andò a letto al buio. Arrotolò i calzoni per farsi il guanciale, mettendovi dentro il giornale. Si arrotolò nella coperta e dormì sugli altri giornali vecchi che coprivano le molle del letto. Si addormentò presto e sognò l’Africa quand’era ragazzo e le lunghe spiagge dorate e le spiagge bianche, così bianche da far male agli occhi, e i promontori alti e le grandi montagne brune. Ora viveva tutte le notti lungo quella costa e nel sogno udiva il fragore dei frangenti e vedeva le barche indigene che li fendevano. Mentre dormiva sentiva l’odore del catrame e della stoppa del ponte e sentiva l’odore dell’Africa recato al mattino dal vento di terra. Di solito quando sentiva l’odore del vento di terra si svegliava e si vestiva per andare a svegliare il ragazzo. Ma stanotte l’odore del vento di terra giunse molto presto e nel sogno capì che era troppo presto e continuò a sognare per vedere i picchi bianchi delle isole che sorgevano dal mare e poi sognò i porti e le rade delle Isole Canarie. Non sognava più tempeste, né donne, né grandi avvenimenti, né grossi pesci, né zuffe, né gare di forza e neanche di sua moglie. Ora sognava soltanto luoghi, e i leoni sulla spiaggia. Giocavano come gattini nel crepuscolo e gli piacevano come gli piaceva il ragazzo. Non sognava mai il ragazzo. Si svegliò, guardò la luna attraverso la porta aperta e srotolò i calzoni e li indossò. Orinò fuori della capanna e poi risalì la strada per svegliare il ragazzo. Il freddo del mattino lo fece rabbrividire. Ma il vecchio sapeva che rabbrividendo si sarebbe scaldato e che presto avrebbe dovuto remare.
La porta della casa dove dormiva il ragazzo non era chiusa a chiave, e il vecchio l’aprì ed entrò in silenzio a piedi scalzi. Il ragazzo dormiva su un lettino nella prima stanza, e il vecchio lo vide distintamente alla luce della luna morente. Gli prese con garbo un piede e lo strinse finché il ragazzo si svegliò e si voltò a guardarlo. Il vecchio gli fece un cenno col capo, e il ragazzo prese i calzoni dalla sedia accanto al letto e li
infilò restando seduto sul letto.
Il vecchio uscì e il ragazzo gli andò dietro. Aveva sonno, e il vecchio gli cinse le spalle col braccio e disse: «Mi dispiace».
«Qué va» disse il ragazzo. «È quello che deve fare un uomo.»
Scesero la strada verso la capanna del vecchio e lungo tutta la strada, nel buio, si muovevano uomini scalzi, che portavano in spalla l’albero della loro barca.
Quando giunsero alla capanna del vecchio, il ragazzo prese la cesta con le lenze e la fiocina e la gaffa, e il vecchio si mise in spalla l’albero con la vela serrata.
«Vuoi un po’ di caffè?» chiese il ragazzo.
«Mettiamo le attrezzature in barca e poi andiamo a prenderlo.»
Bevettero il caffè da lattine di latte condensato in un locale aperto il mattino presto per i pescatori.
«Come hai dormito, vecchio?» chiese il ragazzo. Si stava svegliando adesso, anche se gli riusciva ancora difficile uscire dal sonno.
«Benissimo, Manolin» disse il vecchio. «Ho molta fiducia, quest’oggi.»
«Anch’io» disse il ragazzo. «Ora devo andare a prendere le nostre sardine e le tue esche fresche. Lui si porta l’attrezzatura da sé. Non permette mai a nessuno di portargli niente.»
«Per noi è diverso» disse il vecchio. «Ti lasciavo portare le cose quando avevi cinque anni.»
«Lo so» disse il ragazzo. «Ritorno subito. Prendi un altro caffè. Qui ci fanno credito.»
Uscì, scalzo sugli scogli di corallo, dirigendosi verso il frigorifero dov’erano riposte le esche.
Il vecchio bevette lentamente il caffè. Non avrebbe preso altro per tutto il giorno e sapeva che gli era indispensabile berlo. Da molto tempo non gli andava di mangiare e non portava mai la colazione con sé. Aveva una bottiglia d’acqua a prua della barca e non aveva bisogno di altro per tutto il giorno.
Il ragazzo ritornò con le sardine e le due esche avvolte in un giornale e scesero la stradicciola che conduceva alla barca, sentendosi la sabbia ghiaiosa sotto i piedi, e alzarono la barca e la misero in acqua.
«Buona fortuna, vecchio.»
«Buona fortuna» disse il vecchio. Adattò gli stroppi (5) dei remi agli scalmi e sporgendosi avanti a spingere le pale nell’acqua, incominciò a remare al buio per uscire dal porto. Vi erano altre barche che prendevano il mare da altre spiagge e il vecchio udiva i tuffi e i colpi di remo pur non vedendoli
ora che la luna era sotto le colline.
A volte, in una barca, qualcuno parlava. Ma quasi tutte le barche erano silenziose eccettuato il tuffo dei remi. Si allontanarono le une dalle altre appena uscite dall’imboccatura del porto e ciascuna si avviò in quella parte di oceano in cui sperava di trovare pesci. Il vecchio intendeva dirigersi al largo e si lasciò l’odor della terra alle spalle e remò nel fresco odor dell’oceano del primo mattino. Vide la fosforescenza delle alghe del Golfo nell’acqua mentre remava in quella parte dell’oceano che i pescatori chiamavano il gran pozzo perché vi era un salto improvviso di più di mille metri in cui si adunavano pesci di ogni genere a causa del mulinello creato dalla corrente contro le pareti ripide del fondo dell’oceano. Si concentravano qui gamberetti e pesci da esca e a volte frotte di calamari nelle buche più profonde, che la notte salivano alla superficie a far da nutrimento a tutti i pesci che passavano. Nell’oscurità il vecchio sentì giungere il mattino e mentre remava udì il suono tremolante dei pesci volanti che uscivano dall’acqua e il sibilo fatto dalle rigide ali tese mentre si allontanavano librate nel buio. I pesci volanti gli piacevano molto ed erano i suoi migliori amici, sull’oceano. Pensò con dolore agli uccelli, specialmente alle piccole, delicate sterne nere, che volavano sempre in cerca di qualcosa senza quasi mai trovar nulla e pensò: “La vita degli uccelli è più dura della nostra, tranne per gli uccelli da preda, pesanti e forti. Perché sono stati creati uccelli delicati e fini come queste rondini di mare se l’oceano può essere tanto crudele? Ha molta dolcezza e molta bellezza. Ma può diventare tanto crudele e avviene così d’improvviso e questi uccelli che volano, tuffandosi per la caccia, con quelle vocette tristi, sono troppo delicati per il mare”.
Pensava sempre al mare come a la mar, come lo chiamano in spagnolo quando lo amano. A volte coloro che l’amano ne parlano male, ma sempre come se parlassero di una donna. Alcuni fra i pescatori più giovani, di quelli che usavano gavitelli come galleggianti per le lenze e avevano le barche a motore, comprate quando il fegato di pescecane rendeva molto, ne parlavano come di el mar al maschile.
Ne parlavano come di un rivale o di un luogo o perfino di un nemico. Ma il vecchio lo pensava sempre al femminile e come qualcosa che concedeva o rifiutava grandi favori e se faceva cose strane o malvagie era perché non poteva evitarle. La luna lo fa reagire come una donna, pensò. Remava con regolarità e non faceva fatica perché non alterava la velocità, e la superficie dell’oceano era piatta tranne di quando
in quando per qualche mulinello della corrente. Lasciava fare un terzo del lavoro alla corrente e allo spuntare dell’alba si accorse di essere già più al largo di quanto avesse sperato.
Ho lavorato nei pozzi profondi per una settimana e non ho combinato niente, pensò. Oggi voglio lavorare fuori dove ci sono i banchi di palamite e di alalonghe e forse lì in mezzo ci sarà qualcosa di grosso.
Prima che fosse giorno chiaro aveva gettato le esche e si lasciava trasportare dalla corrente. La prima esca giungeva a una profondità di quaranta tese. (6) La seconda giungeva a settantacinque tese e la terza e la quarta erano affondate nell’acqua azzurra per cento e centoventicinque tese. Le esche pendevano a testa in giù col gambo dell’amo inserito nel pesce esca, legato e fissato solidamente, e tutta la parte ricurva dell’amo, il braccio e la punta, era coperta di sardine fresche. L’amo passava attraverso gli occhi delle sardine, che creavano così una mezza ghirlanda sull’acciaio ricurvo. Non c’era parte dell’amo che non sarebbe riuscita dolce, odorante e saporita per un bel pesce.
Il ragazzo gli aveva dato due piccoli tuna o alalonghe, freschi che stavano appesi alle due lenze più profonde come sonde e alle altre due aveva messo un grosso pesce azzurro e uno giallo che erano già stati usati; ma erano ancora in buone condizioni e le sardine buonissime li rendevano profumati e appetitosi. Ogni lenza, spessa come una grossa matita, era fissata a un bastoncino instabile in modo che ogni volta che l’esca veniva tirata o sfiorata il bastoncino cadeva, e per ogni lenza c’erano due duglie di quaranta tese che si potevano aggiungere ad altre duglie di riserva per cui, in caso di necessità, un pesce poteva avere a disposizione più di trecento tese di lenza. Ora il vecchio vide cadere tre bastoncini fuori della barca e diede qualche colpo garbato di remo per tener le lenze ben verticali e alle profondità giuste. Era già chiaro, e da un momento all’altro poteva sorgere il sole.
II sole sorse lieve dal mare e il vecchio vide le altre barche basse sull’acqua e vicino alla riva, sparse nel corso della corrente. Poi il sole divenne più luminoso e abbagliò l’acqua e poi, mentre sorgeva limpido, il mare liscio lo fece rimbalzare negli occhi del vecchio dandogli un dolore acuto, per cui continuò a remare senza guardarlo. Guardò giù nell’acqua e sorvegliò le lenze che scendevano diritte nel buio dell’acqua. Egli le teneva più diritte di tutti gli altri e così nel buio della corrente c’era un’esca in attesa a ogni livello, nel punto esatto in cui egli desiderava che si trovasse, per qualunque pesce potesse passare in quel punto. Altri le lasciavano in balìa della corrente e a volte erano a sessanta tese di profondità quando i pescatori credevano che fossero a cento.
Ma, pensò, io le tengo al posto giusto. Soltanto non ho più fortuna. Ma chissà? Forse oggi. Ogni giorno è un nuovo giorno. È meglio quando si ha fortuna. Ma io preferisco essere a posto. Così quando viene sono pronto.
Ora il sole era alto da due ore e non gli faceva più tanto male agli occhi guardare verso oriente. C’erano soltanto tre barche in vista, ora, ed erano molto basse e lontane verso la riva.
Il primo sole mi ha sempre fatto male agli occhi da quando sono al mondo, pensò. Però ho ancora gli occhi buoni. La sera posso guardarlo fisso senza veder nero. E la sera è anche più forte. Ma la mattina fa male.
Proprio in quel momento vide davanti a sé una fregata (7) con le lunghe ali scure che roteava nel cielo.
Si calò in fretta, scendendo obliqua sulle ali spinte indietro, e poi tornò a roteare. «Ha trovato qualcosa» disse il vecchio ad alta voce. «Non sta soltanto a guardare.» Si avviò remando adagio e con regolarità verso il punto in cui l’uccello stava roteando. Non si affrettò e tenne le lenze diritte. Ma forzò un poco la corrente, per cui pur continuando a pescare senza commettere errori, pescava più in fretta di quanto avrebbe fatto se non avesse avuto bisogno di servirsi della fregata. L’uccello si alzò più alto nell’aria e tornò a roteare con le ali immobili. Poi si tuffò d’improvviso e il vecchio vide un pesce volante schizzare fuori dell’acqua e procedere disperatamente sulla superficie.
«Delfini» disse il vecchio ad alta voce. «Grossi delfini.»
Disarmò i remi e prese una lenza piccola dalla prua. Aveva un bozzello (8) di ferro e un amo di misura media e il vecchio lo innescò con una sardina. Lo gettò a mare e poi diede volta alla lenza su una bitta (9) a poppa. Poi innescò un’altra lenza e la lasciò addugliata all’ombra della prua. Riprese a remare guardando l’uccello scuro dalle lunghe ali che, ora, agiva basso sull’acqua. Mentre egli lo guardava, l’uccello calò di nuovo tendendo obliquamente le ali per il tuffo e poi sbattendole all’impazzata e inutilmente mentre seguiva il pesce volante. Il vecchio vedeva il contorno snello nell’acqua sollevata dai grandi delfini mentre inseguivano il pesce in fuga. I delfini filavano sotto il volo del pesce per trovarsi in acqua, a tutta velocità, quando il pesce si fosse rituffato. È una grande frotta di delfini, pensò. Sono molto scostati gli uni dagli altri e il pesce volante ha poche speranze. L’uccello non ha nulla da sperare. I pesci volanti sono troppo grossi per lui e vanno troppo in fretta.
Guardò il pesce volante saltar fuori dell’acqua più e più volte e i movimenti vani dell’uccello. Quella frotta se n‘è andata,
pensò. Vanno troppo in fretta e troppo lontano. Ma forse ne troverò uno disperso e forse il mio bel pesce è lì intorno. Il mio bel pesce dev’essere da qualche parte. Ora le nuvole a terra si alzavano come montagne e la costa non era che una lunga linea verde davanti alle colline grigio-azzurre. L’acqua era di un azzurro scuro, adesso, così scuro che pareva violetto. Guardandovi dentro il vecchio vide il plancton rosso sparso nell’acqua scura e la strana luce prodotta ora dal sole. Guardò le lenze per vederle scendere diritte a perdita d’occhio nell’acqua e fu lieto di vedere tanto plancton perché questo significava pesci. La strana luce prodotta dal sole nell’acqua, ora che il sole era più alto, significava bel tempo, e così pure significava bel tempo la forma delle nuvole a terra. Ma la fregata ormai era quasi invisibile e nulla si mostrava sulla superficie dell’acqua tranne qualche chiazza gialla di sargassi sbiaditi dal sole e la bolla violetta, stilizzata, iridescente, di una caravella (10) che seguiva da vicino la barca. Si voltò su un fianco e poi si raddrizzò. Galleggiava lietamente come una vescica trascinandosi dietro per un metro i lunghi filamenti violetti immobili nell’acqua.
«Agua mala» disse il vecchio. «Brutta puttana.»
Dalla posizione in cui si trovava, appoggiandosi lievemente ai remi guardò nell’acqua e vide i pesciolini, dello stesso colore dei filamenti trascinati, che nuotavano tra i filamenti e sotto l’ombra minuscola prodotta dalla bolla alla deriva. Erano immuni a quel veleno. Ma gli uomini non lo erano e se qualche filamento si fosse impigliato nella lenza e vi fosse rimasto, limaccioso e violetto mentre il vecchio stava lavorando su un pesce, gli sarebbero venute sulle braccia e sulle mani vesciche e piaghe come quelle prodotte dal veleno dell’edera e della quercia. Ma queste infezioni dell’agua mala venivano in fretta e colpivano come frustate. Le bolle iridescenti erano belle. Ma erano le cose più false del mare e al vecchio piaceva vederle mangiare dalle grandi tartarughe marine. Le tartarughe le vedevano, si avvicinavano a esse, poi chiudevano gli occhi, in modo da essere completamente protette dentro il guscio e le mangiavano, coi filamenti e tutto. Al vecchio piaceva vederle mangiare dalle tartarughe e gli piaceva camminarvi sopra sulla riva dopo le tempeste e udirle esplodere quando le schiacciava con le piante incallite dei piedi.
Gli piacevano le testuggini verdi e le tartarughe embricate con la loro eleganza e velocità e il loro grande valore e provava un cordiale disprezzo per le enormi carette stupide, gialle nella corazza a scaglie, strane nel far l’amore e felici nel mangiare a occhi chiusi le caravelle. Non aveva misticismi per le tartarughe anche se per molti anni era andato a pescarle. Lo addoloravano tutte, anche le grandi sfargidi lunghe come la barca, che pesavano una tonnellata. Molti sono spietati con le tartarughe perché il cuore della tartaruga batte per molte ore dopo che è stata tagliata e squartata. Ma il vecchio pensava: anch’io ho il cuore così e piedi e mani che assomigliano ai loro. Mangiava le uova bianche per darsi forza. Le mangiava per tutto maggio per essere forte a settembre e a ottobre per i pesci proprio grossi.
Beveva anche una tazza di olio di fegato di pescecane ogni giorno dal grande barile nella capanna dove molti pescatori tenevano le attrezzature. L’olio era lì per tutti i pescatori che lo volevano. La maggior parte dei pescatori ne detestavano il sapore. Ma non era peggiore dell’alzarsi alle ore in cui si alzavano e faceva molto bene per il raffreddore e l’infiuenza e faceva bene agli occhi…

NOTE

  • 1. La gaffa è un ferro a due ganci che serve per avvicinare un’imbarcazione all’approdo.
  • 2. Pesce spada del genere Makaira, che frequenta le coste atlantiche.
  • 3. Rete tonda sottile e fitta che, gettata dal pescatore in acqua, si apre e giunta sul fondo si chiude, rinserrando dentro i pesci che, cadendo, essa ha potuto coprire.
  • 4. La squadra di baseball di New York, capitanata dall’italo-americano joe Di Maggio.
  • 5. Anelli di corda che legano i remi agli scalmi.
  • 6. Antica misura che corrisponde all’apertura delle braccia.
  • 7. Uccello marino.
  • 8. Carrucola ovoidale.
  • 9. Colonnetta di legno o di ferro alla prua della nave o della barca o sulla banchina dei porti, per avvolgervi gomene o catene.
  • 10. Animaletto del tipo dei celenterati al quale appartengono anche le meduse e il corallo.


Da ISOLE NELLA CORRENTE (Mondadori)

La casa sorgeva sulla parte più alta della stretta lingua di terra tra la baia e il mare aperto. Aveva resistito a tre uragani ed era una costruzione solida come una nave.
L’ombreggiavano alte palme da cocco piegate dagli alisei, e uscendo di casa dal lato dell’oceano potevi scendere per la scogliera, traversare la striscia di rena bianca ed entrare nella Corrente del Golfo. A guardarla in una giornata senza vento l’acqua della Corrente era blu scuro. Ma quando t’immergevi, sopra quella rena bianca e farinosa c’era solo la luce verde dell’acqua, e di ogni pesce grosso si vedeva l’ombra molto tempo prima che quello potesse raggiungere la spiaggia. Era un bel posto sicuro per farci il bagno durante il giorno, ma non per nuotarci la notte. La notte i pescicani venivano quasi a riva, cacciando ai margini della Corrente, e dalla veranda superiore della casa, nel silenzio della notte, sentivi lo sguazzare dei pesci ai quali davano la caccia e, se andavi giù alla spiaggia, vedevi le scie fosforescenti che lasciavano nell’acqua. Di notte gli squali non avevano paura di niente e tutte le altre creature avevano paura di loro. Ma di giorno giravano al largo, distante dalla rena bianca e risplendente, e se si avvicinavano ne scorgevi l’ombra da lontano. Là in quella casa viveva un uomo di nome Thomas Hudson, che era un buon pittore e passava lavorando là e sull’isola la maggior parte dell’anno. Quando si è vissuto abbastanza in quelle latitudini i cambiamenti di stagione vi assumono la stessa importanza che hanno in tutti gli altri posti della terra e Thomas Hudson, che amava quell’isola, non voleva perdervi né una primavera, né un’estate, né un solo autunno o inverno. A volte, quando in agosto il vento diminuiva o quando, in giugno e luglio, cessavano a tratti gli alisei, le estati erano troppo calde. In settembre e ottobre, e persino ai primi di novembre, potevano venire anche gli uragani, e capricciose tempeste tropicali potevano scoppiare in qualsiasi momento da giugno in poi. Ma quando non ci sono fortunali nei veri mesi degli uragani il tempo è sempre buono.
Per molti anni Thomas Hudson aveva studiato le tempeste tropicali, e quando c’era una perturbazione lo capiva guardando il ciclo molto prima che ne indicasse la presenza il suo barometro. Sapeva prevedere la rotta dei cicloni e sapeva quali precauzioni prendere. Sapeva cosa voleva dire scampare a un uragano con gli altri abitanti dell’isola e conosceva il vincolo creato dall’uragano tra tutti quelli che ne erano stati colpiti. Sapeva anche che certi uragani potevano essere così brutti che nessuno l’avrebbe scampata. Pensava sempre, però, che se mai ne fosse arrivato uno così brutto gli sarebbe piaciuto star là ad aspettarlo e volarsene via con la casa, se la casa fosse volata via.
La casa, quasi quasi, sembrava più una nave che una casa. Costruita lassù per resistere alle burrasche più violente, era piantata nell’isola come se ne fosse una sua parte; ma da tutte le finestre godevi la vista del mare e c’era sempre una buona ventilazione, sicché dormivi al fresco anche nelle notti più calde. La casa era verniciata di bianco per poter essere fresca d’estate ed era visibile da lontano, arrivando sulla Corrente del Golfo. Era la cosa più alta dell’isola a parte la lunga piantagione di altissimi equiseti che erano la prima cosa che vedevi quando ti appariva l’isola dal mare. Subito dopo aver visto la scura macchia confusa degli equiseti sopra la linea dell’orizzonte, vedevi la bianca mole della casa. Poi, mentre ti avvicinavi, vedevi l’isola in tutta la sua lunghezza, con le palme da cocco, le case di legno, la riga bianca della spiaggia e il verde di South Island sullo sfondo.
Thomas Hudson la casa non la vedeva mai, là su quell’isola, ma sapeva che la sua sola vista sarebbe bastata a renderlo felice. Diceva sempre lei, quando ci pensava, proprio come avrebbe pensato a una nave. D’inverno, quando soffiavano i venti di tramontana e faceva freddo davvero, la casa era calda e confortevole perché aveva l’unico caminetto dell’isola. Era un grande caminetto aperto e Thomas Hudson vi bruciava la legna sospinta dall’oceano sulla spiaggia.
Aveva un grosso mucchio di legna accatastata contro la parete della casa rivolta a mezzogiorno. Era calcinata dal sole e rósa dal vento, e lui s’invaghiva così tanto di questo o di quel pezzo che non aveva più il coraggio di bruciarlo.
Ma c’era sempre della legna nuova lungo la spiaggia dopo le burrasche, e lui scoprì che era divertente bruciare anche i pezzi che gli piacevano. Sapeva che il mare ne avrebbe scolpiti degli altri, e nel freddo della sera sedeva in poltrona davanti al fuoco, leggendo alla luce della lampada posata sul pesante tavolo di legno, e mentre leggeva alzava lo sguardo per udire, fuori, il vento di nord-ovest che soffiava e
il fragore della risacca, e per guardare i grossi pezzi di legno calcinato che ardevano.
Qualche volta spegneva il lume e si coricava sul tappeto che copriva il pavimento per contemplare le frange colorate che il sale marino e la sabbia penetrata nel legno creavano, bruciando, nella fiamma. Là sul pavimento aveva gli occhi alla stessa altezza della legna che ardeva e vedeva i contorni della fiamma quando essa si alzava dal ceppo e questo lo rendeva triste e felice nel medesimo tempo. Tutta la legna che bruciava gli faceva questo effetto. Ma quando bruciava la legna gettata dal mare sulla spiaggia provava qualcosa che non riusciva a definire. Pensava che forse bruciarla era uno sbaglio, se gli piaceva tanto; eppure non provava alcun rimorso.
Quando se ne stava là disteso sul pavimento aveva l’impressione di trovarsi al riparo dal vento anche se, in realtà, il vento sferzava gli angoli inferiori della casa e l’erba nei punti più bassi dell’isola e le radici delle alghe marine e staccava le lappole dalla bardana e alzava dalla spiaggia un polverio di sabbia. Là disteso sul pavimento lui poteva sentire il fragore della risacca così come ricordava di aver udito il rombo dell’artiglieria pesante quando da ragazzo, tanto tempo prima, si era gettato a terra ai piedi di una batteria.
D’inverno il caminetto era una gran cosa, e in tutti gli altri mesi lui lo guardava con affetto e pensava a come sarebbe stato quando fosse tornato l’inverno. L’inverno, sull’isola, era la migliore di tutte le stagioni, e per tutto il resto dell’anno lui non vedeva l’ora che tornasse.

Ernest Hemingway


Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Avvenimenti
Novità & Dintorni
i Concorsi
Letterari
del Club degli autori
Le Antologie
dei Concorsi
del Club degli autori
Contatti