Opere di Epittéto


LA VECCHIAIA


1 – Sapere

Desolazione piena
il bel saper m’apporta,
lo spirto giace in pena
e nulla mi conforta.

E quando poi m’infurio
pensando l’esser tardi,
vagheggio un vil tugurio
da cui non senta e guardi.


2 – Cipiglio

In verde età par tutto un gran bagliore,
la mente pronta ad ogni conoscenza
e giunti al mondo a recar scompiglio.

Vetusto d’anni, più non hai splendore:
in cor disiando alfin di dar licenza,
rifuggi il nuovo con senil cipiglio.


3 – La tomba

Il passato è la tomba
di sogni, di passioni,
di gioie e di dolori.
Pur esso ratto piomba
ben fuor dall’intenzioni,
squassando i nostri cuori.


4 – La vela

Alla fin della mia tela
fiacco son di far dimande,
con il mondo un taglio netto.

Ripiegata sta la vela,
guato sol deserte lande,
sofferente nell’aspetto.


5 – Tempo perso

Vissi assai tempo
correndo nel male
e poco nel bene.
Ed or che m’attempo
rabbia mi assale,
in pulsar di vene.
Ma divinazione
sulla retta scelta
non mi fu donata.
Spero remissione,
e cesura svelta
alla gran chiamata.


6 – Con pazienza

Quando avea dimestichezza
con gli uman, in vari lochi
ei ridean di mia pochezza
fin in voce a farsi rochi.

Ma di ciò a que’ son grato,
che in pazienza ho progredito,
sopportando il far sgarbato
senza urtar né aver zittito.


7 – Madre terra

Or questo corpo greve
mi lega a madre terra
negandomi l’Eterno.
Gli resta un tempo breve:
per poco ancor m’afferra.


8 – Basso il guardo

L’avello del passato,
che impietoso serra
i vanti, i tanti errori
d’un viver travagliato.

In tal smarrito stato,
mesto il guardo a terra,
vorrei chiamarmi fuori
da sì consorzio odiato.


9 – Cento

Uno, dieci, in cento
m’hanno in morte preceduto
tra color con cui ho vissuto:
sono tanti, uno spavento!


10 – La risposta

Sempre avea io la risposta
ai perché di nostra vita.
Or che invecchio senza sosta
sta la bocca mia cucita.


11 – Mistero

Se mi leggo nel passato
tosto incappo nel mistero:
nel marciume al mal votato
ebbi posto oppur non c’ero?


12 – Progetti

Il passato mi tormenta,
ché uno squarcio sol m’avanza
d’un futuro certo breve.
Questa vista si fa spenta,
più nel cor non v‘è baldanza,
ogni passo appar più greve.
Sol progetti per l’addietro,
esso pur dolente e tetro.


13 – Ricordi

Ricordo su ricordo
s’ammassa il mio passato,
rendendo prigioniero
l’andar del mio pensiero.

E con dolore sordo
impreco disperato,
ormai senza speranza
pel tempo che m’avanza.

Più nutro alcun progetto,
ché nulla più m’aspetto.


14 – Avanzo

Qual avanzo di piatto
da buttare in tutta fretta
dopo avere soddisfatto
e la gola e la pancetta,

tal son io, cadente e vecchio,
dal mio prossimo scansato,
sèndo ormai il vile specchio
del degrado più avanzato.

Quelle intese, quell’orrore
sì diffusi in faccia a molti
sono sguardi di stupore
mal celati, al volo còlti.

Ma pur dentro vivo sciolto
da giudizi, da passioni,
con lo spirto al Sommo vòlto,
in speranza d’alti doni.


15 – Paradosso

A stento faticai per gli anni grigi
scorrendo ansiosi giorni, lenti e bigi.
Ed or che giunto son alla vecchiezza
dolente vo a sognar la giovinezza.


16 – Sconfitte

Furon tante in vita le sconfitte
senza mai lucrare un picciol sconto,
buone e mal ragioni ormai confuse.
A rimembrar, lo spirto s’intristisce.

Le cose storte allor vorria far dritte,
per render dell’offese men l’affronto.
Ma tempo più non v‘è per certe scuse:
l’andare mio terren ormai finisce!


17 – L’Acheronte

Caronte, il gran nocchiero,
a traghettar m’aspetta:
ma il piè sul suo veliero
di porre non ho fretta.


18 – Volonta’

Quando l’ombra dell’Ade
distesa sarà su quest’occhi spenti,
non tocchi di campane
nè mesti annunci su fogli appesi
nè gente in finto strazio
volta a mirar la conclusion dell’opra.
Giacchè sprezzato figlio
mal io giunsi tra i clamor del mondo
e sempre poi scansato,
uscirne vo in silenzioso passo.


19 – Spregio

Pur se vecchio, dalla vita
poco o nulla ho imparato.
Il mio niente ognun m’addita,
fin nel nascer dispregiato.


20 – Delusioni

Con l’ultimo respir non sol diparto:
men vo di giorno in giorno lentamente
al disgregar di mal riposti affetti,
deluso dal fallir di tante attese.
Ad uno ad uno gli altrui passi scarto,
in urto col sentir di bassa gente.
Sì, forse solo in generosi petti
fidanze certe se ne stanno accese.
Ma quei son pochi, per non dire rari,
e mai tra volti accanto e dentro chiari.


21 – Coniuge

Bianchi, in certe tessere,
i crini, eppur m’adora.
Di più: mi vede ancora
com’io credea d’essere.


22 – Inquietitudine

Forse ho tutto, forse è vano
quanto detto, quanto fatto:
quel che resta è senza attesa.


23 – Fortitudo

Malattia, ria consorte,
mi tormenta giorno e notte.
Ma lo spirto quieto e forte
non si piega e se ne fotte.


24 – Orrore

Orror, per quello stranio,
ch’io spio di soppiatto,
riflesso, il volto sfatto
in ripugnante cranio.

Alla malora, specchio:
schifar mi fa quel vecchio!


25 – Sorpresa

Non ci senti da un orecchio,
spesse lenti sopra il naso,
t’ho rivisto un dì per caso:
quanto brutto sei da vecchio!

Anche tu fanciulla cara,
così bella in giovinezza,
a guardarti il cor si spezza,
la sorpresa è troppo amara.

Ingrassata, doppio mento,
quella pelle tutta buccia,
la statura che s’accuccia.
Da buttare, fai spavento!

Pur, sentendovi parlare
par d’udire un’altra storia.
Nella voce ancor la boria
di chi il mondo vuol piegare.

Tutto un van spiegar di mani:
stolti, ormai non v‘è domani.


26 – Oscurità

Or che vecchio io son, mi sento escluso
dal mondo giovanil, e dal maturo
che tempra arreca.Ormai deluso,
vago incerto, in volto scuro.


27 – L’addio

Parole sospese nel nulla,
sol poche credenze, pur vuote,
un conto di vita fasulla
che tutto nel fondo mi scuote.

E questo son io,
in punto d’addio.


28 – Tra i campi

La zolla al piè non cede,
la rama trema spoglia,
il manto della brina
va tutto a congelar.

E l’occhio che ciò vede
s’attrista nella doglia:
la vita mia è vicina
anch’essa al limitar.


29 – La resa

Al ridestar, rampogno
la Falce che pietosa
m’ha risparmiato.

Oh giorno appena nato,
di questa vita astiosa
la resa agogno.


30 – Allo specchio

Riflesso e inconosciuto
mi scruto immoto e freddo,
stravolto in vecchi tratti.
Son lineamenti sfatti
che ai troppi lustri debbo.
Ohi, il ciclo mio è compiuto.


31 – Il verno

Crespando l’onda al limitar del fiume,
dal cielo bigio soffia il vento a sbuffi
sui rami spogli e in arruffate piume
il passero solingo par che scuffi.

Ed ecco amaro meditando penso
a verno mio che vieppiù s’appressa
a chiuder questo viver senza senso,
che mala sorte turba e mai non cessa.


32 – Le stagioni

Più stagioni son passate,
freddo inverno sol m’accoglie.
Una ad una son spirate
tante attese, or morte foglie.

Ed ansante nel respiro
tutto in vuoto mi rimiro.


33 – ’Atropo

Parca,
figlia della notte,
cuore inesorato,
tronchi i fili a frotte
a destra e a manca.

Varca
l’acque dello Stige,
senescente fiato!
’Atropo, l’esige
quest’alma stanca.


34 – Pellegrino

Or vo peregrinando
per labili sentieri.
O morte, fino a quando
pietosa non t’inveri.


35 – La terza età

La vista si fa corta,
l’udito sente poco,
la bocca si fa tòrta,
in dir un sòno roco.

Quant’è bella e gaia
l’età della vecchiaia…


36 – Cucùlo che lanci

Cucùlo che lanci
l’isolato verso,
a cupo richiamo,
m’avverti ben chiaro:
è giunto il mio tempo!


37 – Il lume

Che conta ormai se il mio lume è fioco
e spente forze mi ristan addosso
e il corpo sen va qual morello scosso
e scacco mortal mi s’appresta in gioco?

In questi versi io vivrò per sempre,
a prova salda di che son le tempre.


38 – A breve

A breve fermeranno i passi.
Poi a poco a poco
vincerà l’oblio.
Né più saprassi
s’ebbi corso in questa vita.


39 – La resa dei conti

Giunto a meta, dilazione imploro:
e tutto adoro, e tutto fuor m’allieta.


40 – Vizi e virtù

Quando l’uom diventa vecchio
si fa presto a far di conto:
con i vizi riempi un secchio,
sol un pugno di virtù.

Ha pretese senza senso,
a lagnarsi sempre pronto,
s’è poi laido come penso
ti fa schifo ancor di più.


41 – Le stagioni della vita

Al mondo sconosciuto un dì t’affacci,
il capo ricco d’arruffate penne,
il piè sospeso nell’andar incerto,
stordito il guardo da bagliori intensi.

Poi nel cammin maturo l’orme tracci,
cozzando col dolor, a volte indenne,
cogliendo rari frutti grazie al merto,
or vinto in far da smacchi a cui non pensi.

Alfine giungi ai giorni del riposo,
quel buco nero che marmaglia inghiotte,
pur detto dai pietosi assai radioso,
ma invero cimiter d’umane rotte.

Poi nel terrore della presta fine
la cieca falce tutti quanti azzera:
d’oblio coperte tante azion meschine,
nessuno omai saprà chi un tempo era.


42 – Angosce

Lo sguardo inorridito
posando su se stesso
non più si riconosce.

Gran tempo se n’è ito,
or corta pezza tesso,
prigion di fonde angosce.


43 – All’ultimo sangue

Il male da sempre combatte col bene
sul suol del mio corpo in aspra tenzone
e mai che traspaia in quel che m’avviene
se l’uno o quell’altro m’ha fatto prigione.

Un dì son felice, poi cala la notte;
travaglio, sconforto, il nulla mi prende,
stremato rassegno le forze ridotte;
già spento, il morale sotterra discende.

Or giunto alla meta, svanita è la speme
di sorte felice. Null’altro mi preme
che viver in pace, cullando il riposo.

Ma stanco è il pensiero, le membra pesanti
fan corto il respiro, a passi giganti
la Falce s’allunga, in gesto pietoso.


44 – Chiarezza

Il dir s’è fatto chiaro in tardo viaggio
a forza di calcion tra i rotti denti
ed or che le stagion m’han reso saggio
in fuga son dal suon di finte genti.

Intanto volgo al ciel sentite grazie
per le scampate mille e più disgrazie.


45 – Generosità

Generoso fui in oprare,
ritenendo d’uom virtuoso
non l’aver ma prima il dare.

Ma fu stile difettoso,
che m’ha fatto sempre odiare
per l’esempio scandaloso.

Così or che vecchio sono
a nessuno fo più dono.


46 – Timori notturni

O scura notte, che dormiente fai
il vigilante e vigilante il ladro,
di me vegliardo il sonno e i sogni inquieti.
Furtive mani e leste, come sai,
di miei riposti ben farrian soqquadro,
violando tanti affetti cari e lieti.


47 – Il fiume dell’oblio

Ed ora che il respir s’è fatto ansante
pel troppo remigar nel mio percorso,
ripenso con stupor alle persone
che in sconcia folla son passate accanto,
avendone financo perso il conto.

Di quelle che sovvengo, e sono tante,
gran puzzo m’han lasciato. In mio soccorso
il Lete questa mente a lor frappone:
a niuna quindi vada il mio rimpianto.
Sia sciolto nell’andar senil tramonto.


48 – In morte

Poichè fui il signor Nessuno
fino a questa morte mia,
che la lastra, a buon sigillo
delle spoglie quì riposte,
nullo scritto rechi inciso.

Nè s’apponga volto alcuno.
Al passante sulla via
si porrà allor l’assillo,
in vagar delle sue soste,
di saper chi dentro è priso.

E, squassandosi, le ossa
strideranno nella fossa.


49 – Libri ancora

Libri, libri e libri ancora
qua e là io vo impilando,
quelli e questi compulsando
dentro un’ansia che divora.

Sto cercando fede eletta,
sommo bene e veritate.
Troppo tardi per l’etate:
c‘è la morte che m’aspetta…


50 – Lo sforzo

In età maggiore l’agir mio si volse
al voto cardinal di fede piena
negli etici valor e di servizio.
E guerra fu: chi il saluto tolse,
chi nel comun cammin mi diè di schiena,
chi nel ferir usò ogni artifizio.

Andaron poi gli amici ben dispersi,
ché sol per sè tendevano la mano.
Le union di sangue seppero la crisi
dei finti affetti e di bugiardi versi.
Senescente bussola ha reso piano
che certo in quella scelta mal decisi.

Nemmeno ogni sforzo al ben, suvvia,
il tristo può menar in retta via.


51 – Cannibalismo

Il tempo s‘è mangiato il mio tempo.
Cannibale, minchia!


52 – Fato

Chiuso è il libro del passato,
ricco sol di sofferenza.
Lotte oscure, tradimenti,
egoismi, fallimenti.
Non fu vita: un’indecenza
regalatami dal fato.


53 – E’ tempo

E’ tempo si faccia il conto:
ognun del suo vissuto
i fatti enumerati.

Conchiusa è la stagione.

E’ tempo si chiuda il conto:
il fatto e l’incompiuto
entrambi soppesati.

Conchiusa è la stagione

E’ tempo di render conto:
l’amore ed il rifiuto
in Cielo giudicati.

Conchiusa è la stagione.


54 – Giovanili petti

Con l’ultimo respir non sol diparto:
men vo di giorno in giorno lentamente
al disgregar di mal riposti affetti,
deluso dal fallir di tante attese.
Ad uno ad uno gli altrui passi scarto,
in urto col sentir di trista gente.

Ma forse ancor nei giovanili petti
fidanze ingenue se ne stanno accese.


55 – Festa di paese

Alla festa degli anziani,
ch’ogni anno si rinnova,
cento spettri irrigiditi
son seduti a banchettar.

Han le bocche storte e cave,
gialle file di dentiere,
curvi al peso dei ricordi
che li fanno rattristar.

Son comuni le esperienze,
ormai note vecchie imprese,
serpeggianti i lor rancori,
sordi o quasi all’ascoltar.

Poi quell’un in fin di vita
pel continuo ingurgitare,
tra lo sprezzo della sala
pur quell’altro a vomitar.

Ma alla fine del convivio
misterioso sopravvento
d’uno spirto solidale:
tutti insieme giù a cantar!


56 – La Dea nera

La Dea nera del greco Mimnermo
dietro l’angolo sento appostata,
mentre spia con occhi voraci
ch’io sbagli una semplice mossa.

Seppure con passo malfermo
miri astuto fiata per fiata
gli artigli a scansare rapaci,
pur vedo durare non possa

l’alterno celarsi meschino.
Ma se il Tutto il tutto dissolve,
perché mai s’è creato il Creato?
Follia l’iniziar questa vita!

La notte si scioglie al mattino,
la fine ogni lotta risolve,
già morto alla terra ogni nato,
la fede nel nulla svanita.


57 – La fine del gioco

Questa sorte è vicina
alla fine del gioco.
Già il capo reclina,
il respir si fa fioco…


58 – Curvo d’anni

Curvo d’anni,
nulla è meco:
né fede, amor, talento.
Neppur di te sarò padrone, o morte!


59 – Miserere

Se mi volto e guardo indietro,
travagliai, o me infelice,
per un niente, rimediando
sol tant’odio, del peggiore.

Un calar di goccia in vetro
senza traccia. Male dice
chi pietoso va cianciando
d’un passato almen d’onore.

Miserere canta muto:
“Poveraccio, è mal vissuto!”.


60 – C’è vecchiaia e vecchiaia

Quando dico: “Sono vecchio”,
scopro in tutti quanti intorno
uno sguardo di pietà.

Se a pagar ristò parecchio,
mi si assilla notte e giorno:
più non conta la mia età!


61 – Turbanza

Fuggo il mondo,
la sua turbanza;
solitudine
è mia compagna.

Son solo, in fondo,
nella mia stanza:
l’altitudine
d’una montagna.


62 – Anziani in palestra

Le ossa martoriate
dai troppi anni addosso
appena stuzzicate
doloran a più non posso.


63 – Epitaffio

Rifiuto immondo
nacqui.
Al rissar del mondo
tacqui.
In obblio profondo
giacqui.


64 – Diario senile

Il fuoco del sorriso
in cor gagliardo ardeva,
da fede tutto priso.

Quell’uom d’amor viveva,
dell’altro la man stesa,
ognun il ver diceva.

Calò la prima offesa,
poi tre, poi altre cento,
la conta vieppiù estesa.

Lo spirto entrò in tormento,
e l’alma dritta al Cielo
levossi in gran lamento.

Or triste e solitario
chiuso al livore umano,
stendo in senil diario
con sofferente mano.


65 – Disparità di vedute

Tant’anni son passati
che quasi scordo quanti
e ancor su fatti e dati
siam sempre più distanti.


66 – La pendola

Ogni dì scandisci l’ora,
poi la mezza ed anche i quarti;
quando ai tocchi sto a guardarti
ahi! l’umore in me peggiora…


67 – Sfacelo

Men vo ormai in sfacelo
(è van nutrir speranza):
il verso par di gelo
e in capo più non danza.


68 – Esperienze

Le ragion del vecchio saggio
suonan belle, strane e nuove
alle aperte giovin menti.

Chi è a fin del lungo viaggio
sbuffa invece e guarda altrove:
ben conosce quei frangenti.


69 – Lagnanza

Si lagna la consorte:
“ Perché fuggi la gente,
imprechi, più non credi
e in te ristai solingo?”

“Pria che giunga a morte
vorrei purgar la mente
da pene, fatti e fedi:
a quest’agir m’accingo!.”

Ma stramba appar la cosa
purtroppo alla mia sposa.


70 – Miraggi

“Andrò per lunghi viaggi
in tempo di pensione…” ,
dicevo in convinzione
cullando gran miraggi.

Poi giunto il dì sperato,
le amiche malattie
m’han reso notte e die
prigion e in cor fiaccato.

E più quei ciel non vidi,
né monti, mari e lidi.


71 – Col rotolar degli anni

Col rotolar degli anni
sbiadisce la memoria
di volti, luoghi e affanni
(di men cala la boria).

Ci restan il sol presente
e un angol di futuro,
e in odio a tanta gente
il cor si fa più duro.


72 – Le giovin leve

So di un tal di mente acuta
ch’ebbe a dir: “Le giovin leve
van trattate con rispetto.
Lor un dì diran di te…”

L’esperienza mia vissuta
al riguardo è fosca e greve,
se più d’un trovò diletto
a ingiuriarmi in mala fè.

Del lavoro un duro assaggio:
peste a quelli, e breve viaggio!


73 – S’è detto

Quando fassi il pel canuto,
s’è assai lenti ad imparare
e ben lesti nel scordare.
D’agonia comun tributo.


74 – Con te non seggo

Poco tempo ormai posseggo,
e soltanto dei migliori
vo inseguendo fede e cuori.
Io con te perciò non seggo.


75 – Il galletto

Ero arzillo, un galletto,
vivo argento nell’aspetto.
Or son qui distrutto e frollo,
pien di germi fino al collo.
C’ho la febbre, c’ho la tosse,
le tonsille gonfie e rosse.
Sprofondato son nel letto:
chissà quando mi rimetto!



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