Liriche scritte troppo in fretta

di

Enea Trivardi


Enea Trivardi - Liriche scritte troppo in fretta
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 66 - Euro 6,80
ISBN 978-88-6037-7869

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... di poeti invece

ne bastano pochi

cippi rari sparpagliati

a ogni miglio nei prati …



Liriche scritte troppo in fretta


Istinto animale estinto

Chissà se rovistando nei ventricoli
perdendosi fra tessuti alieni
di rinsecchiti diverticoli
spendendo mesi pieni
giornate nottate
sui midolli di vertebre sciupate
un medico tenace saprà
rileggere in me
l’uso che facevo della pelle
il gusto che provavo nel nutrirmi
l’odore gioviale
del dopo temporale
non mi farà più male
la fame di carnivoro obbediente
al sesso intermittente
chissà se setacciando tra budelli
lui ritroverà
i mille puntiformi campanelli
che presto tintinnavano di rabbia

qualsiasi arnese abbia
non saprà mai cavar
dagli occhi cavi
i pianti che mi davi
non potrà fantasticare
su residue gocce amare

come stavo lo seppi solo io
perché sì
le lacrime d’un morto son oblio.


L’ultima poesia prima di nascere

Stop la smetto di fare
l’essere umano
voglio invece
esser la penna
che sfugge di mano
traccia un punto compunto
e poi non scrive più
è finito l’inchiostro
blu
blu come il cielo al mattino
giro il cuscino
dormo appena di fianco
per un’ora, due
torno nel blu

stop la smetto
di colare più giù.


Senza titolo A

Scusi se le dico grazie
lo so le dà fastidio
il sole dà fastidio
alle nubi quotidiane
scusi se, se compro il pane,
un per favore stacco
dal blocchetto dell’anima
che non si esaurisce mai
mi capisca dai
non riesco a stare fermo
con questa peste di lingua
devo sempre interferire
molestare il tabacchino
con un lessico bambino
aggredire il cameriere
con tematiche sincere
quasi rapide preghiere
ebbene sì
anche il pane più villano
è un dono
che viene da lontano
e mi cade nella mano.


Senza titolo B

L’amore che avevi
è ora poesia
l’odio che avevi
è ora mania
tutto cambia è la legge
lo sai meglio di me
un tempo eravamo
animali normali
ora siamo gli ultimi uomini
con le prime avvisaglie
di un nuovo
eterno mistero.


A Paolo con l’affetto che sai

C’era come il sapore del mare
quando son partito da Bologna
gli appennini dormivano asciutti
c’era come il rumore
dei flutti
che da soli vedemmo quel giorno
che da soli fuggimmo da lì
desiderosi di mare
eri ancora un ragazzo ma eri
già pregno di Dio
già figlio da Lui prediletto
io smaniavo imperfetto
ti ammiravo ma avevo una strada
per la quale andavo
fiero
della quale ero
anche troppo orgoglioso
ora il letto è corroso
da quel fiume che scorse tremendo
ora comprendo
sarà bello il bambino che avrai
il Signore regala bambini
a tanti suoi figli
fedeli o assassini
quando vede che giunge il momento
scioglie il cemento
trancia il filamento
spezza il giuramento
e il mondo continua a ruotare
con le proli da allattare
per me è ancora presto
non son come te
non son mai come te
non avrei niente da dire

trasmetterei ire
paure crumire
per me non c’è ancora
pacato imbrunire
ma ti voglio bene lo sai

resta solo un quesito
su cui mi arrovello
dimmi perché Lui regala
bambini
a fedeli o assassini
e a noi invece no
noi spilorci poeti
involontari asceti
forse lo so
è perché vuole
che continui la prole
a giocare
a fedeli e assassini
è perché vuole
tali figli tali padri
a giocare a guardie e ladri
di poeti invece
ne bastano pochi
cippi rari sparpagliati
a ogni miglio nei prati
ne bastan pochi e tristi
che sian
anacronistici cronisti
mentre il mondo continua
con voi
mirabilmente a girare.


Senza titolo C

Tra dieci anni
saranno ben dieci anni
che mi ha lasciato

e tra vent’anni
saranno eh sì vent’anni
che mi sono incrinato

tra cent’anni
non so se avrò la voglia
di ricordare
tutti gli odierni affanni
pronti per invecchiare
e non mi so spiegare
dove troverò tutta
la prevista nostalgia
affabile amnesia
di queste ingrate
giornate
troppo amare
per riuscirle ad amare.


Signore vissute

Signore dalle facce vissute
voi sì che avete finito
non vi sopporto emergere
dai balconi arroccati
dominate la valle
coi vostri sguardi
ferrei sconsolati
e mi dite selvatiche
che voi sì che sapete
sbrigare le pratiche
di quest’inferno
io passo col treno
l’umore alterno
sotto i favi che abitate
con le usanze sciape
ognuna un’ape
schiava mattutina
avete capito tutto
coi vostri scopettoni
ridacchiate
stendendo maglioni
io mi intrido di illusioni
mi ingrasso di memorie
a voi cosa importa
di eliminare scorie
signore avete concluso
il treno sfreccia
ci rivediamo domani
alla solita ora
passerò ammiccando
al blando
mistero irrisorio
della vostra feccia
invidierò un po’
il rozzo riso serio
rimirerò ancora
il vostro putiferio
che schiamazza
in quella razza di dimora.


Via

E adesso
posso anche andare via
sistemo la scrivania
e accelero spedito
adesso che ho capito
qual era la magia
che fa tenere in pugno
il dolce scrigno
che libera dal ghigno
del maligno
adesso fatemi pure andare
il corpo è pronto
la testa è casta
adesso basta
bella quest’aria che respiro ansioso
bello e radioso
strepitoso
posso viver cent’anni o un tocco solo
ormai sto in volo
era
il quindici marzo del duemilasei
che son tornato
attaccato
a questi vecchi
tessuti miei.


La resa

Che ne sarà della tua soldatessa
ora che la carne è lessa
il cuore stracotto abbandona
l’assalto alla corona
hai giocato la carta più chiara
quella col sole nel centro
hai vinto, e ora passa
gloriosa la fanfara
ma ti è costata cara
l’hai vista brutta dillo

ora lascia però che lei
ritorni
al traffico dei giorni
più leggeri che ha
che ne sarà
del mio saper rifulgere d’avorio
del caldo collutorio
mirabile offertorio
purezza del mio corpo rinnovato
sbaraglio del peccato
peccato
che a terra son tornato
avete vinto voi due
ed ora
come da regolamento
il buio crolli addosso tempestivo
risbocci lo sgomento
furtivo
dilaghi
su questo morto vivo.


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